N. 59 - Novembre 2012
(XC)
Giorgio Biandrata: il medico, il teologo, il politico
tradire le proprie idee per farle vivere
di Lawrence M.F. Sudbury
Il
viaggiatore
che,
per
caso,
trovandosi
in
Transilvania,
incappasse
in
qualche
rappresentate
della
numerosa
comunità
unitariana
là
presente,
sarebbe
probabilmente
sorpreso
nel
rendersi
conto
che
uno
dei
grandi
nomi
di
quella
che,
di
fatto,
è la
denominazione
più
diffusa
all'interno
della
minoranza
ungherese
di
Romania,
Giorgio
Biandrata,
non
è
rappresentato
in
nessun
edificio
unitariano,
non
viene
menzionato
in
sermoni
e
discorsi
ufficiali
e,
se
qualche
suo
ritratto
si
può
trovare,
ciò
accade
unicamente
perché
in
quel
dipinto
è
raffigurato
anche
Ferencz
David,
il
fondatore
indiscusso
dell'Unitarianesimo.
Da
un
lato,
ciò
può
apparire
strano:
è un
dato
storico
inoppugnabile
che
Biandrata
sia
stato
colui
che
portò
David
all'antitrinitarismo,
uno
dei
principali
teologi
della
neo-formata
confessione
e,
probabilmente,
il
vero
ispiratore
di
quell'Editto
di
Tolleranza
del
1568
da
cui
l'Unitarianesimo
cristiano
prende
le
mosse.
Da
un
altro
lato,
però,
è
altrettanto
vero
che
Biandrata
fu
colui
che,
in
nome
di
un "adorantismo"
di
stampo
sociniano
e,
come
vedremo,
soprattutto
di
una
volontà
politica
di
preservare
tutto
il
lavoro
svolto
dalle
mire
distruttive
della
Controriforma
cattolica,
accusò
poi
pubblicamente
David,
lo
fece
arrestare
e
relegare
in
una
cella
in
cui,
qualche
mese
più
tardi,
il
primo
vescovo
unitariano
sarebbe
morto:
conseguentemente,
non
è
affatto
così
stupefacente
che
gli
Szerkerly
(gli
ungheresi
transilvani)
vedano
in
lui
una
sorta
di
traditore
da
condannare
alla
"damnatio
memoriae".
Ma
Biandrata
fu
davvero
un
traditore?
Per
rispondere
a
questa
domanda,
dobbiamo
ripercorrere,
per
quanto
brevemente,
alcuni
momenti
salienti
della
sua
vita,
scoprendo
in
lui
una
coerenza
interna
che
mal
si
addice
all'idea
di
"Giuda
della
fede"
che
certa
storia
successiva
gli
ha
voluto
affibbiare.
Giovanni
Giorgio
Biandrata
era
nato
nel
1516
a
Saluzzo,
nel
cattolico
ma
non
fanatico
Regno
di
Piemonte
che
ospitava
(anche
a
Saluzzo)
numerose
comunità
valdesi,
dal
nobile
Bernardino,
castellano
di
San
Fronte
e
appartenente
alla
famiglia
dei
conti
De
Blandrate
di
San
Giorgio
(già
distintasi
per
la
propria
eterodossia
liberale
due
secoli
prima,
allorché
aveva
appoggiato
la
rivolta
dolciniana).
Come
ogni
rampollo
di
famiglia
altolocata
di
un
regno
ancora
più
di
cultura
francese
che
italiana,
Giorgio,
dopo
una
prima
istruzione
sotto
precettore,
a
quattordici
anni,
si
trasferì
a
Montpellier,
nella
cui
università
conseguì,
tre
anni
dopo,
una
laurea
in
arti
liberali
e
medicina.
E'
forse
qui
che
entrò
per
la
prima
volta
in
contatto
con
le
idee
riformiste
che
cominciavano
a
circolare
largamente
negli
ambienti
intellettuali
francesi,
ma è
più
probabile
che
tale
contatto
avvenisse
a
Padova,
dove
si
mosse
nel
1534
per
ottenere
il
riconoscimento
della
propria
laurea
in
medicina
e
dove,
già
da
tempo,
circolavano
quelle
idee
"anabattiste"
che
avrebbero
portato,
nel
1550,
al
celebre
"Concilio
di
Venezia".
Nel
1543
e
per
i
tre
anni
successivi
lo
troviamo
a
Bologna,
dove
di
specializza
in
"ostetricia
e
malattie
delle
donne":
la
sua
tesi
dottorale,
più
che
altro
una
sorta
di
compilazione
delle
conoscenze
ginecologiche
aristoteliche
già
riassunte
nell
"Enneas
muliebris"
del
Bonaccioli,
viene
pubblicata
nel
1539
con
il
titolo
"Gynaeceorum
ex
Aristotele
et
Bonaciolo
a
Georgio
Blandrata
medico
Subalpino
noviter
excerpta
de
fecundatione,
gravitate,
partu
et
puerperio"
e,
cosa
che
a
posteriori
risulta
di
fondamentale
importanza,
viene
dedicata
a
Bona
Sforza,
regina
milanese
di
Polonia,
e a
sua
figlia
Isabella,
moglie
di
Giovanni
Zápolya,
voivoda
di
Transilvania
e re
d'Ungheria.
