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N. 59 - Novembre 2012 (XC)

Giorgio Biandrata: il medico, il teologo, il politico
tradire le proprie idee per farle vivere

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Il viaggiatore che, per caso, trovandosi in Transilvania, incappasse in qualche rappresentate della numerosa comunità unitariana là presente, sarebbe probabilmente sorpreso nel rendersi conto che uno dei grandi nomi di quella che, di fatto, è la denominazione più diffusa all'interno della minoranza ungherese di Romania, Giorgio Biandrata, non è rappresentato in nessun edificio unitariano, non viene menzionato in sermoni e discorsi ufficiali e, se qualche suo ritratto si può trovare, ciò accade unicamente perché in quel dipinto è raffigurato anche Ferencz David, il fondatore indiscusso dell'Unitarianesimo.

 

Da un lato, ciò può apparire strano: è un dato storico inoppugnabile che Biandrata sia stato colui che portò David all'antitrinitarismo, uno dei principali teologi della neo-formata confessione e, probabilmente, il vero ispiratore di quell'Editto di Tolleranza del 1568 da cui l'Unitarianesimo cristiano prende le mosse. Da un altro lato, però, è altrettanto vero che Biandrata fu colui che, in nome di un "adorantismo" di stampo sociniano e, come vedremo, soprattutto di una volontà politica di preservare tutto il lavoro svolto dalle mire distruttive della Controriforma cattolica, accusò poi pubblicamente David, lo fece arrestare e relegare in una cella in cui, qualche mese più tardi, il primo vescovo unitariano sarebbe morto: conseguentemente, non è affatto così stupefacente che gli Szerkerly (gli ungheresi transilvani) vedano in lui una sorta di traditore da condannare alla "damnatio memoriae".

 

Ma Biandrata fu davvero un traditore? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo ripercorrere, per quanto brevemente, alcuni momenti salienti della sua vita, scoprendo in lui una coerenza interna che mal si addice all'idea di "Giuda della fede" che certa storia successiva gli ha voluto affibbiare.

 

Giovanni Giorgio Biandrata era nato nel 1516 a Saluzzo, nel cattolico ma non fanatico Regno di Piemonte che ospitava (anche a Saluzzo) numerose comunità valdesi, dal nobile Bernardino, castellano di San Fronte e appartenente alla famiglia dei conti De Blandrate di San Giorgio (già distintasi per la propria eterodossia liberale due secoli prima, allorché aveva appoggiato la rivolta dolciniana).

Come ogni rampollo di famiglia altolocata di un regno ancora più di cultura francese che italiana, Giorgio, dopo una prima istruzione sotto precettore, a quattordici anni, si trasferì a Montpellier, nella cui università conseguì, tre anni dopo, una laurea in arti liberali e medicina.

E' forse qui che entrò per la prima volta in contatto con le idee riformiste che cominciavano a circolare largamente negli ambienti intellettuali francesi, ma è più probabile che tale contatto avvenisse a Padova, dove si mosse nel 1534 per ottenere il riconoscimento della propria laurea in medicina e dove, già da tempo, circolavano quelle idee "anabattiste" che avrebbero portato, nel 1550, al celebre "Concilio di Venezia".

 

Nel 1543 e per i tre anni successivi lo troviamo a Bologna, dove di specializza in "ostetricia e malattie delle donne": la sua tesi dottorale, più che altro una sorta di compilazione delle conoscenze ginecologiche aristoteliche già riassunte nell "Enneas muliebris" del Bonaccioli, viene pubblicata nel 1539 con il titolo "Gynaeceorum ex Aristotele et Bonaciolo a Georgio Blandrata medico Subalpino noviter excerpta de fecundatione, gravitate, partu et puerperio" e, cosa che a posteriori risulta di fondamentale importanza, viene dedicata a Bona Sforza, regina milanese di Polonia, e a sua figlia Isabella, moglie di Giovanni Zápolya, voivoda di Transilvania e re d'Ungheria. Appare piuttosto ovvio che questa dedica abbia attirato l'attenzione della regina sul giovane compatriota: l'anno successivo Giorgio viene invitato a trasferirsi alla corte di Cracovia in qualità di "medico personale" della regina e qui cominciano ad emergere le sue doti di politico, tanto da fargli ottenere anche il titolo di "consigliere regale".

