N. 95 - Novembre 2015
(CXXVI)
NAVI DA GUERRA E SAMURAI
GIAPPONE: L’APERTURA ALL’OCCIDENTE
di Salvatore Ardizzone
L’entrata del Giappone tra il novero delle potenze “moderne” può essere datata con molta precisione. La nuova era nella storia del Sol Levante inizia nel 1853.
Prima
di
questa
data,
l’elite
dei
samurai
al
potere
nel
Paese
aveva
imposto
una
politica
di
isolamento
dal
resto
del
mondo.
A
parte
poche
eccezioni,
ai
cittadini
di
altre
nazioni
non
era
permesso
entrare
in
territorio
nipponico,
e ai
giapponesi
era
vietato
lasciarlo,
senza
una
autorizzazione
governativa;
chi
trasgrediva
a
queste
regole
poteva
essere
punito
con
la
pena
di
morte.
L’unico
contatto
ufficiale
del
Giappone
con
il
mondo
occidentale
era
rappresentato
da
una
piccola
colonia
di
olandesi
che
viveva
nell’isola
artificiale
di
Dejima,
nella
baia
di
Nagasaki.
Inoltre,
era
bandito
il
cristianesimo
e lo
studio
della
cultura
e
delle
lingue
occidentali
era
limitato
ad
una
ristretta
cerchia
di
samurai.
La
politica
del
Sakoku
[鎖国],
letteralmente
paese
incatenato,
cha
ha
caratterizzato
il
Giappone
durante
il
periodo
Edo,
è
terminata
nel
XIX
secolo
a
causa
di
irresistibili
pressioni
provenienti
dall’esterno.
I
Paesi
che
più
hanno
contribuito
a
rompere
l’isolamento
giapponese
sono
stati
la
Russia,
la
Gran
Bretagna
e
gli
Stati
Uniti,
ognuno
spinto
da
ambizioni
specifiche
e
situazioni
contingenti.
La
Russia
è
stata
la
prima
potenza
a
sfidare
le
restrittive
leggi
giapponesi.
Attorno
alla
metà
del
XVII
secolo,
oltrepassata
la
Siberia,
i
cosacchi
russi
si
sono
spinti
verso
sud
attraverso
le
isole
Curili
e
l’isola
di
Sachalin,
raggiungendo
il
territorio
giapponese
di
Ezo
(oggi
Hokkaidō).
Al
momento
del
loro
arrivo,
questo
territorio
si
presentava
poco
abitato
e
scarsamente
attrattivo
dal
punto
di
vista
commerciale.
Però,
nel
corso
del
tempo
sarebbe
diventato
un
importante
fornitore
di
prodotti
marittimi
e di
pellami
per
il
mercato
di
Nagasaki.
I
ripetuti
tentativi
del
governo
russo
di
instaurare
rapporti
commerciali
ufficiali
con
il
Giappone
sono
rimasti
per
lungo
tempo
infruttuosi.
Nessun’altra
iniziativa
è
partita
da
Mosca
almeno
fino
a
quando
le
intenzioni
degli
Stati
Uniti
sono
state
rese
manifeste
all’intera
comunità
internazionale.
L’unica
reale
occasione
che
hanno
avuto
gli
statunitensi
di
aprire
relazioni
commerciali
e
diplomatiche
con
il
Giappone
prima
del
successo
di
Perry,
fu
con
Robert
Stewart.
Egli
è
riuscito
ad
svolgere
diversi
viaggi
commerciali
verso
Nagasaki
con
l’intenzione
di
affiancare
un
commercio
americano
a
quelli
olandese
e
cinese,
alle
stesse
condizioni.
Ma
le
sue
richieste
sono
state
sempre
negate.
Dalla
metà
del
XIX
secolo
l’interesse
degli
statunitensi
per
l’apertura
del
Giappone
è
diventato
considerevole.
La
conquista
dei
territori
dell’ovest
aveva
stimolato
un
commercio
transoceanico
verso
occidente.