Appare
piuttosto
ovvio
che
questa
dedica
abbia
attirato
l'attenzione
della
regina
sul
giovane
compatriota:
l'anno
successivo
Giorgio
viene
invitato
a
trasferirsi
alla
corte
di
Cracovia
in
qualità
di
"medico
personale"
della
regina
e
qui
cominciano
ad
emergere
le
sue
doti
di
politico,
tanto
da
fargli
ottenere
anche
il
titolo
di
"consigliere
regale".
è
fortemente
possibile
che
proprio
queste
doti
politiche,
non
disgiunte
da
una
buona
capacità
professionale,
inducessero
Bona
a
chiedergli,
nel
1544,
di
trasferirsi
ad
Alba
Iulia,
alla
corte
della
figlia
Isabella
che,
forse
anche
indebolita
dopo
la
nascita
del
figlio
Giovanni
Sigismondo,
era,
soprattutto,
in
una
situazione
politica
difficilissima
dopo
la
morte
del
marito
e
con
un
regno,
il
Principato
di
Transilvania,
che
si
doveva
barcamenare
tra
le
opposte
mire
dell'imperatore
Ferdinando
I e
della
Sublime
Porta
ottomana.
Anche
in
Transilvania,
tra
1544
e
1551,
Biandrata
ottenne
il
ruolo
di
medico
personale
della
regina,
ma
la
sua
opera
principale
fu
quella
di
diplomatico,
lavorando
in
particolare
a
Vienna
per
impedire
l'inglobamento
del
voivodato
nell'Impero.
Si
trattava,
chiaramente,
di
una
impresa
disperata
e,
infatti,
quando
a
fine
1551,
con
un
accordo
di
protettorato,
praticamente
la
Transilvania
finì
sotto
il
giogo
imperiale,
Giorgio,
evidentemente
troppo
compromesso
con
il
partito
anti-asburgico,
preferisce
ritornare
in
Italia,
stabilendosi
prima
a
Mestre
e
poi
a
Padova.
Di
questo
periodo,
trascorso
probabilmente
nell'esercizio
della
medicina,
sappiamo
poco,
se
non
che,
nel
1553,
venne
chiamato,
sia
sulla
base
delle
sue
competenze
mediche,
sia,
possibilmente,
per
la
sua
familiarità
con
le
vicende
politiche
internazionali,
a
Vienna
a
testimoniare
nell'inchiesta
che
il
nunzio
Girolamo
Martinengo
aveva
istruito
per
far
luce
sulla
morte
del
cardinal
Giorgio
Martinuzzi,
assassinato
da
agenti
di
Ferdinando
I a
causa
dei
suoi
contatti
con
i
Turchi:
non
si
tratta
di
un
dato
irrilevante,
dal
momento
che
ci
dice
che,
ancora
a 37
anni,
Giorgio
era
ritenuto
un
buon
cattolico
oltre
che,
evidentemente,
un
fervente
ani-asburgico.
Ma,
si è
detto,
sono
gli
anni
in
cui
il
Veneto
è
scosso
fa
profonde
correnti
anabattiste,
riformatrici
e
antitrinitarie,
correnti
che,
certamente,
investono
in
pieno,
seppur
ancora
nicodemicamente,
il
medico
saluzzese,
tanto
che,
nel
1556,
in
piena
reazione
controriformistica
partita
dalle
confessioni
del
Busale,
egli
si
vede
costretto,
come
molti
altri
umanisti
"eretici"
italiani,
a
scappare
dall'Italia
per
trovare
rifugio
nella
Ginevra
di
Calvino.
Qui
inizia
un
nuovo
capitolo
della
storia
di
Biandrata
che,
immediatamente,
entra
a
far
parte
della
da
poco
formata
"Chieda
degli
Italiani"
della
quale
era
allora
pastore
Celso
Martinengo:
non
solo
il
saluzzese
diventa
medico
della
moglie
del
pastore,
l'inglese
Jane
Stafford,
ma
la
sua
sottigliezza
teologica
lo
porta
ad
assurgere
velocemente
al
ruolo
di
anziano
della
congregazione
e a
ottenere,
nel
1557,
il
diritto
di
residenza
in
città.
E' a
questo
punto
che
si
compie
la
svolta
antitrinitaria
di
Giorgio.
E'
difficile
dire
quali
siano
le
sue
radici:
forse
letture
servetiane
(che
conosciamo
per
certo),
forse
echi
valdesiani
delle
sue
frequentazioni
umanistiche,
forse
l'influenza
dei
circoli
antitrinitari
veneti.
