N. 26 - Febbraio 2010
(LVII)
la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XIX - salt lake city 2002
di Simone Valtieri
"L’importante è vincere, non partecipare”.
È
quello
che
devono
aver
pensato
i
membri
dello
SLOC,
il
comitato
promotore
per
le
olimpiadi
Salt
Lake
City
2002,
travisando
l’antico
motto
dei
giochi.
Le
sconfitte
subite
negli
anni
precedenti,
nel
1972,
nel
1976
e
soprattutto
l’ultima,
nel
1998,
dopo
la
quale
avevano
accusato
di
brogli
la
delegazione
giapponese
di
Nagano,
avevano
indotto
i
promotori
a
intraprendere,
oltre
alla
candidatura
ufficiale,
una
seconda
via.
In
cambio
di
favori
ai
parenti
più
prossimi,
i
membri
dello
SLOC
si
assicuravano
i
voti
di
molti
delegati
olimpici,
soprattutto
di
quelli
provenienti
dal
sud
del
mondo.
La
vicenda
emerse
dopo
l’inchiesta
condotta
dai
giornalisti
della
KTVX,
una
televisione
locale
di
Salt
Lake
City
affiliata
alla
nazionale
ABC,
ed
emersa
nel
novembre
del
1998,
che
scoprirono
il
collegamento
tra
sei
ragazzi,
beneficiari
di
borse
di
studio
elargite
dallo
SLOC,
e
alcuni
membri
del
Cio:
tutti
erano
figli
di
delegati.
La
vicenda
verrà
approfondita
e
farà
saltare
molte
teste
all’interno
del
Comitato
Olimpico,
minando
alle
fondamenta
la
sua
credibilità.
L’inchiesta
interna,
che
porterà
a
sei
esclusioni
e
quattro
dimissioni
spontanee,
tra
cui
quella
della
finlandese
Pirjo
Häggman,
prima
donna
ad
entrare
nel
Cio
nel
1981,
metterà
in
imbarazzo
il
presidente
stesso,
Juan
Antonio
Samaranch,
in
qualche
modo
implicato
nella
vicenda
a
causa
di
doni
ricevuti
e
girati
alla
fondazione
del
museo
olimpico,
e si
chiuderà
frettolosamente
senza
indagare
sulle
precedenti
assegnazioni
sospette,
da
Atlanta
’96
a
Nagano
’98
fino
a
Sydney
2000.
Nonostante
ciò
la
macchina
dei
giochi
si
era
ormai
messa
in
moto
da
troppo
tempo
e
togliere
i
cinque
cerchi
a
Salt
Lake
City
avrebbe
provocato
al
Cio
più
danni
che
benefici.
Inoltre
Tom
Welch,
l’allora
presidente
dello
SLOC,
tra
i
principali
responsabili
dello
scandalo,
era
già
stato
costretto
a
dimettersi
nel
1997
in
seguito
ad
una
condanna
per
violenza
sessuale
sulla
moglie.
Lo
seguiranno
Frank
Joklin
e
Dave
Johnson,
rispettivamente
suo
sostituto
come
presidente
e
vice
del
progetto,
per
cui
“Salt
Lake
City
sia”,
con
conseguenze
non
solo
nell’immediato,
ma
anche
nel
futuro,
che
porteranno
ad
una
importante
riorganizzazione
interna
del
Comitato
Olimpico
Internazionale.
Nello
Utah
si
presentano
quasi
2400
atleti
(più
di
un
terzo
donne)
in
rappresentanza
di
77
Paesi.
Alla
cerimonia
di
apertura,
con
un
colpo
ad
effetto,
viene
chiamato
ad
accendere
il
braciere
olimpico
Mike
Eruzione,
insieme
ai
suoi
compagni
di
Miracle
on
ice,
la
squadra
di
hockey
composta
da
studenti
e
dilettanti
che
emozionò
e
sorprese
il
mondo
vincendo
l’oro
a
Lake
Placid
1980.
Molte
le
novità:
il
bob
femminile,
lo
skeleton
(di
nuovo
nel
programma
dopo
l’unica
apparizione
di
St.
Moritz
‘48),
le
staffette
sprint
dello
sci
di
fondo,
una
prova
in
più
di
combinata
nordica
e
l’inserimento
di
due
gare
ad
inseguimento
nel
biathlon,
introduzione
questa
molto
gradita
a
colui
che
sarà
proclamato
re
di
Salt
Lake
City.
