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N. 28 - Aprile 2010 (LIX)

la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XX - torino 2006

di Simone Valtieri

 

Ad appena due anni dal giorno in cui Roma vedeva svanire il suo sogno a cinque cerchi, superata nel rush finale per l’assegnazione delle olimpiadi estive del 2004 dalla capitale greca Atene, l’Italia può finalmente gioire per la conquista dei suoi terzi giochi casalinghi (dopo Cortina 1956 e Roma 1960) grazie a Torino. Il capoluogo piemontese si aggiudica la rassegna invernale nella sessione di Seul del 19 giugno del 1999, superando per 53 voti a 36 la svizzera Sion, alla terza sconfitta consecutiva. Gli artefici della riuscita candidatura piemontese, che coinvolge nel progetto anche i centri alpini di Sestriere, Pinerolo, Bardonecchia, Pragelato, Cesana e Sauze d’Oulx, sono principalmente la presidentessa del comitato promotore, la torinese doc Evelina Christillin, con un passato da discreta sciatrice, ed il compianto avvocato Gianni Agnelli, presidente della più nota azienda automobilistica italiana.

 

Al 10 febbraio 2006, data delle cerimonia inaugurale dei XX giochi olimpici invernali, si arriva dopo sette anni di turbolenze passati tra macchinosi appalti e buchi economici milionari, a cui Governo e Comune faranno fronte non senza difficoltà. Ci si mettono poi anche altre complicazioni a movimentare la situazione, come le polemiche locali sull’alta velocità in Val di Susa che provocano le proteste degli abitanti al passaggio della fiamma olimpica, o come la disputa tra Cio e Stato sulle leggi riguardanti il doping che in Italia prevedevano l’arresto dell’atleta pescato positivo ai controlli. Ad ogni modo si arriva alla fatidica data con tutti gli impianti pronti, tra i quali il rinnovato stadio comunale, un gioiellino da 27.000 posti che dopo i giochi diventerà la casa del Torino Calcio e provvisoriamente anche della Juventus, ed altri pregevoli impianti, come l’Oval Lingotto per il pattinaggio velocità, il Palaisozaki per l’hockey su ghiaccio ed il ristrutturato PalaVela per il pattinaggio artistico e lo short track. Fuori Torino vengono costruiti la nuovissima pista da bob di Cesana-Pariol ed i trampolini per il salto a Pragelato.

                                             

La cerimonia di apertura, tanto suggestiva quanto imponente, vede sfilare i rappresentanti di 80 nazioni e culmina con l’accensione del tripode da parte di Stefania Belmondo, la fondista azzurra preferita, dopo una serratissima concorrenza interna, alla collega Manuela Di Centa e alle glorie dell’alpino Alberto Tomba e Deborah Compagnoni. Gli atleti partecipanti sono 2508, di cui quasi un migliaio le donne, e gareggiano in 84 gare. Le novità rispetto a Salt Lake City sono sei: due gare ad inseguimento nel biathlon, due gare a squadre nel pattinaggio velocità e due prove di “cross” nello snowboard. Sul fronte doping l’unica squalifica sarà quella della russa Olga Pyleva, privata della medaglia d’argento nella 15 km femminile, mentre desteranno scalpore le perquisizioni a sorpresa dei carabinieri nell’hotel riservato alle squadre austriache di sci, fondo e biathlon, dopo l’avvistamento in albergo di Walter Mayer, già coinvolto in uno scandalo a Salt Lake City.

 

Forse a causa dei tempi che cambiano, della concorrenza che si infittisce e delle prestazioni che appaiono sempre più estreme e livellate, riuscire a vincere due medaglie d’oro individuali nella stessa edizione dei giochi inizia a diventare un’impresa ben più ardua che in passato. Ci riescono pochi atleti a Torino, uno dei quali è il coreano dello short track Ahn Hyun-Soo, che riporta i successi sui 1.000 e 1.500 metri, centrando il bronzo nella distanza più breve, i 500 metri vinti dall’idolo americano Apolo Anton Ohno, e completa il filotto con la vittoria in staffetta, per un totale di quattro medaglie su quattro partecipazioni: è lui l’uomo dei giochi. Anche la cinese Wang Meng potrebbe insidiare il suo primato, grazie all’oro vinto nei 500 e ad un argento e un bronzo conquistati nelle altre prove vinte entrambe dalla formidabile coreana Sun Yu-Jin, ma una squalifica della squadra cinese in staffetta glielo impedisce, consentendo tra l’altro il terzo oro della Sun con la sua Corea e la conquista della centesima medaglia assoluta per l’Italia alle Olimpiadi invernali con le ragazze guidate dalla appena sedicenne Arianna Fontana.

