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N. 23 - Novembre 2009
(LIV)
la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte XIII - lake placid 1980
di Simone Valtieri
Nel
tentativo
di
riscattare
la
figuraccia
fatta
da
Denver
pochi
anni
prima,
il
comitato
olimpico
statunitense
decide
di
ripresentarsi
ai
nastri
di
partenza
per
l’assegnazione
dei
giochi
invernali
del
1980
e
accoglie
le
richieste
dei
sindaci
di
due
località:
la
piccola
Lake
Placid,
già
olimpica
nel
1932,
e la
grande
Salt
Lake
City,
sconfitta
otto
anni
prima
da
Sapporo.
A
spuntarla
sarà
Lake
Placid,
in
una
maniera
che
definire
fortunosa
è
poco.
La
cittadina
dello
stato
di
New
York,
certo
non
favorita
alla
vigilia,
vince
per
assenza
di
rivali,
vedendo
ritirarsi
pian
piano
tutte
le
altre
candidature.
Per
prima
salta
la
concorrenza
interna
di
Salt
Lake
City,
poi
fanno
un
passo
indietro
le
già
olimpiche
Garmisch,
Oslo
e
Chamonix
ed
infine
rinuncia
anche
la
canadese
Vancouver.
Presa
conoscenza
dei
fatti,
il
23
ottobre
1974
il
Cio
non
può
far
altro
che
ratificare
la
scelta
e
consegnare
per
la
seconda
volta
i
giochi
a
Lake
Placid,
tra
la
perplessità
generale.
Il
paese,
cinquemila
abitanti
praticamente
disposti
lungo
una
sola
strada,
versa
in
uno
stato
economico
difficile
le
condizioni
infrastrutturali
e
logistiche
sono
addirittura
disastrose,
ma
ha
dalla
sua
due
fattori:
l’esperienza
maturata
in
anni
di
competizioni
internazionali
minori,
tra
cui
alcuni
mondiali
di
bob
e
biathlon
nonché
un’edizione
delle
Universiadi,
e la
volontà
di
ferro
del
reverendo
metodista
Bernard
Fell,
al
vertice
del
comitato
organizzatore.
I
problemi
che
il
Cio
deve
affrontare
sono
però
altri
e
più
complessi.
Le
tensioni
politiche
internazionali
tra
i
due
blocchi
contrapposti,
est
contro
ovest,
stanno
per
esplodere
e
Lake
Placid
rischia
di
venire
travolta
dalla
deflagrazione.
A
causa
dell’invasione
sovietica
in
Afghanistan,
il
dibattito
tra
Stati
Uniti
e
Urss
si
era
fatto
incandescente
negli
ultimi
mesi
e, a
quattro
giorni
dalla
cerimonia
inaugurale,
il
sottosegretario
di
stato
americano
Cyrus
Vance
aveva
chiesto
al
presidente
del
comitato
olimpico,
il
barone
Killanin,
di
cancellare
la
partecipazione
ai
giochi
di
Mosca.
Quella
che
si
può
definire
come
la
prima
mossa
degli
Stati
Uniti,
in
preparazione
del
clamoroso
boicottaggio
che
interesserà
le
olimpiadi
estive
di
Mosca
1980,
sarà
motivo
di
ulteriori
tensioni
soprattutto
sui
campi
di
gara;
tensioni
che
però,
con
un
certo
distacco,
possono
non
essere
considerate
totalmente
negative
in
quanto
regaleranno
al
mondo
alcune
delle
pagine
più
straordinarie
dell’olimpismo
moderno.
Il
riferimento
diretto
è a
quello
che
avviene
il
22
febbraio
1980
nella
Olympic
Fieldhouse
di
Lake
Placid.
Se
ad
un
italiano
ci
si
rivolge
dicendo
“4-3”,
la
mente
vola
automaticamente
ad
una
storica
semifinale
tra
Italia
e
Germania
Ovest
nel
mondiale
di
calcio
del
1970.
Se
invece
si
prova
a
pronunciare
la
stessa
sequenza
di
numeri
ad
un
americano,
vi
sentirete
rispondere
orgogliosamente:
“Miracle
on
ice!”.
