N. 1 - Gennaio 2008
(XXXII)
GIORNALISTI INTELLETTUALI...
O
INTELLETTUALI GIORNALISTI?
di Arturo Capasso
Nel mio libro Il marechiaro, apparso
nell’ormai lontano 1978 dicevo che – paradossalmente
– uno scrittore ha maggiori possibilità di farsi
sentire in un Paese dove c’è dittatura; il motivo è
molto semplice: se si inserisce nel sistema, diventa
membro della classe protetta, con tutti gli onori.
Se invece decide di stare all’opposizione, i suoi
lavori possono essere inviati all’estero, lui
diventa un caso letterario, le organizzazioni
umanitarie fanno di tutto per averlo in un “Paese”
libero, dove vivrà – anche in questo caso – con
grande agio e molte soddisfazioni.
Ma se egli vuol restare in questo Paese con questo
sistema, la vita sarà per lui una continua serie di
delusioni. Egli dovrà integrarsi con il mondo
corrotto che lo circonda.
Queste cose le scivevo nel ’78: “Come deve essre
bello vendere fumo e alzare cortine di bambù. Oltre
al piacere d’emergere, c’è la gioia intima di vedere
da quanti coglioni è fatta la nostra cultura: o
forse è proprio questo il motivo di tanto successo.
Chi ti giudica, svolge la tua stessa attività:
venditore di fumo. E capita allora l’eccezione, ma
non è capito, è messo da parte. Proprio come fanno i
politici coi giovani colleghi; se sono arraffatori e
portano soldi, fanno carriera.
Ma
se per caso hanno la cattiva abitudine dell’onestà,
si fermeranno presto. Molto presto…” (Il
marechiaro, pp. 29, 30).
Cosa fare? Già allora proposi una soluzione: meglio
zappare la terra. E riproposi una lirica scritta
ancora prima e pubblicata in Contra mores nel
1971 (pag. 25):
“Dire / Ciò che si pensa / Farlo sentire / Con tutta
la forza / Senza ipocrisia / Vibrare corde genuine /
Bando ai lacchè intellettuali / Ai prostituti del
pensiero / Meglio zappare la terra / Al sole cocente
/ Alla pioggia irruente / Solo coi suoi frutti /
Lacchè / Prostituti / La loro azione / Diseduca /
Corrode / Rimane / Un forte vento / Spazza tutto /
Si comincia daccapo / Nuovi Lacchè / Altre leve / Ma
c’è gente / Non venduta / Non comprata / Rischia il
dolore / l’amarezza / la miseria / La morte. /
***
E’ sempre attuale il “processo” di Pier Paolo
Pasolini, apparso sul Corriere della Sera
il 24 agosto 1975. Vuole processare i potenti
democristiani per una serie di reati. Purtroppo,
quella “bandiera” di malcostume fu portata avanti
con altre aggregazioni e con molti favoreggiamenti.
La metastasi prese tutto il corpo. Ed ecco i capi
d’accusa: “Dunque: Indegnità, disprezzo per i
cittadini, manipolazione di denaro pubblico,
intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali,
con i banchieri, connivenza con la mafia, alto
tradimento in favore di una nazione straniera,
collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come
il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, di
Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole di
incapacità di punire gli esecutori), distruzione
paesaggistica e urbanistica dell’Italia,
responsabilità della degradazione antropologica
degli italiani (responsabilità, questa, aggravata
dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità
della condizione, come si usa dire, paurosa delle
scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica
primaria, responsabilità dell’abbandono ‘selvaggio’
delle campagne … della stupidità delittuosa della
televisone … del decadimento della Chiesa”
Cosa scriverebbe oggi Pasolini? Vedrebbe un mondo in
corsa: di gente che si traghetta da una sponda
all’altra per riciclarsi. Vedrebbe quelli che hanno
avuto cariche, ancora tronfi e senza il coraggio di
restituire gli onori ottenuti disonorevolmente.
Ognuno di noi potrebbe fare un lungo elenco. Ma
vedrebbe Pasolini anche la speranza?
***
Sto gustando le belle pagine di Amedeo Maiuri
raccolte nel volume “Mestiere d’archeologo”.
Una nota a pagina 428 tratta dagli Annali di
Tacito. La crisi finanziaria che attraversava
l’Italia negli anni 30-33 d.C. sembrava senza via di
sbocco. L’imperatore Tiberio ebbe una grande idea di
politica finanziaria: per far rimettere in moto il
volano dell’economia occorreva danaro liquido. E
poiché nessuno lo aveva, ci pensò lui: mise in
circolazione cento milioni di sesterzi. Le banche
provvedevano a concedere fidi a tasso zero per tre
anni. È vero che i debitori dovevano offrire una
garanzia reale rappresentata dai terreni e al valore
doppio del denaro concesso, ma in tal modo il
ristagno lasciò il passo ad una ripresa.
Che cosa chiediamo noi oggi? Danaro meno caro,
incentivi per una ripresa di questa fase stanca. Da
dove cominciare? Ecco alcuni modesti suggerimenti:
Punto primo – i contratti devono esser fatti “chiavi
in mano”. Coi tempi ristretti le imprese sono
obbligate ad assumere mano d’opera con turni doppi:
potrebbe essere l’uovo di Colombo per ridurre la
disoccupazione.
Punto secondo – chi non lavora non mangia. Basta coi
sindacati che proteggono ormai interessi di
categorie ristrette e dimenticano il bene di tutta
la comunità. Se non si lavora, se si rende poco, si
torna a casa.
Punto terzo – ridare fiducia. La fiducia è un grande
investimento.
E rimane sempre una cosa seria. |