 

Dal biathlon arriva un altro grande protagonista: il tedesco Michael Greis, che torna al di là delle Alpi con tre medaglie d’oro in tasca (due individuali ed una in staffetta), contribuendo insieme al suo esperto compagno di squadra Sven Fischer (un oro nella 10 km ed un bronzo dietro al francese Vincent Defrasne ed al mito Ole-Einar Bjørndalen nell’inseguimento) all’affermazione tedesca nel medagliere assoluto. Dal canto suo Bjørndalen, alla terza apparizione ai giochi, incamera complessivamente tre piazzamenti sul podio, con i quali raggiunge quota nove medaglie totali, ancora in scia ad un altro mito, Bjørn Daehlie, l’atleta più decorato della storia olimpica invernale con dodici medaglie. L’unica donna a tornare da Torino con più di un oro è la russa Svetlana Ishmuriatova che domina la 15 km e contribuisce all’oro della staffetta, davanti alle fortissime tedesche. Nella 7,5 km sprint si impone la francese Florence Beverel-Robert di un paio di secondi davanti ad Anna-Carin Olofsson, svedese, che si rifarà poi col titolo nella prova mass-start, vinto abbastanza nettamente su un’altra campionessa olimpica torinese, la tedesca Kati Wilhelm, pochi giorni prima oro nell’inseguimento.

 

A riuscire nell’impresa dei due ori individuali sono anche i due sciatori austriaci Benjamin Raich (gigante e slalom) e Michaela Dorfmeister (discesa e superG), punte di diamante di una spedizione forse irripetibile. Il Wünderteam conquista con loro quattro ori, che si vanno ad aggiungere ai tre argenti e cinque bronzi firmati da un nugolo di fenomeni: Michael Walchhofer è secondo tra gli uomini-jet dietro alla sorpresa francese Antoine Deneriaz, Hermann Maier lo eguaglia in superG dietro al poliedrico norvegese Kjetil-André Aamodt aggiungendovi il bronzo nel gigante. Stesso bottino per Marlies Schild, argento in combinata dietro alla dominatrice di Salt Lake City, la croata Janica Kostelic, e terza nello slalom speciale dietro alla svedese Anja Paerson ed alla compagna di squadra Nicole Hosp. C’è anche l’argento di Reinfried Herbst, nuovo fenomeno tra i pali stretti, dietro al compagno Raich e davanti all’istrione Rainer Schönfelder (bronzo anche in combinata dietro all’americano Ted Ligety), in un podio tutto austriaco che vede l’ingombrante assenza di Giorgio Rocca, lo slalomista azzurro favorito alla vigilia grazie alle cinque gare consecutive vinte in coppa, ma fuori dopo appena 35 secondi tra i non impossibili pendii del Sestriere. Il silenzio più assordante che si ricordi tra le Alpi torinesi. Manca all’appello solo la prova del gigante femminile, l’unica senza austriaci a podio (quarta Nicole Hosp) e vinta dalla frizzante americana Julia Mancuso.

 

Tra le colline di Pragelato-Plan emerge la regina dello sci di fondo olimpico, l’estone Kristina Smigun, arrivata per dominare le prove sui 10 km a tecnica classica e sui 15 km con doppia tecnica. Variegate e non prive di risultati a sorpresa le altre prove al femminile: la ceca Katerina Neumannova batte sul traguardo dei 30 km sia la veterana russa Julia Tchepalova (che manca il bis dopo l’oro in staffetta con le compagne Baranova, Kurkina e Medvedeva, davanti a tedesche e italiane) sia la potente polacca Justyna Kowalczyk, mentre dalle prove sprint emergono le svedesi Anna Dahlberg-Lina Andersson tra le coppie e la sorprendente canadese Chandra Crawford. Due gli uomini con due ori al collo dopo Torino 2006. Il primo è sicuramente l’uomo copertina della disciplina a questi giochi: Giorgio Di Centa, fratello minore dell’eroina norvegese Manuela, che vince la 50 km finale e viene premiato, come Stefano Baldini due anni prima, durante la cerimonia conclusiva dei giochi. Di Centa vince anche l’oro in staffetta, insieme a Fulvio Valbusa, Pietro Piller-Cottrer (terzo nella 30 km davanti proprio a Giorgio e dietro al russo Evgeny Dementiev) e Christian Zorzi che in ultima frazione si concede il lusso di avanzare in scioltezza per tutto il rettilineo finale. L’altro atleta simbolo è lo svedese Björn Lind, capace di vincere l’oro sia nello sprint a tecnica classica che in quello, in coppia con Thobias Fredriksson, a tecnica libera. L’ultimo oro in rassegna, il primo cronologicamente, è quello dell’estone Andrus Veerpalu nella 15 km a tecnica classica, e per la nazione baltica gli ori totali sono tre, in un’edizione dei giochi con tutta probabilità irripetibile.