“Miracolo
sul
ghiaccio”,
infatti,
è
l’epiteto
che
è
stato
dato
ad
una
partita,
o
più
precisamente
a
tutto
un
torneo,
quello
di
hockey
dei
giochi
di
Lake
Placid.
Accadde
l’impensabile:
la
formazione
statunitense,
messa
insieme
in
poco
tempo
da
Herb
Brooks
e
composta
esclusivamente
da
giocatori
universitari
e
dilettanti,
vince
il
torneo
olimpico
sconfiggendo
nella
penultima
partita
l’imbattibile
squadrone
dell’Unione
Sovietica
che,
non
disponendo
di
una
lega
professionistica
in
patria
(all’epoca
ai
giochi
era
vietata
la
partecipazione
di
atleti
con
contratto
professionistico),
poteva
contare
su
tutti
i
suoi
migliori
elementi.
Dopo
un
girone
eliminatorio
sorprendentemente
concluso
al
secondo
posto,
nel
girone
finale
gli
Usa
battono
4-3
i
sovietici,
che
alla
vigilia
di
Lake
Placid
li
avevano
agevolmente
superati
in
amichevole
con
un
perentorio
10-3,
e
nell’ultima
partita
sconfiggono
la
Finlandia
4-2,
terminando
al
primo
posto
un
sorprendente
torneo.
Di
quell’incontro,
oltre
all’avvincente
altalenarsi
del
risultato
fino
al
gol
decisivo
dell’osannato
Mike
Eruzione,
si
ricorda
l’emozionante
telecronaca
di
Al
Michaels
ed i
concitati
momenti
finali
conclusi
con
la
celeberrima
frase
“Do
you
believe
in
miracles?
Yes!”.
L’avvenimento
ha
ispirato
ben
due
film,
dei
quali
va
menzionata,
nel
più
recente,
la
memorabile
interpretazione
di
Kurt
Russell
nel
ruolo
di
coach
Herb
Brooks.
“Se
non
è un
miracolo
poco
ci
manca”,
frase
adatta
anche
a
quanto
avviene
sull’ovale
del
pattinaggio,
dove
un
giovanissimo
ragazzone
del
Wisconsin,
al
suo
secondo
gettone
olimpico
a
soli
22
anni,
stabilisce
un
primato
pressoché
ineguagliabile:
cinque
titoli
olimpici
individuali
in
una
stessa
edizione
dei
giochi.
Si
chiama
Eric
Heiden
ed è
il
dominatore
incontrastato
del
pattinaggio
pista
lunga
a
Lake
Placid.
Attualizzando
ciò
che
si
scrisse
su
di
lui
all’epoca,
è un
po’
come
se
nell’atletica,
Usain
Bolt,
LaShawn
Merritt,
Wilfred
Bungei
e
Kenenisa
Bekele,
gli
ori
su
pista
degli
ultimi
giochi
di
Pechino
dai
100
ai
10.000
metri,
fossero
un’unica
persona.
Eric
si
impone
nei
500,
nei
1.000,
nei
1.500,
nei
5.000
e
nei
10.000
metri
lasciando
le
briciole
agli
avversari
tra
cui
vale
la
pena
ricordare
il
sovietico
Yevgeny
Kulikov,
che
lo
insidia
fino
all’ultimo
centimetro
nella
prova
sui
500.
Heiden
lascerà
l’agonismo
giovanissimo,
appagato
dall’affermazione
a
cinque
cerchi,
e
riprenderà
gli
studi
diventando
chirurgo
ortopedico,
professione
che
esercita
ancora
oggi
nel
suo
studio
a
Sacramento.
In
un’edizione
che
segna
una
sostanziale
continuità
nei
numeri
rispetto
alle
quattro
precedenti,
con
1070
atleti
iscritti
in
rappresentanza
di
37
nazioni
(con
la
Repubblica
Popolare
Cinese
all’esordio),
sono
Heiden
e il
team
di
“Miracle
on
ice”
le
uniche
affermazioni
a
stelle
e
strisce
ottenute
tra
i
ghiacci
e le
nevi
di
casa.