 

è fortemente possibile che proprio queste doti politiche, non disgiunte da una buona capacità professionale, inducessero Bona a chiedergli, nel 1544, di trasferirsi ad Alba Iulia, alla corte della figlia Isabella che, forse anche indebolita dopo la nascita del figlio Giovanni Sigismondo, era, soprattutto, in una situazione politica difficilissima dopo la morte del marito e con un regno, il Principato di Transilvania, che si doveva barcamenare tra le opposte mire dell'imperatore Ferdinando I e della Sublime Porta ottomana.

Anche in Transilvania, tra 1544 e 1551, Biandrata ottenne il ruolo di medico personale della regina, ma la sua opera principale fu quella di diplomatico, lavorando in particolare a Vienna per impedire l'inglobamento del voivodato nell'Impero.

 

Si trattava, chiaramente, di una impresa disperata e, infatti, quando a fine 1551, con un accordo di protettorato, praticamente la Transilvania finì sotto il giogo imperiale, Giorgio, evidentemente troppo compromesso con il partito anti-asburgico, preferisce ritornare in Italia, stabilendosi prima a Mestre e poi a Padova.

Di questo periodo, trascorso probabilmente nell'esercizio della medicina, sappiamo poco, se non che, nel 1553, venne chiamato, sia sulla base delle sue competenze mediche, sia, possibilmente, per la sua familiarità con le vicende politiche internazionali, a Vienna a testimoniare nell'inchiesta che il nunzio Girolamo Martinengo aveva istruito per far luce sulla morte del cardinal Giorgio Martinuzzi, assassinato da agenti di Ferdinando I a causa dei suoi contatti con i Turchi: non si tratta di un dato irrilevante, dal momento che ci dice che, ancora a 37 anni, Giorgio era ritenuto un buon cattolico oltre che, evidentemente, un fervente ani-asburgico.

 

Ma, si è detto, sono gli anni in cui il Veneto è scosso fa profonde correnti anabattiste, riformatrici e antitrinitarie, correnti che, certamente, investono in pieno, seppur ancora nicodemicamente, il medico saluzzese, tanto che, nel 1556, in piena reazione controriformistica partita dalle confessioni del Busale, egli si vede costretto, come molti altri umanisti "eretici" italiani, a scappare dall'Italia per trovare rifugio nella Ginevra di Calvino.

 

Qui inizia un nuovo capitolo della storia di Biandrata che, immediatamente, entra a far parte della da poco formata "Chieda degli Italiani" della quale era allora pastore Celso Martinengo: non solo il saluzzese diventa medico della moglie del pastore, l'inglese Jane Stafford, ma la sua sottigliezza teologica lo porta ad assurgere velocemente al ruolo di anziano della congregazione e a ottenere, nel 1557, il diritto di residenza in città.

 

E' a questo punto che si compie la svolta antitrinitaria di Giorgio. E' difficile dire quali siano le sue radici: forse letture servetiane (che conosciamo per certo), forse echi valdesiani delle sue frequentazioni umanistiche, forse l'influenza dei circoli antitrinitari veneti. Fatto sta che, proprio nel 1557, cominciano le sue "interrogazioni" all'amico Martinengo sulla divinità di Cristo: il Martinengo, a sua volta ex antitrinitario, si rende ben presto conto di dove mirino le domande del suo "anziano" e, per questo, preferisce sollevarlo dalla funzione e interrompere ogni rapporto con lui, pur non denunciando pubblicamente la posizioni anti-ortodossa dell'ex amico.

 

Giorgio, però, non è certo tipo da rinunciare facilmente alle proprie idee e, avendo perso il suo interlocutore privilegiato e sotto l'influenza del ricco professore di diritto Matteo Gribaldi, che, noto eretico espatriato, gli aveva più volte fatto visita Ginevra (nonostante un bando che pendeva sul suo capo dal 1556), decide di alzare il tiro e cominciare a rivolgere domande direttamente alla guida del Concistoro cittadino, Giovanni Calvino.