Fatto
sta
che,
proprio
nel
1557,
cominciano
le
sue
"interrogazioni"
all'amico
Martinengo
sulla
divinità
di
Cristo:
il
Martinengo,
a
sua
volta
ex
antitrinitario,
si
rende
ben
presto
conto
di
dove
mirino
le
domande
del
suo
"anziano"
e,
per
questo,
preferisce
sollevarlo
dalla
funzione
e
interrompere
ogni
rapporto
con
lui,
pur
non
denunciando
pubblicamente
la
posizioni
anti-ortodossa
dell'ex
amico.
Giorgio,
però,
non
è
certo
tipo
da
rinunciare
facilmente
alle
proprie
idee
e,
avendo
perso
il
suo
interlocutore
privilegiato
e
sotto
l'influenza
del
ricco
professore
di
diritto
Matteo
Gribaldi,
che,
noto
eretico
espatriato,
gli
aveva
più
volte
fatto
visita
Ginevra
(nonostante
un
bando
che
pendeva
sul
suo
capo
dal
1556),
decide
di
alzare
il
tiro
e
cominciare
a
rivolgere
domande
direttamente
alla
guida
del
Concistoro
cittadino,
Giovanni
Calvino.
A
titolo
esemplificativo
e
per
rendere
chiaro
il
tenore
dei
quesiti
teologici
biandrateschi,
basti
leggere
la
seguente
domanda,
rivolta
per
iscritto
a
Calvino
a
metà
del
1557:
"Se
il
Dio
unico
è
una
sostanza
in
tre
persone
e
Gesù
lo
ha
in
qualche
modo
rivelato,
perché
questo
elemento
sta
nascosto
ed è
chiaramente
incomprensibile
per
noi?
Noi
supplichiamo
chiara
testimonianza
della
Scrittura
che
mostri
dove
Dio
è
apertamente
e
senza
dubbio
indicato
come
tre
persone
in
una
sola
sostanza.
Allo
stesso
modo,
è
permesso
di
pregare
Dio
solo,
senza
un
mediatore?
In
che
passo
gli
apostoli
ci
indicano
questo
[questa
necessità
di
mediazione]?"
Ce
n'è
abbastanza
per
incorrere
immediatamente
nella
"scomunica"
da
parte
del
rigido
riformatore
ginevrino
che
per
simili
affermazioni
aveva
già
fatto
finire
Serveto
sul
rogo,
ma,
ugualmente,
inizialmente
Calvino
sembra
reagire
pacatamente,
rispondendo
(sempre
per
iscritto)
a
Biandrata,
per
quanto
in
modo
evasivo
e
poco
convincente.
Giorgio,
però,
insiste
nelle
sue
missive,
fino
al
punto
da
portare
Calvino
a
scrivergli
di
desistere
dal
proclamare
"perfidiam
et
fallacias
dolosque
tortuosos"
e a
sviluppare
una
lunga
argomentazione
contro
le
posizioni
antitrinitarie,
dalla
quale
si
evince
che
le
idee
di
Biandrata
si
concentrassero
espressamente
in
una
difesa
del
monoteismo
contro
ogni
possibile
deriva
triteistica
e
nella
convinzione
della
separazione
tra
Dio,
Signore
Gesù
e
Spirito
Santo,
così
come
gli
appariva
chiaro
le
Scritture
enunciassero
(in
sostanza
si
trattava
delle
stesse
idee
di
Gribaldi).
Dopo
quello
che
risultava
chiaramente
essere
una
sorta
di
"monito
concistoriale"
da
parte
di
Calvino,
comunque,
Biandrata
ritenne
opportuno
lasciare,
insieme
all'ugualmente
ammonito
(sebben
più
formalmente)
amico
Giampaolo
Alciati,
Ginevra
per
rifugiarsi
a
Zurigo.
Qualche
mese
dopo,
però,
usufruendo
di
un
lasciapassare
concesso
al
sodale,
fece
ritorno,
esprimendo,
in
ogni
caso,
idee
immutate
rispetto
alle
precedenti.
Nel
1558,
conseguentemente,
quando
Calvino
decise
di
far
sottoscrivere
a
tutti
i
componenti
della
Chiesa
Italiana,
ora,
dopo
la
morte
del
Martinengo,
sotto
la
guida
del
meno
diplomatico
Lattanzio
Ragnoni,
una
dichiarazione
di
fede
trinitaria,
pur
dopo
una
sottomissione
formale,
sia
giorgio
che
l'amico
Alciati
decisero
di
abbandonare
la
città
alla
volta
della
grande
tenuta
del
Gribaldi
a
Farges.
Da
Farges
Biandrata
si
spostò
a
Berna,
retta
dal
pastore
Nicolaus
Zurkinden,
amico
del
Gribaldi
e in
pessimi
rapporti
con
Calvino
e,
poco
dopo,
a
Zurigo,
dove
tentò
di
convertire
Pietro
Martire
Vermigli
ad
aderire
alle
sue
posizioni
antitrinitarie.
