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N. 21 - Settembre 2009 (LII)

la storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte VIII - Squaw Valley 1960

di Simone Valtieri

 

Con i giochi invernali del 1960 l’olimpismo tocca uno dei punti più bassi della sua storia, quantomeno sotto l’aspetto organizzativo. Perché l’ottava edizione sulla neve sia assegnata ad una sconosciuta e sperduta località della California è presto detto: nel 1949 l’avvocato newyorchese Alec Cushing e il suo pilota Wayne Poulsen scoprono, nascosta tra le montagne della Sierra Nevada, una località paradisiaca.

 

Il posto, che gli abitanti del luogo chiamano con l’originario nome di Squaw Valley, la valle della donna indiana (squaw), sembra avere tutte le caratteristiche per accogliere gare di sci. I due acquistano i terreni e li mettono sotto la gestione di una società da loro fondata, con il nome di Squaw Valley Development Company.

 

Con l’aiuto del governo federale della California riescono ad ottenere una sovvenzione di un milione di dollari (negli anni Cinquanta!) e ad organizzare gare di sci. Nel gennaio 1955, grazie ai suoi appoggi politici e ad una legge appositamente costruita, la “Olympic Bill” controfirmata dal presidente Eisenhower, Cushing riesce a convincere il Comitato olimpico americano a candidare la piccola valle per ospitare i giochi olimpici del 1960. Il 14 giugno dello stesso anno, a Parigi, grazie alle intricate trame politiche intessute dallo stesso con un buon numero di membri del Cio e alla grande solidità economica della proposta statunitense, la località californiana supera le più quotate rivali (Innsbruck, Garmisch e St.Moritz) ottenendo la maggioranza assoluta di 32 voti già alla seconda votazione. I giochi del 1960 sono dunque di Squaw Valley: “Ma dove diavolo si trova questa località?”, chiedono molti membri del Cio a Cushing, che serafico risponde: “In una valle”.

Questo sarà però l’unico successo dell’avvocato americano, tra l’altro rimosso dal comitato organizzatore dopo solo quattro mesi per le speculazioni economiche che stava portando avanti. In quanto a numeri e organizzazione, i giochi del 1960 saranno un vero e proprio flop: 664 gli atleti iscritti alle gare in rappresentanza di 30 nazioni diverse, con un calo di oltre 150 unità rispetto a Cortina 1956. Complice del minor numero di olimpionici, oltre alla onerosa trasferta, anche l’assenza di una disciplina storica come il bob, osteggiata dal comitato con la scusa dei pochi iscritti alle prove ma con la palese verità che, per rientrare dei buchi di bilancio creati da Cushing, bisognava pur tagliare da qualche parte e il budello ghiacciato del bob era una delle voci in bilancio più sostanziose.

 

Nonostante l’irritazione del capo del Cio Brundage, che avverte le località escluse dall’organizzazione di tenersi pronte a subentrare, si arriva tra non pochi problemi al 1960. La mancanza di una municipalità nel centro californiano costringe a disputare la sessione del Cio in un albergo di San Francisco. Gli atleti, al loro arrivo a Squaw Valley, trovano solo fast food e quattro edifici per il loro alloggio, uno dei quali riservato alle donne. Gli spettatori sono invece costretti a estenuanti viaggi, sfruttando i venticinque voli quotidiani del ponte aereo allestito per i giochi, le tre linee di Greyhound (autobus a lunga percorrenza) da San Francisco, Oakland e Sacramento e i sei treni speciali giornalieri. Il 18 febbraio 1960, con in sottofondo l’inno olimpico al suo debutto, il presidente degli Usa Richard Nixon apre i giochi più “freddi” del dopoguerra, dal punto di vista del coinvolgimento emotivo. La novità più importante sarà l’esordio della tecnologia, grazie all’impegno della Ibm che fa installare dei tabelloni elettronici all’interno dello stadio, e della rete televisiva Cbs, che copre l’evento per la prima volta in diretta nella tv americana.

