N. 19 - Luglio 2009
(L)
La storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte V - st.moritz 1948
di Simone valtieri
Dopo
dodici
anni
di
pausa
e
due
edizioni
saltate
a
causa
del
drammatico
conflitto
bellico
(Sapporo
1940
e
Cortina
1944),
le
Olimpiadi
ripartono.
Nell’immediato
dopoguerra
il
Cio
aveva
da
subito
manifestato
la
volontà
di
riprendere
la
naturale
cadenza
dei
giochi,
ricevendo
la
candidatura
di
Lake
Placid,
già
esperta
nell’organizzazione,
per
quelli
del
1948.
Al
congresso
di
Losanna
del
settembre
1946
viene
però
deciso,
a
fronte
della
difficile
situazione
in
cui
molti
Paesi
europei
versavano
dopo
la
guerra,
di
evitare
trasferte
transoceaniche
costose
alle
tante
delegazioni
del
vecchio
continente,
optando
per
la
più
comoda
St.Moritz.
Così,
a
distanza
di
venti
anni,
il
drappo
olimpico
torna
a
sventolare
nello
stadio
della
piccola
località
dell’Engadina.
Il
contrasto
con
Garmisch
1936
è
evidente:
non
ci
sono
impianti
monumentali
o
regimi
da
glorificare,
soltanto
atleti
di
tante
nazionalità,
tedeschi
e
giapponesi
esclusi
per
ovvie
ragioni,
intenti
a
sfidarsi
sui
campi
di
gara.
Da
registrare
ancora
una
volta
l’assenza
dell’Unione
Sovietica,
che
farà
il
suo
debutto
solo
otto
anni
più
tardi.
Il
30
gennaio
si
presentano
ai
nastri
di
partenza
669
atleti,
un
iscritto
in
più
rispetto
ai
giochi
di
Garmisch,
in
rappresentanza
di
28
nazioni.
Aumentano
le
medaglie
da
assegnare,
grazie
anche
al
programma
di
sci
alpino,
allargato
con
le
gare
di
discesa
libera
e di
slalom
speciale
sia
per
gli
uomini
che
per
le
donne,
e al
ritorno
dello
skeleton.
L’organizzazione
è
perfetta
e
gli
unici
problemi,
come
venti
anni
prima,
arrivano
ancora
dal
clima.
La
temperatura
nell’Engadina
non
tocca
i 25
gradi
come
nella
precedente
edizione,
ma
le
difficoltà
non
sono
poche,
soprattutto
per
le
gare
di
pattinaggio
ed
hockey,
dove
in
più
di
un’occasione
si è
reso
indispensabile
il
rinvio.
Tra
le
discipline
dimostrative
fa
il
suo
esordio,
che
coincide
anche
con
l’unica
apparizione,
il
pentathlon
invernale,
imitazione
mal
riuscita
di
quello
estivo,
con
gare
di
fondo,
discesa,
tiro,
scherma
ed
equitazione.
Il
“caso”
di
St.Moritz
1948
è
rappresentato
dalla
nazionale
statunitense
di
hockey.
Per
un’intricata
circostanza
burocratica,
erano
arrivate
in
Svizzera
due
selezioni
americane,
quella
dell’AAU
(Amateur
Athletics
Union),
con
in
rosa
alcuni
giocatori
professionisti
e
riconosciuta
dal
comitato
olimpico
nazionale,
e
quella
dell’AHA
(Amateur
Hockey
Association),
composta
esclusivamente
da
giocatori
dilettanti
e
scelta
dal
Cio
per
partecipare
al
torneo.
Il
comitato
olimpico,
per
convincere
gli
americani
a
far
partecipare
il
team
dilettantistico,
aveva
inizialmente
dichiarato
il
torneo
come
non
ufficiale.
Alla
chiusura
dei
giochi,
e
dopo
il
quarto
posto
degli
Usa
dietro
a
Canada,
Cecoslovacchia
e
Svizzera,
decise
clamorosamente
di
squalificare
la
squadra,
per
poter
così
assegnare
il
riconoscimento
ufficiale
alle
tre
nazionali
sul
podio.
Paradossalmente
nei
registri
dell’USOC
(il
comitato
olimpico
americano)
non
vi è
tuttora
traccia
dei
nomi
della
squadra
che
effettivamente
partecipò
ai
giochi
mentre
compaiono
esclusivamente
i
giocatori
dell’AAU
che
mai
scesero
in
campo.
Una
curiosità:
della
nazionale
cecoslovacca
di
hockey
su
ghiaccio
faceva
parte
anche
Jaroslav
Drobny,
più
famoso
per
la
sua
carriera
da
tennista
durante
la
quale,
con
la
nuova
nazionalità
egiziana,
riuscirà
a
vincere
numerosi
tornei
tra
cui
due
Roland
Garros
e un
Wimbledon.
Il
computo
finale
di
St.Moritz
mostra
un
equilibrio
sostanziale
tra
le
prime
quattro
nazioni
del
medagliere:
Norvegia
(4
ori,
3
argenti
e 3
bronzi),
Svezia
(4-3-3),
Svizzera
(3-4-3)
e
Stati
Uniti
(3-4-2).
Le
medaglie
norvegesi,
svedesi
e
anche
quelle
finlandesi
(1-3-2)
arrivano,
come
da
tradizione,
esclusivamente
dalle
discipline
nordiche
e
dal
pattinaggio
di
velocità.