Questi,
però,
dopo
essersi
consultato
con
il
Bullinger,
troncò
ogni
rapporto
con
Giorgio
e lo
denunciò
al
concistoro
urbano,
costringendolo
a
riparare
a
Basilea.
A
Basilea
il
saluzzese
strinse
amicizia
con
Lelio
Sozzini
e,
insieme,
i
due
decisero,
nel
1558,
di
trasferirsi
in
una
delle
ultime
oasi
di
libertà
religiosa
europee:
la
Polonia.
Nonostante
il
loro
arrivo
fosse
anticipato
da
missive
di
Calvino,
che
definiva
Biandrata
"un
mostro",
e di
Vermigli,
che,
sulla
base
della
negazione
della
consustanzialità
da
parte
del
medico
di
Saluzzo,
lo
accusava
di
triteismo,
Biandrata
venne
ben
accolto
dalla
sua
ormai
vecchia
patrona
Bona
Sforza,
che
gli
concesse
grandi
onori,
da
Francesco
Stancaro,
da
Pietro
Gonesio
(antico
seguace
di
Gribaldo)
e da
Lismannino,
già
conosciuto
come
confessore
di
Bona,
con
il
quale
Giorgio,
che
si
era
stabilito
nella
comunità
antitrinitaria
di
Pińczów,
riuscì
a
sviluppare
(dopo
averne
curato
l'epilessia)
notevoli
rapporti
di
amicizia
(che
sfociarono
in
una
sorta
di
conversione,
sostanziale
sebbene
non
formale,
del
Lismannino
all'antitrinitarismo).
Dopo
un
breve
soggiorno,
nel
1559,
in
Transilvania,
al
capezzale
della
morente
regina
Isabella,
nel
1560,
proprio
con
Lismannino,
Biandrata
venne
nominato
dal
figlio
della
da
pochissimo
defunta
Bona,
Sigismondo
Jagellone,
rappresentante
reale
al
Sinodo
protestante
di
Pińczów.
Qui,
evidentemente,
forse
grazie
alla
scelta
di
mantenere
un
basso
profilo
teologico,
entrò
nelle
grazie
di
molti
nobili
protestanti,
al
punto
da
essere
scelto
come
coadiutore
di
Felix
Cruciger,
sovrintendente
della
Chiesa
Riformata
Polacca.
In
realtà,
però,
in
questo
ruolo
non
ebbe
vita
facile:
una
sua
proposta
di
limitare
la
carica
di
"anziano"
ai
soli
laici
per
evitare
lo
strapotere
pastorale
venne
immediatamente
cassata
e le
continue
accuse
di
Calvino
lanciate
da
Ginevra
cominciarono
ad
attecchire,
tanto
che,
tra
1561
e
1562,
Giorgio
si
vide
costretto
a
firmare
una
confessione
di
fede
con
la
quale
rigettava
sia
il "servetismo"
che
il
triteismo.
Probabilmente
il
suo
successo
maggiore
in
questo
periodo
fu
quello
di
ottenere
dalla
Chiesa
polacca
di
limitare
il
proprio
vocabolario
teologico
al
linguaggio
delle
Scritture
e al
Credo
apostolico,
allontanandosi
da
qualsiasi
tendenza
derivata
dalla
Scolastica:
si
trattava
di
una
misura
liberale
che
permise
la
tolleranza
di
molte
opinioni
la
cui
eterodossia
non
poteva
più
essere
oggetto
di
indagine
ufficiale
e
che
piacque
molto
ai
nobili
polacchi,
tanto
che,
nonostante
le
reiterate
accuse
di
Calvino
(ad
esempio
nella
"Brevis
Admonitio
ad
Polonos"),
Giorgio
ebbe
la
possibilità
di
intraprendere
con
successo
una
costante
propaganda
contro
la
tradizionale
dottrina
della
Trinità,
fino
a
che
tale
dottrina
non
venne
condannata
nel
1563,
anche
grazie
alla
diffusione
sempre
più
capillare
degli
scritti
di
Fausto
Sozzini
tradotti
da
Grzegorz
Paweł.
Nel
1563,
però,
i
conservatori
erano
ancora
abbastanza
forti
da
dividere
la
Chiesa
protestante
polacca
in
due
tronconi
(conservatori
e
unitariani
sociniani)
e,
ben
presto,
la
posizione
di
Biandrata
come
promotore
principale
della
fede
unitariana
liberale
divenne
insostenibile,
tanto
da
fargli
prendere
la
decisione
di
trasferirsi
in
Moldavia
per
lavorare
come
consigliere
politico
alla
corte
del
despota
Jacob
Basilicus.
Quando,
comunque,
questi,
pochi
mesi
più
tardi,
venne
assassinato,
il
saluzzese
accettò
l'invito
di
re
Giovanni
II
Sigismondo
di
Transilvania,
figlio
di
Isabella,
di
diventare
medico
di
corte:
giunse
a
Alba
Iulia
nel
settembre
1563
e
immediatamente
venne
ricoperto
di
onori,
ricevette
in
dono
tre
feudi
ed
ebbe
la
nomina
di
consigliere
reale.
