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N. 146 - Febbraio 2020 (CLXXVII)

Una riflessione sul Giorno del ricordo

l'italianizzazione forzata della popolazione slava

di Giorgio Giannini

 

La Legge 30 marzo 2004 n. 92 ha istituito il Giorno del ricordo, che ricorre il 10 febbraio, anniversario del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, per «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra».

 

Nel Giorno del ricordo, considerato «solennità civile», sono attuate «iniziative per diffondere la conoscenza di quei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado» ed è «favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende» drammatiche. (Art. 1)

 

Pertanto, la Legge n. 92 è stata emanata dal Governo Berlusconi solo per commemorare le vittime delle foibe del settembre 1943 e del maggio-giugno 1945 nella Venezia Giulia e in Istria e l’esodo, nel dopoguerra, di circa 270.000 cittadini italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, annesse dalla Jugoslavia con il Trattato di Pace di Parigi.

 

La Legge prevede, la concessione, «a domanda e a titolo onorifico senza assegni» di una «insegna metallica» in «acciaio brunito e smalto», con la scritta «La Repubblica italiana ricorda», e di un diploma firmato dal Presidente della Repubblica, al «coniuge superstite, ai figli e ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado» di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale sono stati soppressi o infoibati».(Art.3)

 

Le domande sono valutate da una Commissione di 10 membri, che esclude dal riconoscimento i familiari delle vittime per le quali è «accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona». (Art. 5)

 

Alcune riflessioni sulle foibe del 1943 e del 1945

 

La Destra italiana, nel dopoguerra, ha parlato di migliaia di infoibati, alimentando l’idea di una ‘pulizia etnica’ contro gli italiani, in quanto tali. In verità, secondo molti storici, nel settembre 1943, si è trattato di una ‘resa dei conti’ degli jugoslavi contro i fascisti per i torti subiti nel ventennio. Infatti, migliaia di nostri soldati sono stati salvati durante la guerra, sia dai partigiani titini, con i quali hanno combattuto contro i nazisti, sia dalla popolazione.

 

Nel maggio-giugno 1945, invece, c’è stata sia la eliminazione di molti soldati, poliziotti e funzionari pubblici, considerati fascisti, e anche di molti collaborazionisti, perché considerati responsabili dei crimini compiuti dalle nostre truppe contro la popolazione durante la guerra (come nel settembre 1943), sia la ‘pulizia politica o ideologica’, altrettanto esecrabile di quella ‘etnica’, con la eliminazione di tutti coloro (anche comunisti) che si opponevano al progetto titino di annessione alla Jugoslavia della Venezia Giulia, con Trieste e Gorizia, fino al fiume Isonzo, non solo per riunificare la popolazione slovena e croata, ma soprattutto per motivi di espansione territoriale, conquistando le zone industriali e portuali giuliane.

 

Pertanto, per raggiungere questo scopo i titini hanno duramente represso, con l’eliminazione fisica o mandandoli nei campi di concentramento, tutti coloro che si opponevano al loro progetto, compresi gli antifascisti locali, anche comunisti, che non erano d’accordo.

 

Per capire perché sono accadute nella Venezia Giulia, in Istria e in Dalmazia quelle tragedie è necessario conoscere la storia di quei territori, almeno a partire dalla fine dell’Ottocento, con la nascita e la diffusione dei nazionalismi italiano e slavo, come ha chiarito la Commissione mista storico-culturale italo-slovena, istituita nell’ottobre 1993 e che ha operato fino al luglio 2000, nella sua Relazione pubblicata nel 2001 dal governo sloveno.

 

Non si tratta di riscrivere la storia o di sminuire la tragedia delle foibe del settembre 1943 e del maggio-giugno 1945 e quella dell’esodo giuliano-dalmata del dopoguerra, che vanno comunque condannate, ma di fare una corretta informazione storica, raccontando tutto quanto è accaduto, anche quando la storia è scomoda, non sottacendo quindi le responsabilità del nostro Paese, governato per oltre 20 anni dal regime fascista, che è stato persecutore della popolazione slovena e croata (e anche di quella tirolese in Alto Adige), che abitava i territori annessi dopo la Prima guerra mondiale.