L’indifferenza del pubblico nei confronti delle classiche prove nordiche lascia perplessi, se non anche indignati, soprattutto i rappresentanti scandinavi, ma è proprio da queste discipline che arrivano alcune delle gare più spettacolari. Nella staffetta 4x10 km, ad esempio, passa alla storia l’acerrimo duello tra finlandesi e norvegesi, conclusosi in favore dei primi soltanto allo sprint, grazie alla zampata vincente del fuoriclasse trentacinquenne Veikko Hakulinen (argento nei 50 km dietro al connazionale Kalevi Hamalainen e bronzo nei 15 km in questi giochi) nei confronti di Håkon Brusveen, che solo due giorni prima era diventato campione olimpico della 15 km.

 

Il miglior fondista a Squaw Valley è però di un’altra nazionalità: lo svedese Sixten Jernberg, già vincitore di quattro medaglie a Cortina, riporterà il successo nella 30 km inaugurale e sfiorerà il gradino più alto nella 15 km ad una manciata di secondi dal già citato Brusveen. In campo femminile le sovietiche Maria Gussakova, Lyubov Baranova e Radja Yeroshina monopolizzeranno il podio dell’unica gara individuale in programma, la 10 km, ma non riusciranno sorprendentemente a conquistare il titolo nella staffetta, superate dalle agguerritissime svedesi che approfitteranno della disavventura - la rottura di uno sci - capitata alla russa Yeroshina nella prima fazione. Gli ori del salto e della combinata nordica finiscono rispettivamente a due tedeschi, uno dell’est, Helmut Recknagel, e uno dell’ovest, Georg Thoma. I due gareggiano però anche in quest’occasione, come a Cortina, sotto la bandiera della Germania unita.

Un altro oro per la Germania unificata arriva dal pattinaggio di velocità al femminile, una delle due discipline che debuttano a Squaw Valley. L’altra è il biathlon in cui, nell’unica prova disputata sulla distanza dei 20 km, si impone lo svedese Klas Lestander. Tornando al pattinaggio, la tedesca dell’est Helga Haase si impone nella gara più veloce, i 500 metri, privando l’Urss dell’en plein nelle prove al femminile. Nei 1000 metri il titolo, davanti proprio alla Haase, andrà alla sovietica Klara Guseva, mentre a dominare le distanze più lunghe (1500 e 3000 metri) sarà Lidya Skoblikova, perfettibile sullo scatto (finirà infatti quarta nei 1000) ma imbattibile sulla resistenza nonostante la sua giovane età di 21 anni ancora da compiere.

 

Nel settore maschile è l’”uomo nero” Yevgeny Grishin a confermare il predominio sulle distanze corte (500 e 1500 metri), ma dovrà però dividere anche in questa occasione il gradino più alto del podio dei 1500, come già avvenuto a Cortina, con un altro atleta, in questo caso il norvegese Roald Aas. Nei 5000 e 10.000 è avvincente il duello tra il sovietico Viktor Kossitschkin e il norvegese Knut Johannesen che si spartiscono diligentemente le medaglie: un oro ed un argento a testa, con lo scandinavo a prevalere nella prova più lunga. Grazie alle medaglie d’oro ottenute sull’ovale americano, i sovietici vincono la guerra, “ghiacciata” più che “fredda”, contro gli Usa, che però ben si difendono con i pattini nelle discipline artistiche.

Qui protagonista assoluta è la sfortunata Carol Heiss, da pochi anni orfana della madre che l’aveva vista vestirsi d’argento sul ghiaccio di Cortina e alla quale dedicherà il titolo di Squaw Valley, oltre a tre mondiali vinti prima dell’oro olimpico. In campo maschile la vittoria resta in famiglia, visto che a trionfare è il suo connazionale David Jenkins, anche lui medagliato di bronzo ai precedenti giochi, che diventerà presto suo cognato in seguito al matrimonio tra la Heiss ed Hayes Alan Jenkins, fratello di David nonché oro olimpico a Cortina nella stessa disciplina.