In
Transilvania
esisteva
dal
1557,
su
concessione
della
regina
Isabella,
totale
tolleranza
delle
tre
confessioni
cattolica,
luterana
e
riformata
(calvinista).
Tale
tolleranza
era
stata
ribadita
nella
dieta
di
Torda
nel
1563
ma
non
per
questo
erano
cessati
gli
contrasti
religiosi
tra
luterani
e
calvinisti.
Nel
tentativo
di
comporre
le
parti,
dunque,
il
re
organizzò
una
dieta
a
Segesvár
e
inviò
Biandrata,
noto
diplomatico
e
uomo
"super
partes"
(in
quel
periodo
il
saluzzese
teneva
molto
a
mantenere
un
bassissimo
profilo
teologico),
come
suo
rappresentante
al
"Sinodo
di
Nagy
Enyed"
dell'aprile
1564.
Al
sinodo
Biandrata
fece
amicizia
con
Ferencz
David,
allora
vescovo
della
Chiesa
luterana
e
propugnatore
di
un
accordo
tra
luterani
e
calvinisti
che
fosse
utile
a
tutta
la
Riforma.
Il
sinodo
non
ebbe
alcun
successo
ma
segnò,
poco
dopo,
il
passaggio
di
David
al
vescovato
calvinista
e il
successivo
tentativo
del
nuovo
vescovo
di
riorganizzare
la
Chiesa
riformata
su
principi
concordati
con
il
Biandrata,
il
quale,
dal
canto
suo,
nel
1566,
induceva
Giovanni
Sigismondo
a
nominare
l'ex
luterano
ora
calvinista,
predicatore
della
corte
reale.
A
questo
punto
la
strategia
di
Biandrata
fu
molto
sottile:
egli
possedeva
una
delle
poche
copie
superstiti
della
"Christianismi
restitutio"
di
Serveto
e
convinse
David
a
leggerla.
Indubbiamente
tale
lettura
affrettò
la
transizione
di
David
dal
Calvinismo
all'antitrinitarismo.
Così,
nel
Sinodo
di
Torda
del
24
marzo
1566,
a
cui
Biandrata
era
presente
come
delegato
reale,
Ferencz
David
espresse
pubblicamente
le
sue
nuove
tesi
antitrinitarie
a
favore
della
nascita
di
una
Chiesa
unitariana,
che
furono
approvate
malgrado
l'opposizione
del
più
importante
rappresentante
calvinista,
il
teologo
ungherese
Peter
Melius.
Melius
si
rifece
l'anno
dopo
nel
sinodo
di
Debrecen,
facendo
approvare
una
"Confessio
Helvetica"
ortodossa
ma
contro
di
lui
reagì
il
Biandrata
con
la "Demonstratio
falsitatis
Petri
Melii
et
reliquorum
sophistarum
per
antithesis
cum
refutatione
antitheseon
veri
et
Turcici
Christi",
e
soprattutto,
con
due
volumi
scritti
a
quattro
mani
con
David,
che
formarono
il
"De
vera
et
falsa
unius
Dei,
Filii
et
Spiritus
Sancti
cognitione",
il
testo
del
1568
che
risultò
essere
la
più
compiuta
esposizione
della
dottrina
unitariana
e
antitrinitaria
fino
a
quel
momento
mai
scritta.
Il
"De
vera
et
falsa"
è
una
specie
di
amplissima
storia
dell'antitrinitarismo
a
partire
dall'idea
che
l'Anticristo, non
potendo
cancellare
la
vera
dottrina
cristiana
presente
nelle
Scritture,
fece
sorgere
la
falsa
idea
della
trinità,
da
cui
derivò
il
proliferare
dei
battesimi
e
delle
denominazioni.
Sostanzialmente,
il
dogma
trinitario
sarebbe
solo
una
costruzione
intellettualistica
ellenistica
che,
dopo
aver
portato
alla
rottura
con
Giudaismo
e
Islam,
venne
perpetuata,
dopo
l'anno
1000,
ad
opera
dei
teologi
della
Sorbona,
fino
a
che
l'opera
di
restaurazione
della
vera
dottrina
cristiana
venne
iniziata
da Lutero
e
proseguita
da
Zwingli, Bucero, Ecolampadio,
Vermigli, Calvino, Viret,
Ochino,
che
dimostrarono
l'impossibilità
di
un
ritorno
della
Chiesa
di
Roma
alla
verità.
Anche
grazie
alla
loro
missione
riformatrice
si
arrivò
a
riesaminare
la
figura
di
Cristo:
Erasmo
fu
il
primo,
poi
sorse
Serveto
che
riportò
la
fede
al
monoteismo
ma,
privo
di
protettori,
venne
bruciato
da
Calvino
e
divenne
martire
della
fede
contro
quei
riformatori
che,
pur
avendo
intravisto
la
verità,
troppo
spaventati
dai
poteri
politici
mondani,
finirono
per
allontanare
il
popolo
dalla
purezza
della
dottrina,
affrontandosi
in
dispute
e
condanne.