Le
baleniere
e i
clipper
che
attraversavano
il
Pacifico
per
arrivare
in
Cina
necessitavano
rifornimenti
sia
di
viveri
che
di
carbone
e
poiché
le
navi
americane
diventavano
sempre
più
numerose
e
gli
investimenti
copiosi,
il
problema
di
trovare
scali
di
rifornimento
era
concreto.
Sulla
base
di
questi
sviluppi,
alla
fine
degli
anni
’40
un
gruppo
di
mercanti
di
New
York
e
Baltimora
ha
cercato
il
sostegno
del
governo
degli
Stati
Uniti
con
la
precisa
e
dettagliata
richiesta
di
una
spedizione
navale
in
Giappone
che
avrebbe
voluto
includere
il
paese
nella
propria
rete
commerciale.
Gli
imprenditori
statunitensi
cercavano
nuovi
spazi
oltre
il
Pacifico,
puntando
a
paesi
tecnologicamente
meno
sviluppati
e
quindi
meno
pericolosi
dell’Europa.
Per
quanto
riguarda
Londa,
l’interesse
della
Gran
Bretagna
per
il
Giappone
fu
mutevole
nel
corso
dei
secoli,
subalterno
e
condizionato
dall’evoluzione
della
politica
inglese
nella
colonia
indiana
e in
Cina.
Il
governo
inglese
ha
dimostrato
nei
confronti
del
Giappone
un
atteggiamento
di
generale
cautela:
la
sua
posizione
geografica
estrema,
ai
margini
di
un’area
commerciale
già
remota,
rendeva
l’arcipelago
giapponese
un
mercato
molto
più
costoso
da
mantenere
che
proficuo.
Le
ripercussioni
della
Guerra
dell’Oppio
(1839-42)
hanno
mutato
le
considerazioni
inglesi
sulla
questione
giapponese.
L’apertura
dei
cinque
porti
lungo
la
costa
cinese,
a
seguito
della
firma
dei
trattati
ineguali,
aveva
facilitato
l’approccio
al
Giappone.
Negli
anni
subito
successivi
al
conflitto
(almeno
fino
al
1854)
la
Gran
Bretagna
non
aveva
ancora
concretizzato
le
sue
mire
verso
il
Giappone.
I
piani
statunitensi
della
spedizione
di
Perry
hanno
indotto
la
Gran
Bretagna
ad
organizzarsi
in
un’azione
concreta,
senza
doversi
accollare
alcun
rischio.
La
notizia
che
gli
Stati
Uniti
stavano
organizzando
una
spedizione
in
Giappone
era
stata
diffusa
già
all’inizio
del
1852
da
una
dilagante
campagna
giornalistica
negli
Stati
Uniti,
in
Europa
e
sulle
coste
cinesi.
Nel
1853,
quattro
navi
miliari,
sotto
il
comando
del
commodoro
Matthew
Perry
sono
apparse
nella
baia
di
Edo
[江戸]
(attuale
Tokyo),
avvicinandosi
pericolosamente
alla
capitale
da
dove
i
samurai
dominavano
il
Paese.
Il
governo,
noto
come
il
Bakufu
[幕府],
era
guidato
da
un
comandate
supremo
ereditario
(shōgun
[将軍]
[letteralmente
comandante
dell’esercito])
scelto
dal
potente
clan
Tokugawa.
L’intero
paese
era
diviso
in
circa
250
domini,
ognuno
con
a
capo
un
daimyō
(signore
locale).
La
squadra
navala
del
commodoro
era
composta
da
navi
che
non
si
erano
mai
viste
in
Giappone.
Per
il
XIX
secolo,
erano
battelli
altamente
tecnologici:
navi
con
ruote
a
pale
mosse
dalla
forza
del
vapore.
La
comparsa
di
Perry
nella
baia
di
Edo
nel
luglio
del
1853
fu
sicuramente
un
avvenimento
sensazionale:
la
flotta
di
navi
americane
dimostrava
l’intenzione
precisa
che
il
governo
degli
Stati
Uniti
avrebbe
raggiunto
il
suo
scopo.
