N. 28 - Aprile 2010
(LIX)
giordano bruno
storia di un "eretico" - parte iI
di Giorgio Giannini
Nel
maggio
1592,
Bruno
incontra
a
Venezia
il
confratello
Fra
Domenico
da
Nocera
e
gli
racconta
la
sua
vita
per
sapere
se
poteva
sperare
nel
perdono
della
Chiesa
e
quindi
poter
andare
a
vivere
tranquillamente
a
Roma.
La
risposta
è
però
evasiva.
Nella
notte
tra
venerdì
22 e
sabato
23
maggio
1592,
Giovanni
Mocenigo
lo
fa
rinchiudere
da
alcuni
servitori
in
un
solaio
della
sua
casa
e
quindi,
su
consiglio
del
suo
confessore
, lo
denuncia
all'Inquisizione
con
l’accusa
di
affermazioni
sospette
di
eresia.
Così
Bruno
è
arrestato,
nella
notte
tra
il
sabato
23 e
la
domenica
24
maggio
1592,
dal
Capitano
Matteo
d’Avanzo
e
rinchiuso
nelle
carceri
del
S.
Uffizio
in
S.
Domenico
di
Castello.
Lunedì
25
maggio,
Mocenigo
presenta
una
seconda
denuncia,
consegnando
anche
le
opere
di
Bruno
che
ha
trovato
nella
sua
abitazione.
Martedì
26
maggio,
depongono
davanti
al
Tribunale
dell'Inquisizione,
i
librai
Ciotto
e
Brictano
.
Quindi
viene
interrogato
Bruno,
che
racconta
la
sua
vita.
Il
29
maggio,
Mocenigo
presenta
una
terza
denuncia,
accusando
Bruno
di
aver
duramente
criticato
la
Chiesa
Cattolica
e le
sue
istituzioni.
I
capi
di
imputazione
contro
Bruno,
desunti
dalle
denuncie
di
Mocenigo
sono
ben
29.
Bruno
subisce
in
pochissimi
giorni,
fino
al 4
giugno,
sei
interrogatori
ed è
interrogato
per
la
settima
volta
il
30
luglio.
Sviluppa
la
propria
difesa
sostenendo
che
nelle
sue
opere
ha
sempre
voluto
fare
delle
dissertazioni
filosofiche
e
non
teologiche.
Il
30
luglio
1592,
Bruno
si
dichiara
pentito
e
chiede
perdono
a
Dio
ed
ai
giudici
del
Tribunale,
promettendo
di
cambiare
vita
se
gli
fosse
stato
concesso
di
vivere.
A
questo
punto,
il
processo
sembrava
mettersi
per
il
meglio,
anche
in
seguito
alle
deposizioni,
a
lui
favorevoli,
del
nobile
veneziano
Andrea
Morosini
e
del
libraio
Ciotto.
Nell’agosto
1592,
una
copia
degli
atti
del
processo
vengono
inviati
a
Roma
per
il
parere
del
Tribunale
Centrale
dell’Inquisizione,
come
prescritto
da
un
decreto
del
Sant’Uffizio
del
1581.
Pero'
il
Cardinale
di
Sanseverina,
Supremo
Inquisitore
a
Roma,
chiede,
probabilmente
su
suggerimento
del
Pontefice,
l'avocazione
del
processo
presso
il
Tribunale
Centrale
presieduto
dallo
stesso
Papa
;
ordina
quindi
la
consegna
di
Bruno
al
Governatore
di
Ancona
affinché
sia
trasferito
a
Roma.
Il 7
gennaio
1593,
il
Senato
della
Repubblica
Veneta,
dopo
aver
tentato
di
resistere
alla
pretesa
del
Sant'Uffizio,
autorizza
il
trasferimento
di
Bruno
a
Roma
e ne
ordina
l’arresto
nelle
carceri
criminali.
Il
19
febbraio
1593,
Bruno
parte
per
Ancona;
quindi
è
trasferito
a
Roma,
dove
arriva
il
giorno
27
ed è
subito
rinchiuso
nel
Palazzo
Pucci,
sede
del
S.
Uffizio,
vicino
al
Vaticano.
Nell’autunno
1593,
il
S.
Uffizio
presenta
13
nuovi
capi
d'accusa
in
seguito
alla
deposizione
di
Fra
Celestino
da
Verona,
compagno
di
cella
di
Bruno
nel
carcere
veneziano,
che
indica
tre
testimoni
per
confermare
le
sue
accuse.
Un
quarto
testimone,
chiamato
in
causa
da
uno
degli
altri
tre,
accusa
Bruno
di
disprezzare
il
culto
dei
Santi.
Le
nuove
gravi
accuse,
in
parte
diverse
da
quelle
formulate
da
Mocenigo
nelle
sue
denunce,
danno
nuovo
vigore
al
processo.