Nel
resto
delle
prove
gli
atleti
statunitensi
raccoglieranno
le
briciole,
dietro
soprattutto
alle
due
superpotenze
del
medagliere
che
si
danno
battaglia
al
vertice
ormai
da
tre
edizioni
dei
giochi.
Gli
Urss
finiranno
primi
per
numero
di
ori,
10
contro
9,
ma
secondi
per
quanto
riguarda
il
computo
complessivo,
22
medaglie
a
23,
rispetto
alle
Germania
Est.
Le
discipline
in
cui
vincono
sono
sempre
le
stesse.
Nel
biathlon
la
sfida
più
equilibrata,
grazie
a
fuoriclasse
del
calibro
di
Franck
Ullrick
per
la
Ddr
e di
Anatoly
Albayev
per
l’Urss
che
si
aggiudicano
un
oro
ed
un
piazzamento
sul
podio
a
testa
nelle
gare
individuali.
La
staffetta
va
allo
squadrone
sovietico
guidato
dal
maggiore
dell’Armata
Rossa
Alexander
Tikhonov,
al
suo
quarto
oro
nella
prova
a
squadre
su
quattro
partecipazioni.
Nel
bob
Meinhard
Nehmer
, il
pilota
di
Bobolin
(cittadina
oggi
in
Polonia
al
confine
con
la
Germania),
non
riesce
a
replicare
la
doppietta
di
Innsbruck
e
deve
accontentarsi,
si
fa
per
dire,
di
un
primo
posto
nel
bob
a
quattro
e di
un
terzo
nel
bob
a
due
dietro
agli
elvetici
Erich
Scharer
e
Joseph
Benz.
Ulrich
Wehling
nella
combinata
nordica
sfonda
le
porte
della
storia
con
il
terzo
oro
individuale
consecutivo
dopo
quelli
di
Sapporo
’72
e
Innsbruck
’76,
impresa
riuscita
fino
ad
allora
solamente
allo
svedese
Gillis
Grafstrom
e
alla
bellissima
Sonja
Henie
nel
pattinaggio
artistico.
Proprio
dal
pattinaggio,
sia
di
figura
che
di
velocità,
arrivano
altri
ori
per
le
due
superpotenze,
con
Anett
Potzsch
nell’individuale
femminile
e
con
le
imbattibili
coppie
sovietiche
Irina
Rodnina-Aleksander
Zaytsev
(terzo
oro
per
Irina,
secondo
per
il
marito
Aleksander)
e
Linichuk-Karponosov,
mentre
tra
gli
uomini
è il
britannico
Robin
Cousins
il
degno
successore
del
connazionale
Curry.
Heiden
a
parte,
sull’ovale
di
Lake
Placid
conquistano
l’oro
in
campo
femminile
la
tedesca
Karin
Kania,
la
sovietica
Natalya
Petruseva,
l’olandese
Annie
Borckink
e la
norvegese
Bjorg
Eva
Jensen.
Il
salto
dal
trampolino
premia
l’austriaco
Anton
Innauer
(K90)
e il
finlandese
Jouko
Tormanen
(K120),
mentre
nello
slittino
si
dividono
le
medaglie
d’oro
la
solita
Germania
Est
con
Bernhard
Glass
e il
doppio
Hans-Rinn-Norbert
Hahn
(primi
nella
storia
a
fare
bis
di
un
titolo
olimpico
nello
slittino),
e
l’Unione
Sovietica
con
Vera
Zozula.
Da
queste
ultime
gare
arrivano
anche
le
uniche
due
medaglie
dell’Italia
ai
giochi
del
1980,
vale
a
dire
due
argenti
con
il
doppio
degli
altoatesini
Gschinitzer-Brunner
e
con
l’esperto
Paul
Hildgartner
nel
singolo,
gara
nella
quale
molto
ha
da
recriminare
l’altro
italiano
Ernst
Haspinger,
primo
dopo
la
terza
manche
e
che
deve
attendere
due
ore
a
-20
gradi,
causa
l’impraticabilità
della
pista,
prima
della
discesa
che
lo
vedrà
scivolare
amaramente
fuori
dal
podio.