Ma
per
quanto
la
spedizione
fosse
stata
accuratamente
preparata,
il
suo
successo
è
stato
dovuto
ad
una
serie
di
cause:
sicuramente
la
crisi
interna
aveva
reso
il
Giappone
incapace
di
muoversi
da
posizioni
politiche
fuori
dal
tempo,
ma
la
determinazione
dell’occidente
a
perseguire
il
proprio
percorso
espansionistico
fu
un
fattore
essenziale.
La
competizione
stessa
tra
le
potenze
e il
tentativo
di
mantenere
un
equilibrio
tra
le
forze
portò
a
fare
un
fronte
comune
nel
raggiungimento
dell’obiettivo
e
nella
gestione
dei
conseguenti
privilegi
commerciali
ottenuti.
I
samurai
avevano
un
anno
di
tempo
per
prendere
una
decisione
circa
la
richiesta
fatta
da
Perry
che
il
Giapponese
aprisse
le
relazioni
con
gli
Stati
Uniti.
Il
Bakufu
non
aveva
alternative
reali,
e il
31
marzo
1854
si
decise
di
firmare
il
trattato
di
Kanagawa.
La
politica
del
“paese
chiuso”
associata
per
due
secoli
con
l’isolamento
e la
sicurezza
era
morta
e
aveva
lasciato
il
posto
alla
politica
del
“paese
aperto”.
Il
Giappone
aveva
fatto
il
primo
passo
per
unirsi
alla
famiglia
delle
nazioni
moderne.
A
una
prima
lettura
superficiale,
i
termini
del
trattato
di
Kanagawa
sembrano
essere
molto
modesti.
Il
Giappone
approvava
di
offrire
ospitalità
per
i
naufraghi
(gli
americani
erano
molto
preoccupati
per
le
baleniere),
e
aprire
due
porti
all’accesso
delle
merci.
I
porti
designati
erano
quello
di
Hakodate
e di
Shimoda.
Come
disse
successivamente
lo
storico
della
diplomazia
Tyler
Dennett,
“il
trattato
era
molto
di
più
di
una
convenzione
sui
naufraghi,
le
necessità
dei
poveri
marinai
erano
ampliamente
finanziate”.
La
più
importante
previsione
del
trattato
del
1854
era
la
possibilità
di
istituire
un
consolato
americano
a
Shimoda
dopo
che
fossero
passati
18
mesi
dalla
sua
firma.
Questa
previsione,
anche
se
non
subito
ben
compresa
dai
giapponesi,
gettava
le
basi
per
l’apertura
di
relazioni
commerciali
su
larga
scala
tra
il
Giappone
e il
resto
del
mondo.
Il
primo
console
generale
statunitense,
Townsend
Harris,
è
arrivato
a
Shimoda
nell’agosto
del
1856
e
lavorò
scrupolosamente
per
almeno
due
anni
prima
di
riuscire
a
concludere
un
trattato
commerciale
con
il
Bakufu.
Egli
ha
speso
molto
del
suo
tempo
per
persuadere
i
riluttanti
ufficiali
dello
shōgun
che
se
non
avessero
fatto
funzionare
le
cose
con
gli
USA,
presto
i
più
aggressivi
britannici
avrebbero
fatto
pressioni
per
avere
termini
più
onerosi
per
il
Giappone,
proprio
come
avevano
fatto
in
Cina.
Il
trattato
di
amicizia
e
commercio
tra
Stati
Uniti
e
Giappone,
noto
anche
con
il
nome
di
trattato
di
Harris,
è
stato
firmato
a
bordo
della
nave
da
guerra
americana
Powhatan
nella
baia
di
Edo
il
29
luglio
1858,
ed è
diventato
esecutivo
l’anno
successivo.
Con
questo,
il
paese
si è
aperto
all’influenza
degli
stranieri
e
l’influenza
straniera
è
andata
oltre
ogni
possibile
immaginazione
dei
giapponesi
quando
questi
avevano
iniziato
a
trattare
con
Perry.