 

Due pass per la leggenda vengono ritirati sulla linea del traguardo del budello olimpico di Cesana-Pariol da due formidabili atleti accomunati dall’accento germanico. Uno è André Lange, pilota esperto quanto veloce che guida i due bob tedeschi alla doppietta vincendo sia nel “due” che nel “quattro” il titolo olimpico. L’altro è lo slittinista altoatesino Armin Zoeggeler, al secondo oro consecutivo ed alla quarta medaglia complessiva su quattro partecipazioni. Sulla stessa pista arriva l’en-plein dei bob tedeschi grazie alla coppia Sandra Kiriakis-Anja Schneiderheinze, e nello slittino doppio il bronzo di Gerda Weissensteiner (con frenatrice Jennifer Isacco), con cui la pilota bolzanina suggella una carriera culminata con l’oro nello slittino singolo a Lillehammer ’94. La supremazia tedesca sulla pista di Cesana si estende anche alle slitte al femminile con un podio tutto occupato dalle tre fuoriclasse Sylke Otto, Silke Kraushaar e Tatjana Hüfner, mentre il doppio maschile Florschütz-Wustlich deve accontentarsi dell’argento dietro ai fratelli austriaci Wolfgang ed Andreas Linger e davanti all’impronunciabile coppia italiana composta da Gerhard Plankensteiner ed Oswald Haselrieder. Nello skeleton invece gli ori vanno al canadese Duff Gibson ed alla svizzera Maya Pedersen.

 

Il più medagliato atleta azzurro di quest’edizione viene da Asiago e risponde al nome di Enrico Fabris, pattinatore. Il vicentino infiamma gli ottomila dell’Oval Lingotto aggiudicandosi l’oro nei 1.500 metri con una progressione impressionante sfogata tutta negli ultimi due giri. Un marchio di fabbrica, quello della partenza lenta e dell’arrivo su ritmi impossibili, che lo renderà celebre e gli permetterà di ottenere altri importanti successi. Fabris, già bronzo nella giorno del debutto sui 5.000 grazie ad una gara condotta con copione analogo e terminata a pochi secondi dall’americano Chad Hendrick e dall’olandese Sven Kramer, aveva già conseguito l’oro pochi giorni prima insieme ai compagni di squadra Matteo Anesi e Ippolito Sanfratello nella nuovissima disciplina dell’inseguimento a squadre. Tre i record di cui si fa artefice il pattinatore azzurro: prima medaglia assoluta, primo oro a squadre e primo titolo individuale che il pattinaggio di velocità azzurro abbia mai conquistato ai giochi. Un miracolo, per un movimento che conta meno di cento atleti praticanti. Il titolo sui 1.500 era arrivato davanti al favoritissimo Shani Davis, americano, che pochi giorni prima era diventato il primo olimpionico nero sul ghiaccio grazie all’oro sui 1.000 metri vinti davanti al compagno di squadra Joey Cheek, l’oro dei 500. I 10.000 vengono vinti dall’olandese Bob De Jong mentre al femminile nessuna atleta conquista più di un oro, sia a squadre che individualmente. La russa Svetlana Zhurova sorprende tutti sui 500 metri, le olandesi Marianne Timmer e Iren Wust vincono rispettivamente 1.000 e 3.000 metri, le canadesi Cindy Klassen (seconda nei 1.000 per soli 4 centesimi) e Clara Hughes sono le olimpioniche sui 1.500 e 5.000 metri. L’oro dell’inseguimento finisce invece nella bacheca delle fortissime tedesche, solo piazzate nelle distanze singole ma quasi imbattibili a squadre.

 

Nelle più antiche discipline, quelle di salto e combinata nordica, a farla da padrone sono gli austriaci. Thomas Morgenstern vince l’oro nel K120 e nella gara a squadre insieme ai fortissimi compagni Martin Koch, Andreas Kofler (argento nel K120) e Andreas Widhölzl, mentre nella gara dal trampolino piccolo K90 sono gli scandinavi a monopolizzare il podio con l’oro del norvegese Lars Bystøl davanti al finlandese Matti Hautamaeki ed all’altro norvegese Roar Ljøkelsøy (bronzo nel K120). Nella combinata sfiora la tripletta l’austriaco Felix Gottwald che è argento nella Gundersen dietro al tedesco Georg Hettich, ma che vince con autorevolezza sia la sprint che la prova a squadre.

