[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


arte

SULLA PITTURA DI GIOVANNI FATTORI

SOLDATI, MA NON EROI

di Maria Grazia Fontani

 

Con la locuzionepittura storica” si indica un genere di pittura definita dal suo soggetto, piuttosto che dallo stile artistico o dalla corrente pittorica del suo autore, che spesso coesiste con altri suoi filoni espressivi. I dipinti storici di solito raffigurano un evento (non necessariamente vissuto dall’artista), un momento di narrazione di un avvenimento preciso, ma anche un personaggio storico, recente o lontano nel tempo, che può essere rappresentato in azione, ma talvolta anche in un ritratto.

 

Dalla fine del XVIII secolo si inizia ad apprezzare meno la pittura religiosa e mitologica, e cresce la domanda di dipinti di scene tratte dalla storia antica e da quella contemporanea. Questo cambiamento venne in parte determinato dalla modifica dei fruitori della pittura, non più i ricchi privati o le personalità religiose di solito committenti delle opere, ma i frequentatori delle mostre pubbliche. O, come vedremo fra poco, delle stesse istituzioni di governo.

 

In Italia la pittura iniziò ad avere per soggetto eventi storici contemporanei con le guerre d’indipendenza combattute per ottenere l’Unità d’Italia. Ed ecco che i Macchiaioli si identificano con i pittori del Risorgimento, anche perché molti esponenti di questa avanguardia pittorica europea parteciparono alle guerre come volontari (citiamo Silvestro Lega, Giusppe Abbati, Odoardo Borrani, lo stesso Diego Martelli, il mecenate dei Macchiaioli, Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Francesco Saverio Altamura, Cesare Bartolena).

 

Una piccola considerazione sul termine che caratterizza questi pittori: nell’Ottocento con la parola “macchiajolo”, si indicava una persona indigente che usava andare nella macchia a procurarsi quello che poteva trovare per sopravvivere come erbe, frutti, legna (documentato sui registri censori del 1841). Questo appellativo per definire i giovani pittori innovativi (che ricordiamo si riunivano al Caffè Michelangelo di Firenze fin dal 1855) compare per la prima volta sulla Gazzetta del Popolo nel 1862, dopo l’esposizione organizzata dalla Società Promotrice Fiorentina, con un senso vagamente dispregiativo, giocando sul doppio significato del termine: macchia come boscaglia e come tecnica di pittura.

 

Ma ai pittori questo termine piacque e se ne appropriarono per indicare il loro movimento artistico. Del resto la macchia era proprio la novità della loro pittura rivoluzionaria, antiaccademica, che puntava al realismo estremo, attraverso l’indagine sulla natura delle cose, più che sulla loro apparenza. La tecnica era quella di abolire il chiaroscuro, ma di accostare direttamente il colore alla luce o all’ombra ottenendo degli effetti sorprendenti. I soggetti prediletti furono scene di vita quotidiana, paesaggi, ma anche fatti storici.

 

Giovanni Fattori, fin da giovanissimo, fu attratto dalle vicende politiche: nella sua Livorno si recava nella sede segreta dei cospiratori dove conobbe Enrico Bartelloni, l’eroe delle giornate della difesa di Livorno del maggio 1849, evento che Fattori seguì da vicino, pur non partecipando attivamente, sia per la giovane età, sia per il divieto impostogli dalla famiglia. Lui stesso però racconta in una nota autobiografica che: «Il partito d’azione si serviva di me come fattorino di corrispondenza… [io] non davo nessuna importanza a questo genere di cospirazione».

 

Le guerre di Indipendenza e le imprese di Garibaldi, Fattori non le visse in prima persona, ma la sua sensibilità gli permise di esprimere il dolore e la partecipazione agli eventi, che ha tramandato ai posteri con i suoi famosi quadri in una sorta di reportage fotografico ante litteram, diventando “il pittore delle battaglie” per eccellenza.

 

Ciò che interessa a Fattori, più che la rappresentazione degli eventi bellici, è il contesto in cui avvengono: non tanto la battaglia quanto piuttosto l’uomo in rapporto alla battaglia. Così vediamo persone in divisa, soldati spesso a cavallo, raffigurati nelle varie attività quotidiane: in ricognizione, in avanscoperta, in attesa di un agguato o negli accampamenti.