 

A completare il trionfo nordamericano sarà il duo canadese composto da Barbara Wagner e Robert Paul, che si aggiudicheranno la gara a coppie. Il terzo ed ultimo oro americano a Squaw Valley arriverà a sorpresa dal durissimo torneo di hockey su ghiaccio, in cui la formazione di casa riuscirà ad imporsi superando incredibilmente nel girone finale le due corazzate favorite, quella canadese, sconfitta per 2 a 1, e quella sovietica, battuta per 3 reti a 2.

Assente il bob, disciplina in cui gli atleti italiani riponevano le maggiori speranze di vittoria, l’unica medaglia azzurra ai giochi di Squaw Valley arriva dallo sci alpino ed a conquistarla è la veterana Giuliana Minuzzo, sposata Chenal e già terza in discesa nel 1952 a Oslo. La Minuzzo ottiene il bronzo nello slalom gigante, dietro alla svizzera Yvonne Ruegg e alla statunitense Penelope Pitou. Gli italiani si rendono protagonisti di una serie di buoni piazzamenti a cavallo tra il quarto e il sesto posto nelle altre gare, grazie a Bruno Alberti tra gli uomini e a Pia Riva, Jerta Schir e Carla Marchelli nel settore femminile, senza però raggiungere mai il podio. A sorprendere saranno soprattutto i discesisti francesi, che grazie al binomio tecnica-materiali vinceranno l’oro e il bronzo nella discesa libera.

 

Appositamente per i giochi erano stati infatti realizzati dallo staff francese dei rivoluzionari sci in metallo, preparati in gran segreto nelle officine transalpine, mentre i due discesisti di punta Jean Vaurnet e Guy Perillat si impratichivano nel perfezionare la tecnica a uovo ideata pochi anni prima dall’italiano Zeno Colò. Il successo a Squaw Valley frutterà anche un notevole ritorno di immagine soprattutto a Vaurnet, che decide di lasciare l’attività agonistica all’indomani dei giochi, sfruttando la sua immagine per gestire le stazioni sciistiche di Avoriaz, salvo poi tornare alle competizioni nelle vesti di allenatore della storica “valanga azzurra” tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta.

Le altre prove saranno vinte dallo svizzero Roger Staub (gigante), dall’austriaco Ernst Hinterseer (slalom) chiamato a rimpiazzare l’insostituibile Toni Sailer, ormai avviato alla carriera cinematografica, dalla tedesca dell’ovest Heidi Biebl (discesa) e dalla canadese Anne Heggtveit (slalom). Una curiosità: La prova vinta da Hinterseer vede il battesimo di una pratica oggi diffusissima, ma allora sconosciuta: la moviola. Tutto nasce dalla richiesta fatta dai giudici di gara alla Cbs di poter visionare la registrazione della prova, non riuscendo a decidere su un salto di porta da parte di un concorrente. La rete televisiva ebbe così l’idea di introdurre, come prassi normale, la possibilità di rivedere parti salienti o episodi controversi avvenuti in gara, inventando il replay.

 

I giochi andranno in archivio il 28 luglio con la cerimonia di chiusura organizzata da Walt Disney, allo stesso modo di quella inaugurale che aveva accolto star internazionali del calibro di Ester Williams, Danny Kaye e Domenico Modugno. Nel medagliere finale domina incontrastato lo squadrone sovietico con 7 ori e ben 21 medaglie complessive, davanti alla squadra unificata della Germania (8 medaglie di cui 4 d’oro) ed ai padroni di casa (3 ori, 4 argenti e 3 bronzi). A chiudere il medagliere l’Italia, grazie al bronzo vinto dalla “mammina volante” Giuliana Chenal-Minuzzo.



 

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