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N. 57 - Settembre 2012 (LXXXVIII)

Giovanni II Comneno
Una vita in guerra

di Giovanni De Notaris

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Nel 1118 l’imperatore bizantino Alessio I Comneno era in fin di vita. Aveva regnato per trentasette lunghi anni, riuscendo non solo a preservare i confini dell’impero, ma impedendone anche lo sgretolamento. L’epoca di Alessio può essere considerata come l’ultimo periodo d’oro del grande impero d’Oriente.

 

Lasciava tre figli maschi. Giovanni – nato nel 1087 e suo erede designato – Isacco, Andronico, oltre a quattro figlie femmine, Anna, Maria, Eudocia e Teodora.

 

Al suo capezzale la moglie Irene e la primogenita Anna tentavano di convincere l’imperatore a scegliere come suo erede al trono Niceforo Briennio, marito di Anna.

 

Ma Giovanni, venuto a conoscenza del complotto ai suoi danni, decise, non visto, di sfilare l’anello imperiale al padre e, subito dopo, con l’aiuto del fratello Isacco, si rifugiò nel palazzo imperiale, protetto da una scorta armata, in attesa della morte del vecchio imperatore.

 

Nel mese di agosto Alessio morì, e Giovanni II salì al trono.

 

Dopo qualche giorno, il neoimperatore decise di azzerare totalmente le cariche scelte dal padre, nominando nelle posizioni chiave suoi fedelissimi, per evitare un possibile attentato ai suoi danni; pericolo più che reale.

 

Dopo circa un anno di regno infatti, la sorella e la madre tornarono di nuovo alla carica, più decise che mai, cercando questa volta di ucciderlo nel casino di caccia del Φιλοπάτιον. Il complotto, però, fallì, per l’incapacità di Briennio, anch’egli coinvolto, nel portare a termine la sua parte del piano.

 

Scoperto il complotto, l’imperatore si mostrò clemente, ordinando di non infliggere pene corporali ai congiurati. Giovanni, infatti, fece confinare a vita la madre e la sorella nel monastero di Кηχαριτωμένη, dove Anna compose l’Alessiade, opera dedicata alla vita del padre.

 

Superata, quindi, questa ennesima congiura ai suoi danni, l’imperatore non poté però riposare sugli allori: dovette affrontare, fin da subito, la sua prima campagna militare, fronteggiando il pericolo, ormai sempre più potente, dei turchi.

 

L’impero bizantino aveva, al tempo, raggiunto la sua massima espansione, ma proprio per questo motivo i suoi confini, pressati da attacchi ormai sempre più frequenti, cominciavano a scricchiolare; Giovanni dovette quindi, per tutto il suo regno, limitare questa frantumazione.

 

Nel 1116 Alessio I aveva stretto un accordo con il sultano Malek-shah: i turchi mantenevano il possesso di Antiochia e Edessa, ma restituivano alcune città della costa anatolica. Nel 1119 però, venendo meno all’accordo, i turchi avevano dato inizio a scorrerie nell’Asia Minore. Giovanni allora, fu costretto a porre rapidamente riparo alla questione, sconfiggendoli, e impadronendosi della città di Laodicea, nella Frigia occidentale.

 

Gli anni tra il 1121 e il 1123 lo videro, invece, impegnato nella campagna contro i Peceneghi, che devastavano le regioni tra la Tracia e la Romania. Giovanni li tentò prima con una trattativa, per colpirli poi più duramente e sconfiggerli; una parte di loro venne poi inserita nei quadri dell’esercito regolare bizantino.

 

Nell’estate del 1127 dovette affrontare la minaccia, ben più temibile, degli ungheresi, che si abbandonavano a frequenti attacchi contro alcune città come Braničevo e Belgrado; attacchi compiuti, in realtà, all’interno di una più grande strategia di controllo dell’intera penisola balcanica.

 

La causa della guerra fu dovuta non solo al fatto che Almos, fratello del re Stefano II d’Ungheria, si era rifugiato a Costantinopoli, dopo esser stato accecato, ma anche perché Giovanni aveva tentato di interferire nella successione al trono ungherese.

 

L’imperatore, dunque, mosse prima contro la zona di Frangocorio, poi verso altre città, tra cui Хράμος, costringendo il nemico alla resa. Dopo queste vittorie ritornò a Costantinopoli, ma, alla sua partenza, gli ungheresi ripresero la città di Braničevo, tanto che Giovanni dovette nuovamente ritornare sul luogo, per riconquistarla a sua volta, e per perderla ancora nel 1128, all’arrivo dei rinforzi dall’Ungheria.

 

Il 1134 lo vide impegnato nella campagna contro i turchi danishmenditi, a cui già in precedenza  aveva inflitto una sconfitta nella città di Castamone, appropriandosene. La città passò poi nelle mani di Ghazi III, alla cui morte, nel 1134, subentrò il figlio Mohammad. Giovanni decise allora di allearsi con Masud I, sultano di Iconio, che ben presto però, tradì l’alleanza con l’imperatore. A quel punto Giovanni riprese Castamone, oltre a guadagnare pure Gangra, situata tra la stessa Castamone e Ankara, città riconquistata poi dai turchi, nel 1136.

