N. 19 - Luglio 2009
(L)
La storia dei Giochi Olimpici Invernali
Parte IV - GARMISCH-PARTENKIRCHEN 1936
di Simone Valtieri
La
quarta
edizione
dei
Giochi
Olimpici
invernali
fu
assegnata,
dopo
un’anomala
sessione
del
Cio,
alla
cittadina
tedesca
di
Garmisch.
La
scelta
fu
consequenziale
a
quella
dell’attribuzione
delle
Olimpiadi
estive
a
Berlino,
decisione
presa
nell’aprile
del
1931
a
Barcellona,
quando
proprio
le
due
città,
il
capoluogo
catalano
e la
capitale
tedesca,
si
confrontarono
per
l’aggiudicazione
dell’evento
più
importante.
Vincerà
Berlino
per
43
voti
a
16,
quasi
tutti
arrivati
per
posta,
visto
che
alla
sessione
spagnola,
complici
le
difficoltà
generate
dall’inizio
della
guerra
civile
e
dalla
fuga
del
re
Alfonso
XIII,
si
erano
presentati
solamente
19
membri
del
Cio
su
67.
La
situazione
europea
stava
però
degenerando
non
solo
nella
penisola
iberica,
ma
anche
in
altri
paesi,
tra
cui
proprio
la
Germania
da
poco
insignita
dell’investitura
olimpica.
L’ascesa
del
nazionalsocialismo
e
del
suo
leader
Adolf
Hitler
fece
calare
sui
giochi
un’atmosfera
di
malcelato
razzismo,
nascosto
agli
occhi
del
mondo
dalla
propaganda
di
regime.
Le
fastose
cerimonie
e
l’immagine
di
pace
e
fratellanza
che
il
Reich
voleva
esibire
stridevano
violentemente
con
gli
episodi
di
intolleranza
che
avvenivano
al
villaggio
olimpico.
Già
nel
1932,
sull’Osservatore
popolare,
l’organo
del
partito
nazista,
si
scriveva
testualmente
“i
negri
non
debbono
puntare
alle
Olimpiadi”
e si
aggiungeva
a
chiare
lettere
che
il
discorso
era
riferito
solo
a
quelle
estive,
in
quanto
a
quelle
invernali
“negri
non
ce
ne
sono”.
L’8
giugno
1933
fu
comunque
scelta
Garmisch
come
sede,
in
osservanza
della
regola
non
scritta
che
attribuiva
giochi
estivi
ed
invernali,
laddove
possibile,
alla
stessa
nazione.
Il
governo
tedesco
stanziò
l’enorme
cifra
di
due
miliardi
e
mezzo
di
marchi
per
costruire
infrastrutture
imponenti,
tra
cui
un
nuovo
stadio
e un
impianto
per
il
salto
dal
trampolino
con
un
parterre
da
150
mila
persone.
A
far
presagire
il
clima
inopportuno
in
cui
si
sarebbero
svolti
i
giochi
fu
però
un
episodio
avvenuto
nel
1935
e
legato
alla
tradizionale
visita
che
i
membri
del
Cio
effettuavano
per
verificare
lo
stato
dei
lavori
prima
di
ogni
edizione.
Quando
i
delegati
del
comitato
olimpico,
guidati
dal
loro
presidente,
il
conte
Henri
de
Baillet-Latour,
giunsero
a
Garmisch
notarono
inorriditi
un
cartello
installato
all’ingresso
del
villaggio
olimpico
con
la
scritta
“Vietato
l’ingresso
a
cani
ed
ebrei”.
Il
conte
chiese
un
immediato
colloquio
con
il
Fuhrer
per
farlo
rimuovere,
sentendosi
da
lui
rispondere
che
non
lo
riteneva
opportuno,
in
quanto:
“se
si
visita
la
casa
degli
altri,
se
ne
debbono
rispettare
le
regole”.
La
replica
del
conte
fu
risoluta:
“Ma
quando
la
bandiera
olimpica
viene
issata
nello
stadio,
è
lei
che
diventa
l’invitato”.
Hitler
malvolentieri
si
adeguò.
I
giochi
tuttavia
non
trascorsero
nella
serenità
auspicata.
Gli
unici
fotografi
accreditati
erano
tedeschi
e
tutta
la
cittadina
di
Garmisch,
che
si
era
nel
frattempo
fusa
con
la
municipalità
di
Partenkirchen,
era
continuamente
pattugliata
da
oltre
seimila
agenti
delle
SS.
L’imponente
cerimonia
di
apertura
ben
nascose
tutto
ciò
e
accolse
partecipanti
di
28
stati,
con
poche
defezioni.
I
668
atleti
in
gara,
tra
cui
80
donne,
si
sfidarono
nei
dieci
giorni
di
gara
in
otto
discipline
ufficiali
e in
tre
sport
dimostrativi.
Tra
questi
per
la
seconda
volta
la
pattuglia
militare,
antesignana
del
biathlon,
dalla
quale
giunse
l’unica
impresa
di
rilievo
della
squadra
italiana.
La
pattuglia
di
alpini
era
composta
dal
capitano
Enrico
Silvestri,
dal
sergente
Luigi
Perenni
(nome
del
pusterese
Alois
Prenn,
italianizzato
dal
regime)
e
dai
militari
Stefano
Sertorelli
e
Sisto
Scilligo.
I
quattro
(due
graduati
e
due
soldati
semplici
come
da
regolamento)
saranno
autori
di
una
entusiasmante
gara
in
rimonta
sul
quartetto
finlandese
che
li
condurrà
alla
vittoria
con
un
margine
di
soli
14
secondi
dopo
ben
22
km
di
gara.