Stiamo
parlando
di
Ole
Einar
Bjørndalen,
talento
cristallino
dello
“scia
e
spara”,
che
grazie
alla
prova
in
più
centra
col
suo
fucile
un
favoloso
en
plein,
aggiudicandosi
tutte
e
quattro
le
gare
in
programma,
staffetta
compresa.
Alla
fine
dei
giochi
la
sua
sorprendente
dichiarazione
sarà:
“Beh,
però
si
poteva
fare
meglio”.
Come?
Se
avesse
vinto
anche
la
30
km a
tecnica
libera
dello
sci
di
fondo
che
fece
come
“allenamento”,
arrivando
quinto
a 13
secondi
e
mezzo
dal
primo
posto
e a
meno
di
due
secondi
dal
podio.
“Mi
sono
mancate
le
cartucce
giuste”,
dirà
ancora
sorridendo.
Nella
stessa
disciplina
tra
le
donne
sarà
un
dominio
tedesco
con
l’unica
eccezione
dell’inseguimento,
dove
la
russa
Olga
Pyleva
precederà
di
una
manciata
di
secondi
Kati
Wilhelm,
oro
nella
7,5
km e
in
staffetta,
complice
anche
una
sessione
di
tiro
disastrosa
della
tedesca,
capace
di
arrivare
a
podio
nonostante
quattro
errori
al
poligono.
Nell’altra
gara
in
programma,
la
15
km,
a
trionfare
sarà
la
sua
connazionale
Andrea
Henkel,
anch’essa
al
secondo
oro
dopo
quello
in
staffetta.
Ritiratosi
il
leggendario
Bjørn
Daehlie,
il
fondo
è in
cerca
di
un
erede
e
sembra
averlo
trovato
in
Johann
“Juanito”
Mühlegg,
tedesco
naturalizzato
spagnolo
che
arriva
primo
nella
nuovissima
20
km
(10
km a
tecnica
libera
+ 10
km a
classica),
nella
30
km
skating
e
nella
50
km
classica.
Ma è
fumo
negli
occhi.
La
WADA,
l’agenzia
antidoping
mondiale
criticata
dagli
atleti
per
i
suoi
metodi
invasivi
e
per
i
controlli
a
sorpresa,
diventa
protagonista
delle
gare
olimpiche
a
Salt
Lake
City,
smascherando
dapprima
Mühlegg,
positivo
alla
darbopoietina,
poi
dimezzando
la
squadra
russa
femminile,
pescando
con
valori
di
emoglobina
anomali
Larissa
Lazutina
(vincitrice
della
30
km e
argento
sia
nella
10
km
che
nella
15
km)
e
Olga
Danilova
(oro
nel
5+5
km e
seconda
nella
10
km a
tecnica
classica).
Non
sarà
tolta
invece
alcuna
medaglia
alla
Russia
nella
staffetta
4x5
km,
semplicemente
perché
alla
formazione
viene
impedito
di
partecipare,
in
quanto
la
notizia
dei
valori
anomali
della
Lazutina
affiora
proprio
durante
un
controllo
a
sorpresa
effettuato
pochi
minuti
prima
dell’inizio
della
prova.
Altre
fondiste
fermate
sono
l’ucraina
Valentina
Shevchenko
e
l’altra
russa
Natalia
Baranova,
ma
si
ha
la
sensazione
che
tutti
gli
atleti
pescati
siano
stati
“i
pochi”
a
pagare
per
“i
molti”,
visto
anche
un
caso
analogo
scoppiato
ai
mondiali
di
Lahti
l’anno
prima
che
aveva
visto
sei
fondisti
finlandesi
positivi
al
doping,
e
considerati
i
tanti
valori
di
poco
sotto
il
tetto
massimo,
emersi
da
altri
controlli.
Accade
così
che
le
classifiche
dello
sci
di
fondo
vengano
completamente
stravolte
e,
senza
veri
dominatori,
molti
atleti
conseguono
il
risultato
più
prestigioso.
Andrus
Veerpalu
è il
primo
estone
a
raggiungere
un
oro
olimpico,
Christian
Hoffmann
il
primo
austriaco,
Frode
Estil
e
Tore-Arne
Hetland,
nella
nuovissima
prova
a
sprint,
gli
ennesimi
ori
norvegesi.
