.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
|
N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XV - calgary 1988
di Simone Valtieri
Leggi
“Calgary”
e
pensi
ad
Alberto
Tomba.
Un
tedesco
pensa
a
Katarina
Witt,
un
finlandese
a
Matti
Nykänen
e,
persino
un
giamaicano,
può
pensare
alle
olimpiadi
della
neve,
grazie
a
un’
improbabile
squadra
di
bob.
Ma
un
italiano,
nel
leggere
il
nome
di
quella
città
canadese
che
in
indiano
significa
“acqua
che
scorre”,
non
può
che
ricordarsi
la
deflagrazione
della
“Bomba”
bolognese.
Storie
di
un’olimpiade,
la
quindicesima,
che
vede
la
riappacificazione
sportiva
tra
i
due
blocchi
contrapposti,
dopo
anni
di
tensioni,
sfociate
più
ruvidamente
durante
i
giochi
estivi
(coi
boicottaggi
di
Montreal,
Mosca
e
Los
Angeles)
ma
fortemente
avvertite
anche
a
quelli
invernali.
Il
Canada
aveva
già
provato
senza
fortuna
l’avventura
olimpica
nel
1964,
1968,
1972
e
1976.
La
volta
buona
è
per
i
giochi
del
1984,
grazie
soprattutto
a
uno
stanziamento
da
200
milioni
di
dollari
più
altri
due
raccolti
dai
cittadini
di
Calgary
con
l’autotassazione
di
cinque
dollari
a
testa.
Al
quinto
tentativo
Calgary
batte
49-31
la
concorrenza
di
Falun,
la
patria
dello
sci
nordico
svedese,
grazie
anche
ai
voti
di
chi
al
primo
turno,
cioè
18
delegati,
aveva
appoggiato
la
candidatura
italiana
di
Cortina
d’Ampezzo.
I
giochi
di
Calgary
rappresentano
una
tappa
fondamentale
per
il
movimento
olimpico,
in
quanto
dal
1988
viene
liberalizzata
la
presenza
degli
atleti
professionisti
e
degli
sponsor.
Il
business
si
ritaglia
uno
spazio
sempre
più
importante
ed i
giorni
di
gara
passano
dai
dodici
previsti
ai
sedici,
per
includere
tre
weekend
di
trasmissione
nella
tv
nord-americana.
In
programma
ci
sono
per
la
prima
volta
anche
gare
di
tre
sport
dimostrativi,
curling,
freestyle
e
short
track,
che
entreranno
di
lì a
breve
nel
programma
olimpico.
La
provincia
dell’Alberta
si
apre
al
mondo
il
13
febbraio
1988,
accogliendo
1423
atleti
(di
cui
315
donne)
provenienti
da
ben
57
paesi.
Il
più
esotico?
Senza
dubbio
la
Giamaica.
La
partecipazione
olimpica
della
nazione
caraibica
desta
un
interesse
clamoroso.
Quattro
neri
su
un
bob
non
si
erano
mai
visti.
La
storia
è
leggermente
diversa
da
quella
romanzata
da
un
noto
film
della
Disney,
“Cool
Runnings
– 4
sotto
zero”,
dedicato
alla
vicenda.
Nella
realtà
il
colonnello
Alan
Douglas
conosce
il
bob
vedendolo
sulla
televisione
americana
e
coinvolge,
nella
folle
idea
di
creare
un
team
nazionale,
il
capitano
dell’aeronautica
Dudley
Stokes,
discreto
calciatore.
Lo
stesso
Stokes
si
incarica
di
trovare
tre
volontari
(tra
cui
un
cantante
reggae)
disposti
a
cimentarsi
nell’impresa
e,
grazie
ad
uno
sponsor,
i
cinque
possono
volare
ad
Igls,
in
Austria,
a
vedere,
per
la
prima
volta
in
vita
loro,
neve,
ghiaccio
e un
bob.
