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storia & sport


N. 22 - Ottobre 2009 (LIII)

la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XI - Sapporo 1972

di Simone Valtieri

 

Nel 1972 il circo bianco olimpico sbarca in estremo oriente. Il Giappone, dopo la futuristica esperienza di Tokyo 1964, vuole stupire il mondo ancora una volta. Sapporo si guadagna il titolo di città olimpica nella sessione del Cio dell’aprile 1966 svoltasi a Roma, dove doppia la canadese Banff per 32 voti a 16.

 

L’organizzazione, presieduta dall’imperatore Hirohito, viene affidata a Kogoro Uemura, imprenditore della birra, capace di ottenere finanziamenti statali quasi illimitati per costruire, oltre agli impianti e ad un villaggio per 2300 persone, anche un aeroporto internazionale. Il principale problema da risolvere però è rappresentato dal fatto che Sapporo è una città praticamente al livello sul mare (appena 30 metri di altitudine) e a risentirne di più sono la qualità della neve e la pendenza delle piste da sci. “Dove non può la natura, può il denaro” deve aver pensato Uemura, che per risolvere uno dei due problemi fa costruire una torre con una rampa collegata alle piste, per la partenza delle prove alpine. Nulla può, invece, per migliorare la consistenza del manto nevoso, molle e salato dall’acqua marina.

A proposito di denaro e sci alpino, va avanti la crociata del presidente del cio Avery Brundage contro il professionismo e la sponsorizzazione sugli attrezzi utilizzati dagli atleti. Già quattro anni prima i concorrenti iscritti alle gare avevano avuto l’ordine di coprire i marchi dei loro sci subito dopo ogni discesa, anche se la contromisura adottata non sembrava tra le più efficaci, visto anche che una delle foto più celebri di Grenoble 1968 è quella di Jean Claude Killy intento ad abbracciare un suo amico, con in mano i suoi Rossignol in bella vista. A Sapporo a farne le spese sarà Karl Schranz, fuoriclasse austriaco rimasto a casa per aver fatto pubblicità ad una marca di caffè.

Il 3 febbraio 1972 l’imperatore Hirohito inaugura i giochi. Sono 35 i Paesi rappresentati alla cerimonia d’apertura e 1009 gli atleti iscritti, leggermente in meno rispetto ai giochi transalpini a causa delle onerose spese che la trasferta orientale imponeva. Rispetto a Grenoble i valori in campo cambiano e di molto. L’Unione Sovietica vince incontrastata il medagliere, con 16 medaglie totali di cui 8 d’oro, il vecchio continente vedrà il brusco calo di Francia e Austria, il sostanziale “tenere botta” di Italia e Norvegia, l’esplosione di Svizzera, Germania Est e Olanda, rispettivamente seconda, terza e quarta forza del medagliere. La donna dei giochi è la sovietica Galina Kulakova che torna a casa dal Giappone con tre ori in tasca e l’en plein nelle prove di sci di fondo. Il miglior atleta maschile è invece Adrianus “Ard” Schenk, fulmine arancione che regala all’Olanda tre titoli olimpici nel pattinaggio di velocità.

I sovietici aggiungono ai tre ori della Kulakova i due primi posti di Vyacheslav Vedenin nella 30 km, dove il campione olimpico in carica Franco Nones è riserva a causa delle sue imperfette condizioni fisiche, e nella staffetta 4x10km, e si impongono inoltre come i padroni dello sci nordico. I norvegesi, in pieno ricambio generazionale, vincono comunque sette medaglie complessive, tra cui l’oro del veterano Pål Tyldum nella maratona delle nevi mentre la medaglia della 15 km è appannaggio dello svedese Sven Åke Lundback. Gli altri tre ori arrivano per l’Urss dal torneo di hockey su ghiaccio, vinto nettamente su Stati Uniti e Cecoslovacchia, dal biathlon con la conferma della vittoria di quattro anni prima nella staffetta (anche il titolo della 20 km sarà riconfermato dal norvegese Magnar Solberg, già oro a Grenoble) e dal pattinaggio artistico con il primo di tre ori olimpici per Irina Rodnina in coppia con Aleksey Ulanov, davanti ai connazionali Lyudmila Smirnova-Andrey Suryakin. La coppia d’oro sovietica si dividerà subito dopo i giochi in un intreccio di lame e passioni degni di un romanzo. L’ ”Ulanov innamorato” scapperà con la sua “Angelica” Lyudmila (la Smirnova) mentre Irina Rodnina, rimasta senza partner, troverà un nuovo compagno in Alexander Zaitsev, con cui farà coppia anche nella vita, non prima però di riuscire a vincere altre due edizioni dei giochi olimpici. Sui pattini rispettano i pronostici anche il cecoslovacco Ondrej Nepela e l’austriaca Beatrix Schuba, dominatori ai mondiali ed agli europei, che si aggiudicano i titoli individuali.