L’infinito
duello
tra
Urss
e
Germania
Est
continua,
con
una
spruzzata
di
Scandinavia,
anche
sulle
piste
del
Mount
Van
Hoevenberg
che
ospitano
le
gare
di
sci
di
fondo.
Se
non
ci
fosse
stato
Eric
Heiden,
sarebbe
sicuramente
il
sovietico
Nikolay
Zimyatov
l’uomo
dei
giochi.
Passerà
alla
storia
per
essere
il
primo
sovietico
a
vincere
la
50
km,
titolo
che
gli
permetterà
di
completare
un
bottino
composto
anche
dall’oro
nella
30
km e
da
quello
in
staffetta.
Solo
lo
svedese
Thomas
Wassberg
è
capace
di
interrompere
il
dominio
rosso
sulle
piste
americane,
con
l’oro
nella
15
km
davanti
di
un
solo
centesimo
di
secondo
allo
sfortunato
finlandese
Juha
Mieto,
al
secondo
argento
dopo
quello
della
50
km.
Tra
le
donne
Raisa
Smetanina
aggiunge
l’oro
sui
5 km
a
quello
vinto
nella
distanza
doppia
a
Innsbruck,
mentre
più
forte
di
lei
va
la
tedesca
orientale
Barbara
Petzold,
che
conquista
il
gradino
più
alto
nella
10
km e
trascina
le
compagne
ad
uno
storico
oro
in
staffetta
davanti
alle
dirette
rivali.
Dove
di
DDR
e
URSS
non
c’è
traccia
è
nello
sci
alpino.
A
dominare
le
imprevedibili
rampe
della
montagna
dei
visi
pallidi
(Whiteface
Mountain)
sono
i
rappresentanti
dei
più
tradizionali
stati
alpini
e
scandinavi.
Due
nomi
su
tutti:
Hanni
Wenzel
e
Ingemar
Stenmark.
La
Wenzel,
che
alle
precedenti
olimpiadi
era
stata
la
prima
atleta
del
suo
piccolissimo
paese,
il
Liechtenstein,
a
vincere
una
medaglia,
si
migliorerà
eguagliando
la
Rosi
Mittermaier
di
Innsbruck:
Come
lei
finirà
con
due
ori
e un
argento
nelle
tre
prove
in
programma,
seconda
solamente
nella
discesa
libera
dietro
alla
fenomenale
austriaca
Annemarie
Moser-Proell.
Grazie
anche
all’argento
del
fratello
di
Hanni,
Andreas
Wenzel,
il
Liechtenstein
si
ritroverà
alla
fine
dei
giochi
al
sesto
posto
del
medagliere
assoluto,
con
quattro
medaglie
(due
ori
e
due
argenti)
davanti
a
nazioni
più
blasonate
come
Finlandia,
Norvegia,
Svizzera,
Francia
e
Italia.
In
campo
maschile
è
l’austriaco
Leonhard
Stock
a
vincere
la
prestigiosa
prova
di
discesa,
l’unica
nella
quale
non
gareggiava
lo
specialista
dei
pali
stretti
Ingemar
Stenmark.
Lo
svedese
riporterà
due
attesi
successi
in
gigante
e
slalom,
confermando
lo
strapotere
assoluto
che
da
ormai
diverse
stagioni
esercitava
in
coppa
del
mondo.
Di
Lake
Placid
1980
passeranno
alla
storia,
di
pari
passo
con
le
imprese
degli
atleti,
anche
le
suggestive
cerimonie
di
premiazione,
svoltesi
sul
manto
ghiacciato
del
lago
Mirror
fino
a
pochi
giorni
dalla
fine
della
manifestazione,
quando
un
brusco
rialzo
della
temperatura,
in
precedenza
polare,
ha
costretto
gli
organizzatori
a
spostarle
nell’Agorà
dell’hotel
Resort.
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