SULLA PITTURA DI GIOVANNI FATTORI
SOLDATI, MA NON EROI
di Maria Grazia Fontani
Con la locuzione “pittura
storica” si indica un genere di
pittura definita dal suo soggetto,
piuttosto che dallo stile artistico
o dalla corrente pittorica del suo
autore, che spesso coesiste con
altri suoi filoni espressivi. I
dipinti storici di solito
raffigurano un evento (non
necessariamente vissuto
dall’artista), un momento di
narrazione di un avvenimento
preciso, ma anche un personaggio
storico, recente o lontano nel
tempo, che può essere rappresentato
in azione, ma talvolta anche in un
ritratto.
Dalla fine del XVIII secolo si
inizia ad apprezzare meno la pittura
religiosa e mitologica, e cresce la
domanda di dipinti di scene tratte
dalla storia antica e da quella
contemporanea. Questo cambiamento
venne in parte determinato dalla
modifica dei fruitori della pittura,
non più i ricchi privati o le
personalità religiose di solito
committenti delle opere, ma i
frequentatori delle mostre
pubbliche. O, come vedremo fra poco,
delle stesse istituzioni di governo.
In Italia la pittura iniziò ad avere
per soggetto eventi storici
contemporanei con le guerre
d’indipendenza combattute per
ottenere l’Unità d’Italia. Ed ecco
che i Macchiaioli si identificano
con i pittori del Risorgimento,
anche perché molti esponenti di
questa avanguardia pittorica europea
parteciparono alle guerre come
volontari (citiamo Silvestro Lega,
Giusppe Abbati, Odoardo Borrani, lo
stesso Diego Martelli, il mecenate
dei Macchiaioli, Telemaco Signorini,
Vincenzo Cabianca, Francesco Saverio
Altamura, Cesare Bartolena).
Una piccola considerazione sul
termine che caratterizza questi
pittori: nell’Ottocento con la
parola “macchiajolo”, si
indicava una persona indigente che
usava andare nella macchia a
procurarsi quello che poteva trovare
per sopravvivere come erbe, frutti,
legna (documentato sui registri
censori del 1841). Questo
appellativo per definire i giovani
pittori innovativi (che ricordiamo
si riunivano al Caffè Michelangelo
di Firenze fin dal 1855) compare per
la prima volta sulla Gazzetta del
Popolo nel 1862, dopo l’esposizione
organizzata dalla Società Promotrice
Fiorentina, con un senso vagamente
dispregiativo, giocando sul doppio
significato del termine: macchia
come boscaglia e come tecnica di
pittura.
Ma ai pittori questo termine piacque
e se ne appropriarono per indicare
il loro movimento artistico. Del
resto la macchia era proprio la
novità della loro pittura
rivoluzionaria, antiaccademica, che
puntava al realismo estremo,
attraverso l’indagine sulla natura
delle cose, più che sulla loro
apparenza. La tecnica era quella di
abolire il chiaroscuro, ma di
accostare direttamente il colore
alla luce o all’ombra ottenendo
degli effetti sorprendenti. I
soggetti prediletti furono scene di
vita quotidiana, paesaggi, ma anche
fatti storici.
Giovanni Fattori, fin da
giovanissimo, fu attratto dalle
vicende politiche: nella sua Livorno
si recava nella sede segreta dei
cospiratori dove conobbe Enrico
Bartelloni,
l’eroe delle giornate della difesa
di Livorno del maggio 1849, evento
che Fattori seguì da vicino, pur non
partecipando attivamente, sia per la
giovane età, sia per il divieto
impostogli dalla famiglia. Lui
stesso però racconta in una nota
autobiografica che: «Il partito
d’azione si serviva di me come
fattorino di corrispondenza… [io]
non davo nessuna importanza a questo
genere di cospirazione».
Le guerre di Indipendenza e le
imprese di Garibaldi, Fattori non le
visse in prima persona, ma la sua
sensibilità gli permise di esprimere
il dolore e la partecipazione agli
eventi, che ha tramandato ai posteri
con i suoi famosi quadri in una
sorta di reportage fotografico
ante litteram, diventando “il
pittore delle battaglie” per
eccellenza.
Ciò che interessa a Fattori, più che
la rappresentazione degli eventi
bellici, è il contesto in cui
avvengono: non tanto la battaglia
quanto piuttosto l’uomo in rapporto
alla battaglia. Così vediamo persone
in divisa, soldati spesso a cavallo,
raffigurati nelle varie attività
quotidiane: in ricognizione, in
avanscoperta, in attesa di un
agguato o negli accampamenti.
