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N. 23 - Novembre 2009
(LIV)
la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XII - Innsbruck 1976
di Simone Valtieri
Per
la
prima
e
unica
volta
nella
storia
una
città
designata
ad
ospitare
i
giochi
è
costretta
a
rinunciare.
Accade
in
occasioni
delle
Olimpiadi
invernali
del
1976
che
vedono
i
cittadini
di
Denver
bocciare,
con
un
referendum
popolare,
i
finanziamenti
pubblici
destinati
all’organizzazione
dell’evento.
Il
15
novembre
1972,
con
il
59,4%
gli
ambientalisti,
organizzatori
della
consultazione,
festeggiano
il
successo
e
costringono
il
comitato
promotore
a
rinunciare
ai
giochi.
Tre
mesi
dopo,
nel
febbraio
1973,
il
Cio
sceglie
Innsbruck
come
sostituta,
già
dotata
di
gran
parte
degli
impianti
necessari
e
che,
a
soli
dodici
anni
di
distanza,
torna
ad
ospitare
la
rassegna
a
cinque
cerchi.
Con
i
secondi
giochi
austriaci
si
torna
ai
livelli
di
partecipazione
di
Grenoble:
oltre
1100
gli
atleti
iscritti
in
rappresentanza
di
37
nazioni
tra
le
quali,
per
la
prima
volta,
San
Marino,
Andorra
e
soprattutto
la
Cina,
con
la
denominazione
ufficiale
però
di
“Cina
Taipei”.
La
cerimonia
d’apertura
si
svolge
allo
“Sprungstadion”
il 4
febbraio
1976,
all’ombra
di
due
bracieri
olimpici,
uno
dei
quali
edificato
in
memoria
dei
precedenti
giochi
di
Innsbruck
’64.
Ad
accenderli
saranno
la
sciatrice
Christl
Haas
e lo
slittinista
Josef
Feistmantl,
due
glorie
dello
sport
austriaco
già
medaglie
d’oro
ai
precedenti
giochi
di
casa.
In
una
nazione
dove
lo
sci
alpino
è
religione,
la
gara
più
attesa
non
poteva
che
essere
la
discesa
libera.
Il 5
febbraio,
giorno
della
prova
maschile,
settantamila
devoti
sono
assiepati
lungo
i
tre
chilometri
del
percorso
per
assistere
alla
prova
e,
soprattutto,
alla
discesa
dell’atleta
col
pettorale
numero
15:
l’idolo
di
casa
Franz
Klammer.
Prima
di
lui
sulla
pista
del
Patscherkofel
avevano
fatto
segnare
ottimi
tempi
l’italiano
Herbert
Plank
e,
meglio
ancora,
lo
svizzero
Bernhard
Russi
che
per
percorrere
la
picchiata
austriaca
aveva
impiegato
1
minuto,
46
secondi
e
spiccioli.
Al
momento
della
partenza
di
Klammer,
in
un
clima
di
festa
assoluta,
la
montagna
cominciò
a
tremare
e
non
smise
di
farlo
fino
all’arrivo
del
campione
austriaco,
che
scese
con
l’impeto
di
una
valanga
generata
dall’entusiasmo
del
pubblico
e
guidata
dal
talento
sopraffino
del
più
forte
discesista
di
tutti
i
tempi.
1’45”73:
tanto
basta
per
entrare
nella
leggenda.
Illuminanti,
per
calarsi
nell’atmosfera
di
quel
giorno,
saranno
le
parole
pronunciate
dallo
svizzero
Russi
al
termine
della
gara:
“Mentre
guardavo
in
alto
aspettando
la
discesa
di
Klammer,
al
traguardo,
sentivo
l’energia
che
si
muoveva
sulla
montagna:
settantamila
austriaci
che
impazzivano
per
lui.
Voglio
vincere
questa
gara
–
pensavo
– ma
se
lo
farò
avrò
rovinato
la
festa
a
tanta
gente.
E in
quel
momento
sono
diventato
una
specie
di
tifoso
di
Franz”.
Svizzeri
ed
italiani,
che
si
devono
accontentare
di
argento
e
bronzo
nel
giorno
di
“König”
Kranz,
si
rifaranno
con
gli
interessi
e
con
due
storiche
doppiette
nelle
gare
successive.