Bruno
viene
interrogato
altre
otto
volte
nel
corso
dell’anno
1593
e si
difende
dalle
accuse
affermando
di
aver
sempre
discusso
di
filosofia,
in
un
contesto
colloquiale
o
scherzoso.
E’
invitato
più
volte
a
mutar
parere,
ma
non
cede
agli
inquisitori
romani,
diversamente
da
come
aveva
fatto
a
Venezia,
dove
aveva
mostrato
la
volontà
di
riconoscere
i
propri
errori
e di
abiurare.
Pur
consapevole
che
lo
attende
una
lunga
prigionia
,
rimane
fermo
sulle
sue
posizioni,
dimostrando
grande
fermezza
e
dignità.
All’inizio
del
1594,
si
apre
la
seconda
fase
del
processo:
dopo
il
processo
offensivo
si
passa
al
processo
ripetitivo,
con
il
nuovo
interrogatorio
degli
accusatori
e
dei
testimoni,
che
avviene
tra
il
gennaio
ed
il
marzo
1594.
Bruno
rifiuta
il
difensore
d’ufficio
assegnatogli
dal
Tribunale
e si
difende
da
solo.
Tutte
le
accuse
sono
confermate;
vengono
quindi
predisposti
23
Articuli
,
contenenti
altrettante
imputazioni,
una
copia
dei
quali,
senza
il
nome
degli
accusatori,
è
consegnata
a
Bruno
affinchè
possa
preparare
la
sua
difesa
attraverso
gli
Interrogatoria
(domande
da
lui
formulate
per
i
testimoni,
ai
quali
sono
però
rivolte
dai
giudici).
Per
la
maggior
parte
dei
capi
di
imputazione
(16
su
23)
sono
state
raccolte
almeno
due
testimonianze
concordanti,
per
cui,
secondo
la
normativa,
l’accusa
si
intende
provata,
anche
se
l’imputato
continua
a
negare.
Nel
giugno
1594,
l’Avvocato
del
Tribunale
consegna
a
Bruno
una
copia
degli
atti
del
processo
e lo
invita
a
preparare
la
sua
difesa.
Il
20
dicembre,
Bruno
consegna
un
memoriale
di
difesa
di
80
pagine.
Il
16
febbraio
1595,
il
Papa
Clemente
VIII
(Ippolito
Aldobrandini,
eletto
nel
1592),
dopo
aver
accertato
che
manca
negli
atti
processuali
l’esame
delle
opere
di
Bruno,
ordina
che
una
Commissione
di
teologi
( di
cui
è
chiamato
a
far
parte
anche
Roberto
Bellarmino),
esamini
i
suoi
scritti
per
individuare
le
proposizioni
eretiche
e
redigere
l’atto
di
accusa.
Nel
dicembre
1996,
è
presentato
a
Bruno
l’elenco
delle
censure
ricavate
dall’esame
delle
sue
opere,
affinché
egli
possa
preparare
la
sua
difesa.
A
partire
dal
24
marzo
1997,
Bruno
è
interrogato
ripetutamente
sulle
censure
formulate
dai
teologi
(molto
probabilmente,
il
27
marzo
subisce
anche
la
tortura);
è
più
volte
esortato
ad
abbandonare
le
sue
teorie,
ma
non
recede
dalle
sue
posizioni.
A
dicembre
gli
viene
chiesta
una
nuova
memoria
difensiva.
Nel
marzo
1598,
è
redatto
un
Sommario
del
processo
per
il
Papa
Clemente
VIII
che
però
si
trova
in
quel
momento
a
Ferrara,
da
poco
annessa
allo
Stato
Pontificio.
Così
la
causa
è
sospesa
per
l'assenza
del
Papa
e
riprende
il
12
gennaio
1599,
quando,
su
indicazione
del
Cardinale
Roberto
Bellarmino,
vengono
sottoposte
a
Bruno
otto
proposizioni
eretiche
da
abiurare,
estratte
dal
Sommario
del
processo.
Una
copia
di
queste
è
consegnata
a
Bruno
il
18
gennaio,
in
modo
che
possa
preparare
la
sua
difesa,
e
gli
si
concede
un
periodo
di
riflessione
di 6
giorni.
Il
25
gennaio,
Bruno
dichiara
di
essere
disposto
all'abiura,
a
condizione
che
gli
errori
nei
quali
è
incorso
siano
considerati
tali
“ex
nunc”,
come
se
su
quelle
questioni
la
Chiesa
non
aveva
espresso
in
precedenza
un
chiaro
giudizio.
I
giudici
però
non
accettano
la
sua
condizione,
ritenendo
che
le
sue
affermazioni
teologiche
erano
da
sempre
considerate
eretiche.