 

A titolo esemplificativo e per rendere chiaro il tenore dei quesiti teologici biandrateschi, basti leggere la seguente domanda, rivolta per iscritto a Calvino a metà del 1557: "Se il Dio unico è una sostanza in tre persone e Gesù lo ha in qualche modo rivelato, perché questo elemento sta nascosto ed è chiaramente incomprensibile per noi? Noi supplichiamo chiara testimonianza della Scrittura che mostri dove Dio è apertamente e senza dubbio indicato come tre persone in una sola sostanza. Allo stesso modo, è permesso di pregare Dio solo, senza un mediatore? In che passo gli apostoli ci indicano questo [questa necessità di mediazione]?"

 

Ce n'è abbastanza per incorrere immediatamente nella "scomunica" da parte del rigido riformatore ginevrino che per simili affermazioni aveva già fatto finire Serveto sul rogo, ma, ugualmente, inizialmente Calvino sembra reagire pacatamente, rispondendo (sempre per iscritto) a Biandrata, per quanto in modo evasivo e poco convincente. Giorgio, però, insiste nelle sue missive, fino al punto da portare Calvino a scrivergli di desistere dal proclamare "perfidiam et fallacias dolosque tortuosos" e a sviluppare una lunga argomentazione contro le posizioni antitrinitarie, dalla quale si evince che le idee di Biandrata si concentrassero espressamente in una difesa del monoteismo contro ogni possibile deriva triteistica e nella convinzione della separazione tra Dio, Signore Gesù e Spirito Santo, così come gli appariva chiaro le Scritture enunciassero (in sostanza si trattava delle stesse idee di Gribaldi).

 

Dopo quello che risultava chiaramente essere una sorta di "monito concistoriale" da parte di Calvino, comunque, Biandrata ritenne opportuno lasciare, insieme all'ugualmente ammonito (sebben più formalmente) amico Giampaolo Alciati, Ginevra per rifugiarsi a Zurigo. Qualche mese dopo, però, usufruendo di un lasciapassare concesso al sodale, fece ritorno, esprimendo, in ogni caso, idee immutate rispetto alle precedenti. Nel 1558, conseguentemente, quando Calvino decise di far sottoscrivere a tutti i componenti della Chiesa Italiana, ora, dopo la morte del Martinengo, sotto la guida del meno diplomatico Lattanzio Ragnoni, una dichiarazione di fede trinitaria, pur dopo una sottomissione formale, sia giorgio che l'amico Alciati decisero di abbandonare la città alla volta della grande tenuta del Gribaldi a Farges. Da Farges Biandrata si spostò a Berna, retta dal pastore Nicolaus Zurkinden, amico del Gribaldi e in pessimi rapporti con Calvino e, poco dopo, a Zurigo, dove tentò di convertire Pietro Martire Vermigli ad aderire alle sue posizioni antitrinitarie. Questi, però, dopo essersi consultato con il Bullinger, troncò ogni rapporto con Giorgio e lo denunciò al concistoro urbano, costringendolo a riparare a Basilea.

 

A Basilea il saluzzese strinse amicizia con Lelio Sozzini e, insieme, i due decisero, nel 1558, di trasferirsi in una delle ultime oasi di libertà religiosa europee: la Polonia.

Nonostante il loro arrivo fosse anticipato da missive di Calvino, che definiva Biandrata "un mostro", e di Vermigli, che, sulla base della negazione della consustanzialità da parte del medico di Saluzzo, lo accusava di triteismo, Biandrata venne ben accolto dalla sua ormai vecchia patrona Bona Sforza, che gli concesse grandi onori, da Francesco Stancaro, da Pietro Gonesio (antico seguace di Gribaldo) e da Lismannino, già conosciuto come confessore di Bona, con il quale Giorgio, che si era stabilito nella comunità antitrinitaria di Pińczów, riuscì a sviluppare (dopo averne curato l'epilessia) notevoli rapporti di amicizia (che sfociarono in una sorta di conversione, sostanziale sebbene non formale, del Lismannino all'antitrinitarismo).

