N. 20 - Agosto 2009
(LI)
la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte VII - cortina 1956
di
Simone Valtieri
Trentuno
voti
contro
i
sette
di
Montreal
e i
due
di
Colorado
Springs.
E’
con
questa
maggioranza
netta
che
i
membri
del
Cio
votano
nella
sessione
di
Roma
nel
1949
a
favore
di
Cortina
d’Ampezzo
come
sede
ospitante
dei
giochi
del
1956,
risarcendola
per
la
mancata
organizzazione
di
quelli
del
1944,
già
assegnati
alla
cittadina
bellunese
e
mai
disputati
a
causa
della
guerra.
Il
presidente
del
comitato
è il
conte
Paolo
Thaon
di
Revel,
già
oro
olimpico
nella
scherma
ad
Anversa
1920,
coadiuvato
dal
segretario
Giordano
Fabjan.
Sotto
la
loro
direzione
e
con
il
contributo
economico
di
grandi
aziende
del
nord
Italia,
come
Fiat,
Olivetti,
Alfa
Romeo
e
Agip,
a
sopperire
alle
mancanze
di
fondi
(non
furono
sufficienti
i
600
milioni
di
lire
stanziati
nel
1950
dal
governo
italiano,
visto
anche
che
la
spesa
finale
si
aggirò
attorno
ai
tre
miliardi)
vengono
organizzati
dei
giochi
sotto
certi
aspetti
rivoluzionari.
La
Rai,
che
aveva
inziato
a
trasmettere
dal
1954,
organizza
per
la
prima
volta
la
diffusione
in
diretta
dell’evento
nonostante
il
parere
contrario
del
presidente
del
Cio
Avery
Brundage,
mentre
sul
fronte
delle
partecipazioni
è da
sottolineare
il
pesante
esordio
dello
squadrone
dell’Unione
Sovietica.
Il
26
gennaio
1956,
nel
nuovo
stadio
del
ghiaccio
di
Cortina,
impianto
da
7000
posti
costruito
per
l’occasione,
sfilano
durante
la
cerimonia
di
apertura
delegazioni
provenienti
da
32
stati
per
un
totale
di
820
atleti,
di
cui
132
donne.
La
Germania
è
presente
per
la
seconda
volta
consecutiva
con
una
rappresentativa
unificata,
stavolta
però
non
solo
formalmente
ma
anche
nella
sostanza,
in
quanto
sotto
la
stessa
bandiera
concorreranno
63
atleti
provenienti
dalla
Repubblica
Federale
e 12
da
quella
Democratica.
A
leggere
il
giuramento
degli
atleti
sarà,
anche
questa
una
novità,
una
donna:
Giuliana
Minuzzo,
sciatrice
azzurra
già
medagliata
ad
Oslo.
Il
compito
di
inaugurare
i
giochi
viene
assegnato
al
presidente
della
repubblica
Giovanni
Gronchi.
Il
clou
del
programma
di
gare
è
rappresentato
dallo
sci
alpino,
appunto
più
praticato
tra
le
Alpi
rispetto
a
quello
nordico,
e
proprio
da
queste
prove
emerge
il
nome
del
campione
più
acclamato
di
Cortina
‘56:
Anton
“Toni”
Sailer.
Il
polivalente
atleta
austriaco
si
rende
protagonista
di
un’impresa
leggendaria,
aggiudicandosi
in
maniera
inequivocabile
e
talvolta
esemplare
tutte
e
tre
le
prove
(slalom,
gigante
e
discesa)
a
cui
era
iscritto.
Tra
le
porte
larghe
dello
slalom
gigante
e le
distese
bianche
della
discesa
libera,
Sailer
non
ha
rivali:
vince
e
infligge
distacchi
abissali,
rispettivamente
di
6,2
e
3,5
secondi,
ai
malcapitati
atleti
che
giungono
alle
sue
spalle,
ma è
tra
i
pali
stretti
dello
slalom
speciale
che
l’austriaco
compie
un’impresa
ancor
più
incredibile.
Con
il
pettorale
numero
135,
rimediato
all’ultimo
secondo
dopo
essere
giunto
in
grave
ritardo
sulle
piste
a
causa
di
un
pisolino
fin
troppo
prolungato,
il
campione
austriaco
compirà
un
mezzo
miracolo.
Costretto
a
scendere
senza
possibilità
di
effettuare
una
ricognizione
delle
92
porte
di
gara,
Sailer
infliggerà
ben
quattro
secondi
al
giapponese
Igaya
e
cinque
e
mezzo
allo
svedese
Sollander,
conquistando
uno
degli
ori
più
sensazionali
dei
giochi.
Nelle
gare
femminili
non
ci
sarà
una
sola
atleta
a
dominare
ma
le
medaglie
saranno
spartite
tra
le
svizzere
Berthod
e
Colliard
e la
tedesca
Reichert.
Lo
sci
nordico
resta,
come
da
tradizione,
una
faccenda
privata
tra
le
nazioni
scandinave,
con
in
più
il
prepotente
inserimento
del
contingente
sovietico
che
si
aggiudica
gli
ori
della
staffetta
maschile
e
della
10
km
femminile.
