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storia & sport


N. 22 - Ottobre 2009 (LIII)

la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte X - Grenoble 1968

di Simone Valtieri

 

Per la decima edizione delle Olimpiadi della neve i membri del Cio scelgono di ritornare in Francia, il Paese in cui tutto era partito quarantaquattro anni prima, grazie allo svolgimento di quella “Settimana internazionale” in seguito nobilitata dal riconoscimento ufficiale della manifestazione come primi giochi olimpici invernali.

 

Stavolta l’evento si svolge a Grenoble, città di 160 mila abitanti che, nell’aggiudicarsi l’organizzazione dell’evento, supera per pochi voti l’agguerrita concorrenza di Calgary (Canada) e Lahti (Finlandia). La novità fondamentale, tra le 37 nazioni partecipanti (una in più rispetto a quattro anni prima), sta nel riconoscimento da parte del Cio del Comitato Olimpico della Ddr, la Repubblica Democratica Tedesca, e quindi nella partecipazione ai giochi di due rappresentative germaniche distinte, una con il nome di “Germania Est”, e l’altra con quello di “Germania Ovest” (Repubblica Federale Tedesca). Una distinzione formale però, visto che l’affiliazione ufficiale al Cio avverrà qualche mese più tardi con il superamento della disposizione Nato che vietava, dopo la seconda guerra mondiale, l’utilizzo del simbolo della Ddr nei Paesi affiliati.

Tuttavia le novità principali per i 1158 atleti iscritti alle prove sono altre: per la prima volta nella storia, a Grenoble verranno effettuati test antidoping e controlli sul sesso dei partecipanti. La decisione di istituire una commissione medica interna viene presa nel 1966 come contromisura agli avvenimenti degli anni precedenti, primi tra tutti casi esemplari riguardanti la morte del ciclista danese Jensen a Roma, 1960 in seguito al massiccio uso di anfetamine, e l’imbarazzante caso della pentathleta britannica Mary Peters che, agli europei di atletica leggera del 1966, aveva subito l’umiliazione di una “indagine manuale” per definirne il sesso. I controlli durante i giochi saranno una sessantina, tutti negativi, anche se prima dell’inizio della manifestazione la discesista austriaca Erika Schinegger era stata vittima degli stessi e definita “uomo” secondo i parametri di allora; ciò non le impedì, dopo il ritiro dalle competizioni, di sposarsi e partorire un figlio…

Non finiscono qui le innovazioni di questa olimpiade da grandeur: per la prima volta 600 milioni di persone nel mondo possono vedere i giochi in televisione a colori, le medaglie sono personalizzate con i simboli di ogni disciplina e viene inaugurata la tradizione di accompagnare ogni edizione dei giochi con una mascotte portafortuna, in questo caso “Schuss”, uno sciatore stilizzato dal “capoccione” rosso e dal corpo saettiforme. I giochi olimpici si aprono ufficialmente il 6 febbraio 1968 con l’accensione del sacro fuoco da parte di Alain Calmat. Il pattinatore francese, il cui battito del cuore durante l’ascesa al tripode sarà diffuso nello stadio dagli altoparlanti, pronuncerà anche il giuramento degli atleti sotto gli occhi del presidente Charles de Gaulle e di altri settantamila transalpini festanti. Francese sarà anche il protagonista assoluto dei giochi, Jean Claude Killy, sciatore alpino polivalente che farà suoi tutti e tre i titoli in palio, lasciando agli altri le briciole ed eguagliando lo storico primato di Toni Sailer. Il cognome glielo dà il padre, pilota di caccia originario dell’Irlanda, l’onomatopeico soprannome “Toutoune” la madre, che da piccolo lo sentiva tuffarsi nella neve fresca dal tetto della loro casa in Val d’Isere, accorgendosene dal “tu-tum” che produceva il suo impatto col suolo. Jean-Claude, vincitore delle prime due edizioni della coppa del mondo di sci alpino, è solo la punta dell’iceberg di una nazionale ricca di campioni che tingeranno di bleu la neve delle piste di Chamrousse.

Nessun podio della disciplina sarà orfano di sciatori di casa: Marielle Goitschel vincerà il suo secondo oro olimpico nella gara di slalom, precedendo la meteora canadese Nancy Greene, oro nel gigante, e la sua compagna di squadra Annie Famose, argento sempre nel gigante. Isabelle Mir, considerata ancora oggi come la più forte discesista francese di tutti i tempi, sarà argento nella libera, dietro soltanto all’austriaca Olga Pall, così come il suo compagno di squadra Guy Perillat che nella stessa prova al maschile arriverà a un pugno di centesimi da “Toutoune” Killy.