 

Nelle battaglie che rappresenta Fattori mette sempre in primo piano, davanti ai nostri occhi, i caduti e i dettagli della vita quotidiana. Questo modo di rappresentare le battaglie e i militari in genere ci fa capire il profondo senso di repulsione verso la guerra dell’autore in quanto c’è aderenza alla realtà ma mai nessuna indulgenza alla retorica celebrativa: si rappresentano i soldati come persone piuttosto che come eroi.

 

Per Fattori la natura è il soggetto prediletto, e proprio l’attenzione alla natura ripulisce l’opera da ogni traccia di retorica. Anche nei quadri di storia, infatti, egli punta l’attenzione sull’uomo prima che sul soldato, e quelli rappresentati sono “soldati contadini”, gente che smessa l’uniforme tornerà alla terra.

 

Fattori stesso ci racconta che ebbe modo di studiare da vicino i soldati francesi quando, nel maggio 1859 il corpo di spedizione francese comandato da Gerolamo Napoleone, cugino di Napoleone III, sbarcò a Livorno e si diresse a Firenze accampandosi alle Cascine dove dopo la fuga del Granduca Leopoldo II, il 27 aprile, si era stabilito un governo provvisorio controllato dal Regno di Sardegna, commissariato da Carlo Bon Compagni di Mombello, nel quale Bettino Ricasoli fu inizialmente Ministro degli Interni e successivamente Pro-dittatore.

 

La presenza dei francesi era dettata dall’esigenza di osservare la situazione politica in seguito alla caduta del Granducato, ed essi rimasero a Firenze fino al giugno 1860, dopo che col plebiscito del 12 marzo la Toscana aveva scelto “L’unione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele”. L’osservazione accurata di Fattori delle uniformi dei soldati francesi si rivelerà molto utile per i suoi dipinti successivi a carattere militare, come Fattori stesso ricorda nei suoi scritti. Ed ecco i soldati francesi: non si usa il chiaroscuro ma la macchia, l’atmosfera è statica ed è rappresentato un momento di attesa dei soldati degli ordini dell’ufficiale.

 

Il Governo della Toscana nella persona di Ricasoli, pensò di usare le arti figurative per una sorta di propaganda in vista dell’annessione della Toscana al regno di Sardegna. Il Re aveva infatti accolto l’annessione della Toscana, ma non l’aveva ancora accettata e pare ci fossero in giro dei rigurgiti granduchisti. Questo indusse Ricasoli, che mirava a fare di Firenze la capitale italiana della cultura, a usare le arti figurative come volano di ripresa, di affermazione di valori patriottici, di rassicurazione della popolazione tramite episodi vittoriosi delle recenti guerre di indipendenza nonché di fatti storici antichi emettendo, nel settembre 1859, il bando di un concorso. Si vollero forse, tramite l’elargizione di premi in denaro, anche aiutare i tanti artisti toscani che avevano partecipato di persona agli eventi bellici.

 

Il bando richiedeva opere d’arte di varia natura, come monumenti, ritratti, incisioni, ma in particolare quattro opere dovevano raffigurare scene delle battaglie di Curtatone, Palestro, San Martino e Magenta. Interessante la forma di commissione: non per scelta diretta ma tramite un concorso/appalto.

 

Fattori ci dice che fu molto titubante sul partecipare al concorso, nonostante il suo interesse per le “cose militari”, e ricorda: «… tale era impressionato di cose militari che volli concorrere, però notava in me un dubbio atroce della riuscita per il poco benevolo incontro che avrei fatto con i miei compagni; fu il Costa [il pittore macchiaiolo Nino Costa, ndr] che mi animò al concorso, e io, incoraggiato dalla parola di un sì forte artista, concorsi e vinsi».

 

Fattori scelse il tema della battaglia di Magenta della Seconda Guerra d’Indipendenza, che si svolse nel 1859, che fu vittoriosa per le truppe franco-piemontesi (essenzialmente per merito delle truppe francesi) e che permise la liberazione di Milano. Al concorso presentò (unico partecipante per questo soggetto) due diversi bozzetti col motto “Livorno”: uno rappresentava il campo italiano della battaglia (pare il rientro dei feriti dopo l’attacco dei granatieri francesi) e l’altro invece le retrovie italiane dopo la battaglia. Fu proprio quest’ultimo a risultare vincitore per l’originalità della composizione e per il realismo dimostrato. Fattori si aggiudicò il premio di 700 francesconi (circa 4.000 lire) che fu elargito subito dopo la decisione, nel marzo 1860.