 

In particolare, dopo la fine della Grande Guerra è stata avviata dal governo italiano un’azione di ‘assimilazione’ della popolazione slovena e croata (come anche della popolazione tirolese in Alto Adige), che è diventata ‘italianizzazione forzata’ durante il regime fascista, allo scopo di rendere quelle terre, annesse dopo la guerra, completamente italiane. Pertanto, si voleva distruggere la cultura allogena locale, perché gli Slavi, come disse Mussolini in un suo discorso del 1920 a Trieste, appartengono a una “razza inferiore e barbara”.

 

Inoltre, durante il regime fascista, l’opposizione slovena e croata è stata duramente repressa con il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che ha comminato oltre 30 condanne a morte e ha inflitto, complessivamente, circa 5.000 anni di reclusione.

 

Ancora, durante la guerra con la Jugoslavia circa 100.000 civili sloveni e croati sono stati reclusi, perché considerati pericolosi (in quanto fiancheggiatori della resistenza anti italiana) nei campi di internamento, nei quali molti sono morti per le malattie e per gli stenti. Infine, i militari italiani hanno attuato una dura occupazione e una cruenta repressione, distruggendo più di 250 paesi e villaggi, con eccidi in massa della popolazione locale, spesso aiutati, aiutati, oltre che dai nazisti, anche dai collaborazionisti, soprattutto gli ustascia croati. Nel dopoguerra, questi ‘crimini di guerra’ sono rimasti impuniti perché i responsabili non sono stati perseguiti.

 

Per molti anni, fino agli anni Novanta, quando è cambiato il clima politico internazionale, in seguito alla caduta del muro di Berlino e al conseguente tracollo dei regimi comunisti nell’Europa Orientale, la tragedia del confine orientale italiano è stata sottaciuta dalla classe politica al governo del Paese e quindi dimenticata dall’opinione pubblica, come se la si volesse rimuovere dalla coscienza, perché sulla tragedia delle foibe e sull’esodo giuliano dalmata c’è sempre stata una forte contrapposizione politica tra la Sinistra e la Destra.

 

Infatti, da un alto, gli esponenti della Sinistra (soprattutto i comunisti) consideravano gli infoibati dei fascisti, dei criminali di guerra e i profughi giuliano dalmati delle vittime di una ‘epurazione politica’ attuata dai partigiani titini, che hanno voluto eliminare tutti coloro che si opponevano al loro progetto di unificazione dei territori slavi; dall’altro, gli esponenti della Destra sostenevano che in Istria e Dalmazia c’era stata una vera e propria ‘epurazione etnica’ (secondo alcuni addirittura un ‘genocidio’), ai danni degli italiani in quanto tali.

 

Questa forte contrapposizione politica, ha comportato da un lato la strumentalizzazione di quei tragici fatti da parte della Destra, in funzione revisionista, e il silenzio da parte della Sinistra (soprattutto comunista) al fine di volerli dimenticare.

 

Inoltre, con il ritorno di Trieste all’Italia, con il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954, le vicende del confine orientale sono passate in secondo piano, come se tutti i problemi si fossero risolti con quella annessione.

 

Innanzitutto si deve dire, con estrema chiarezza, che l’uccisione di civili inermi, di militari prigionieri e di dissidenti politici non può mai essere giustificata. Pertanto, non si deve dimenticare quello che è accaduto, ma si deve saper ricordare senza pregiudizi ideologici.

 

Si deve però evitare da un lato l’uso distorto della Storia, per finalità politiche, e dall’altro ci si deve attivare contro il processo di revisione storica che tende alla riabilitazione del ventennio fascista, nel nome della pacificazione e della riconciliazione nazionale.

 

Il nostro Paese deve ancora fare una seria autocritica su alcune vicende della sua storia del Novecento, riconoscendo le colpe del fascismo e chiedendo scusa alle vittime dei crimini di guerra compiuti sulla base di una politica di aggressione e di una ideologia razzista.

 

In questa direzione va la bozza di proposta di legge per la modifica della Legge n. 92, elaborata dal sottoscritto e riportata tra la documentazione del suo libro La tragedia del confine orientale, allo scopo di citare nella Legge n. 92, oltre alle foibe e all’esodo dei giuliani-dalmati, anche la ‘italianizzazione forzata’ della popolazione slovena e croata (e anche di quella tirolese in Alto Adige) attuata dal governo fascista.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. Giannini, La tragedia del confine orientale, LuoghInteriori, Città di Castello (PG) 2019.



 

 

 

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