Il
russo
Mikhail
Ivanov
si
aggiudica
la
maratona
dei
ghiacci
(la
50
km),
mentre
per
la
terza
edizione
consecutiva
la
prova
di
staffetta
termina
con
un
finale
serrato
tra
Norvegia
e
Italia.
Vince
ancora
la
formazione
scandinava
grazie
a
Thomas
Alsgaard
che,
come
con
Fauner
quattro
anni
prima,
regola
al
fotofinish
Christian
Zorzi,
il
bronzo
della
prova
a
sprint.
Al
femminile
la
staffetta
italiana
perde
l’occasione
della
vita
non
sapendo
approfittare
dell’esclusione
russa
e
terminando
solo
sesta,
nonostante
lo
splendido
ultimo
segmento
di
gara
di
Stefania
Belmondo,
concluso
col
miglior
tempo
assoluto,
ma
vano
dopo
la
caduta
in
prima
frazione
della
giovanissima
Marianna
Longa
e il
conseguente
distacco
accumulato
di
oltre
un
minuto.
Stefania
resta
comunque
il
volto
più
bello
dello
sci
di
fondo,
sempre
in
prima
linea
contro
“quelle
che
barano”,
come
ha
sempre
definito
alcune
avversarie,
vince
sulle
nevi
dello
Utah
ben
tre
medaglie,
tra
cui
brilla
l’oro
nella
15
km a
tecnica
libera
d’apertura,
portando
il
suo
totale
olimpico
a
quota
10,
come
la
leggenda
sovietica
Raissa
Smetanina.
Le
altre
medaglie
che
arrivano
sono
il
bronzo
nella
10
km a
tecnica
classica,
dominata
dalla
norvegese
Bente
Martinsen,
ottenuto
dopo
la
squalifica
della
Danilova,
e
l’argento
nella
30
km
dietro
alla
sorprendente
connazionale
Gabriella
Paruzzi.
Storici
gli
altri
due
ori:
Beckie
Scott
vince
la
5+5
km,
primo
oro
canadese,
mentre
la
russa
Julia
Tchepalova
conquista
il
primo
titolo
assoluto
della
sprint,
la
distanza
più
corta,
dopo
aver
vinto
quattro
anni
prima
quello
sui
30
km,
la
distanza
più
lunga.
Per
chiudere
con
gli
scandali
che
hanno
contraddistinto
la
XIX
edizione
dei
giochi
olimpici
non
bisogna
dimenticare
il
cosiddetto
skategate,
com’è
stata
chiamata
l’intricata
vicenda
riguardo
alla
corruzione
di
un
giudice
nel
pattinaggio
artistico.
Era
stato
predisposto
un
piano,
scoperto
casualmente
durante
un’inchiesta
della
polizia
di
Venezia
su
traffici
di
armi
e
droga,
per
far
vincere
i
russi
nel
pattinaggio
a
coppie
e i
francesi
nella
danza.
Tutto
parte
dall’intercettazione
di
un
certo
“Taivancik”
(“piccolo
taiwanese”),
al
secolo
l’uzbeko
Alimzhan
Takhtakhunov,
che
era
riuscito
a
ottenere
un
visto
per
la
Francia
grazie
a
“favori
olimpici”
fatti
ad
un
pezzo
grosso,
il
presidente
della
federghiaccio
transalpina
Didier
Gailhaguet.
Grazie
alla
complicità
del
giudice
di
gara
Marie-Reine
La
Gougne,
vengono
falsati
i
risultati
della
prova
a
coppie
del
pattinaggio
che
termina
per
5-4
a
favore
dei
russi
Elena
Berezhnaya
ed
Anton
Sikhaluridze
sui
canadesi
Jamie
Salé
e
David
Pelletier.
La
truffa
viene
smascherata
quasi
immediatamente
e la
salomonica
decisione
del
neopresidente
del
Cio,
Jacques
Rogge,
è di
attribuire
un
oro
pari
merito.
Nulla
si è
fatto
invece
nei
confronti
della
coppia
francese
Marina
Anissina
e
Gwendal
Peizerat,
nonostante
le
intercettazioni
che
provassero
il
coinvolgimento
della
Anissina
nell’affare.