Nelle battaglie che rappresenta
Fattori mette sempre in primo piano,
davanti ai nostri occhi, i caduti e
i dettagli della vita quotidiana.
Questo modo di rappresentare le
battaglie e i militari in genere ci
fa capire il profondo senso di
repulsione verso la guerra
dell’autore in quanto c’è aderenza
alla realtà ma mai nessuna
indulgenza alla retorica
celebrativa: si rappresentano i
soldati come persone piuttosto che
come eroi.
Per Fattori la natura è il soggetto
prediletto, e proprio l’attenzione
alla natura ripulisce l’opera da
ogni traccia di retorica. Anche nei
quadri di storia, infatti, egli
punta l’attenzione sull’uomo prima
che sul soldato, e quelli
rappresentati sono “soldati
contadini”, gente che smessa
l’uniforme tornerà alla terra.
Fattori stesso ci racconta che ebbe
modo di studiare da vicino i soldati
francesi quando, nel maggio 1859 il
corpo di spedizione francese
comandato da Gerolamo Napoleone,
cugino di Napoleone III, sbarcò a
Livorno e si diresse a Firenze
accampandosi alle Cascine dove dopo
la fuga del Granduca Leopoldo II, il
27 aprile, si era stabilito un
governo provvisorio controllato
dal Regno di Sardegna, commissariato
da Carlo Bon
Compagni di Mombello, nel quale
Bettino Ricasoli fu inizialmente
Ministro degli Interni e
successivamente Pro-dittatore.
La presenza dei francesi era dettata
dall’esigenza di osservare la
situazione politica in seguito alla
caduta del Granducato, ed essi
rimasero a Firenze fino al giugno
1860, dopo che col plebiscito del 12
marzo la Toscana aveva scelto
“L’unione alla monarchia
costituzionale del re Vittorio
Emanuele”. L’osservazione accurata
di Fattori delle uniformi dei
soldati francesi si rivelerà molto
utile per i suoi dipinti successivi
a carattere militare, come Fattori
stesso ricorda nei suoi scritti. Ed
ecco i soldati francesi: non si usa
il chiaroscuro ma la macchia,
l’atmosfera è statica ed è
rappresentato un momento di attesa
dei soldati degli ordini
dell’ufficiale.
Il Governo della Toscana nella
persona di Ricasoli, pensò di usare
le arti figurative per una sorta di
propaganda in vista dell’annessione
della Toscana al regno di Sardegna.
Il Re aveva infatti accolto
l’annessione della Toscana, ma non
l’aveva ancora accettata e pare ci
fossero in giro dei rigurgiti
granduchisti. Questo indusse
Ricasoli, che mirava a fare di
Firenze la capitale italiana della
cultura, a usare le arti figurative
come volano di ripresa, di
affermazione di valori patriottici,
di rassicurazione della popolazione
tramite episodi vittoriosi delle
recenti guerre di indipendenza
nonché di fatti storici antichi
emettendo, nel settembre 1859, il
bando di un concorso. Si vollero
forse, tramite l’elargizione di
premi in denaro, anche aiutare i
tanti artisti toscani che avevano
partecipato di persona agli eventi
bellici.
Il bando richiedeva opere d’arte di
varia natura, come monumenti,
ritratti, incisioni, ma in
particolare quattro opere dovevano
raffigurare scene delle battaglie di
Curtatone, Palestro, San Martino e
Magenta. Interessante la forma di
commissione: non per scelta diretta
ma tramite un concorso/appalto.
Fattori ci dice che fu molto
titubante sul partecipare al
concorso, nonostante il suo
interesse per le “cose militari”, e
ricorda: «… tale era
impressionato di cose militari che
volli concorrere, però notava in me
un dubbio atroce della riuscita per
il poco benevolo incontro che avrei
fatto con i miei compagni; fu il
Costa [il pittore macchiaiolo Nino
Costa, ndr] che mi animò al
concorso, e io, incoraggiato dalla
parola di un sì forte artista,
concorsi e vinsi».
Fattori scelse il tema della
battaglia di Magenta della Seconda
Guerra d’Indipendenza, che si svolse
nel 1859, che fu vittoriosa per le
truppe franco-piemontesi
(essenzialmente per merito delle
truppe francesi) e che permise la
liberazione di Milano. Al concorso
presentò (unico partecipante per
questo soggetto) due diversi
bozzetti col motto “Livorno”: uno
rappresentava il campo italiano
della battaglia (pare il rientro dei
feriti dopo l’attacco dei granatieri
francesi) e l’altro invece le
retrovie italiane dopo la battaglia.