Pochi
mesi
dopo,
ai
giochi,
i
giamaicani
saranno
trentesimi
su
trentotto
partenti
nel
bob
a
due
e
non
finiranno
la
gara
in
quello
a
quattro,
in
entrambi
i
casi
lontani
dai
campioni
olimpici
di
Unione
Sovietica
e
Svizzera.
Questo
per
loro
non
sarà
altro
che
il
punto
di
partenza:
a
Lillehammer,
nel
1994,
i
sorprendenti
ragazzi
caraibici
arriveranno
decimi
e
quattordicesimi,
sbalordendo
il
mondo
intero.
Chi
sbalordisce,
e
nello
stesso
tempo
incanta,
è
anche
la
pattinatrice
Katarina
Witt.
Mai
un’atleta
sul
ghiaccio
aveva
coniugato
tanto
fascino
e
bravura.
La
sfida
che
la
oppone
all’americana
Debra
Thomas
passerà
alla
storia
come
il
“duello
delle
Carmen”,
visto
il
tema
scelto
per
l’interpretazione
del
programma
libero.
Katarina
sarà
impeccabile,
Debra,
complice
un
errore,
scivolerà
al
terzo
posto,
dietro
alla
canadese
Elizabeth
Manley.
Dopo
i
giochi
la
Witt
si
ritirerà,
vivendo
per
anni
della
sua
popolarità.
Si
faranno
bicchieri
stampati
sulle
sue
forme,
gioielli
da
lei
immaginati
ed
il
numero
di
playboy
con
la
sua
immagine
in
copertina
sarà
secondo,
per
copie
vendute,
soltanto
a
quello
in
cui
apparve
Mariliyn
Monroe.
Tornerà
sul
ghiaccio
sei
anni
più
tardi
per
riappropriarsi
del
brivido
olimpico,
terminando
ottava.
Sul
fronte
maschile
arriva
il
secondo
argento
per
i
beniamini
del
pubblico
canadese.
Ad
ottenerlo
è
Brian
Olser,
uscito
sconfitto
per
pochi
punti
dalla
battaglia
serrata
con
un
altro
Bryan,
l’americano
Boitano.
Boitano
è
avanti
nel
tecnico,
Olser
nel
libero,
i
due
rivali,
amici
nella
vita,
sono
separati
da
un
solo
decimo
di
punto,
fatto
che
getta
nello
sconforto
i
quindicimila
assiepati
sulle
tribune
del
Saddledome.
Nelle
coppie
e
nella
danza
il
copione
recita
Urss
con
Gordeyeva-Grinkov
e
Bestemianova-Bukin
all’oro,
questi
ultimi
dopo
l’argento
di
Sarajevo.
Il
ghiaccio
veloce
racconta
la
storia
di
Christa
Rothenburger,
sposata
Luding,
che
dopo
aver
vinto
l’oro
nei
1500
e
perso
l’argento
nei
500
dismette
i
pattini
e
sale
in
sella
ad
una
bicicletta
per
volare
sul
podio
olimpico
di
Seul,
pochi
mesi
più
tardi.
Sarà
l’unica
atleta
nella
storia
a
vincere
una
medaglia
olimpica
estiva
ed
invernale
nello
stesso
anno,
primato
ormai
ineguagliabile
a
causa
del
recente
sfalsamento
delle
date
tra
i
due
eventi.
A
toglierle
la
medaglia
più
pregiata
nei
500
è
l’americana
Bonnie
Blair.
Christa
aveva
appena
fatto
segnare
il
nuovo
record
del
mondo
con
39.12.
Bonnie
fa
di
più:
39.10
e
primo
oro
olimpico
della
sua
carriera.
Ne
vincerà
altri
quattro,
due
dei
quali
sempre
nella
gara
breve,
diventando
l’unica
pattinatrice
della
storia
a
trionfare
i
tre
edizioni
consecutive
nella
stessa
gara.
