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N. 120 - Dicembre 2017 (CLI)

lE PAROLE PROIBITE DI Ahmet Şık
sul BAVAGLIO AL GIORNALISMO INDIPENDENTE in TURCHIA

di Leila Tavi

 

Al pluripremiato giornalista investigativo Ahmet Şık è stato di recente impedito di leggere la sua dichiarazione durante la quinta udienza del processo Cumhuriyet, nell’aula del Palazzo di Giustizia di Çağlayan (Çağlayan Adalet Sarayı), nel distretto di Şişli a Istanbul.

 

Un grave abuso di potere da parte dei giudici, che hanno sospeso la seduta dibattimentale e rinviato al 9 marzo il processo, lasciando in carcere i quattro figure chiave del quotidiano indipendente Cumhuriyet (La Repubblica), il primo fondato in Turchia nel 1924, con una tiratura attuale di circa 50.000 copie nella versione cartacea. Il quotidiano è ormai privo di pubblicità, perché sono pochi gli imprenditori disposti a sostenerlo, essendo un giornale di opposizione al governo del presidente Recep Tayyp Erdogan. È considerato ancora, però, dall’opinione pubblica un baluardo del giornalismo laico e indipendente, con un orientamento politico di centrosinistra.

 

Ahmet Şık, in prima linea nella denuncia alla corruzione e alle violazioni dei diritti umani, Murat Sabuncu, direttore responsabile della testata, Akın Atalay e Emre Iper, rispettivamente presidente e membro del Comitato Esecutivo del giornale, si trovano in regime di carcerazione preventiva da oltre quattrocento giorni.

 

L’ultima udienza del processo Cumhuriyet si è svolta nel giorno di Natale in un clima di tensione. La 27esima Corte del Palazzo di Giustizia, presieduta da Abdurrahman Orkun Dağ, ha aperto il processo con la testimonianza di Doğan Satmış, giornalista con esperienza trentennale, che è stato consulente di Sabuncu per alcuni mesi. Satmış avrebbe voluto leggere una memoria difensiva, convinto di essere stato chiamato in causa più come nuovo accusato che come testimone, ma i giudici gli hanno impedito di leggere il testo da lui preparato. Satmış è riuscito comunque con coraggio ha denunciare i metodi brutali e antidemocratici con cui il giornalismo è giudicato in Turchia, dichiarando con fermezza che nessuno dei suoi colleghi incarcerati ha mai avuto contatti con il gruppo terroristico Fetö.

 

Uno dei giudici, ridendo, ha commentato le dichiarazioni di Satmış come critiche nei confronti della corte. Tale atteggiamento di presunta intoccabilità da parte dei giudici dimostra come il processo faccia parte di un più ampio di disegno da parte del governo turco di criminalizzazione del giornalismo indipendente e denota un totale asservimento del potere giudiziario a quello esecutivo.

 

Ricordiamo che i giornalisti del Cumhuriyet sono stati incarcerati non per la loro attività professionale, ma per presunte connessioni con gruppi terroristici locali quali il già nominato Fetö, organizzazione affiliata al gruppo del predicatore e politologo Fethullah Gülen, considerato la mente del fallito tentativo di putsch del luglio 2016, e il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan), l’organizzazione paramilitare considerata alla stregua di organizzazione paramilitare terroristica dal governo turco.

 

Dopo la testimonianza di Satmış la corte avrebbe voluto fare una pausa, ma Ahmet Şık ha chiesto di poter leggere la sua dichiarazione, specificando che sarebbe durata due ore. I giudici hanno concesso a Şık di leggere, ma lo hanno interrotto dopo solo due minuti, accusandolo di istigare e di fare propaganda politica invece di presentare una memoria difensiva. Poi uno di loro ha fatto cenno alle guardie carcerarie di ammanettarlo e riportarlo in cella. In calce a questo articolo il testo integrale tradotto in inglese della dichiarazione di Şık, che non è solo una denuncia dei soprusi del sistema giudiziario e del governo turchi nei confronti dei giornalisti, ma una precisa e dettagliata ricostruzione dei fatti che hanno portato all’arresto dei redattori del Cumhuriyet. Il discorso proibito di Şık cita infine i padri del giornalismo investigativo turchi, i modelli ai quali Şık si è ispirato per il diritto di cronaca e di libertà di espressione.

 

Il comportamento dei giudici non è stato solo contrario al codice deontologico, ma al diritto processuale penale turco, che attribuisce al giudice facoltà d’interrompere l’accusato, ma non di privarlo del diritto di assistere al suo processo.

 

Prima di essere messo a tacere il giornalista ha pronunciato queste significative parole: «Sotto un regime dittatoriale basato sulla crudeltà e l’oppressione, l’unica cosa che sopravvive è il male».

 

Şık fu condannato a un anno in carcere nel 2011 per aver scritto un libro sull’infiltrazione della rete di Fethullah Gülen nella polizia e nella magistratura turche.

In seguito a gravi fatti accaduti nel giorno di Natale nell’aula del processo, i collegi di Şık si sono rifiutati di leggere le loro memorie difensive e hanno chiesto, solidali con l’amico, di essere riportati in carcere, costringendo i giudici a interrompere il dibattimento. Solo dopo un’esplicita richiesta di Sabuncu davanti all’aula gremita di giornalisti, amici e familiari, i giudici gli hanno permesso di dare un abbraccio quasi furtivo al figlio, che compiva in quel giorno il suo compleanno, prima di riportarlo nella sua cella. I quattro giornalisti rischiano fino a quarantatré anni di carcere, se la condanna sarà confermata alla fine del processo.

 

Durante la prossima udienza di marzo i giornalisti saranno sottoposti a un trattamento degradante, in virtù di una nuova legge che entrerà in vigore il mese prossimo e che prevede l’obbligo per i carcerati accusati di terrorismo di indossare delle tute simili a quelle indossate a Guantanamo.

 

Il 1° gennaio ricorre un anno dal tragico attentato nel Reina Club. Dopo l’arresto il killer Abdulkadir Masharipov, appartenente a Fetö, ha dichiarato che l’obiettivo da colpire prima del Reina, nella notte della vigilia di Capodanno del 2016, avrebbe dovuto essere la sede del Cumhuriyet, considerato dal gruppo terroristico come «il quotidiano che insulta il profeta». All’ultimo momento fu deciso di non attaccare, considerato che la redazione sarebbe stata semideserta a Capodanno, e di puntare invece alla strage in un locale affollato. Paradossalmente giornalisti del Cumhuriyet e appartenenti di Fetö si trovano ora nello stesso carcere, come hanno denunciato in aula i redattori del quotidiano, temendo per la loro incolumità.

 

Vari gruppi locali e internazionali per la libertà di espressione chiedono ormai da mesi l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo, che tarda però ad arrivare. Lo stesso Şık ha fatto ricorso alla CEDU.

 

Si riporta qui in allegato la documentazione completa (pdf in inglese) relativa alla deposizione di Şık.



 

 

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