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storia & sport


N. 24 - Dicembre 2009 (LV)

la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XIV - sarajevo 1984

di Simone Valtieri

 

Nel 1978, il governo jugoslavo, guidato dal maresciallo Tito, concretizza l’idea, già aleggiante da alcuni anni, di ospitare nella sua Repubblica i Giochi Olimpici Invernali. La candidatura della città bosniaca vanta l’esperienza maturata nell’organizzazione di varie manifestazioni, come la Settimana dello sport invernale studentesco (genitrice delle moderne Universiadi invernali), la Coppa dei Paesi alpini e la Coppa Europa giovanile, e può altresì contare sulle capacità organizzative di Artur Tokac, noto dirigente sportivo jugoslavo già artefice del successo dei campionati europei di atletica di Belgrado 1962. La rivale numero uno è Sapporo, già sede olimpica nel 1972 e forte dei voti compatti del blocco occidentale. A far pendere l’ago della bilancia dalla parte di Sarajevo saranno però i voti dei membri svedesi, che, vista cadere la candidatura di Goteborg al primo turno di votazione, confluiranno compatti verso la Bosnia. La votazione finisce 39 a 36 e, per la prima ed unica volta nella storia, i Giochi invernali sono assegnati ad un paese del blocco socialista.

Il quadro generale in cui nascono le Olimpiadi di Sarajevo è quello di una piccola rivoluzione, cominciata con l’avvento di Juan Antonio Samaranch alla presidenza del Cio nel 1980. Lo spagnolo attuerà decisi cambiamenti, volti a fugare dubbi ormai storici riguardo al professionismo degli atleti, rimandando alle federazioni internazionali di ogni sport la decisione finale sulla presenza di ogni singolo atleta ai giochi. In pratica, se uno sciatore è eleggibile per la sua federazione, lo sarà anche per il Cio. Un passo importante, questo, verso l’universalità dell’evento olimpico. Altro passo fondamentale in questa direzione è la creazione di una Commissione per la Solidarietà Olimpica, con lo scopo di gestire i proventi dei diritti televisivi reindirizzandoli alle nazioni più povere, in modo da garantire la presenza ai giochi anche agli atleti da esse provenienti. Un sistema già sperimentato con successo dalla IAAF, la federazione internazionale di atletica leggera, governata allora dal compianto dirigente italiano Primo Nebiolo. Terza novità di rilievo è la creazione della ISL, un organismo nato per gestire il marketing olimpico ed affidato al tedesco Horst Dassler, figlio del fondatore dell’Adidas e fratello del creatore della Puma, che sancisce l’ingresso delle sponsorizzazioni nella casa olimpica.

L’8 febbraio 1984, dopo cinque anni di preparativi frenetici (terminati con successo grazie anche all’autotassazione dei cittadini di Sarajevo che arrivano a donare fino all’1,2% dei loro introiti per ospitare la festa olimpica) vengono inaugurati, nello stadio Kosevo, i XIV Giochi olimpici della neve. E quanta ce ne fu, di neve! Il programma iniziale sarà stravolto dall’enorme mole di precipitazioni nevose e a risentirne sarà anche il livello tecnico di alcune gare. Per questo motivo i risultati di maggior rilievo arrivano dai siti al coperto e, più precisamente, dalla Zetra Ice Hall, sede delle prove di pattinaggio artistico.

Su una superficie ghiacciata segnata dalle righe blu del campo da hockey, la coppia britannica composta da Jayne Torvill e Christopher Dean riscrive la storia della propria disciplina. Disegnando linee armoniose sulle note del Bolero di Ravel, i due pattinatori, più che rasentare la perfezione, la ridefiniscono. Il loro “paso doble”, eseguito nel giorno di San Valentino, emoziona il pubblico e convince la giuria che li premia con nove “6.0”, il massimo ottenibile. La loro creatività artistica, l’affiatamento, l’interpretazione che danno del Bolero, rappresentano per il pattinaggio un nuovo punto di riferimento. Le generazioni successive alla loro breve epopea durata l’arco di un quadriennio e coronata proprio con l’oro di Sarajevo, saranno inevitabilmente influenzate dalla loro danza e la federazione mondiale sarà costretta a rivedere regolamenti e punteggi per definire una nuova scala di valori. La loro popolarità raggiunse in quei giorni livelli inimmaginabili, in patria e fuori: i due ragazzi di Nottingham erano diventati più famosi anche di Robin Hood. Lasceranno l’attività poco dopo i giochi, trionfando ai mondiali di Ottawa il mese successivo e torneranno incredibilmente a rigare il ghiaccio olimpico dieci anni più tardi, a Lillehammer, conquistando un inaspettato bronzo.