L’oro
andrà
alla
Francia,
in
ogni
caso
la
miglior
coppia
sul
ghiaccio,
con
buona
pace
dei
russi
Irina
Lobacheva
ed
Iliya
Averbukh,
argento,
e
della
coppia
italiana
composta
da
Barbara
Fusar
Poli
e
Maurizio
Margaglio,
bronzo,
tradita
da
una
caduta
alla
fine
di
una
prova
pressoché
perfetta.
Nelle
individuali
l’oro
andrà
sorprendentemente
alla
statunitense
Sarah
Hughes,
in
rimonta
dopo
il
quarto
posto
del
programma
corto,
ed
al
fuoriclasse
russo
Alexei
Yagudin,
capace
di
sconfiggere
in
uno
scontro
tra
titani
il
suo
erede
e
connazionale
Evgeni
Plushenko.
L’atleta
donna
vincitrice
del
maggior
numero
di
medaglie
è la
sciatrice
croata
Janica
Kostelic.
Partecipa
a
quattro
prove
riuscendo
ad
imporsi
in
quasi
tutte,
non
gareggiando
soltanto
nella
discesa
libera
vinta
dalla
francese
Carole
Montillet,
davanti
all’azzurra
Isolde
Kostner,
con
l’emozionante
dedica
finale
all’amica,
compagna
di
nazionale
e di
stanza
Regine
Cavagnoud,
scomparsa
pochi
mesi
prima
in
un
incidente
in
allenamento
sulle
nevi
di
Innsbruck.
Combinata,
gigante
e
slalom
sono
terreno
di
caccia
della
fortissima
sciatrice
dai
Balcani,
il
superG
le
sfugge
per
soli
5
centesimi
e a
beffarla
è
un’insospettabile
ragazza
arrivata
da
Rocca
Priora,
vicino
Roma.
Il
suo
nome
è
Daniela
Ceccarelli
e
prima
di
allora
vantava
un
secondo
posto
in
Coppa
del
Mondo
e
poco
altro.
La
ragazza,
che
aveva
imparato
a
sciare
a
Campo
Catino,
scende
col
numero
“9”
in
maniera
impeccabile
e
registra
un
tempo
che
le
consente
di
piazzarsi
davanti
alla
compagna
di
squadra
Karen
Putzer,
poi
terza,
e di
resistere
agli
attacchi
di
tutte
le
avversarie.
In
campo
maschile
è
l’inossidabile
Kjetil-André
Aamodt
a
vincere
più
gare
di
tutti:
due,
grazie
al
prevedibile
oro
nella
combinata
ed a
quello
meno
scontato
nel
superG,
cui
aggiunge
anche
l’amaro
quarto
posto
nella
discesa
vinta
dall’austriaco
Fritz
Strobl.
Gare
tecniche
che
vanno
all’altro
austriaco
Stephan
Eberharter,
oro
nel
gigante
dopo
i
podi
in
discesa
(bronzo)
e
superG
(argento),
e al
non
pronosticabile
francese
Jean-Pierre
Vidal,
primo
nello
slalom
davanti
al
connazionale
Sebastien
Amiez.
Come
e
forse
ancor
più
sensazione
di
Daniela
Ceccarelli,
desta
l’impresa
di
uno
sconosciuto
ragazzino
svizzero
che
con
gli
sci
ai
piedi
riesce
a
saltare
più
lontano
di
tutti
quanti.
Simon
Amman,
detto
Harry
Potter
per
la
somiglianza
con
il
maghetto
della
saga
letteraria,
tira
fuori
dal
cilindro
due
salti
lunghissimi,
neanche
fosse
in
sella
ad
una
Nimbus
2000
(n.d.r.
la
celebre
scopa
volante
di
Harry
Potter)
e
plana
sul
gradino
più
alto
del
podio
sia
nella
gara
dal
trampolino
K90
che
in
quella
dal
K120.
La
spettacolare
prova
a
squadre
finisce
con
il
distacco
più
risicato
di
sempre:
974,1
a
974.
Un
decimo
di
punto
è
ciò
che
separa
il
paradiso,
raggiunto
dai
funamboli
tedeschi
Hannawald,
Hocke,
Uhrmann
e
Schmitt,
dalla
terra,
su
cui
restano
con
l’argento
i
saltatori
finlandesi
Hautamäki,
Lindström,
Jussilainen
e
Ahonen.