Nonostante
ciò,
la
purificazione
della
Chiesa
verrà
presto
con
il
ritorno
alla
lettera
delle
Scritture,
dopo
aver
sconfitto
tutti
coloro
che
ostacolano
la
via
a
una
riforma
compiuta.
Subito
dopo
il
"De
vera
et
falsa",
Biandrata
e
David
diedero
alle
stampe
un
secondo
testo,
l’”Antitesi
pseudo-christi
cum
vero
Uno
illo
ex
Maria
nato”,
una
sorta
di
versione
condensata
del
testo
precedente
e,
nel
1569,
prepararono
il
“De
Regno
Christi”
e il
“De
Regno
Anti-Christi”,
due
brevi
composizioni
formate
da
brani
tratti
dalla
“Resititutio”
di
Serveto.
Ciò
che
appare
più
interessante
per
noi
è
che
nell’”Antithesis”,
Biandrata
tenda
a
delineare
e
contrapporre
la
figura
di
un
Cristo
divino
voluto
da
papi
e
teologi
e
circondato
da
ricchi,
re e
principi
che
da
lui
ottengono
terre
e
prebende
e in
cambio
forzano
violentemente
il
popolo
ad
adorarlo
a un
Cristo
povero,
ripudiato
e
disprezzato
che
prega
per
il
pane
quotidiano
senza
estorcerlo
e
che
si
differenzia
dal
precedente
non
solo
ontologicamente
(divino
contro
umano)
ma
anche
politicamente
per
il
suo
schierarsi
a
favore
degli
“ultimi”:
si
tratta,
da
parte
di
Biandrata
e
David,
di
un
radicale
abbandono
del
triteismo
subordinazionista
(due
persone
della
trinità
sono
sottomesse
alla
terza)
per
abbracciare
un
antitrinitarismo
compiuto
in
cui
Gesù
è
visto
solo
come
uomo.
I
due
volumi
del
“De
regno”
sono,
invece,
notevoli
soprattutto
per
il
finale
“Tractatus
de
paedobaptismo
et
circumcisione”
che
mostra
una
prima
rottura
del
sodalizio
tra
medico
saluzzese
e
vescovo
transilvano
nel
momento
in
cui
esso
contiene
una
chiara
dichiarazione
contraria
al
battesimo
degli
infanti
che
viene
inserita
da
David
nonostante
quella
che,
da
epistole
intercorse
tra
i
due,
sappiamo
essere
una
evidente
disapprovazione
di
Biandrata.
Ciò
ci
dice
di
un
fronte
non
monolitico,
ma
fluido,
in
cui
una
maggioranza
di
idee
sono
sì
comuni
ma
non
si
ha
una
unità
totale,
che,
d’altra
parte,
avrebbe
contraddetto
il
non
dogmatismo
a
cui
il
pensiero
di
entrambi
si
ispirava.
Arriviamo,
così,
al
1568,
anno
dell’apogeo
del
nascente
Unitarianesimo
transilvano:
alla
Dieta
di
Torda
re
Giovanni
Sigismondo,
evidentemente
spinto
da
David
e
Biandrata,
concede
l’”Atto
di
libertà
religiosa
e di
coscienza”
e,
nel
successivo
sinodo
di
Gyulafehérvár,
David
difende
con
successo
la
dottrina
della
Unità
di
Dio
contro
i
Trinitari
(mentre
i
resoconti
dell’epoca
ci
parlano
di
un
Biandrata
meno
efficace
nel
dibattito
pubblico,
forse
anche
a
causa
della
sua
incapacità
di
parlare
ungherese).
Nel
1571,
finalmente,
la
Dieta
riconosce
formalmente
l’Unitarianesimo
come
una
delle
quattro
religioni
di
stato,
con
David
come
sovrintendente,
ma
si
tratta,
in
realtà,
già
di
una
vittoria
effimera.
Da
questo
momento
in
poi,
infatti,
la
situazione
comincia
a
farsi
sempre
più
problematica.
Giovanni
Sigismondo,
nel
frattempo
convertitosi
all’Unitarianesimo,
muore
a
seguito
di
un
incidente
di
carrozza
e
Stephen
Báthory,
un
tollerante
principe
cattolico,
vene
scelto
come
nuovo
voivoda
di
Transilvania.
Immediatamente,
come
è
ovvio
che
sia,
David
perde
la
sua
posizione
di
predicatore
di
corte,
mentre
Biandrata
è
confermato
come
medico
reale
e,
in
una
seconda
Dieta
di
Torda,
nel
1572,
il
nuovo
regime,
pur
confermando
la
vigente
tolleranza
confessionale,
proibisce
qualsiasi
ulteriore
innovazione
religiosa:
si
tratta
di
una
disposizione
certamente
volta
a
bloccare
sul
nascere
nuovi
conflitti
interni,
ma
che
finisce
per
colpire
soprattutto
a
recente
confessione
unitariana,
ancora
in
piena
elaborazione
dottrinale
(e
non
è un
caso
che,
insieme
alla
legge,
venga
emanata
anche
una
disposizione
di
censura
preventiva
sui
libri
di
nuova
pubblicazione
e un
decreto
di
confisca
della
tipografia
unitariana
di
Alba
Iulia).