Fu proprio quest’ultimo a risultare
vincitore per l’originalità della
composizione e per il realismo
dimostrato. Fattori si aggiudicò il
premio di 700 francesconi
(circa 4.000 lire) che fu elargito
subito dopo la decisione, nel marzo
1860.
Per realizzare quest’opera Fattori
si documentò molto, effettuando,
grazie all’indennità
di ulteriori
100 francesconi ricevuta
appositamente per effettuare
studi dal vero, un sopralluogo sui
luoghi della battaglia, che coincise
con il suo viaggio di nozze con la
prima moglie, Settimia Vannucci,
sposata il 2 luglio del 1860.
.
Il campo italiano alla battaglia di
Magenta, 1861
Interessante il confronto dell’opera
finita con il bozzetto presentato al
Concorso: mentre nel piccolo formato
la macchia risolveva i contrasti
luce-ombra, nel quadro definitivo di
grandi dimensioni la soluzione di
Fattori fu quella di realizzare i
contrasti tramite grandi campiture a
tinte uniformi, con una gran parte
della superficie pittorica occupata
dal cielo azzurro, in una atmosfera
sicuramente più limpida, forse
dettata dal sopralluogo sui luoghi
dello scontro che potevano aver
suggerito questa diversa luminosità.
.
Bozzetto de Il campo italiano alla
battaglia di Magenta, 1860
In questo dipinto assolutamente
anti-retorico, non si rappresenta la
battaglia vera e propria, se non in
modo marginale, ma se ne descrivono
le retrovie, i morti, i feriti. Il
soggetto principale è il carro con
le religiose che portano il loro
soccorso ai soldati, anche a quelli
austriaci, come si capisce dal
colore bianco della divisa del
soldato all’interno dell’ambulanza.
Niente di epico, solo umano dolore e
sofferenza fisica.
Di lì a poco il medico svizzero Jean
Henri Dunant (primo Premio Nobel per
la Pace nel 1901), testimone oculare
dello scempio della battaglia di
Solferino descritto nel suo libello
Un souvenir de Solferino,
edito nel 1863, darà vita al primo
nucleo della Croce Rossa
Internazionale, con il compito di
soccorrere durante le guerre i
feriti di tutti gli eserciti in
campo. Piena sintonia con il
pensiero di Fattori, che nel
rappresentare le sofferenze dei
soldati dopo la battaglia e le cure
amorevoli delle religiose come
Dunant, e forse prima di Dunant,
sensibilizzava le coscienze verso un
soccorso organizzato, nel quale ai
soldati di ogni schieramento veniva
riconosciuta la neutralità e il
diritto alle cure.
Interessante è analizzare di
un’altra opera di Fattori a
carattere militare, ossia
La Carica di cavalleria a Montebello del
1862, il bozzetto preparatorio: il
quadro definitivo ne conserva la
struttura compositiva, ma presenta
una precisione maggiore nella
descrizione dei dettagli, ed elimina
particolari naturalistici come gli
alberi sullo sfondo, forse ritenuti
troppo evidenti nel grande formato.
.
Bozzetto di Carica di cavalleria a
Montebello (non datato)
Il quadro raffigura un episodio
della battaglia del 20 maggio 1859 a
Montebello, presso Voghera, dove
l’esercito franco-italiano inflisse
la prima sconfitta all’esercito
austriaco; più precisamente si
tratta dell’episodio della Carica
del Reggimento di Cavalleggeri del
Monferrato.
È ripresa proprio la fase tumultuosa
della battaglia: in primissimo
piano, a destra, si nota un soldato
in uniforme scura di spalle,
moribondo, che alza un braccio al
cielo, sotto di lui un soldato
austriaco morto e quasi sepolto
dalla polvere e dalle sterpaglie (il
naturalismo fattoriano) e, poco più
sopra, un gruppo di soldati italiani
che sta sparando; all’estrema
sinistra un soldato austriaco e un
cavallo colpiti a morte. Al centro
oggetti comuni sparsi per terra (una
baionetta, un fucile, una gavetta).
Mentre in secondo piano si svolge la
scena della battaglia, sullo sfondo
si intravede il paese di Montebello,
nel polverone alzato dai cavalli.
.