Ma
l’atleta
più
vincente
di
Calgary
è
un’altra:
l’olandese
Yvonne
Van
Gennip,
che
solo
due
mesi
prima
dell’inizio
delle
gare
era
in
un
letto
d’ospedale
con
un’infezione
al
piede
destro
che
le
doveva
pregiudicare
la
presenza
olimpica.
Sarà
triplo
oro
per
lei,
che
dominerà
le
prove
sui
1.500,
3.000
e
5.000
metri,
facendo
segnare
in
due
occasioni
record
del
mondo
sensazionali.
In
campo
maschile
l’unico
a
tornare
a
casa
da
Calgary
con
più
di
una
medaglia
d’oro
è lo
svedese
Tomas
Gustafson,
che
si
impone
nei
5.000
e
10.000
metri.
Il
resto
è
palcoscenico
di
Germania
Est,
due
ori
con
record
del
mondo
per
Uwe-Jens
Mey
e
André
Hoffmann,
e
Unione
Sovietica,
con
il
titolo
di
Nikolay
Gulyaev
nei
1.000
davanti
proprio
a
Mey.
Il
Saddledome
ospita
anche
le
più
importanti
gare
del
torneo
di
hockey
che
vede
per
l’ultima
volta
la
firma
nell’albo
d’oro
dell’Urss.
Solo
vittorie
per
lo
squadrone
sovietico
fino
alla
conquista
del
titolo,
prima
di
cedere
per
2-1
nell’ultima
ininfluente
partita
con
la
Finlandia,
argento.
In
realtà,
anche
dopo
la
caduta
del
muro
di
Berlino,
lo
stesso
team
sarà
presente,
per
l’ultima
volta,
alle
Olimpiadi
di
Albertville
1992
sotto
la
denominazione
di
“Comunità
di
Stati
Indipendenti”,
nome
che,
di
fatto,
descrive
solo
l’unione
sportiva
di
tanti
stati
ormai
non
più
uniti.
Una
curiosità.
Il
primo
caso
di
doping
dell’Hockey
viene
registrato
nella
partita
Polonia-Francia,
persa
a
tavolino
dalla
formazione
est-europea
in
cui
gioca
Jarsolav
Morawiecki,
positivo
agli
anabolizzanti
e
squalificato.
Le
gare
di
salto
dal
trampolino
presentano
più
di
uno
spunto
interessante
e
consegnano
alla
storia
il
nome
del
campione
maledetto
Matti
Nykänen.
Il
finlandese
è il
più
bravo
e
veloce
di
tutti
ad
apprendere
il
B-Style,
la
nuova
tecnica
di
salto
ideata
pochi
anni
prima
dallo
svedese
Boklov.
Una
rivoluzione,
per
rendere
l’idea,
paragonabile
a
quella
portata
da
Rick
Fosbury
nel
salto
in
alto
grazie
al
suo
scavalcamento
dorsale.
Nykänen
vince
tutto
il
possibile:
due
ori
individuali
e
uno
di
squadra,
prima
di
ritirarsi
rimanendo
sempre
all’onore
delle
cronache
per
le
sue
vicende
extrasportive.
I
giornali
del
2004
che
parlano
del
suo
arresto
con
l’accusa
di
omicidio,
vendono
in
patria
più
copie
che
il
12
settembre,
giorno
successivo
all’attentato
alle
torri
gemelle.
L’antitesi
in
tutto
e
per
tutto
di
Nykänen
è il
britannico
Eddy
“The
Eagle”
Edwards.
Ultimo
in
entrambe
le
prove
dal
trampolino,
verrà
perfino
citato
nel
discorso
di
chiusura
dei
giochi
da
Juan
Antonio
Samaranch
per
il
suo
straordinario
attaccamento
allo
sport.