Insomma,
di
certo
l'Unitarianesimo
entra
in
una
fase
complicata,
ma,
nello
stesso
periodo,
il
prestigio
di
Biandrata
non
sembra
minimamente
toccato
dalla
sorte
della
sua
denominazione,
tanto
che,
quando
nel
1574,
dopo
la
rinuncia
di
Enrico
di
Valois,
il
trono
polacco
rimane
vacante
è
lui
ad
essere
incaricato
di
sostenere
la
candidatura
di
Stefano
Bathory,
cosa
che
gli
riesce
egregiamente
dopo
un
viaggio
a
Varsavia
del
1575
in
cui
ottiene
l'appoggio
della
nobiltà
polacca:
Stefano
viene
incoronato
re
di
Polonia
il 16
gennaio 1576
e
come
reggente
del
voivodato
di
Transilvania
viene
posto
Cristoforo
Bathory
che,
purtroppo,
a
differenza
del
fratello
Stefano,
ha
fatto
dell'intransigenza
cattolica
un
vessillo
e
che
immediatamente
chiama
i
Gesuiti
all'interno
del
suo
nuovo
territorio.
Insomma,
la
situazione
è
piuttosto
paradossale:
mentre
l'Unitarianesimo
è
sempre
più
in
pericolo,
vuoi
per
le
nuove
leggi,
vuoi
per
il
predominio
gesuitico
a
corte,
vuoi
dopo
che
una
fallita
rivolta
nobiliare
del
1575
ha
falcidiato
i
suoi
ranghi
di
spicco,
uno
dei
fondatori
della
denominazione,
Giorgio
Biandrata,
sta
vivendo
il
suo
momento
di
massimo
splendore
politico,
con
Cristoforo
che,
nonostante
cerchi
continuamente
e
inutilmente
di
convertirlo,
arriva
a
donargli
la
rendita
di
numerosi
villaggi
reali
per
premiarlo
delle
sue
capacità
diplomatiche.
A
posteriori
possiamo
affermare
che
questa
sorta
di
discrasia
sia
tutt'altro
che
ininfluente.
E'
altamente
probabile
che
sia
qui
che
si
giochi
il
presunto
"tradimento"
di
Biandrata,
un
tradimento
che
tradimento
non
è e
che
nasce
dal
sentire
pienamente
la
responsabilità
di
essere
rimasto
l'ultimo
difensore
di
ciò
in
cui
crede
e
che
ha
contribuito
enormemente
a
far
sorgere.
Si
trattava
di
preoccupazioni
che
non
toccavano
minimamente
l'assai
più
"spirituale"
David,
interessato
soprattutto
all'elaborazione
teologica
e
incurante
dei
risvolti
politici
delle
proprie
azioni,
ma è
più
che
naturale
che
Biandrata,
che
si
stava
da
tempo
barcamenando
a
corte
per
tenere
in
piedi
un
edificio
che
si
stava
riempiendo
di
crepe,
fosse
a
dir
poco
preoccupato
dalle
novità
che
David
stava
sviluppando,
dall'anti-adorantismo
relativo
alla
figura
cristica,
che,
a
quanto
pare,
non
era
mai
stato
nei
programmi
del
suo
sodale,
all'anitpedobattismo
su
cui
i
due
si
erano
già
scontrati:
il
rischio
era
che
queste
nuove
posizioni
si
traducessero
in
azioni
legali
repressive
contro
l'intero
Unitarianesimo
da
parte
del
governo
e,
immediatamente,
il
medico
saluzzese
si
affrettò
a
consigliare
il
vescovo
di
moderare
queste
idee
(per
altro
frutto,
più
che
altro,
di
suggerimenti
provenienti
da
suo
genero,
Johannes
Sommers
e da
Giacomo
Paleologo)
o,
per
lo
meno,
di
rimanere
in
silenzio
su
temi
tanto
delicati.
Per
convincere
l'amico,
Biandrata
arrivò
addirittura
a
far
giungere
a
Koloszvar,
completamente
a
proprie
spese,
Fausto
Sozzini,
il
leader
antitrinitario
polacco,
nella
speranza
che
questi
potesse
far
ragionare
David,
ma i
due,
dopo
lunghe
discussioni,
non
riuscirono
a
trovare
un
accordo
soddisfacente
e la
questione
venne
sottoposta
ai
"Fratelli
polacchi"
perché
esprimessero
un
giudizio:
possiamo
ritenere
che
Biandrata
immaginasse
una
sorta
di
"Internazionale
Unitariana"
che
abbracciasse,
appunto,
i
"Fratelli
polacchi",
gli
Unitariani
di
Transilvania
e le
chiese
in
Moldavia
e in
Lituania,
ma
questa
non
era
certamente
l'immagine
presente
nella
mente
di
David,
fermamente
convinto
che
ogni
comunità
dovesse
essere
autocefala.