Nell’udienza
del
4
febbraio,
presieduta
dal
Papa
, si
decide
di
sottoporgli
di
nuovo
le
otto
proposizioni
eretiche,
cosa
che
viene
fatta
il
15,
quando
i
giudici
lo
invitano
ad
abiurare,
ma
Bruno
non
cede
neppure
questa
volta.
Alla
nuova
udienza
del
Tribunale,
Bruno
si
dichiara
pentito
e
disposto
all’abiura,
ma
il 5
aprile
consegna
un’altra
memoria
difensiva,
nella
quale,pur
dichiarando
di
essere
disposto
a
riconoscere
i
propri
errori,
contesta
la
prima
e la
settima
proposizione.
Nella
nuova
udienza
del
24
agosto,
sono
respinte
le
argomentazioni
difensive
di
Bruno.
E’
presente
anche
il
Papa
che
gli
propone
nuove
proposizioni
da
abiurare.
I
giudici
propongono
di
ricorrere
alla
tortura
sulle
proposizioni
che
egli
rifiuta
di
abiurare.
Il
10
settembre,
il
Tribunale
dell'Inquisizione
assegna
a
Bruno
un
ultimo
periodo
di
riflessione
di
40
giorni
previsto
per
i
pertinaci.
Sei
giorni
dopo,
Bruno
consegna
una
nuova
memoria
difensiva
indirizzata
al
Papa,
che
irrita
molto
sia
i
giudici
che
il
Pontefice
dato
che
egli
ribadisce
con
fermezza
le
sue
affermazioni.
Intanto
è
giunta
al
S.
Uffizio
una
nuova
denuncia,
relativa
al
contenuto
dello
Spaccio
della
bestia
trionfante,
considerata
un’opera
offensiva
verso
il
Pontefice.
Gli
viene
concesso
un
ulteriore
periodo
di
40
giorni
per
pentirsi
e
fare
un’abiura
completa
e
incondizionata.
Il
17
novembre,
alla
scadenza
del
termine,
Bruno
rimane
fermo
nelle
sue
posizioni.
Il
21
dicembre
1599,
nella
22°
udienza,
i
Giudici
lo
invitano
di
nuovo
a
pentirsi,
ma
egli
ancora
una
volta
non
cede.
Lo
stesso
giorno,
nell’
estremo
tentativo
di
persuaderlo
a
pentirsi,
parlano
con
lui
il
Superiore
Generale
dei
Domenicani,
fra
Ippolito
Maria
Beccaria,
ed
il
Procuratore
Generale
dell’Ordine,
fra
Paolo
Isaresio
della
Mirandola,
che
cercano
di
convincerlo
a
riconoscere
i
propri
errori,
promettendogli
salva
la
vita,
ma
Bruno
risponde
che
“non
deve,
nè
vuole
pentirsi,
non
ha
di
che
pentirsi,
non
ha
materia
di
pentimento,
non
sa
di
che
cosa
si
debba
pentire”.
Il
20
gennaio
dell'anno
santo
1600,il
Papa
Clemente
VIII,
letta
la
relazione
del
Superiore
dei
Domenicani,
decide
di
concludere
il
processo,
ordinando
di
pronunciare
la
sentenza.
Così,
l’otto
febbraio,
Bruno
è
condotto
dal
Palazzo
del
S.
Uffizio,
che
ha
sede
nel
Palazzo
del
Cardinale
Madruzzi,
in
Piazza
Navona,
vicino
alla
Chiesa
di
S.
Agnese,
dove
il
Procuratore
Giulio
Materenzii
legge
la
sentenza
con
la
quale
Bruno
è
condannato
come
eretico
impenitente,
pertinace
e
ostinato
ed è
degradato
dagli
ordini
ecclesiasticii.
Quindi,
è
consegnato
per
l’esecuzione
della
sentenza
al
Governatore
di
Roma,
che
eprò
è
pregato
di
mitigare
il
rigore
della
pena.
Bruno,
che
ha
ascoltato
la
sentenza
in
ginocchio,
si
alza
in
piedi
ed
attacca
i
giudici
dicendo
loro:
“Avete
più
timore
voi
nel
pronunciare
la
mia
condanna
che
io
nell'ascoltarla".
Viene
quindi
consegnato
al
"braccio
secolare"
della
Chiesa,
cioè
al
Governatore
di
Roma,
ed è
richiuso
nel
carcere
criminale
di
Tor
di
Nona
in
attesa
dell’esecuzione
della
sentenza
di
morte,
stabilita
all’inizio
per
il
12
febbraio
e
poi
rinviata
al
17
febbraio,
giovedì
grasso.