Quattro
volte
sul
podio
in
altrettante
gare
va
uno
svedese
che
partecipa
alla
sua
prima
olimpiade
all’età
di
27
anni:
Sixteen
Jernberg.
Introverso
boscaiolo
dal
talento
cristallino,
nasce
nei
pressi
di
Mora,
sede
dell’arrivo
della
leggendaria
corsa
sciistica
Vasaloppet,
e
viene
segnalato
alla
federazione
svedese
da
alcuni
amici
del
padre.
Jernberg
risponde
controvoglia
alle
pressioni
del
comitato
olimpico
nazionale
e
accetta,
non
senza
remore,
di
partecipare
ai
giochi.
Vincerà
a
sorpresa
l’oro
della
gara
più
dura,
la
50
km,
precedendo
di
un
minuto
e
diciotto
secondi
l’olimpionico
di
Oslo,
Veikko
Hakulinen.
Nella
30
km i
piazzamenti
si
invertiranno
e il
finlandese
otterrà
la
sua
rivincita,
mentre
nelle
altre
due
gare
in
programma,
la
15
km e
la
staffetta,
lo
svedese
consegnerà
alla
sua
nazione
un
altro
argento
e un
bronzo.
Nella
combinata
nordica
e
nel
salto
gli
ori
vanno,
come
da
tradizione,
ad
un
norvegese,
Sverre
Stenersen,
e ad
un
finlandese,
Antti
Hyvarinen,
mentre
nel
pattinaggio
di
velocità
la
supremazia
scandinava
viene
scardinata
dagli
atleti
russi.
Yevgeny
Grishin,
soprannominato
“la
saetta
nera”
per
via
del
colore
della
sua
tuta,
vincerà
due
ori
nei
500
metri
e
nei
1.500,
quest’ultimo
a
pari
merito
con
il
connazionale
Yuri
Mikhailov,
mentre
Boris
Shilkov
vincerà
i
5.000.
L’unico
rappresentante
della
vecchia
scuola
a
trionfare
sarà
lo
svedese
Sigvard
Ericsson,
secondo
dietro
Shilkov
nella
distanza
intermedia,
che
si
aggiudicherà
i
10.000
metri
davanti
al
norvegese
Knut
Johannesen
per
un
solo
secondo.
Dal
pattinaggio
artistico
arriva
invece
la
storia
più
commovente:
il
padre
della
giovane
americana
Tenley
Albright,
chirurgo,
scopre
che
la
figlia
di
11
anni
è
affetta
da
una
lieve
forma
di
poliomelite
e,
per
curarla,
decide
di
avviarla
allo
sport.
La
ragazzina
sceglie
di
dedicarsi
al
pattinaggio
e
con
applicazione
e
bravura
arriva
qualche
anno
dopo
a
qualificarsi
per
i
giochi
olimpici.
A
pochi
giorni
dalla
sua
gara
però,
cadendo
in
allenamento,
si
ferisce
gravemente
al
piede
destro
con
la
lama
del
pattino
sinistro
e
sembra
dover
dire
addio
alla
prova.
Il
padre,
però,
avvertito
dell’incidente,
arriva
in
suo
soccorso
dall’America
e la
rimette
in
sesto
con
una
speciale
protezione
che
le
consente
di
poter
gareggiare
e
vincere
il
massimo
alloro.
E
l’Italia?
Le
olimpiadi
di
Cortina
saranno
avare
di
soddisfazioni
per
gli
atleti
di
casa
e
anche
il
beniamino
del
pubblico,
il
campione
olimpico
e
mondiale
Zeno
Colò,
è
presente
solo
in
veste
di
staffettista
al
seguito
della
fiaccola
olimpica
e
non
può
partecipare
alle
competizioni
in
quanto
squalificato
per
professionismo.
Saranno
però
due
equipaggi
di
bob
a
risollevare
il
bilancio
azzurro:
guidati
da
Lamberto
Dalla
Costa
ed
Eugenio
Monti,
i
due
mezzi
azzurri
(per
la
verità
colorati
di
rosso
fuoco)
si
metteranno
alle
spalle
il
forte
equipaggio
svizzero
e
consegneranno
all’Italia
una
storica
doppietta.
Il
bob
a
quattro
di
Monti
vincerà
anche
un
argento,
dietro
gli
elvetici,
ma
questo
non
sarà
altro
che
l’antipasto
rispetto
al
piatto
che
i
bobbisti
azzurri
serviranno
quattro
anni
dopo
in
quel
di
Squaw
Valley.
I
giochi
si
chiudono
il 5
febbraio
1956,
dopo
aver
attribuito
24
titoli
che
hanno
decretato
il
predominio
dell’Unione
Sovietica
nel
medagliere
(sette
ori
contro
i
quattro
dell’Austria,
seconda),
impreziosito
anche
dallo
storico
successo
ottenuto
nel
torneo
di
hockey
su
ghiaccio
ai
danni
dei
due
fortissimi
team
di
Stati
Uniti
e
Canada.