Un
altro
en-plein,
dopo
quello
di
Bjørndalen
nel
biathlon,
arriva
dal
finlandese
Samppa
Lajunen,
capace
di
trionfare
nelle
due
prove
individuali
e in
quella
a
squadre
della
combinata
nordica,
mentre
al
contrario,
nello
snowboard
e
nel
freestyle,
date
le
peculiarità
tecniche
necessarie
e le
diverse
caratteristiche
delle
singole
discipline
dei
due
sport,
ogni
gara
ha
un
suo
vincitore.
Nel
freestyle
gobbe
primi
sono
l’avvenente
norvegese
Kari
Traa,
alla
ribalta
delle
cronache
anche
per
un
servizio
“hot”
pubblicato
su
una
nota
rivista
scandinava,
e il
finlandese
Janne
Lahtlea,
che
migliora
di
un
gradino
rispetto
all’argento
di
Nagano.
Nell’acrobatico
aerials
hanno
la
meglio
il
ceco
Ales
Valenta,
che
approfitta
di
uno
svarione
del
campione
olimpico
in
carica
Bergoust,
e
l’australiana
Alisa
Camplin,
che
non
diventa,
per
soli
due
giorni,
il
primo
oro
australiano
alle
olimpiadi
invernali.
Lo
snowboard
registra
nel
gigante
la
caduta
(in
tutti
i
sensi,
vista
la
scivolata
in
finale)
della
regina
Karine
Ruby,
argento
dietro
alla
connazionale
Isabelle
Blanc
e
davanti
all’italiana
Lidia
Trettel,
e
l’affermazione
dello
svizzero
Philipp
Schoch.
Nello
spettacolare
Half
Pipe,
sono
due
americani
a
compiere
le
acrobazie
più
complicate:
Kelly
Clark
e
Ross
Powers.
Sul
budello
ghiacciato
dello
Utah
Olympic
Park
si
assiste
al
passaggio
di
testimone
tra
il
vecchio
leone
dello
slittino
Georg
Hackl,
dal
poco
lusinghiero
soprannome
di
“salsiccia
volante”
ed
alla
quinta
medaglia
olimpica
consecutiva
(argento-oro-oro-oro-argento),
e il
“giovane”
italiano,
nonostante
sia
già
alla
terza
olimpiade,
Armin
Zoeggeler.
L’altoatesino,
dopo
il
bronzo
di
Lillehammer
e
l’argento
di
Nagano,
tra
i
ghiacci
dello
Utah
riesce
finalmente
a
salire
sul
gradino
più
alto
del
podio,
rovinando
la
festa
alla
Germania
che
si
deve
accontentare
di
vincere
due
gare
su
tre,
con
l’oro
nel
doppio
della
coppia
Leitner-Resch
e
con
il
podio
tutto
tedesco,
guidato
da
Sylke
Otto,
nel
singolo
femminile.
La
stessa
pista
regala
altre
soddisfazioni
alla
compagine
teutonica,
che
piazza
davanti
a
tutti
i
suoi
due
bob
al
maschile,
guidati
dai
quasi
omonimi
Christoph
Langen
ed
André
Lange,
ma
che
si
vede
anche
qui
negare
il
tris
d’ori,
stavolta
dall’equipaggio
femminile
di
“Stati
Uniti
II”
che
vince
l’oro
nella
neonata
specialità
con
Jill
Bakken
e
Vonetta
Flowers,
prima
nera
a
salire
nell’olimpo.
Nell’hockey
su
ghiaccio,
dopo
la
sorpresa
ceca
di
Nagano,
i
“pro”
di
Canada
e
Stati
Uniti
si
riprendono
il
palcoscenico
sottratto
loro
dalle
squadre
europee
quattro
anni
prima.
Le
formazioni
nordamericane
dominano
entrambi
i
tornei
che
si
concludono
con
la
stessa
finale
e
con
lo
stesso
copione:
Canada
batte
Stati
Uniti
nella
gara
per
l’oro
sia
tra
gli
uomini
che
tra
le
donne.