Lo
slalom
gigante
sarà
vinto
da
Heini
Hemmi
davanti
al
connazionale
Ernst
Good
e ad
un
giovanissimo
Ingemar
Stenmark,
di
cui
si
sentirà
parlare
in
futuro;
lo
slalom
speciale
sarà
dominato
dalla
coppia
italiana
Piero
Gros
-
Gustav
Thoeni.
Un
argento
agrodolce
per
Gustav,
che
sperava
di
rifarsi
della
delusione
patita
nel
gigante,
dove
era
terminato
al
quarto
posto
dopo
il
miglior
tempo
assoluto
della
prima
manche.
Troverà
invece
sulla
sua
strada
un
Pierino
Gros
in
stato
di
grazia
il
quale,
nella
seconda
manche
tra
i
pali
stretti,
sarà
capace
di
risalire
dal
quinto
posto
ad
uno
storico
oro
olimpico
grazie
ad
una
performance
perfetta.
Terzo
Willy
Frommelt,
proveniente
dal
piccolissimo
principato
del
Liechtenstein,
che
però
non
è il
primo
medagliato
olimpico
della
sua
nazione,
visto
che
nello
slalom
femminile
era
salita
sul
podio
tre
giorni
prima
la
connazionale
Hanni
Wenzel.
Davanti
alla
Wenzel
si
piazza
l’azzurra
Claudia
Giordani,
splendido
argento
a
soli
tre
decimi
dalla
donna
dei
giochi:
Rosi
Mittermaier.
La
sciatrice
tedesca
mancherà
l’en
plein
d’oro,
ottenuto
in
passato
solo
in
campo
maschile
da
Toni
Sailer
e
Jean
Claude
Killy,
per
soli
12
centesimi.
A
tanto
ammonterà
il
distacco
dalla
canadese
Kathy
Kreiner
nell’ultima
gara
in
programma,
lo
slalom
gigante,
dopo
che
la
rossa
Rosi
era
salita
sui
gradini
più
alti
delle
gare
di
discesa
libera
(mai
ne
aveva
vinta
una
prima)
e
slalom.
Con
lo
stesso
bottino
della
Mittermaier,
ma
su
un
paio
di
sci
diversi,
torna
a
casa
da
Innsbruck
la
sovietica
Raisa
Smetanina,
bicampionessa
olimpica
nello
sci
di
fondo.
La
russa
vince
l’oro
nella
gara
sui
10
km e
nella
staffetta,
mentre
si
deve
accontentare
dell’argento,
alle
spalle
della
finlandese
Helena
Takalo,
in
una
5 km
passata
alla
storia
per
altri
motivi
rispetto
ai
risultati
in
pista.
Si
parla
infatti
di
“squalifica
per
doping”
per
la
prima
volta
nella
storia,
ai
danni
della
campionessa
sovietica
Galina
Kulakova,
trovata
positiva
all’efedrina.
Tuttavia,
grazie
a
norme
antidoping
alquanto
elastiche,
all’atleta
sarà
permesso
di
gareggiare
i
giorni
successivi,
durante
i
quali
conquisterà
il
bronzo
della
10
km
dietro
a
Smetanina
e
Takalo,
e
l’oro
nella
staffetta.
La
gara
di
staffetta
maschile
sarà
invece
ricordata
per
alcuni
clamorosi
colpi
di
scena.
I
favoriti
sovietici
inciampano
nelle
più
disparate
disavventure
e
salgono
su
un’altalena
che
li
porterà
alla
fine
ad
un
insperato
bronzo.
In
prima
frazione
Yevgeny
Belayev,
argento
nella
15
km,
rompe
la
scarpa:
non
potrà
sostituirla
perché
unica
nel
suo
genere
e
sarà
costretto
a
completare
la
prova
praticamente
su
un
solo
sci;
in
seconda
frazione
Bazhukov,
l’oro
della
15
km,
riporta
i
russi
dal
dodicesimo
al
terzo
posto
ma
subito
dopo
una
sciolina
sbagliata,
sotto
gli
sci
del
campione
della
30
km
Sergey
Savelyev,
fa
sprofondare
all’undicesimo
posto
la
squadra
dell’Urss.
Il
bronzo
è
possibile
grazie
a
una
furiosa
rimonta
di
Ivan
Garanin,
terzo
anche
nella
30
km,
capace
di
risalire
di
ben
otto
posizioni
negli
ultimi
10
km.