Ad Autrans si disputano le gare di sci nordico e a interrompere il monologo scandinavo ci pensa un mulinello italiano: il suo nome è Franco Nones e la sua tecnica sciistica è fatta di compassi brevi e rapidissimi che nessuno può o vuole imitare. I norvegesi, i finlandesi e gli svedesi, nel vedersi sorpassare con tanta foga dal ventisettenne di Castel di Fiemme, continuano a sciare sicuri che il suo crollo si sarebbe verificato di lì a pochi chilometri e che lo avrebbero facilmente recuperato. Ma quel crollo auspicato non arriverà, nonostante un breve momento di crisi, superato in pochi minuti, alla fine del quale troverà ad attenderlo lo storico oro, il primo di un atleta mediterraneo nella 30 km olimpica. Per il resto è come al solito un monologo norvegese, con i successi nelle staffette, di Gronningen e di Ellefsaeter nelle altre prove maschili, e svedese, con la stellina Toini Gustafsson, che fa sue la 5 km e la 10 km. Ma quella di Nones sarà una prima crepa nel muro, finora mai scalfito, degli scandinavi e dei sovietici, e non sarà nepure l’unica: nel salto ad aprire un altro varco è il cecoslovacco Jiri Raska, che ottiene l’oro nel trampolino normale e l’argento dietro al sovietico Belousov in quello grande, mentre nella combinata nordica è un tedesco occidentale, Franz Keller, ad aggiudicarsi l’unica prova in programma.

Dal budello ghiacciato dell’Alpe d’Huez arrivano uno scandalo firmato Ddr e ben tre ori per l’Italia. Gli ori sono quelli dei due bob pilotati dal “Rosso volante” Eugenio Monti, capace di conquistare entrambe le prove olimpiche in programma alla non verdissima età di 40 anni, e della slitta di Eva Lechner. Lo scandalo arriva proprio dalla gara che vede trionfatrice la ragazza di Valdaora, nella quale sono squalificate le tre atlete della Germania Est, colpevoli di viaggiare su slitte sotto le quali il ghiaccio non poteva attecchire e quindi accumularsi, visto che il loro allenatori avevano provveduto ad arroventare le lame dei pattini prima di ogni discesa.

 

I tedeschi dell’est si rifaranno tre giorni dopo vincendo regolarmente la prova di doppio maschile con Thomas Kohler e Klaus Bonsack, i quali si dovranno però accontentare rispettivamente dell’argento e del bronzo nella prova di singolo vinta dall’austriaco Manfred Schmid. Lame roventi, ma solo grazie al calore del pubblico, anche nel pattinaggio artistico, dove incantano i binomi sovietici Belousova-Protopopov e Zhuk-Gorelik, primi e secondi nella prova a coppie, e l’austriaco Schwarz, oro trentadue anni dopo Karl Schafer, ma dove ancor di più ad esaltare è la statunitense Peggy Fleming: la ventenne californiana vince l’oro nell’individuale femminile grazie ad un esercizio perfetto che incanta lo stadio del ghiaccio di Grenoble, sotto gli occhi attenti e commossi del suo allenatore Carlo Fassi. La ribalta olimpica, la bellezza e la spontaneità dimostrata le faranno percorrere, trent’anni dopo, una strada simile a quelle della bravissima Sonja Henie, diva sulle piste ma anche e soprattutto fuori.

Nel medagliere finale la battaglia per il primo posto è serrata e viene vinta dalla Norvegia grazie ad una medaglia in più rispetto all’Unione Sovietica (6 ori a 5, 14 medaglie totali contro 13) con l’ottimo terzo posto della rappresentativa di casa e lo storico quarto piazzamento dell’Italia. Gli scandinavi si aggiudicano il primato nel medagliere assoluto non grazie al biathlon (dove i due ori in palio se li dividono equamente il norvegese Magnar Solberg nella 20 km e la staffetta sovietica) né al pattinaggio di velocità, che vede un contesto variegato (atleti di sei diverse nazionalità sul gradino più alto del podio nelle otto gare in programma con tre ori per gli olandesi) dove la sfida tra nordici e sovietici finisce 1-1 grazie ai successi di Fred Anton Maier nei 5000 metri maschili e di Lyudmila Titova nei 500 femminili, ma nel fondo con i quattro ori che danno un margine incolmabile alla Norvegia. L’Urss risponde però conquistando una delle medaglie più prestigiose dell’intera manifestazione, quella del torneo di hockey su ghiaccio, terminato al primo posto in classifica davanti a Cecoslovacchia e Canada.



 

 

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