L’impresa,
sebbene
non
assegnasse
medaglie
olimpiche,
ebbe
molto
eco
sulla
stampa
italiana,
a
discapito
di
altre
due
piccole
gemme
che
gli
atleti
italiani
riuscirono
a
portare
a
casa
dalle
Alpi
bavaresi.
La
prima
fu
la
sorprendente
vittoria
della
formazione
di
hockey
su
ghiaccio
sui
maestri
statunitensi
per
2-1
nel
corso
delle
eliminatorie
del
torneo,
mentre
la
seconda
fu
il
settimo
posto
nella
combinata
alpina
di
Giacinto
Sertorelli,
fratello
di
Stefano,
ottenuto
rimontando
nello
slalom,
nonostante
una
rovinosa
caduta
nella
discesa
libera.
Su
quella
stessa
pista,
due
anni
più
tardi,
Giacinto
troverà
la
morte
finendo
addosso
ad
un
albero.
A
questi
piazzamenti
va
aggiunto
il
discreto
quarto
posto
nella
staffetta
dello
sci
di
fondo,
prestazione
comunque
distante
ben
sette
minuti
dal
terzo
gradino
del
podio
interamente
occupato
dai
maestri
nordici
di
Finlandia,
Norvegia
e
Svezia.
A
conquistare
la
vittoria
per
i
finnici
è,
in
ultima
frazione,
Kalle
Jalkanen,
che
nei
suoi
10
km
rimonterà
un
minuto
e
mezzo
al
norvegese
Iversen
portando
all’oro
la
Finlandia
e
diventando
eroe
nazionale.
Gli
atleti
scandinavi
si
spartirono
tutte
le
medaglie
anche
nelle
altre
discipline
nordiche:
agli
svedesi
andarono
le
due
gare
di
distanza
nello
sci
di
fondo,
ai
norvegesi
tutto
il
podio
della
combinata
nordica
e
buona
parte
di
quello
del
salto,
dove
davanti
ad
una
folla
di
150
mila
spettatori
fu
il
campione
olimpico
in
carica,
Birger
Ruud,
ad
aggiudicarsi
la
prova
davanti
allo
svedese
Eriksson
e al
connazionale
Andersen.
Re e
regina
dei
giochi
saranno
però
altri,
sebbene
provenienti
dalla
stessa
patria
di
Ruud:
il
pattinatore
Ivar
Ballangrud
e la
divina
pattinatrice
Sonja
Henie.
Il
fuoriclasse
di
Lunner,
assente
a
Salt
Lake
City
in
polemica
con
gli
organizzatori
che
intendevano
far
disputare
gare
di
pattinaggio
con
partenza
di
massa,
si
presentò,
a
distanza
di
otto
anni
dalla
sua
ultima
apparizione
olimpica,
sul
ghiaccio
di
Garmisch
dominando
in
lungo
e in
largo.
Ivar
vincerà
tre
ori
e un
argento
sulle
quattro
distanze
in
programma
annichilendo
la
concorrenza
e
perdendo
per
pochi
decimi
di
secondo
solo
la
gara
dei
1500
metri
dietro
al
suo
compagno
di
squadra
Charles
Mathiesen.
Sullo
stesso
ghiaccio
ad
incantare
sarà
il
duello
tra
Sonja
Henie
e la
giovane
britannica
Cecilia
Colledge,
che
renderà
vita
dura
alla
campionessa
norvegese,
all’ultimo
appuntamento
in
carriera
nonostante
la
giovane
età
di
25
anni.
Figlio
di
questi
risultati
è un
medagliere
dominato
dalle
tre
nazioni
del
nord
Europa:
Norvegia
prima
con
sette
ori
e
quindici
metalli
complessivi,
Svezia
terza
(sette
medaglie
di
cui
due
d’oro)
e
Finlandia
quarta
(cinque
medaglie).
Al
secondo
posto
si
piazza
la
Germania,
padrona
di
casa,
che
ne
ottiene
sei.
Dal
pattinaggio
artistico
arrivano
le
prime
due
medaglie
degli
atleti
del
Reich,
grazie,
in
entrambi
i
casi,
ad
Ernst
Baier
che
giunge
secondo
dietro
al
fuoriclasse
austriaco
Schafer
nella
gara
individuale
e
primo
in
quella
a
coppie
con
la
compagna
Maxi
Herber.
In
questa
occasione
la
vittoria
è
frutto
dell’introduzione
rivoluzionaria
dello
“shadow
skating”,
o
pattinaggio
ombra,
ossia
nell’eseguire
in
velocità
gli
stessi
passi
del
partner
senza
mai
toccarsi.
Dalla
emergente
disciplina
dello
sci
alpino
arriveranno
invece
gli
altri
quattro
piazzamenti
sul
podio
dei
tedeschi.
La
gara
è in
realtà
falsata
dall’assenza
dei
maestri
svizzeri
e
austriaci,
accusati
di
professionismo,
e
così
nelle
due
gare
di
combinata
ad
imporsi
saranno
Franz
Pfnur
e
soprattutto
la
campionessa
tedesca
di
origini
belghe
Christel
Cranz,
che
a
causa
della
guerra
non
potrà
più
partecipare
ad
altre
edizioni
olimpiche,
ma
che
ancora
oggi
detiene
il
record
di
medaglie
d’oro
mondiali,
con
dodici
affermazioni
e
tre
secondi
posti.