Ad incantare la Zetra Ice Hall è anche la ventunenne Katarina Witt, avvenente tedesca dell’est che conquista tra i Balcani il primo dei suoi due ori olimpici, deliziando il pubblico e superando di pochissimo (grazie alla preferenza di cinque giudici contro quattro) la statunitense Rosalynn Summers. Gli americani si rifaranno con l’oro maschile di Scott Hamilton, mentre i sovietici, che nella danza si erano dovuti accontentare dei due gradini più bassi del podio dietro agli inarrivabili Torvill-Dean, conquistano l’oro nella gara a coppie con Elena Valova e Oleg Vassiliev, rinnovando un dominio che per lo squadrone russo dura incontrastato da ormai Innsbruck 1964. Sullo stesso ghiaccio raggiungono la laurea olimpica ancora gli atleti dell’Urss di hockey, che, quattro anni dopo la batosta di Lake Placid, ristabiliscono le gerarchie conquistando un attesissimo oro davanti a cecoslovacchi e svedesi.

Sull’ovale del pattinaggio di velocità spunta a sorpresa il nome di un giovanotto canadese, Gaetan Boucher, che fa il “colpo” della vita aggiudicandosi prima un bronzo sui 500 dietro al sovietico Fokichev e al giapponese Kitazawa, poi due ori sui 1.000 e sui 1.500 metri mettendosi alle spalle il favorito della vigilia, Sergei Khlebnikov. Nelle distanze più lunghe (5.000 e 10.000) si alternano nell’oro e nell’argento lo svedese Tomas Gustsafson ed il sovietico Igor Malkow, relegando al bronzo in entrambe le gare il tedesco orientale Renè Schöfisch. I tedeschi dell’est però dominano in lungo e largo in campo femminile, con il primo oro olimpico della giovane Christa Rothenburger sui 500, e con Karin Enke che conquista una medaglia per gara (due argenti e due ori) lasciando il titolo dei 3.000 metri alla compagna di squadra Andrea Schöne.

Le prove all’aperto sono vessate dal maltempo, condizione necessaria e sufficiente affinché si verifichi una delle più grosse sorprese olimpiche per la spedizione azzurra. Fuori nella prima discesa le due statunitensi Christine Cooper e Tamara McKinney, Paola Magoni è terza dopo la prima manche di uno slalom speciale femminile corso in condizioni proibitive. L’atleta azzurra nella seconda manche sbuca dalla nebbia con il miglior tempo, quando devono ancora scendere la francese Perrine Pelen, terza anch’essa dopo la prima discesa, la sua connazionale Christelle Guignard e la rappresentante del Liechtenstein Ursula Konzett. La Pelen finisce nove decimi dietro; la Konzett un secondo; la Guignard non arriva. È uno storico oro per la minuta (un metro e 54 centimetri) diciannovenne di Selvino (Bergamo), da festeggiare con la sua famiglia, con il suo appassionatissimo padre e con il suo cane di nome “Gustavo Thoeni”. L’altro oro dell’Italia arriva dal veterano Paul Hildgartner, che a dodici anni di distanza dal trionfo olimpico di Sapporo nello slittino doppio, vince il singolo sempre in compagnia di Walter Plaikner, che in Giappone era stato suo compagno di slitta mentre a Sarajevo lo segue nelle vesti di responsabile tecnico.

Tornando allo sci alpino, è lo squadrone americano il dominatore atteso della vigilia e la prima prova disputata - il gigante femminile del 13 febbraio conclusosi con la doppietta a stelle e strisce di Debbie Armstrong e Christine Cooper - aveva confermato le attese. Nella discesa libera maschile sarà Bill Johnson, talento cristallino cresciuto nel degrado della periferia di Los Angeles, a conquistare l’oro, mentre nello slalom speciale sono due gemelli, Phil e Steven Mahre, ad approfittare dell’assenza per professionismo del fuoriclasse Ingemar Stenmark e ad occupare i primi due posti in classifica. Terzo Andreas Wenzel, fratello della già olimpica Hanni, assente a Sarajevo per motivi analoghi a quelli di Stenmark. Dalle altre prove, oltre a Paola Magoni, emergono due svizzeri: Michaela Figini ,che si aggiudica l’oro in discesa per soli cinque centesimi sulla connazionale Maria Walliser, e Max Julen, primo nel gigante superando il sorprendente sloveno Max Franco, unica medaglia jugoslava a Sarajevo.