Per
essere
ai
giochi
Edwards
le
aveva
provate
tutte:
judo,
pallavolo,
badminton,
tennis,
equitazione,
oltre
a
karate
e
kung-fu.
Ci
riuscirà
proprio
col
trampolino,
nonostante
il
parere
contrario
dei
giudici
a
causa
della
pericolosità
della
disciplina
ai
non
avvezzi,
dove
tra
capitomboli
e
salti
di
pochi
metri,
raccoglierà
le
più
grandi
ovazioni
del
pubblico.
Canmore,
sito
dello
sci
di
fondo,
è
terreno
di
caccia
dei
Sovietici.
L’unico
ad
impensierirli
in
campo
maschile
è il
fuoriclasse
svedese
Gunde
Svan,
che
si
imporrà
in
una
tiratissima
50
km
davanti
all’italiano
Maurilio
De
Zolt,
folletto
imbottito
di
coraggio
e
determinazione
che
a 37
anni
riesce
a
conquistare
una
medaglia
olimpica
nella
gara
più
dura
(non
sarà
l’ultima).
Svan
porterà
anche
la
sua
Svezia
sul
gradino
più
alto
del
podio
in
staffetta,
davanti
alla
fortissima
Unione
Sovietica
di
Vladimir
Smirnov,
Mikhail
Devyatyarov
(oro
nella
15
km)
e
Alexei
Prokourorov
(campione
nella
30
km).
Tra
le
donne
il
predominio
è
più
marcato
e
l’unico
oro
che
sfugge
allo
squadrone
euroasiatico
è
quello
della
5
km,
per
poco
più
di
un
secondo
appannaggio
della
finlandese
Marjo
Matikäinen
su
Tamara
Tikhonova.
La
Tikhonova
si
rifarà
vincendo
la
20
km e
conquistando
l’oro
della
staffetta
con
una
squadra
talmente
forte
che
può
permettersi
il
lusso
di
escludere
Vida
Venciene,
oro
nella
10
km,
ed
una
giovanissima
Raisa
Smetanina
che
a
Calgary
conquista
le
prime
due
medaglie
olimpiche
di
una
carriera
straordinaria.
Da
un
predominio
rosso
all’altro,
la
Germania
Est
fa
sue
tutte
le
prove
dello
slittino
grazie
a
Jens
Müller,
al
doppio
Hoffmann-Pietzsch
e a
Steffi
Walter,
Martin
da
sposata,
che
bissa
l’oro
di
Sarajevo.
Ori
tedeschi
orientali
anche
per
il
dominatore
del
biathlon,
Frank
Peter
Rötsch,
cui
non
riesce
l’en
plein
a
causa
dell’Urss
di
Valery
Medvedtsev,
oro
in
staffetta
e
vice-campione
olimpico
nelle
altre
due
gare.
Da
registrare
due
medaglie
italiane
grazie
a
Johan
Passler
nella
20
km
ed
alla
staffetta,
entrambi
di
bronzo.
Gli
ori
della
combinata
nordica
dello
svizzero
Hippolyt
Kempf
e
della
Germania
Ovest
nella
nuovissima
prova
a
squadra
non
riguardano
prettamente
il
duello
per
la
conquista
del
medagliere
totale,
che
è un
discorso
privato
tra
le
due
nazioni
abituali.
Stavolta
ha
la
meglio
l’Unione
Sovietica
con
ben
29
medaglie
(un
record)
ed
11
ori,
contro
i 25
podi
complessivi
della
Repubblica
Democratica
Tedesca
conditi
da 9
titoli.
Dietro
di
loro
la
sorprendente
Svizzera,
la
Finlandia
e la
Svezia.
Lo
sci
alpino
è un
discorso
a
parte,
riservato
esclusivamente
ai
paesi,
appunto,
alpini.
Su
un
Mount
Allen
sferzato
dal
Cinhook,
un
vento
capace
di
portare
sbalzi
di
temperatura
vicini
ai
quaranta
gradi,
i
protagonisti
sono
molteplici.