 

Dopo un breve soggiorno, nel 1559, in Transilvania, al capezzale della morente regina Isabella, nel 1560, proprio con Lismannino, Biandrata venne nominato dal figlio della da pochissimo defunta Bona, Sigismondo Jagellone, rappresentante reale al Sinodo protestante di Pińczów. Qui, evidentemente, forse grazie alla scelta di mantenere un basso profilo teologico, entrò nelle grazie di molti nobili protestanti, al punto da essere scelto come coadiutore di Felix Cruciger, sovrintendente della Chiesa Riformata Polacca. In realtà, però, in questo ruolo non ebbe vita facile: una sua proposta di limitare la carica di "anziano" ai soli laici per evitare lo strapotere pastorale venne immediatamente cassata e le continue accuse di Calvino lanciate da Ginevra cominciarono ad attecchire, tanto che, tra 1561 e 1562, Giorgio si vide costretto a firmare una confessione di fede con la quale rigettava sia il "servetismo" che il triteismo. Probabilmente il suo successo maggiore in questo periodo fu quello di ottenere dalla Chiesa polacca di limitare il proprio vocabolario teologico al linguaggio delle Scritture e al Credo apostolico, allontanandosi da qualsiasi tendenza derivata dalla Scolastica: si trattava di una misura liberale che permise la tolleranza di molte opinioni la cui eterodossia non poteva più essere oggetto di indagine ufficiale e che piacque molto ai nobili polacchi, tanto che, nonostante le reiterate accuse di Calvino (ad esempio nella "Brevis Admonitio ad Polonos"), Giorgio ebbe la possibilità di intraprendere con successo una costante propaganda contro la tradizionale dottrina della Trinità, fino a che tale dottrina non venne condannata nel 1563, anche grazie alla diffusione sempre più capillare degli scritti di Fausto Sozzini tradotti da Grzegorz Paweł.

 

Nel 1563, però, i conservatori erano ancora abbastanza forti da dividere la Chiesa protestante polacca in due tronconi (conservatori e unitariani sociniani) e, ben presto, la posizione di Biandrata come promotore principale della fede unitariana liberale divenne insostenibile, tanto da fargli prendere la decisione di trasferirsi in Moldavia per lavorare come consigliere politico alla corte del despota Jacob Basilicus. Quando, comunque, questi, pochi mesi più tardi, venne assassinato, il saluzzese accettò l'invito di re Giovanni II Sigismondo di Transilvania, figlio di Isabella, di diventare medico di corte: giunse a Alba Iulia nel settembre 1563 e immediatamente venne ricoperto di onori, ricevette in dono tre feudi ed ebbe la nomina di consigliere reale.

 

In Transilvania esisteva dal 1557, su concessione della regina Isabella, totale tolleranza delle tre confessioni cattolica, luterana e riformata (calvinista). Tale tolleranza era stata ribadita nella dieta di Torda nel 1563 ma non per questo erano cessati gli contrasti religiosi tra luterani e calvinisti. Nel tentativo di comporre le parti, dunque, il re organizzò una dieta a Segesvár e inviò Biandrata, noto diplomatico e uomo "super partes" (in quel periodo il saluzzese teneva molto a mantenere un bassissimo profilo teologico), come suo rappresentante al "Sinodo di Nagy Enyed" dell'aprile 1564. Al sinodo Biandrata fece amicizia con Ferencz David, allora vescovo della Chiesa luterana e propugnatore di un accordo tra luterani e calvinisti che fosse utile a tutta la Riforma. Il sinodo non ebbe alcun successo ma segnò, poco dopo, il passaggio di David al vescovato calvinista e il successivo tentativo del nuovo vescovo di riorganizzare la Chiesa riformata su principi concordati con il Biandrata, il quale, dal canto suo, nel 1566, induceva Giovanni Sigismondo a nominare l'ex luterano ora calvinista, predicatore della corte reale.

 

A questo punto la strategia di Biandrata fu molto sottile: egli possedeva una delle poche copie superstiti della "Christianismi restitutio" di Serveto e convinse David a leggerla. Indubbiamente tale lettura affrettò la transizione di David dal Calvinismo all'antitrinitarismo. Così, nel Sinodo di Torda del 24 marzo 1566, a cui Biandrata era presente come delegato reale, Ferencz David espresse pubblicamente le sue nuove tesi antitrinitarie a favore della nascita di una Chiesa unitariana, che furono approvate malgrado l'opposizione del più importante rappresentante calvinista, il teologo ungherese Peter Melius.

