N. 106 - Ottobre 2016 (CXXXVII)
gibellinaDAL PAESE AL CRETTO
di Roberto Lannino
«Una
stradina
tortuosa,
bruciata
dal
sole,
si
snoda
verso
l’interno
del
trapanese
fino
a
condurci,
dopo
chilometri
di
desolata
assenza
umana,
ad
un
cumulo
di
ruderi.
Ne
rimasi
veramente
colpito.
Mi
veniva
quasi
da
piangere
e
subito
mi
venne
l’idea.
[…]
compattiamo
le
macerie
che
tanto
sono
un
problema
per
tutti,
le
armiamo
per
bene,
e
con
il
cemento
facciamo
un
immenso
cretto
bianco,
così
che
resti
perenne
ricordo
di
quest’avvenimento».
(Alberto
Burri,
1995)
Sono
ormai
passati
poco
meno
di
cinquant’anni
da
quando
un
evento
naturale
catastrofico
come
il
terremoto
scrisse
indelebilmente
l’ultima
pagina
della
storia
del
vecchio
paese
di
Gibellina,
nella
provincia
siciliana
di
Trapani.
Un
terremoto
magnitudo
6.1
che
ridusse
in
un
cumulo
di
macerie
gran
parte
della
valle
del
Belice,
zittendo
del
tutto
secoli
di
storia
di
altri
paesi
come
Poggioreale
e
Salaparuta,
sfregiando
per
il
resto
dei
giorni
gran
parte
dei
comuni
dell’area.


La
nascita
di
Gibellina
è da
ricondurre,
secondo
fonti
storiche,
agli
arabi,
anche
se
alcune
leggende
la
collocano
in
un
periodo
anteriore
a
quello
greco.
Ciò
che
è
certo
è
che
la
città
della
“piccola
montagna”,
affidandoci
all’etimologia
araba,
si
estese
nel
quattordicesimo
secolo
attorno
al
castello
del
nobile
Manfredi
Chiaramonte.
Una
storia
umile,
quella
di
Gibellina
Vecchia;
forse
senza
colpi
di
scena,
una
lineare
storia
di
sviluppo
di
un
feudo,
basata
su
una
modesta
sussistenza
agricola
e
sul
susseguirsi
di
generazioni
cresciute
per
le
vie
di
un
paese
antico
che,
purtroppo,
ha
subito
inerme
la
prorompenza
della
Natura
che
ha
inteso
mostrare
la
sua
mai
discussa
superiorità.
Oggi,
la
nuova
Gibellina
sorge
a
circa
20
chilometri
a
valle
da
quella
che
fu
la
“piccola
montagna”,
il
paese
Vecchio.
La
ricostruzione
avvenne,
su
spinta
dell’allora
sindaco
Ludovico
Corrao,
seguendo
un –
discusso
–
processo
di
“umanizzazione”
del
paese,
chiamando
a
raccolta
numerosi
artisti
di
fama
internazionale,
quali
Arnaldo
Pomodoro,
Franco
Angeli,
Leonardo
Sciascia,
Pietro
Consagra,
solo
per
citarne
alcuni.
Gibellina
veniva
sognata
come
una
“città-museo”,
dove
iniziare
a
sperimentare,
sin
dall’ingresso
del
nuovo
abitato,
una
identità
tutta
nuova.
La
storia
di
Gibellina
iniziava,
dunque,
dal
nuovo.
Fu
Alberto
Burri,
artista
umbro
tra
gli
accorsi
presso
Gibellina,
a
concentrarsi
sul
passato:
rifiutandosi
di
contribuire
per
il
paese
nuovo,
ebbe
interesse
a
lasciare
una
traccia
del
passato,
con
un’opera
di
stampo
moderno.
Il
suo
Cretto
raccolse
maceria
dopo
maceria
ciò
che
rimase
di
Gibellina
Vecchia
e
della
sua
storia,
che
venne
così
compattata
in
blocchi
bianchi
alti
1
metro
e 70
circa,
disposti
in
maniera
da
ricreare
la
vecchia
rete
urbana
della
città.
Un
elogio
funebre,
una
coperta
a
protezione
di
ciò
che
è
stato
e
che
non
può
essere
dimenticato.


Ripercorrendo
oggi
il
Cretto,
espressione
di
minimalismo
estremo,
è
evidente
come
il
passare
degli
anni
stia
contribuendo,
come
forse
previsto
dall’artista
ormai
scomparso,
a
una
riappropriazione
della
natura
dello
spazio:
non
più
bianco
ma
grigio,
l’opera
di
Burri
rimane
forse
il
monumento
che
più
parla
in
prima
persona
di
quella
Gibellina
distrutta
dalla
terra,
che
urla
il
suo
desiderio
di
non
essere
dimenticata
dall’alto
di
quel
piccolo
monte
che,
in
un
tempo
che
oggi
sembra
fin
troppo
lontano,
le
ha
donato
il
nome.