All'alba
del
17
febbraio
1600,
Bruno
è
prelevato
dal
carcere
di
Tor
di
Nona
dalla
Confraternita
di
S.
Giovanni
Decollato
per
essere
condotto
nella
Piazza
Campo
de'
Fiori.
Gli
fanno
indossare
l’abito
penitenziale
e
gli
mettono
la
mordacchia
in
modo
che
non
possa
parlare.
Sette
confortatori
cercano
di
farlo
pentire,
ma
invano.
Giunto
sulla
Piazza,
è
spogliato
nudo
e
legato
ad
un
palo
posto
sopra
una
catasta
di
legna,
sulla
quale
è
bruciato
vivo
mentre
la
Confraternita
di
S.
Giovanni
Decollato
canta
le
litanie.
I
confortatori
cercano
fino
all’ultimo
di
farlo
pentire,
per
avere
una
morte
meno
cruenta;
quando
gli
porgono
il
crocefisso
da
baciare,
Bruno
si
gira
dall’altra
parte.
Nella
stessa
sentenza,
il
S.
Uffizio
ordina
di
bruciare
tutte
le
sue
opere
e di
metterle
all’Indice
dei
libri
proibiti
,
istituito
nel
1515
dal
Papa
Leone
X e
confermato
dal
Concilio
di
Trento.
Gli
atti
originali
del
processo
a
Bruno
non
si
sono
trovati.
Ci è
però
pervenuto
l’ampio
Sommario
del
processo,
scritto
nel
marzo
1598
per
riepilogare
al
Papa
Clemente
VIII
le
varie
fasi
del
lungo
iter
processuale,
che
è
stato
rinvenuto
all’inizio
del
novecento
nell’archivio
personale
del
Papa
Pio
IX.
Dell’esecuzione
di
Bruno
si
da
notizia
in
un
avviso
di
sabato
19
febbraio
1600
con
queste
parole:
“Da
Roma
19
febbraio
1600.
Giovedì
in
Campo
di
Fiori
fu
abbruggiato
vivo
quello
scellerato
frate
domenichino
da
Nolla,
di
che
si
scrisse
con
le
passate:
heretico
obstinatissimo
et
avendo
di
suo
capriccio
formati
diversi
dogmi
contro
nostra
fede
et
in
particolare
contro
la
SS.
Ma
Vergine
et i
Santi,
volse
obstinatamente
morire
in
quelli
lo
scellerato;
et
diceva
che
moriva
martire
et
volentieri
et
che
se
ne
sarebbe
la
sua
anima
ascesa
con
quel
fumo
in
paradiso;
ma
ora
egli
se
ne
avede
se
diceva
la
verità”.
La
notizia
del
rogo
di
Bruno
è
riportata
anche
nei
Registri
della
Confraternita
di
S.
Giovanni
Decollato,
incaricata
di
accompagnare
al
supplizio
i
condannati
a
morte,
cercando
nel
contempo
di
farli
pentire,
con
i
confortatori.
Infatti,
nel
Registro
dell’anno
1600
è
scritto:
“Giovedi
a dì
16
febbraio
1600.
A
hore
due
di
notte
fu
intimato
alla
compagnia
che
la
mattina
si
doveva
fare
giustiziai
d’un
in
Ponte,
et
però
alle
sei
hore
di
notte,
radunati
li
confortatori
e
capellano
in
Sant’Orsola,
et
andati
alla
carcere
di
Torre
di
Nona,
entrati
nella
nostra
cappella
e
fatte
le
solite
orazioni,
ci
fu
consegnato
il
sottoscritto
a
morte
condennato
videlicet.
Giordano
del
quondam
Giovanni
Bruni,
frate
apostata
da
Nola
di
Regno,
eretico
impenitente;
il
quale
esortato
dai
nostri
fratelli
con
ogni
carità
e
fatti
chiamare
due
padri
di
San
Domenico,
due
del
Gesù,
due
della
Chiesa
Nuova
e
uno
di
san
Girolamo,
i
quali
con
ogni
affetto
et
con
molta
dottrina
mostrandoli
per
l’error
suo,
finalmente
stette
sempre
nella
sua
maledetta
ostinatione,
aggirandosi
il
cervello
e
l’intelletto
con
mille
errori
et
vanità,
et
anzi
perseverò
nella
sua
ostinatione
che
dai
ministri
della
giustizia
fu
condotto
in
Campo
di
Fiore
e
quivi
spogliato
nudo
e
legato
ad
un
palo
fu
brusciato
vivo,
acompagniato
sempre
dalla
nostra
Compagnia
cantando
le
letanie
e li
confortatori
sino
al
ultimo
punto
confortandolo
a
lassar
la
sua
ostinatione,
con
la
quale
finalmente
finì
la
sua
misera
et
infelice
vita”.