 

Per realizzare quest’opera Fattori si documentò molto, effettuando, grazie all’indennità di ulteriori 100 francesconi ricevuta appositamente per effettuare studi dal vero, un sopralluogo sui luoghi della battaglia, che coincise con il suo viaggio di nozze con la prima moglie, Settimia Vannucci, sposata il 2 luglio del 1860.

 

 

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Il campo italiano alla battaglia di Magenta, 1861

 

Interessante il confronto dell’opera finita con il bozzetto presentato al Concorso: mentre nel piccolo formato la macchia risolveva i contrasti luce-ombra, nel quadro definitivo di grandi dimensioni la soluzione di Fattori fu quella di realizzare i contrasti tramite grandi campiture a tinte uniformi, con una gran parte della superficie pittorica occupata dal cielo azzurro, in una atmosfera sicuramente più limpida, forse dettata dal sopralluogo sui luoghi dello scontro che potevano aver suggerito questa diversa luminosità.

 

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Bozzetto de Il campo italiano alla battaglia di Magenta, 1860

 

In questo dipinto assolutamente anti-retorico, non si rappresenta la battaglia vera e propria, se non in modo marginale, ma se ne descrivono le retrovie, i morti, i feriti. Il soggetto principale è il carro con le religiose che portano il loro soccorso ai soldati, anche a quelli austriaci, come si capisce dal colore bianco della divisa del soldato all’interno dell’ambulanza. Niente di epico, solo umano dolore e sofferenza fisica.

 

Di lì a poco il medico svizzero Jean Henri Dunant (primo Premio Nobel per la Pace nel 1901), testimone oculare dello scempio della battaglia di Solferino descritto nel suo libello Un souvenir de Solferino, edito nel 1863, darà vita al primo nucleo della Croce Rossa Internazionale, con il compito di soccorrere durante le guerre i feriti di tutti gli eserciti in campo. Piena sintonia con il pensiero di Fattori, che nel rappresentare le sofferenze dei soldati dopo la battaglia e le cure amorevoli delle religiose come Dunant, e forse prima di Dunant, sensibilizzava le coscienze verso un soccorso organizzato, nel quale ai soldati di ogni schieramento veniva riconosciuta la neutralità e il diritto alle cure.

 

Interessante è analizzare di un’altra opera di Fattori a carattere militare, ossia La Carica di cavalleria a Montebello del 1862, il bozzetto preparatorio: il quadro definitivo ne conserva la struttura compositiva, ma presenta una precisione maggiore nella descrizione dei dettagli, ed elimina particolari naturalistici come gli alberi sullo sfondo, forse ritenuti troppo evidenti nel grande formato.

 

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Bozzetto di Carica di cavalleria a Montebello (non datato)

 

Il quadro raffigura un episodio della battaglia del 20 maggio 1859 a Montebello, presso Voghera, dove l’esercito franco-italiano inflisse la prima sconfitta all’esercito austriaco; più precisamente si tratta dell’episodio della Carica del Reggimento di Cavalleggeri del Monferrato.

 

È ripresa proprio la fase tumultuosa della battaglia: in primissimo piano, a destra, si nota un soldato in uniforme scura di spalle, moribondo, che alza un braccio al cielo, sotto di lui un soldato austriaco morto e quasi sepolto dalla polvere e dalle sterpaglie (il naturalismo fattoriano) e, poco più sopra, un gruppo di soldati italiani che sta sparando; all’estrema sinistra un soldato austriaco e un cavallo colpiti a morte. Al centro oggetti comuni sparsi per terra (una baionetta, un fucile, una gavetta). Mentre in secondo piano si svolge la scena della battaglia, sullo sfondo si intravede il paese di Montebello, nel polverone alzato dai cavalli.