 

Melius si rifece l'anno dopo nel sinodo di Debrecen, facendo approvare una "Confessio Helvetica" ortodossa ma contro di lui reagì il Biandrata con la "Demonstratio falsitatis Petri Melii et reliquorum sophistarum per antithesis cum refutatione antitheseon veri et Turcici Christi", e soprattutto, con due volumi scritti a quattro mani con David, che formarono il "De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sancti cognitione", il testo del 1568 che risultò essere la più compiuta esposizione della dottrina unitariana e antitrinitaria fino a quel momento mai scritta.

 

Il "De vera et falsa" è una specie di amplissima storia dell'antitrinitarismo a partire dall'idea che l'Anticristo, non potendo cancellare la vera dottrina cristiana presente nelle Scritture, fece sorgere la falsa idea della trinità, da cui derivò il proliferare dei battesimi e delle denominazioni. Sostanzialmente, il dogma trinitario sarebbe solo una costruzione intellettualistica ellenistica che, dopo aver portato alla rottura con Giudaismo e Islam, venne perpetuata, dopo l'anno 1000, ad opera dei teologi della Sorbona, fino a che l'opera di restaurazione della vera dottrina cristiana venne iniziata da Lutero e proseguita da Zwingli, Bucero, Ecolampadio, Vermigli, Calvino, Viret, Ochino, che dimostrarono l'impossibilità di un ritorno della Chiesa di Roma alla verità. Anche grazie alla loro missione riformatrice si arrivò a riesaminare la figura di Cristo: Erasmo fu il primo, poi sorse Serveto che riportò la fede al monoteismo ma, privo di protettori, venne bruciato da Calvino e divenne martire della fede contro quei riformatori che, pur avendo intravisto la verità, troppo spaventati dai poteri politici mondani, finirono per allontanare il popolo dalla purezza della dottrina, affrontandosi in dispute e condanne. Nonostante ciò, la purificazione della Chiesa verrà presto con il ritorno alla lettera delle Scritture, dopo aver sconfitto tutti coloro che ostacolano la via a una riforma compiuta.

 

Subito dopo il "De vera et falsa", Biandrata e David diedero alle stampe un secondo testo, l’”Antitesi pseudo-christi cum vero Uno illo ex Maria nato”, una sorta di versione condensata del testo precedente e, nel 1569, prepararono il “De Regno Christi” e il “De Regno Anti-Christi”, due brevi composizioni formate da brani tratti dalla “Resititutio” di Serveto.

 

Ciò che appare più interessante per noi è che nell’”Antithesis”, Biandrata tenda a delineare e contrapporre la figura di un Cristo divino voluto da papi e teologi e circondato da ricchi, re e principi che da lui ottengono terre e prebende e in cambio forzano violentemente il popolo ad adorarlo a un Cristo povero, ripudiato e disprezzato che prega per il pane quotidiano senza estorcerlo e che si differenzia dal precedente non solo ontologicamente (divino contro umano) ma anche politicamente per il suo schierarsi a favore degli “ultimi”: si tratta, da parte di Biandrata e David, di un radicale abbandono del triteismo subordinazionista (due persone della trinità sono sottomesse alla terza) per abbracciare un antitrinitarismo compiuto in cui Gesù è visto solo come uomo.

 

I due volumi delDe regno” sono, invece, notevoli soprattutto per il finale “Tractatus de paedobaptismo et circumcisione” che mostra una prima rottura del sodalizio tra medico saluzzese e vescovo transilvano nel momento in cui esso contiene una chiara dichiarazione contraria al battesimo degli infanti che viene inserita da David nonostante quella che, da epistole intercorse tra i due, sappiamo essere una evidente disapprovazione di Biandrata. Ciò ci dice di un fronte non monolitico, ma fluido, in cui una maggioranza di idee sono sì comuni ma non si ha una unità totale, che, d’altra parte, avrebbe contraddetto il non dogmatismo a cui il pensiero di entrambi si ispirava.

Arriviamo, così, al 1568, anno dell’apogeo del nascente Unitarianesimo transilvano: alla Dieta di Torda re Giovanni Sigismondo, evidentemente spinto da David e Biandrata, concede l’”Atto di libertà religiosa e di coscienza” e, nel successivo sinodo di Gyulafehérvár, David difende con successo la dottrina della Unità di Dio contro i Trinitari (mentre i resoconti dell’epoca ci parlano di un Biandrata meno efficace nel dibattito pubblico, forse anche a causa della sua incapacità di parlare ungherese). Nel 1571, finalmente, la Dieta riconosce formalmente l’Unitarianesimo come una delle quattro religioni di stato, con David come sovrintendente, ma si tratta, in realtà, già di una vittoria effimera.