 

Greis, Ishmuriatova, Raich, Dorfmeister, Fabris, Di Centa, Gottwald, Morgenstern, Lange, Smigun, Ahn: non sono solo questi gli atleti che passano agli annali dopo Torino 2006. Nelle discipline specializzate, quelle da una prova ogni quattro anni senza possibilità di errore, sono altri i nomi da ricordare. Ci sono in primis i pattinatori russi che incantano il Palavela con le loro acrobazie conquistando tre ori, guidati da Evgeny Plushenko, capace di rimpicciolire fenomeni del calibro dello svizzero Stephane Lambiel e del canadese Jeffrey Buttle. Tatiana Totmianina e Maxim Marinin si impongono davanti a ben abbinamenti cinesi nel pattinaggio a coppie, mentre Tatiana Navka e Roman Kostomarov vincono una prova di danza equilibrata e con almeno sei coppie sugli stessi livelli. Quella della danza è anche la gara della delusione per gli azzurri Barbara Fusar-Poli e Maurizio Margaglio, in testa dopo il programma corto ma autori di una caduta che li ha relegati al sesto posto finale. Grande è anche il rammarico legato all’individuale femminile e alle molteplici imperfezioni di Carolina Kostner, giovanissima portabandiera italiana che non regge la  pressione e perde l’occasione della vita per vincere l’oro olimpico in casa. Finirà nona, mentre l’oro volerà con balzi tripli fino al Giappone grazie alla minuta ed aggraziata Shizuka Arakawa.

 

Dalle discipline acrobatiche arrivano tanto spettacolo e qualche sorpresa. Mentre nello snowboard i fratelli Philipp (oro anche a Salt Lake City) e Simon Philipp Schoch si dividono i primi due posti nel gigante parallelo e il “pomodoro volante” Shaun White compie acrobazie mirabolanti che gli permettono di conquistare uno strepitoso oro nell’halfpipe, nessuno si aspetta che a vincere lo snowboarder-cross femminile non sia Lindsey Jacobellis. La prova, appena inserita nel programma olimpico, consiste in una discesa a quattro di un tortuoso percorso, costellato da salti e curve paraboliche. Sull’ultimo salto prima del traguardo la statunitense Jacobellis è talmente sicura di vincere che regala al pubblico un’acrobazia di giubilo. Nell’atterrare però, si sbilancia e finisce con le natiche sulla neve, perdendo velocità quel tanto che basta per farsi superare sulla linea dalla, finora staccatissima, svizzera Tanja Frieden. La prova maschile viene vinta dall’americano Seth Wescott, mentre la svizzera Daniela Meuli e l’americana Hannah Teter si aggiudicano rispettivamente gli ori nel gigante parallelo e nel “mezzo-tubo”.

 

Dal freestyle arrivano gli ori del cinese Han Xiaopeng e della svizzera Evelyne Leu nei salti, mentre nelle gobbe la canadese Jennifer Heil priva del bis olimpico la ragazza più hot sulla neve, la norvegese Kari Traa che nel frattempo era diventata famosa anche per degli scatti osé pubblicati da una rivista scandinava. Oro per l’australiano Dale Begg-Smith nelle gobbe al maschile. Nulla di strano, se a conseguirlo non fosse un brillante tecnico informatico, già noto come “Spam-man”, celebre per aver inventato un metodo di pubblicità telematica piuttosto diffuso e fastidioso: il “pop-up”.

 

Nelle prove a squadre sono due le nazioni a gioire per quattro ori: Canada e Svezia. Quello più rilevante è il titolo vinto nell’hockey ghiaccio maschile dal team scandinavo, guidato dal fuoriclasse Peter Forsberg, capace di superare in finale la Finlandia per 3-2. Fuori ai quarti i favoriti canadesi e statunitensi, e in semifinale Russia e Repubblica Ceca, quest’ultima consolata dalla medaglia di bronzo per un podio olimpico tutto europeo. Il Canada si rifà vincendo il titolo femminile, così come anche quello (scontato) nel curling maschile. L’ultimo titolo che va ad iscriversi negli albi olimpici è quello delle curlers svedesi, olimpioniche di misura per 7-6 sulla Svizzera, grazie alla precisione dell’ultima stone lanciata dalla skipper Eva Lund. I giochi torinesi, che hanno sorpreso il mondo per efficienza e bellezza degli scenari, vanno in archivio con la supremazia degli atleti tedeschi, capaci di conquistare 29 medaglie di cui 11 ori, davanti ad un serrato sciame di paesi con più di venti podi: Stati Uniti, Austria, Russia e Canada. L’Italia chiude al nono posto con cinque ori e sei bronzi, dietro, per numero di ori, anche a Svezia, Corea del Sud e Svizzera, ma davanti a Francia, Olanda e, sorprendentemente, Norvegia, mai così in basso nel computo delle vittorie: due, contornate da otto argenti e nove bronzi.



 

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