 

 

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Carica di cavalleria a Montebello, 1862

 

Questo dipinto è conservato nella pinacoteca Comunale di Livorno, il Museo Fattori. Nel 1994 questa e altre opere furono sottoposte a operazioni di restauro. Durante questo intervento, il restauratore si accorse che il retro della tela nascondeva, abbondantemente coperto da vernice, un altro dipinto, ossia la rappresentazione di un episodio della storia passata (in questo caso della famiglia de’ Medici), come era frequente nelle Accademie di metà Ottocento. È una conferma che Fattori, in pieno clima risorgimentale, intendeva ormai dedicarsi a un’arte rappresentativa della storia contemporanea, e per questo, non entusiasta di questo quadro, seguendo il consiglio dell’amico Nino Costa che lo aveva dissuaso dal terminarlo, lo coprì e voltò la tela.

 

Fattori ha descritto mirabilmente altri campi di battaglia, come quello di San Martino del 24 giugno 1859 nell’episodio dell’Assalto alla Madonna della Scoperta avvenuto proprio prima dello scontro finale. Fu dipinto grazie a una sottoscrizione dei cittadini livornesi e fu premiato al Concorso dell’Esposizione Italiana del 1868 voluta dal Ministro della Pubblica Istruzione Berti. In quest’opera il punto di vista dell’osservatore è in basso, in primo piano ancora si vede una vittima, un tamburino morto, e i colori sono smorzati forse per rispetto, dato che questa fu la battaglia più sanguinosa di tutto il Risorgimento anche perché fu combattuta su due fronti, a San Martino e a Solferino.

 

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Assalto alla Madonna della Scoperta, 1864-1868

 

Anche l’Eroe dei due mondi viene ritratto da Fattori: Garibaldi a Palermo (o Un fatto d’arme della guerra d’Italia del 1860) è un dipinto, realizzato nel 1860-1862 (ma autenticato solo nel 1954), nel quale si rappresenta il momento in cui Garibaldi, arrivato in Sicilia a capo della Spedizione dei Mille, libera la città di Palermo.

 

Si narra degli scontri con le truppe borboniche avvenuti la mattina del 27 maggio 1860 nei pressi di dove era Porta di Termini a Palermo. Anche in quest’opera in primo piano si vedono dei soldati caduti, un tamburo abbandonato, un cavallo morto, e sullo sfondo il fumo della battaglia appena finita e le barricate costruite dalla popolazione che nello scontro lasciò sul campo moltissimi morti. In realtà la porta rappresentata è Porta Nuova, forse sulla base di una documentazione fotografica utilizzata da Fattori, dato che Porta Termini, dal cui varco era entrato Garibaldi, era stata abbattuta nel 1852 dal governo borbonico in quanto sede di rivoltosi.

 

 

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Garibaldi a Palermo

 

Un altro esempio dell’atteggiamento di Fattori nei confronti delle battaglie è il quadro che testimonia il ferimento del principe Amedeo di Savoia durante la Terza Guerra d’Indipendenza nel 1866 quando, in qualità di maggiore generale, guidò una brigata al Monte Croce durante la battaglia di Custoza. Ancora una volta il soggetto principale non è colto in un gesto eroico, ma anzi nel momento della cura, mentre è accompagnato all’ambulanza, il carro che si vede dietro a soldati caduti e feriti.

 

 

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Episodio della battaglia di Custoza, Il Principe Amedeo ferito viene accompagnato dall’ambulanza, 1870

 

Giovanni Fattori continuò per molti anni a rappresentare scene a carattere militare (famosissimo il dipinto In vedetta, o Il muro bianco del 1872, Carica di cavalleria del 1873 e altrettanto famoso Lo staffato del 1880, che mostra un soldato ucciso dal colpo di un cecchino e trascinato dal suo cavallo spaventato) ma forse quello più eloquente è un disegno colorato a pastello e tempera su cartone del 1900 intitolato Pro patria mori, nel quale si vede un soldato caduto in battaglia, ma dimenticato dal carro dei soccorsi, rappresentato con tutta la pietà che questa scena merita Ma ecco che compaiono i maiali, a riprendere possesso del loro territorio, e a suggerirci la misera fine che farà quel povero corpo.

 

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Pro Patria mori,1900

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. Fattori, Scritti autobiografici editi e inediti a cura di Francesca Errico, De Luca Editore, Roma 1980.

C. Bon, Il Concorso Ricasoli nel 1859: le opere di pittura in Ricerche di storia dell’arte n. 23, La nuova Italia Scientifica, 1984.

L. Bianciardi, L’opera completa di Fattori, Rizzoli, Milano 1970.  

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]