L’unica
nazione
non
scandinava
a
salire
sul
podio
in
questo
dominio
sono
gli
Stati
Uniti
grazie
ai
due
pattinatori
veloci
Robert
Fitzgerald
e
Kenneth
Barthelemeow,
secondi
a
pari
merito
nei
500
metri
dietro
al
norvegese
Finn
Helgesen.
Norvegese
anche
il
podio
del
salto
dal
trampolino,
con
l’eterno
Birger
Ruud
secondo
dietro
al
connazionale
Petter
Hugsted,
mentre
sono
appannaggio
di
Svezia
e
Finlandia
le
gare
di
fondo
e
combinata
nordica.
Nel
bob
sono
svizzeri
ed
americani
a
contendersi
gli
ori
(uno
a
testa
alla
fine)
ma è
un
belga
a
stabilire
un
record.
Con
il
suo
equipaggio
di
bob
a
quattro,
infatti,
Max
Houden
conquista
l’argento
olimpico
all’età
di
49
anni
e
278
giorni,
il
più
anziano
di
tutti
ai
giochi
olimpici
invernali.
Nello
skeleton
a
compiere
l’impresa
è
invece
John
Heaton,
che
fotocopia
quanto
avvenuto
sulla
stessa
pista
venti
anni
prima
raddoppiando
la
medaglia
d’argento
conquistata
nel
1928.
Allora
Heaton
arrivò
dietro
al
fratello
Jennison,
mentre
nel
1948
deve
arrendersi
alla
prima
storica
oro
dell’Italia
ai
giochi
olimpici
invernali:
Nino
Bibbia.
In
realtà
la
medaglia
è da
considerarsi
per
metà
svizzera,
visto
che
Nino
era
un
emigrante,
arrivato
a
St.Moritz
dalla
Valtellina
nel
1938,
alla
giovane
età
di
sedici
anni.
Talento
naturale,
si
dilettava
in
svariati
sport,
tra
cui
lo
sci,
l’hockey,
il
ciclismo,
il
bob
(vi
partecipò
proprio
a
St.Moritz)
e lo
skeleton.
In
quest’ultimo
Nino
aveva
il
vantaggio
di
conoscere
a
memoria
la
pista
della
celebre
Cresta
Run,
la
massima
competizione
di
skeleton
del
mondo,
sulla
quale
si
disputava
la
prova
olimpica.
A
notarlo
fu
Vico
Rigassi,
un
giornalista
della
Gazzetta
dello
Sport
che
lo
segnalò
al
CONI,
il
quale,
senza
neanche
avere
idea
di
cosa
fosse
lo
skeleton,
gli
propose
la
partecipazione.
Bibbia
vincerà
nettamente
di
oltre
un
secondo
e
quattro
decimi
su
Heaton,
e
quasi
si
scorderà
di
ritirare
la
medaglia,
richiamato
dagli
altoparlanti
durante
la
cerimonia
di
premiazione
quando
già
si
apprestava
a
tornare
a
casa
e al
suo
lavoro
di
fruttivendolo.
Impresa
analoga
a
quella
di
Heaton
la
compie
sulle
stesse
nevi
lo
svizzero
Riccardo
“Bibi”
Torriani,
componente
del
team
nazionale
di
hockey,
che,
come
vent’anni
prima
quando
aveva
sedici
anni,
ripete
con
la
sua
squadra
il
bronzo
di
St.Moritz
1928.
Per
tutti
gli
svizzeri
è
lui
il
personaggio
dei
giochi,
per
il
resto
del
mondo
è
invece
“battaglia”
per
lo
scettro
tra
il
francese
Henri
Orellier,
capace
di
vincere
due
ori
e un
bronzo,
andando
a
podio
in
tutte
e
tre
le
discipline
dello
sci
alpino,
e
l’americano
Richard
“Dick”
Button,
oro
nel
pattinaggio
artistico.
Orellier
passerà
alla
storia
per
essere
il
primo
campione
olimpico
non
proveniente
da
una
cittadina
di
montagna:
parigino
di
nascita
e
rodanese
d’adozione,
ha
la
velocità
nel
sangue
(tanto
che
perderà
la
vita
al
volante
di
una
Ferrari
GT
durante
la
sua
carriera
automobilistica)
e
pazzia
quanto
basta
per
andare
a
vincere
un
oro
clamoroso
in
discesa
con
ben
quattro
secondi
di
vantaggio
sul
secondo
classificato,
l’austriaco
Franz
Gabl,
e
dopo
aver
percorso
venti
metri
della
curva
più
pericolosa
del
tracciato,
sul
muro
ghiacciato,
con
un
solo
sci
a
contatto
col
terreno.
Dick
Button
sarà
ricordato
dalla
storia
per
l’azzardo
con
il
quale
si
aggiudicherà
l’oro
olimpico.
Aiutato
dal
suo
maestro,
il
francese
Pierre
Brunet,
metterà
a
punto
il
doppio
axel
decisivo
per
il
successo,
soltanto
due
giorni
prima
della
gara,
senza
averlo
mai
provato
prima.
Durante
l’esibizione
lo
eseguirà
in
maniera
perfetta,
raccogliendo
il
massimo
punteggio
da
otto
dei
nove
giudici
e
lasciando
tutti
esterrefatti.
Ancora
poco
in
confronto
a
quello
che
accadrà
quattro
anni
dopo
ad
Oslo,
quando
sarà
il
primo
uomo
a
compiere
una
combinazione
triplo
axel-triplo
loop,
che
gli
varrà
stavolta
il
massimo
punteggio
da
tutti
e
nove
i
giudici.