La
novità
è
l’inserimento
nel
programma
di
due
nuove
prove
sia
al
maschile
che
al
femminile:
esordisce
il
Super-G,
un
ibrido
tra
la
discesa
libera
e lo
slalom
gigante,
e
torna
la
vecchia
combinata,
da
assegnare
con
punteggi
ricavati
in
due
gare
tra
discesa
e
slalom
speciale.
I
primi
olimpionici
delle
discipline
sono
i
due
austriaci
Hubert
Strolz
e
Anita
Wachter
nelle
combinate,
il
francese
Franck
Piccard
e
l’altra
austriaca
Sigrid
Wolf
nei
due
super
giganti.
Le
discese
sono
per
la
tedesca
dell’ovest
Marina
Kiehl
e
per
il
polivalente
campione
svizzero
Pirmin
Zurbriggen,
ma è
tra
i
pali
stretti
che
avviene
la
rivoluzione.
Due
sono
i
nomi,
uguale
è il
loro
palmares
di
queste
olimpiadi,
ma
diverso
è
l’impatto
sul
pubblico
mondiale:
Vreni
Schneider
ed
Alberto
Tomba.
La
Schneider
è
una
furia,
sembra
sfogare
in
pista
la
rabbia
di
una
vita
difficile
che
l’ha
privata
sin
da
piccola
della
madre
ma
non
del
padre,
il
calzolaio
del
paese,
che
la
cresce
e la
sostiene
nella
sua
passione
per
gli
sci.
Sulla
neve
Vreni
è
senza
freni,
divora
i
pali
stretti
dello
slalom
e
quelli
un
po’
più
larghi
del
gigante,
lasciando
le
briciole
agli
avversari
e
conquistando
entrambi
gli
ori.
Alberto
Tomba
è un
fenomeno.
Il
ragazzone
bolognese,
già
autore
di
buone
prove
in
Coppa
del
Mondo,
è
una
ventata
di
aria
fresca.
Esuberante,
spensierato,
guascone,
eccessivo
in
pista
e
fuori.
Gli
aggettivi
si
sprecano
ma
servono
a
descrivere
quello
che
questo
sciatore
emiliano
è
stato
per
lo
sci
alpino.
Oltre
ad
essere
un
funambolo
sugli
sci,
Alberto
è un
comunicatore
eccezionale,
molte
volte
sopra
le
righe,
ma
anche
grazie
a
questo
diventa
un
personaggio,
proprio
quello
di
cui
lo
sci
aveva
bisogno
per
issarsi
a
sport
di
interesse
globale.
Calgary
segna
l’inizio
dell’era
Tomba
e lo
fa
anticipando
quello
che
sarà
il
copione
dei
successivi
dieci
anni
di
gara
tra
i
pali
stretti.
Per
Alberto
sono
due
gli
ori:
quello
dominato
dello
slalom,
in
cui
già
dopo
la
prima
manche
aveva
salutato
la
compagnia
e
rifilato
un
secondo
a
tutti
quanti,
e
quello
inatteso
del
gigante,
dove
per
sei
centesimi
riesce
a
superare
il
tedesco
dell’ovest
Frank
Wörndl.
L’Italia
è
stregata
da
Albertone,
capace
anche
di
riuscire
nell’impresa,
inusuale
per
l’epoca,
di
interrompere
il
festival
di
Sanremo
per
far
trasmettere
la
sua
discesa
in
diretta
sulla
prima
rete
della
Rai.
L’applauso
dell’Ariston
e di
tutta
l’Italia
è
solo
per
lui.
|
|
|
GBe
edita e pubblica:
.
-
Archeologia e Storia
.
-
Architettura
.
-
Edizioni d’Arte
.
- Libri
fotografici
.
- Poesia
.
-
Ristampe Anastatiche
.
-
Saggi inediti
.
.
InStoria.it
|