Fu,
forse,
proprio
questa
ulteriore
presa
di
posizione
vescovile
che
irritò
particolarmente
Biandrata,
il
quale,
allorché
David,
senza
attendere
le
risposte
delle
"chiese
sorelle",
incominciò
a
predicare
apertamente
le
proprie
posizioni,
fiutò
il
pericolo
che
tutti
stavano
correndo
e,
per
salvare
il
salvabile,
prese
la
sofferta
decisione
di
denunciare
il
"padre
spirituale"
dell'Unitarianesimo
al
Sinodo
transilvano.
Il
seguito
è
ben
noto:
Biandrata
convocò
una
Dieta
a
Gyulafehérvár
nel
1579
e
accusò
David
di
innovazione
religiosa,
fungendo
anche,
nel
corso
del
processo,
da
capo
dei
consulenti
legali
del
principe.
L'accusa
era
già
pesante
di
per
sé
ma
venne
resa
ancora
più
dura
aggiungendo
la
possibile
conversione
al
Giudaismo
di
un'autorità
religiosa
che
rifiutava
anche
la
pur
minima
invocazione
a
Cristo
e la
fine
della
storia,
scontata,
fu
la
condanna
di
David
all'ergastolo
al
castello
di
Deva
e la
sua
morte
in
cella
pochi
mesi
dopo
(quella
morte
che
fece
di
lui
la
figura
di
martire
della
fede
ancora
oggi
viva
nella
mente
del
popolo
szekerly).
L'altra
faccia
della
medaglia
fu
l'immagine
di
un
Biandrata
"Giuda"
(per
altro
rafforzata
da
un
malaccorto,
ma,
a
conti
fatti,
probabilmente
sincero,
gesto
di
Biandrata
che,
poco
prima
del
verdetto,
andò
a
baciare
pubblicamente
quello
che,
in
passato,
era
stato
il
suo
collaboratore
più
stretto):
da
subito
le
critiche
contro
di
lui
fiorirono
numerose
e si
incentrarono
su
una
possibile
e
poco
credibile
gelosia
nei
confronti
di
David
da
parte
del
saluzzese,
il
quale
fu
costretto
a
difendersi
in
una
lettera
a
Jacopo
Paleologo,
affermando,
in
sostanza,
che
delle
idee
di
David
gli
importava
molto
poco
ma
che
aveva
agito
unicamente
temendo
le
conseguenze
politiche
per
la
chiesa
Unitaria.
Di
tale
chiesa,
effettivamente,
Biandrata,
che
continuò
ancora
per
alcuni
anni
a
servire
come
medico
di
corte
in
Transilvania,
divenne
il
leader
indiscusso,
imponendo
la
linea
adorantista
e
riuscendo
a
far
eleggere
vescovo
il
conservatore
Demetrio
Hunyadi,
ma è
importante
comprendere
come,
nel
clima
di
repressione
politica
degli
anni
successivi
alla
morte
di
David,
fu
proprio
questo
profilo
moderato
adottato
dagli
Unitariani
su
consiglio
di
Biandrata
ad
assicurare
la
sopravvivenza
della
denominazione.
Ugualmente,
il
risentimento
e la
rabbia
contro
il
"traditore"
italiano
non
si
mitigarono
e lo
costrinsero,
da
lì a
pochi
mesi,
a
ritirarsi
da
ogni
dibattito
religioso
e,
qualche
anno
dopo,
a
ritornare
in
Italia,
dove
visse
agiatamente
l'ultima
parte
della
sua
vita
(morì
nel
1588)
senza,
comunque,
mai
abiurare
la
propria
fede,
tanto
da
lasciare
tutti
i
suoi
averi
al
nipote
Giorgio
solo
a
condizione
che
questi
fosse
rimasto
fedele
al
credo
Unitariano.
Riferimenti
bibliografici:
D.
Cantimori,
Eretici
italiani
del
Cinquecento,
Einaudi
2002;
S.
Carletto,
G.
Lingua,
La
trinità
e
l'anticristo:
Giorgio
Biandrata
tra
eresia
e
diplomazia,
L'Arciere
2001;
Greenwood,
M.W.
Harris,
An
Introduction
to
the
Unitarian
and
Universalist
Traditions,
Cambridge
U.P.
2011;
S.
Hole
Fritchman,
Men
Of
Liberty
-
Ten
Unitarian
Pioneers,
Hayne
Press
2007;
G.
Volpe,
Movimenti
religiosi
e
sette
ereticali,
Donzelli
1997;
E.M.
Wilbur,
A
history
of
Unitarianism,
Vol.1,
Harvard
U.P.
1923;
G.H.
Williams,
The
Radical
Reformation,
The
Westminster
Press
1962.