Non
c’era
possibilità
di
tornare
indietro.
Il
trattato
di
Harris
rendeva
necessario
lo
scambio
di
rappresentanze
diplomatiche
e
l’apertura
di 5
porti
al
commercio
senza
alcun
impedimento.
Ai
cittadini
americani
era
concesso
il
diritto
di
risiedere
in
determinate
aree,
e
l’ulteriore
diritto
di
godere
dei
privilegi
dell’extraterritorialiatà.
Il
trattato
garantiva
anche
alcuni
doveri
collegati
all’importazione
–
significava
che
il
Giappone
non
poteva
imporre
delle
alte
barriere
tariffarie
per
proteggere
le
imprese
locali.
Nel
1866,
le
tariffe
doganali
erano
state
fissate
al
5%
per
quasi
tutti
i
beni
stranieri
senza
che
venisse
specificato
quando
queste
tariffe
dovessero
cessare.
Il
trattato
di
Harris
contiene
delle
previsioni
per
mezzo
delle
quali
i
giapponesi
avrebbero
potuto
“acquistare
o
costruire
negli
USA
navi
da
guerra,
piroscafi,
navi
mercantili,
baleniere,
cannoni,
munizioni
di
guerra,
armi
di
ogni
tipo”
e,
in
più,
il
Bakufu
avrebbe
potuto
ingaggiare
“scienziati,
consiglieri
militari,
artigiani
di
ogni
tipo”.
Queste
previsioni
servivano
per
uno
doppio
scopo.
Da
un
lato,
si
sperava
che
si
sarebbero
smorzati
i
timori
giapponesi
sulla
superiorità
militare
delle
potenze
straniere.
Dall’altro,
si
sono
aperte
le
porte
ad
operazioni
militari
redditizie.
Sotto
queste
previsioni,
il
Bakufu
ha
fatto
il
primo
acquisto
di 3
navi
da
guerra
con
ruote
a
pale
nel
1862.
La
firma
del
trattato
di
Harris
ha
rappresentato
una
manna
dal
cielo
per
tutte
le
potenze
occidentali
che
avevano
mire
sul
Giappone.
In
breve
tempo
Olanda,
Russia,
Gran
Bretagna
e
Francia
hanno
ottenuto
dei
simili
trattati
bilaterali.
Nel
gergo
giapponese,
queste
quattro
nazioni
insieme
agli
Stati
Uniti
erano
collettivamente
conosciuti
come
“popoli
delle
5
nazioni”.
I
nuovi
trattati
hanno
approfondito
le
ingiustizie
del
sistema.
Fissare
le
tariffe
di
importazione
a
bassi
livelli
ha
comportato
squilibri
sul
sistema
economico
interno.
Per
la
giurisdizione
extraterritoriale
gli
stranieri
erano
totalmente
liberati
dal
controllo
legale
giapponese
e,
sempre
sullo
schema
dei
trattati
imposti
in
Cina
e
ripresa
dai
precedenti
siglati
in
Giappone,
la
clausola
della
nazione
più
favorita
collegava
tutti
i
trattati
in
un’unica
rete,
così
che
gli
ultimi
firmati
potevano
rimediare
alle
mancanze
dei
precedenti.
Tuttavia,
una
differenza
importante
con
i
trattati
cinesi
è
stata
che
in
Giappone
non
doveva
fare
nessuna
cessione
territoriale.
Riferimenti
bibliografici:
BEONIO
BROCCHIERI
Paolo,
Storia
del
Giappone,
Milano,
Arnoldo
Mondadori,
1996.
CAROLI
Rosa,
GATTI
Francesco,
Storia
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Laterza,
2006.
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NOLFO
Ennio,
Storia
delle
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Internazionali,
Bari,
Laterza,
2007.
GATTI
Francesco,
La
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dei
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Il
Giappone
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Torino,
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Diplomacy,
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York,
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1994.