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N. 97 - Gennaio 2016 (CXXVIII)

FELTRINELLI, L’ESKIMO IN REDAZIONE
È PROPRIO DA ESCLUDERE LA TESI DELL'OMICIDIO?

di Gaetano Cellura

 

Il 14 marzo del 1972 il corpo dell’editore Giangiacomo Feltrinelli dilaniato da un’esplosione viene ritrovato a Segrate vicino Milano sotto un traliccio dell’alta tensione. Incidente oppure omicidio?

 

Eugenio Scalfari e Camilla Cederna, prestigiose firme dell’Espresso, sposano subito la seconda tesi. A conclusioni opposte arriva l’inchiesta del Pubblico ministero Guido Viola. E sette anni dopo anche Renato Curcio sostiene in tribunale la tesi dell’incidente: “Osvaldo – dice – non è una vittima ma un rivoluzionario caduto combattendo”.

 

Cioè, fuori dal gergo terroristico, mentre eseguiva un attentato. Osvaldo era il soprannome o meglio il nome di battaglia di Feltrinelli. Caso chiuso, ufficialmente. Ma era così campata in aria la tesi dell’omicidio?

 

Spirito irrequieto sempre in giro per il mondo, irrequieto e solo sin dalla giovinezza, Feltrinelli a diciott’anni voleva diventare partigiano. Ma incontrò l’opposizione di Luigi Barzini, il giornalista del Corriere della Sera, sposato dalla madre in seconde nozze. La guerra partigiana fu l’occasione perduta che sotto altre forme di lotta armata inseguirà per il resto della vita.

 

Nel 1945 Feltrinelli s’iscrive al Pci cui non fa mancare i propri finanziamenti. Ma la tessera gli viene ritirata nel 1957. Quando, nonostante le pressioni contrarie del partito, decide di pubblicare Il Dottor Zivago, ritenuto a Mosca romanzo controrivoluzionario. A renderlo sempre più irrequieto è la convinzione che in Italia stia per verificarsi un colpo di stato fascista.

 

Negli anni sessanta s’innamora della Cuba di Castro e dei movimenti guerriglieri sudamericani. In Bolivia assiste al processo a Regis Debray: chiede la sua liberazione: viene arrestato per un giorno intero su ordine dei servizi segreti americani che già lo tenevano d’occhio. Regis Debray era un giovane giornalista e intellettuale francese, amico di Castro e di Guevara, arrestato e processato con l’accusa di essere implicato nella guerriglia in corso nel paese sudamericano.

 

Tornato in Italia con l’aureola del guerrigliero, Feltrinelli gira clandestinamente il paese e l’Europa con un camper su cui di fatto vive instaurando rapporti con i movimenti rivoluzionari che pure finanzia. Nel 1970 fonda i Gap (Gruppi armati partigiani).

 

Secondo il senatore Mantica, componente della Commissione parlamentare sul terrorismo italiano, a suo nome era registrata la pistola con cui Monika Erti, militante del movimento di liberazione colombiano ELN, uccise ad Amburgo nel 1971 il console boliviano Roberto Quintanilla, capo della polizia all’epoca della cattura e dell’uccisione di Ernesto Che Guevara, e ritenuto responsabile anche delle torture inflitte prima della morte a Inti Peredo, il comandante  dell’ELN.

 

Feltrinelli instaura rapporti anche con i movimenti indipendentisti e di sinistra della Sardegna per fare dell’isola la Cuba del Mediterraneo. Il progetto, cui doveva aderire il bandito Graziano Masina come comandante delle truppe ribelli, fu sventato e neutralizzato dal SID.

 

Per tutta la vita Feltrinelli rimase convinto che la svolta moderata impressa da Togliatti al Pci avesse fatto fallire la rivoluzione che lui ancora sognava.

 

Tra i bestseller pubblicati dalla sua casa editrice c’è il Diario in Bolivia di Che Guevara, nella cui copertina compare la foto del Guerrillero Heroico scattata dal fotografo Alberto Korda il 5 marzo del 1960 durante i funerali delle ottantuno vittime della nave francese La Coubre, esplosa nella baia di L’Avana.

 

La nave era carica di munizioni acquistate in Belgio dai cubani, che considerarono l’esplosione come opera della Cia. Fu allora che Fidel Castro pronunciò la parola d’ordine: “Patria o morte”.

 

Quando Feltrinelli giunge con il camper a Segrate per eseguire l’attentato, con lui c’erano (si dice) due compagni. Di uno si conoscono solo le iniziali, C.F., e dell’altro (membro dei Gap confluito poi nelle Br) il soprannome, Gunter. Esperto di ordigni esplosivi, pare sia stato lui (se ne sono perse le tracce dal 1985) a preparare la bomba che uccise Feltrinelli.

 

L’ipotesi dell’omicidio dell’editore ad opera della Cia in collaborazione con i servizi italiani circolò per qualche tempo anche a Botteghe Oscure, la sede del Pci. Ma il sostegno più importante arriva da una relazione medico-legale a suo tempo trascurata in sede d’indagini. A redigerla sono stati i professori Gilberto Marrubini e Antonio Fornari.

 

Si tratta di un documento esplosivo corredato di foto dalle quali è possibile rilevare che varie lesioni sul corpo di Feltrinelli sarebbero riconducibili a “violenze, traumatiche o di altra natura”, precedenti all’esplosione.

 

Se a questa relazione, che contesta quella d’ufficio, si aggiungono la superficialità delle indagini nel luogo del ritrovamento del cadavere, e anche una certa fretta di archiviare il caso come emerge dalla numerosa pubblicistica che se n’è occupata, la tesi dell’omicidio dell’uomo che portò l’eskimo in Redazione non è da ritenere del tutto fantasiosa.



 

 

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