Nel
curling,
invece,
nonostante
i
favori
del
pronostico,
il
Canada
non
va
oltre
l’argento
tra
i
maschi
(oro
alla
Norvegia),
e il
bronzo
tra
le
donne
(titolo
alla
Gran
Bretagna).
Nel
pattinaggio
di
velocità,
la
pista
lunga
dello
Utah
Olympic
Oval
non
trova
un
solo
padrone,
perlomeno
nelle
distanze
più
brevi,
dove
a
vincere
sono
atleti
sempre
diversi,
ma
sentenzia
una
supremazia
dei
Paesi
Bassi
al
maschile
e
della
Germania
al
femminile,
contrastata
in
modo
trasversale
dai
padroni
di
casa
americani.
I
campioni
dei
fulminei
500
metri,
le
uniche
gare
che
si
chiudono
senza
record
del
mondo,
sono
lo
statunitense
Casey-Fitz
Randolph
e la
canadese
Catriona
LeMay-Doan,
al
secondo
titolo
consecutivo
sulla
distanza,
dopo
aver
dominato
il
quadriennio
precedente
con
ben
cinque
ori
mondiali
nel
carniere.
Nei
1.000
emergono
l’olandese
Gerard
van
Velde
e
l’americana
Christine
Witty,
nei
1.500
Derek
Parra,
anch’esso
americano,
e la
tedesca
Annie
Friesinger,
tutti
con
il
nuovo
primato
mondiale
delle
distanze.
Le
gare
lunghe
(5.000
e
10.000
per
i
maschi
e
3.000
e
5.000
per
le
femmine)
sono
vinte
dall’olandese
Jochem
Uytdehaage,
in
stato
di
grazia,
e
dalla
fuoriclasse
Claudia
Pechstein,
al
terzo
e
quarto
oro
dopo
Lillehammer
e
Nagano.
In
calce
al
racconto
dei
giochi
più
corrotti
del
secolo,
vengono
però
scritte
a
Salt
Lake
City
due
storie
che
riflettono
totalmente
quelli
che
sono
i
valori
e lo
spirito
delle
olimpiadi.
Dallo
skeleton,
nella
cui
gara
femminile
trionfa
l’americana
Trista
Gale,
arriva
la
bella
favola
di
Jim
Shea,
terzo
di
una
dinastia
di
atleti
olimpionici
cominciata
con
nonno
Jack,
oro
a
Lake
Placid
1932
nel
pattinaggio
di
velocità,
e
continuata
con
il
padre
Jim
Shea
Sr.
che
partecipa
alle
prove
di
combinata
nordica
ad
Innsbruck
1964.
Lui,
Jim
Shea
Jr.
dal
Connecticut,
non
voleva
essere
da
meno.
Dopo
aver
provato
l’hockey
e il
lacrosse,
scopre
che
la
vecchia
disciplina
dei
“matti
a
testa
in
giù”
sarebbe
rientrata
nel
programma
olimpico
e
decide
che
quello
può
essere
il
suo
sport.
Lascia
il
lavoro
da
cameriere,
vende
la
Jeep
e
prova
a
cimentarsi
sul
groviglio
di
ghiaccio.
Può
partecipare
alle
prime
gare
grazie
a
una
slitta
regalatagli
da
un’atleta
inglese.
Discesa
dopo
discesa
riesce
ad
affinare
la
sua
tecnica,
migliorando
a
vista
d’occhio.
“Devi
solo
stare
immobile
e
vincere
la
paura”
gli
avevano
detto.
Il
giovane
Jim
segue
il
consiglio
diventando
miglior
debuttante
dell’anno
nel
1995
e
vincendo
la
sua
prima
gara
di
coppa
nel
1998.
Così
il
20
febbraio
2002,
prima
di
partire
per
la
sua
discesa
più
importante,
Jim
Shea
Jr.
si
sistema
nel
casco
una
foto
sbiadita
del
nonno
e la
cartolina
che
annunciava
la
sua
morte,
avvenuta
tragicamente
a
pochi
giorni
dall’inizio
dei
giochi,
quando
a 91
anni
venne
investito
da
un
automobilista
ubriaco.
Al
termine
delle
due
discese
“Shea
III”
si
toglie
la
foto
dal
casco
e la
sventola
al
cielo:
è
primo.
Oro
come
il
suo
avo
settant’anni
prima.
“Mi
ha
spinto
lo
spirito
di
nonno
Jack.