 

Tra la fine del 1136 e l’inizio dell’anno seguente, Giovanni bandì poi una spedizione contro il  principato dell’Armenia Minore, in Cilicia. L’imperatore sperava, ripristinando la sovranità bizantina nella zona, di arginare il potere del principe armeno Lewon, che nel 1132 aveva conquistato le città di Adana e Tarso. Sconfitto, il principe fu deportato quindi a Costantinopoli, dove rimase prigioniero fino alla morte, mentre Giovanni riguadagnava all’impero le città perdute. Nello stesso tempo stipulò anche un’alleanza con la Germania, per tenere sotto controllo i normanni in Italia meridionale.

 

Nel 1138 l’imperatore fece visita al principato crociato di Antiochia. Venne ben accolto perché gli abitanti speravano nel suo aiuto per respingere l’avanzata musulmana di Zengi, atabeg di Mossul, che si era impadronito di alcune città siriane come Aleppo, ottenendo inoltre, non solo vittorie nella zona di Laodicea, ma sconfiggendo pure il conte di Tripoli e il re Folco d’Angiò di Gerusalemme.

 

Giovanni si accordò allora con Raimondo di Poitiers, signore di Antiochia, stabilendo che se il principato avesse compiuto atto di sottomissione all’impero bizantino, in cambio l’imperatore  avrebbe donato tutte le città riconquistate a Zengi, al principato stesso.

 

Il 1139 fu la volta della campagna contro la provincia degli Armeniaci, nell’Anatolia orientale, continuamente all’assalto di Trebisonda. Giovanni attraversò quindi la Cappadocia con il suo esercito, nella stagione invernale, commettendo però un errore, perché, dato il forte freddo, le truppe cominciarono a congelarsi, i rifornimenti tardavano a arrivare, e i turchi selgiuchidi si lanciavano in frequenti attacchi contro le truppe.

 

Giovanni riuscì comunque a raggiungere la citta di Neocesarea, nell’Anatolia settentrionale, ma, nonostante una valorosa carica del figlio Manuele contro i nemici, la città non fu espugnata proprio a causa della stanchezza dei soldati, e della mancanza delle macchine da guerra, utili all’assedio, che non poterono essere trasportate a causa della moria degli animali. L’imperatore fu quindi costretto al ritiro, e fece ritorno nuovamente a Costantinopoli.

 

Ma davvero la vita non smetteva di riservargli brutte sorprese.

 

Come se le guerre non bastassero, nel 1142 gli morirono due dei suoi figli, Alessio e Andronico. Ma Giovanni non ebbe il tempo di piangerli, perché aveva iniziato a prendere in considerazione l’idea di riportare sotto la sovranità bizantina la Palestina, spazzando via tutti i principati e regni crociati, come Tripoli, Antiochia e Gerusalemme, in maniera tale da porre poi Manuele in veste di governatore.

 

Dovette però desistere anche da questa impresa, perché le forze militari di turchi, egiziani e crociati messi assieme erano davvero soverchianti.

 

Aveva, intanto, dato ordine di saccheggiare le zone limitrofe al principato di Antiochia, in seguito al rifiuto di Raimondo di Poitiers di aprigli la città, base necessaria per le operazioni contro i turchi in Anatolia, sconfessando tra l’altro l’atto di sottomissione precedentemente concordato.

 

Data la cattiva stagione, Giovanni decise, allora, di accamparsi in Cilicia.

 

L’imperatore aveva chiesto, intanto, al re Folco di Gerusalemme di poter entrare in città con l’esercito per poter visitare i luoghi sacri, ma il re rifiutò, adducendo come motivo la grandezza dell’esercito imperiale, in verità davvero troppo numeroso per poter essere ospitato in città. Folco si disse comunque disponibile a ospitare Giovanni, fornendogli però una propria scorta di crociati.

 

Ben a ragione il sovrano non si fidò, temendo per la sua vita, e rispose che la scorta non era adatta al suo rango.

 

Il sospetto di un possibile attentato ai suoi danni si sarebbe, purtroppo, comunque palesato mentre andava a caccia nei territori vicini all’accampamento reale.

 

La versione ufficiale fu che l’imperatore, dopo essersi ferito mentre scoccava una freccia, fosse morto dopo giorni di agonia, in seguito a un’infezione. Ma c’è anche chi crede che a ucciderlo fosse stata una freccia avvelenata, scoccata da un mercenario assoldato dai crociati.

 

È indubbio infatti, che la morte di Giovanni, deciso, come detto, a riassorbire i principati crociati al suo impero, avrebbe vanificato questa prospettiva.

 

In conclusione, non si può negare che questo imperatore, che aveva dovuto conquistarsi con le unghie perfino il trono, abbia mai avuto un attimo di tregua nella sua vita, trascorrendone difatti buona parte sui campi di battaglia. Morì l’8 aprile del 1143, non prima però di aver nominato erede al trono il figlio Manuele I che, come il padre, e il nonno prima di lui, si rivelò un abile stratega, e un grande sovrano.



 

 

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