La
prova
sarà
vinta
dalla
compatta
squadra
finlandese,
portata
al
traguardo
da
Arto
Koivisto,
bronzo
della
15
km;
l’argento
andrà
alla
Norvegia
di
Ivar
Formo,
oro
due
giorni
dopo
nella
maratona
dei
ghiacci,
la
50
km;
il
premio
della
sfortuna
va
invece
meritatamente
alla
Germania
Est,
prima
fino
a
quando
il
secondo
frazionista
Axel
Lesser
non
finisce
in
ospedale,
a
causa
dell’imprudente
attraversamento
del
tracciato
da
parte
di
una
spettatrice.
Tra
gli
atleti
simbolo
dei
giochi
spicca
l’inglese
John
Curry,
allenato
dall’italiano
Carlo
Fassi,
che
vince
l’oro
olimpico
nel
pattinaggio
artistico
individuale.
Curry,
spesso
osteggiato
dai
giudici
della
scuola
orientale
per
uno
stile
troppo
femmineo,
incanta
il
pubblico
con
una
prestazione
perfetta
che
ottiene
un
punteggio
di
105,9
su
108,
il
massimo
mai
ottenuto
in
un’olimpiade.
Non
raggiungerà
il
top
solo
a
causa
dei
giudici
sovietico
e
canadese,
che
preferiscono
le
prestazioni
dei
loro
connazionali
Kovalyov
e
Cranston,
alla
fine
secondo
e
terzo.
Dorothy
Hamill,
anch’essa
allenata
dal
“guru”
Carlo
Fassi,
conquista
l’oro
femminile,
mentre
alle
coppie
sovietiche
andranno
gli
ori
nelle
altre
due
specialità:
le
coppie,
con
Irina
Rodnina
al
secondo
sigillo
con
il
nuovo
compagno
Alexander
Zaitsev,
suo
futuro
marito,
e la
danza,
al
debutto
olimpico
ad
Innsbruck,
con
Lyudmila
Pakhomova
e
Aleksandr
Gorshkov.
Sui
pattini
veloci
viaggiano
come
il
vento
le
ragazze
sovietiche:
Tatyana
Averina
è
capace
di
vincere
due
ori
e
due
bronzi,
salendo
sul
podio
in
tutte
le
gare
in
programma,
Galina
Stepanskaya
invece
vince
un
solo
oro,
nei
1500metri,
ma
davanti
a
Sheila
Young,
campionessa
olimpica
pochi
giorni
prima
sui
500.
Nel
settore
maschile
a
nessuno
riesce
il
bis:
tutti
differenti
i
vincitori
delle
cinque
prove
in
programma,
che
vanno
al
sovietico
Kulikov,
all’americano
Mueller,
ai
norvegesi
Storholt
e
Stensen
ed
all’olandese
Kleine.
Nel
medagliere
finale
domineranno
le
potenze
dell’est
europeo,
con
Unione
Sovietica
e
Germania
Est
su
tutte.
Ai
sovietici
riesce
la
conquista
di
27
medaglie
totali
di
cui
13
del
metallo
più
prezioso,
un
record
raggiunto
grazie
anche
al
dominio
nel
biathlon
con
Nikolay
Kruglov
e
con
la
staffetta,
e
nel
torneo
di
hockey
su
ghiaccio,
vinto
davanti
alla
Cecoslovacchia.
Gli
atleti
della
Repubblica
Democratica
Tedesca
si
dovranno
accontentare
del
secondo
posto
con
“sole”
19
medaglie
iridate,
frutto
di
un
dominio
pressoché
incontrastato
espresso
in
più
di
una
disciplina.
Sette
gli
ori:
nei
bob
Meinhard
Nehmer
porta
sul
gradino
più
alto
entrambi
gli
equipaggi
tedeschi,
quello
del
“due”
e
del
“quattro”.
Ai
due
titoli
suddetti
vanno
aggiunti
quelli
di
Ulrich
Wehling,
che
vince
in
maniera
netta
l’unica
prova
di
combinata
nordica
in
programma,
di
Hans-Georg
Aschenbach,
che
nel
K90
salta
più
lontano
di
tutti
(anche
dell’oro
nel
K120,
l’idolo
di
casa
Karl
Schnabl)
e
degli
slittinisti
che
firmano
una
storica
tripletta
con
Detlef
Gunther
nel
singolo
maschile,
Margit
Schumann
nel
femminile
e
Hans
Rinn-Norbert
Hahn
nella
gara
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doppio.
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