Per trovare l’atleta più medagliato di Sarajevo 1984 bisogna spostarsi sull’anello del fondo di Veliko Polje, dove la finlandese Marja Liisa Hämäläinen non lascia nulla, se non le briciole, alle avversarie: oro nella 5, nella 10 e nella 20 km e bronzo con la staffetta finlandese alle spalle di Norvegia e Cecoslovacchia. Bella storia, la sua. Quella di una ragazzina che sale sugli sci a quattro anni per volere del padre (il campione olimpico di Squaw Valley, Kalevi Hämäläinen) e di un talento inespresso, almeno fino al 1983, anno in cui alla soglia dei 28 conosce il compagno di una vita, il connazionale Harry Kirvesniemi, ed inizia ad allenarsi con lui. Dall’unione scaturiscono sei medaglie a Sarajevo (oltre alle sue i due bronzi di Harry), un matrimonio e due biondissime figlie, oltre a tutti i successi futuri della sua seconda vita da sciatrice, arrivata fino alle soglie dei 40 anni.
È giovane, anzi, giovanissimo, Gunde Svan, quando il 13 febbraio 1984 diventa il più precoce campione olimpico della storia nel fondo. Il ragazzone svedese, a soli 22 anni, veramente pochi per uno sport di fatica come lo sci nordico, si afferma in rimonta nella 15 km, solo tre giorni dopo il bronzo nella 30 dietro al fuoriclasse sovietico Nikolai Zimiatov. E non finisce qui: nella staffetta è autore di una strepitosa rimonta in ultima frazione che porta la Svezia dal quarto al primo posto, e nella 50 km cede il passo solamente al suo connazionale Thomas Wassberg, conquistando un argento che lo incorona re del fondo di Sarajevo.

Sempre nel panorama degli sci nordici si ritaglia uno spazio importante la sfida nel salto che vede coinvolti il tedesco orientale Jens Weissflog e il talento finlandese Matti Nykänen. La disputa finisce in parità, vista l’affermazione di Weissflog dal trampolino piccolo (il K70) e quella del finnico, a posizioni invertite, dalla rampa più alta (K90). Sul budello ghiacciato del bob la Germania Est non ha rivali e le due slitte guidate da Wolfgang Hoppe conquistano l’oro sia nel “due” che nel “quattro”, nelle prove in cui lo svedese Carl Erik Eriksson diventa il primo atleta nella storia a disputare sei olimpiadi invernali. Sulla stessa pista, oltre al trionfo di Hildgartner, si registrano due ori tedeschi: dall’est con Steffi Martin e dall’ovest quello con il doppio di Stangassinger-Wenbacher. Per la Germania Federale arriva anche un oro dal biathlon grazie a Peter Angerer, capace di prendersi una rivincita nella distanza doppia sul norvegese Erik Kvalfoss che gli era arrivato davanti nella 10 km. La staffetta invece vedrà i due rivali sui gradini più bassi del podio, dietro all’Unione Sovietica. Norvegese è l’ultimo oro in rassegna, quello della prova unica di combinata nordica vinta da Tom Sandberg davanti alla coppia di finlandesi composta da Jouko Karjäläinen e Jukka Ylipulli. Nel medagliere finale la musica non cambia rispetto alle edizioni immediatamente precedenti. Stavolta davanti c’è la Germania Est, in virtù dei nove ori conquistati contro i sei dell’Urss (finisce 24 a 25 il computo totale delle medaglie), ed i quattro di Stati Uniti, Finlandia e Svezia.

I XIV Giochi olimpici invernali si chiudono il 19 febbraio 1984, facendo segnare un record di partecipazione grazie a 1274 atleti provenienti da 49 nazioni, con la sensazione diffusa che, da quei giorni in poi, Sarajevo sarebbe stata ricordata non più soltanto per essere stata teatro, nel 1914, dell’assassinio del granduca Francesco Ferdinando, pretesto per l’inizio del primo grande conflitto mondiale. Nulla di più sbagliato. Nemmeno un decennio dopo, quella che per dodici giorni fu la capitale del mondo e lo scenario della breve riappacificazione sportiva tra Usa e Urss, sarà martoriata da una guerra civile drammatica ed inattesa. I siti olimpici diventeranno in alcuni casi cimiteri, come lo stadio olimpico Kosevo (dove verranno allineate le bare di migliaia di civili morti), in altri quartier generali (è il caso del villaggio olimpico), o in altri ancora campi di battaglia, come i pendii del monte Bjelasnica dal quale durante i giochi si erano buttati i discesisti e dove, dieci anni più tardi, si sarebbero appostati i cecchini serbi per sparare sulla popolazione.



 

 

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