 

Da questo momento in poi, infatti, la situazione comincia a farsi sempre più problematica. Giovanni Sigismondo, nel frattempo convertitosi all’Unitarianesimo, muore a seguito di un incidente di carrozza e Stephen Báthory, un tollerante principe cattolico, vene scelto come nuovo voivoda di Transilvania. Immediatamente, come è ovvio che sia, David perde la sua posizione di predicatore di corte, mentre Biandrata è confermato come medico reale e, in una seconda Dieta di Torda, nel 1572, il nuovo regime, pur confermando la vigente tolleranza confessionale, proibisce qualsiasi ulteriore innovazione religiosa: si tratta di una disposizione certamente volta a bloccare sul nascere nuovi conflitti interni, ma che finisce per colpire soprattutto a recente confessione unitariana, ancora in piena elaborazione dottrinale (e non è un caso che, insieme alla legge, venga emanata anche una disposizione di censura preventiva sui libri di nuova pubblicazione e un decreto di confisca della tipografia unitariana di Alba Iulia).

 

Insomma, di certo l'Unitarianesimo entra in una fase complicata, ma, nello stesso periodo, il prestigio di Biandrata non sembra minimamente toccato dalla sorte della sua denominazione, tanto che, quando nel 1574, dopo la rinuncia di Enrico di Valois, il trono polacco rimane vacante è lui ad essere incaricato di sostenere la candidatura di Stefano Bathory, cosa che gli riesce egregiamente dopo un viaggio a Varsavia del 1575 in cui ottiene l'appoggio della nobiltà polacca: Stefano viene incoronato re di Polonia il 16 gennaio 1576 e come reggente del voivodato di Transilvania viene posto Cristoforo Bathory che, purtroppo, a differenza del fratello Stefano, ha fatto dell'intransigenza cattolica un vessillo e che immediatamente chiama i Gesuiti all'interno del suo nuovo territorio.

 

Insomma, la situazione è piuttosto paradossale: mentre l'Unitarianesimo è sempre più in pericolo, vuoi per le nuove leggi, vuoi per il predominio gesuitico a corte, vuoi dopo che una fallita rivolta nobiliare del 1575 ha falcidiato i suoi ranghi di spicco, uno dei fondatori della denominazione, Giorgio Biandrata, sta vivendo il suo momento di massimo splendore politico, con Cristoforo che, nonostante cerchi continuamente e inutilmente di convertirlo, arriva a donargli la rendita di numerosi villaggi reali per premiarlo delle sue capacità diplomatiche. A posteriori possiamo affermare che questa sorta di discrasia sia tutt'altro che ininfluente. E' altamente probabile che sia qui che si giochi il presunto "tradimento" di Biandrata, un tradimento che tradimento non è e che nasce dal sentire pienamente la responsabilità di essere rimasto l'ultimo difensore di ciò in cui crede e che ha contribuito enormemente a far sorgere.

 

Si trattava di preoccupazioni che non toccavano minimamente l'assai più "spirituale" David, interessato soprattutto all'elaborazione teologica e incurante dei risvolti politici delle proprie azioni, ma è più che naturale che Biandrata, che si stava da tempo barcamenando a corte per tenere in piedi un edificio che si stava riempiendo di crepe, fosse a dir poco preoccupato dalle novità che David stava sviluppando, dall'anti-adorantismo relativo alla figura cristica, che, a quanto pare, non era mai stato nei programmi del suo sodale, all'anitpedobattismo su cui i due si erano già scontrati: il rischio era che queste nuove posizioni si traducessero in azioni legali repressive contro l'intero Unitarianesimo da parte del governo e, immediatamente, il medico saluzzese si affrettò a consigliare il vescovo di moderare queste idee (per altro frutto, più che altro, di suggerimenti provenienti da suo genero, Johannes Sommers e da Giacomo Paleologo) o, per lo meno, di rimanere in silenzio su temi tanto delicati.