La Germania Est ottiene il secondo posto nel medagliere conquistando 14 medaglie totali, otto delle quali provenienti dalla disciplina che tanto imbarazzo aveva causato quattro anni prima. Nello slittino, così, i podi delle prove individuali sono un monologo della Repubblica Democratica Tedesca, mentre nel doppio ci pensano due testardi pusteresi, Paul Hildgartner e Walter Plaikner, a rovinare la festa tedesca recuperando nella seconda discesa sei centesimi ai rivali e vincendo l’oro pari merito. Le altre medaglie arrivano per la Ddr dalla combinata nordica con Ulrich Wehling oro e Karl Heinz Luck bronzo, dal biathlon, dal pattinaggio di figura e dal salto. Proprio dal trampolino di Okurayama arrivano le uniche medaglie degli atleti di casa: Yukio Kasaya diventa il primo atleta nipponico della storia a vincere un oro olimpico, precedendo i suoi due compagni di squadra Konno e Aochi nel trampolino K90, mentre in quello grande, denominato K120, è a sorpresa il polacco Wojciech Fortuna ad imporsi, davanti allo svizzero Walter Steiner che si rifarà neanche un mese più tardi vincendo il titolo mondiale.

Sulle piste dei monti Eniwa e Teine sono gli atleti svizzeri a primeggiare in tre prove su sei, merito soprattutto della diciottenne Marie Therese Nadig che nelle gare di discesa e gigante conquista due splendidi ori arrivando davanti addirittura all’austriaca Annemarie Moser-Pröll, fuoriclasse al culmine della sua carriera, capace di conquistare cinque coppe del mondo assolute consecutive dal 1971 al 1975 e una sesta nel 1979. La Moser-Pröll non riuscirà a vincere l’oro neanche in slalom, gara dove terminerà quinta ad oltre due secondi e mezzo dall’americana Barbara Ann Cochran, che ha ragione per soli due centesimi della francese Danielle Debernard. Il terzo oro svizzero arriva da Bernhard Russi nella discesa maschile, mentre il quarto successo elvetico non ci sarà, per merito di Gustavo Thoeni, leggenda dello sci alpino italiano e mondiale, inventore del passo spinta, vincitore di quattro coppe del mondo assolute ed autore, a Sapporo, di una prova impeccabile in Gigante davanti alla coppia rossocrociata Bruggmann-Mattle.

Nello slalom, in programma quattro giorni dopo, Gustavo vuole raddoppiare l’oro, ma nella prima manche si ritrova staccato di un secondo e 33 centesimi dalla rivelazione dei giochi: lo spagnolo Francisco Fernandez Ochoa. Il ragazzo madrileno aveva imparato a sciare vicino casa, sulla Sierra di Guadarama, posto reso noto da Hemingway che lo aveva scelto come scenario del romanzo “Per chi suona la campana”. Ochoa, che si era presentato a Sapporo senza mai aver vinto una gara di coppa, nella seconda manche rasenta la perfezione, perde solo pochissimi centesimi da Thoeni e vince il primo e inatteso oro olimpico invernale per la Spagna, lasciandosi alle spalle un duo italiano formato dal campione Gustavo Thoeni e dal cugino Rolando che azzecca la gara della vita conquistando il bronzo. La quinta ed ultima medaglia italiana dei giochi arriverà dal bob, grazie all’argento della “Ferrari delle nevi” guidata da Nevio De Zordo, seconda solamente all’equipaggio svizzero.



 

 

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