Sono
uno
Shea,
sono
un
olimpionico”.
Dirà
tra
le
lacrime
e
con
la
medaglia
in
mano.
Nelle
prove
femminili
di
short
track
dominano
le
asiatiche
con
Yang
Yang
A
(la
A
sta
per
august,
agosto,
per
distinguerla
dalla
sua
compagna
di
squadra,
omonima
e
non
imparentata,
Yang
Yang
S
nata
a
settembre)
oro
nei
500
e
nei
1.000,
con
Ko
Gi-Hyun
(1.500)
e
con
la
staffetta
coreana.
Nel
maschile
dominano
invece
i
nordamericani
con
il
canadese
Marc
Gagnon
primo
nei
500
e
con
la
staffetta,
sul
gradino
più
alto
del
podio
davanti
all’Italia,
e
con
l’americano,
idolo
del
pubblico
e
attesissimo
protagonista,
Apolo
Anton
Ohno,
che
eredita
i
suoi
occhi
a
mandorla
dal
padre,
un
barbiere
giapponese
emigrato
a
Washington,
e
che
riesce
a
conquistare
il
titolo
dei
1.500.
Ma è
dai
1.000
metri
che
arriva
la
storia
più
incredibile
mai
raccontata
ad
un’olimpiade.
“L’olimpiade
dà
valore
all’inatteso.
Come
non
accade
in
altre
competizioni,
mantiene
il
fatto
di
essere
aperta
a
tutti
i
risultati”
dice
l’esperto
telecronista
Sandro
Fioravanti
in
un
documentario
sulla
storia
dei
giochi
olimpici.
Ceccarelli
e
Ammann
sono
eloquenti
esempi,
ma
quello
che
riguarda
Steven
Bradbury,
australiano
di
Camden,
somiglia
più
ad
un
miracolo.
Il
ragazzo
che
viene
dal
caldo
del
Nuovo
Galles
del
Sud,
si
diletta
nello
short
track
da
ormai
diverse
stagioni.
Alle
spalle
si
lascia
un
passato
da
discreto
agonista
fino
al
1994
e
due
gravissimi
infortuni
con
conseguenti,
interminabili
riabilitazioni:
nel
primo,
rischia
di
morire
dissanguato
quando
la
lama
di
un
pattino
gli
recide
l’arteria
femorale,
facendogli
perdere
quattro
litri
di
sangue;
nel
secondo
va
vicino
alla
paralisi
dopo
una
caduta
in
allenamento,
due
anni
prima
dei
giochi
americani.
Già
il
solo
fatto
di
essere
a
Salt
Lake
City
rappresenta
per
lui
un
punto
di
arrivo.
E
non
è
una
frase
fatta,
visto
che
i
pronostici
non
gli
danno
alcuna
possibilità
neanche
di
passare
il
primo
turno
di
gara.
Invece...
invece
la
fortuna
si
ricorda
di
lui.
La
dea
bendata
decide
per
una
volta
di
togliersi
la
fascia
dagli
occhi
e di
vederci.
Una
serie
incredibile
di
cadute
e
squalifiche
nei
primi
turni
di
gara
avanzano
il
pattinatore
australiano
fino
all’ultima
prova.
Al
via
della
finale
Bradbury,
diventato
ormai
per
tutti
un
portafortuna
vista
la
buona
sorte
sin
qui
mostrata,
perde
subito
una
decina
di
metri
da
Ohno,
Soo,
Turcotte
e
Li,
tutti
nettamente
più
forti
di
lui.
A
mezzo
giro
dalla
fine
accade
l’incredibile:
un’azione
avventata
fa
scivolare
il
coreano
Soo
sulle
barriere.
Dieci
metri
più
avanti
il
cinese
Li e
l’americano
Ohno,
sgomitando
un
po’
troppo,
provocano
una
comica
carambola
cui
si
aggiunge
il
canadese
Turcotte.
Giro
giro
tondo…
tutti
giù
per
terra!
E
l’incredulo
Bradbury
si
ritrova
tra
le
mani
l’oro
più
incredibile
della
storia
ultracentenaria
dei
giochi.
E
forse,
ripercorrendo
la
sua
vicenda
piena
di
gravi
incidenti,
mai
colpo
di
fortuna
fu
più
meritato.