 

Per convincere l'amico, Biandrata arrivò addirittura a far giungere a Koloszvar, completamente a proprie spese, Fausto Sozzini, il leader antitrinitario polacco, nella speranza che questi potesse far ragionare David, ma i due, dopo lunghe discussioni, non riuscirono a trovare un accordo soddisfacente e la questione venne sottoposta ai "Fratelli polacchi" perché esprimessero un giudizio: possiamo ritenere che Biandrata immaginasse una sorta di "Internazionale Unitariana" che abbracciasse, appunto, i "Fratelli polacchi", gli Unitariani di Transilvania e le chiese in Moldavia e in Lituania, ma questa non era certamente l'immagine presente nella mente di David, fermamente convinto che ogni comunità dovesse essere autocefala.

 

Fu, forse, proprio questa ulteriore presa di posizione vescovile che irritò particolarmente Biandrata, il quale, allorché David, senza attendere le risposte delle "chiese sorelle", incominciò a predicare apertamente le proprie posizioni, fiutò il pericolo che tutti stavano correndo e, per salvare il salvabile, prese la sofferta decisione di denunciare il "padre spirituale" dell'Unitarianesimo al Sinodo transilvano.

Il seguito è ben noto: Biandrata convocò una Dieta a Gyulafehérvár nel 1579 e accusò David di innovazione religiosa, fungendo anche, nel corso del processo, da capo dei consulenti legali del principe. L'accusa era già pesante di per sé ma venne resa ancora più dura aggiungendo la possibile conversione al Giudaismo di un'autorità religiosa che rifiutava anche la pur minima invocazione a Cristo e la fine della storia, scontata, fu la condanna di David all'ergastolo al castello di Deva e la sua morte in cella pochi mesi dopo (quella morte che fece di lui la figura di martire della fede ancora oggi viva nella mente del popolo szekerly).

 

L'altra faccia della medaglia fu l'immagine di un Biandrata "Giuda" (per altro rafforzata da un malaccorto, ma, a conti fatti, probabilmente sincero, gesto di Biandrata che, poco prima del verdetto, andò a baciare pubblicamente quello che, in passato, era stato il suo collaboratore più stretto): da subito le critiche contro di lui fiorirono numerose e si incentrarono su una possibile e poco credibile gelosia nei confronti di David da parte del saluzzese, il quale fu costretto a difendersi in una lettera a Jacopo Paleologo, affermando, in sostanza, che delle idee di David gli importava molto poco ma che aveva agito unicamente temendo le conseguenze politiche per la chiesa Unitaria.

 

Di tale chiesa, effettivamente, Biandrata, che continuò ancora per alcuni anni a servire come medico di corte in Transilvania, divenne il leader indiscusso, imponendo la linea adorantista e riuscendo a far eleggere vescovo il conservatore Demetrio Hunyadi, ma è importante comprendere come, nel clima di repressione politica degli anni successivi alla morte di David, fu proprio questo profilo moderato adottato dagli Unitariani su consiglio di Biandrata ad assicurare la sopravvivenza della denominazione.

 

Ugualmente, il risentimento e la rabbia contro il "traditore" italiano non si mitigarono e lo costrinsero, da lì a pochi mesi, a ritirarsi da ogni dibattito religioso e, qualche anno dopo, a ritornare in Italia, dove visse agiatamente l'ultima parte della sua vita (morì nel 1588) senza, comunque, mai abiurare la propria fede, tanto da lasciare tutti i suoi averi al nipote Giorgio solo a condizione che questi fosse rimasto fedele al credo Unitariano.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Einaudi 2002;

S. Carletto, G. Lingua, La trinità e l'anticristo: Giorgio Biandrata tra eresia e diplomazia, L'Arciere 2001;

Greenwood, M.W. Harris, An Introduction to the Unitarian and Universalist Traditions, Cambridge U.P. 2011;

S. Hole Fritchman, Men Of Liberty - Ten Unitarian Pioneers, Hayne Press 2007;

G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali, Donzelli 1997;

E.M. Wilbur, A history of Unitarianism, Vol.1, Harvard U.P. 1923;

G.H. Williams, The Radical Reformation, The Westminster Press 1962.



 

 

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