Carica di cavalleria a Montebello,
1862
Questo dipinto è conservato nella
pinacoteca Comunale di Livorno, il
Museo Fattori. Nel 1994 questa e
altre opere furono sottoposte a
operazioni di restauro. Durante
questo intervento, il restauratore
si accorse che il retro della tela
nascondeva, abbondantemente coperto
da vernice, un altro dipinto, ossia
la rappresentazione di un episodio
della storia passata (in questo caso
della famiglia de’ Medici), come era
frequente nelle Accademie di metà
Ottocento. È una conferma che
Fattori, in pieno clima
risorgimentale, intendeva ormai
dedicarsi a un’arte rappresentativa
della storia contemporanea, e per
questo, non entusiasta di questo
quadro, seguendo il consiglio
dell’amico Nino Costa che lo aveva
dissuaso dal terminarlo, lo coprì e
voltò la tela.
Fattori ha descritto mirabilmente
altri campi di battaglia, come
quello di San Martino del 24 giugno
1859 nell’episodio dell’Assalto
alla Madonna della Scoperta
avvenuto proprio prima dello scontro
finale. Fu dipinto grazie a
una sottoscrizione dei cittadini
livornesi e fu premiato al Concorso
dell’Esposizione Italiana del 1868
voluta dal Ministro della Pubblica
Istruzione Berti. In quest’opera il
punto di vista dell’osservatore è in
basso, in primo piano ancora si vede
una vittima, un tamburino morto, e i
colori sono smorzati forse per
rispetto, dato che questa fu la
battaglia più sanguinosa di tutto il
Risorgimento anche perché fu
combattuta su due fronti, a San
Martino e a Solferino.
.
Assalto alla Madonna della Scoperta,
1864-1868
Anche l’Eroe dei due mondi viene
ritratto da Fattori: Garibaldi a
Palermo (o Un fatto d’arme
della guerra d’Italia del 1860)
è un dipinto, realizzato nel
1860-1862 (ma autenticato solo nel
1954), nel quale si rappresenta il
momento in cui Garibaldi, arrivato
in Sicilia a capo della Spedizione
dei Mille, libera la città di
Palermo.
Si narra degli scontri con le truppe
borboniche avvenuti la mattina del
27 maggio 1860 nei pressi di dove
era Porta di Termini a Palermo.
Anche in quest’opera in primo piano
si vedono dei soldati caduti, un
tamburo abbandonato, un cavallo
morto, e sullo sfondo il fumo della
battaglia appena finita e le
barricate costruite dalla
popolazione che nello scontro lasciò
sul campo moltissimi morti. In
realtà la porta rappresentata è
Porta Nuova, forse sulla base di una
documentazione fotografica
utilizzata da Fattori, dato che
Porta Termini, dal cui varco era
entrato Garibaldi, era stata
abbattuta nel 1852 dal governo
borbonico in quanto sede di
rivoltosi.
.
Garibaldi a Palermo
Un altro esempio dell’atteggiamento
di Fattori nei confronti delle
battaglie è il quadro che testimonia
il ferimento del principe Amedeo di
Savoia durante la Terza Guerra
d’Indipendenza nel 1866 quando, in
qualità di maggiore generale, guidò
una brigata al Monte Croce durante
la battaglia di Custoza. Ancora una
volta il soggetto principale non è
colto in un gesto eroico, ma anzi
nel momento della cura, mentre è
accompagnato all’ambulanza, il carro
che si vede dietro a soldati caduti
e feriti.
.
Episodio della battaglia di Custoza,
Il Principe Amedeo ferito viene
accompagnato dall’ambulanza, 1870
Giovanni Fattori continuò per molti
anni a rappresentare scene a
carattere militare (famosissimo il
dipinto In vedetta, o Il
muro bianco del 1872, Carica
di cavalleria del 1873 e
altrettanto famoso Lo staffato
del 1880, che mostra un soldato
ucciso dal colpo di un cecchino e
trascinato dal suo cavallo
spaventato) ma forse quello più
eloquente è un disegno colorato a
pastello e tempera su cartone del
1900 intitolato Pro patria mori,
nel quale si vede un soldato caduto
in battaglia, ma dimenticato dal
carro dei soccorsi, rappresentato
con tutta la pietà che questa scena
merita Ma ecco che compaiono i
maiali, a riprendere possesso del
loro territorio,
e a suggerirci la misera fine che
farà quel povero corpo.
.
Pro Patria mori,1900
Riferimenti bibliografici:
G. Fattori, Scritti
autobiografici editi e inediti a
cura di Francesca Errico, De Luca
Editore, Roma 1980.
C. Bon, Il Concorso Ricasoli nel
1859: le opere di pittura in
Ricerche di storia dell’arte n.
23, La nuova Italia Scientifica,
1984.
L. Bianciardi, L’opera completa
di Fattori, Rizzoli, Milano
1970.