Sono appena tornato da
un viaggio in Israele. La sosta-anche se per pochi
attimi- sul Sepolcro di Gesù è piena di intensa
commozione e vorresti sostare a lungo, per ricordare
tutti i tuoi cari.
Ma la gioia di essere
in un Paese pregno di spiritualità per tutte le tre
religioni monoteiste, finisce ben presto, quando
vado a Betlemme. Sorge a 765 metri sul livello del
mare e nel 2005 contava ventiseimila abitanti. E’
una città della Cisgiordania palestinese e dista
appena dieci chilometri da Gerusalemme. Per la prima
volta, da millenni, queste due città sante sono
separate. Israele vi ha costruito tutto intorno un
muro alto otto metri e per entrarvi ci sono posti di
blocco severissimi.
Tutti quelli che
andavano a lavorare a Gerusalemme hanno perso il
proprio lavoro. I rapporti sono ridotti al lumicino,
la città non ha più flusso di danaro neppure dal
turismo, che di fatto si è bloccato. Gli abitanti
sono avviliti, calpestati.
Il visitatore turista
pellegrino che viene da queste parti, cosa deve
fare? Ha il dovere d’informare, una volta che è
tornato a casa. Anzi, deve gridare fare sentire lo
sdegno provato, anche a costo di essere inserito in
una lista nera e non rivedere più Israele.
Giustamente il poeta
ucraino Vasilij Simonenko, morto di cancro a soli
ventotto anni, ha scritto: “Perdere il proprio
coraggio significa perdere la propria dignità” A
contatto con quella gente, sono andato lontano nel
tempo, quando visitavo i Paesi dell’Est e la libertà
era semplicemente un sogno.
Proprio gli Ebrei,
quando si riunivano, dicevano: “L’anno prossimo a
Gerusalemme” In quella frase c’erano la speranza ,
l’auspicio, la preghiera. Moltissimi non ce la
fecero, molti ci riuscirono.
Hanno dimenticato
quelle sofferenze, hanno dimenticato che cosa era
stata la loro vita per secoli e secoli, obbligati a
vivere nel ghetto. E’ opportuno un breve aggancio
storico.
Per alcuni la parola
ghetto deriva dal talmudico ghet, che significa
“reclusione”, oppure dall’antica parola “ghetta”,
sinonimo di “fonderia”, perché proprio un quartiere
vicino ad una fonderia nel 1516 venne chiuso con
mura e cancelli riservandolo solamente
all’insediamento di Ebrei. Per altri, invece,
potrebbe essere una contrazione di “borghetto” o una
manipolazione di “guetto”, “guitto”, oppure del
tedesco bitter, cioè barriera. Altro nome usato era
quello di Giudecca.
C’era una sola
entrata; le porte venivano chiuse al tramonto ed
erano custodite da un cristiano. Erano obbligati ad
entrare prima di notte e il cancello si riapriva
soltanto all’alba. Nel 1555 Paolo IV con la bolla
Cum nimis absurdum indicò le regole da seguire.
Erano veri arresti
domiciliari, che diventavano più gravosi durante la
Settimana santa, quando anche di giorno gli abitanti
dovevano rimanere dentro il ghetto; l’apice della
costrizione cadeva il venerdì: bisognava tenere
chiuse porte e finestre, erano severamente vietati
ricevimenti, balli e suoni.
Cari amici figli
d’Israele, perché da ghettizzati siete passati a
ghettizzatori? Questi muri alti otto metri offendono
voi e tutto il mondo civile. Potrei elencare
risoluzioni internazionali che stigmatizzano in modo
perentorio il vostro comportamento. Abbattete quei
muri. Essi non sono alti otto metri, ma vanno su,
su, fino al cielo.
Gesù quando fu per
l’ultima volta nella parte alta di Gerusalemme,
pianse. . Luca (19,41-44) ricorda le Sue parole:
“Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti
cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti
stringeranno da ogni parte, abbatteranno te e i tuoi
figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra su
pietra”
Lo sapete molto bene,
la città è stata assediata 50 volte, conquistata 26
e distrutta 18 volte. Non fatelo più arrabbiare,
abbattete quel muro della vergogna. Per voi.
La costruzione del
muro viola il diritto internazionale anche secondo
la Corte Internazionale di Giustizia, che così si è
espressa il 9 luglio 2004, con 14 voti favorevoli ed
uno contrario, quello dell’americano Thomas
Buerghenthal.
Nell’articolo 153 si
legge che “Israele è tenuto a restituire le terre, i
vigneti, gli oliveti, e gli altri immobili sottratti
a ogni persona fisica o morale al fine della
costruzione del muro sul territorio palestinese
occupato”
E più avanti,
all’articolo 163, si ribadisce che “Israele è
obbligato a riparare tutti i danni causati con la
costruzione del muro nel territorio palestinese
occupato, ivi compreso all’interno e sui confini di
Gerusalemme Est”
Bisogna notare che la
Corte ha affermato all’unanimità la propria
competenza a rispondere alla domanda di parere
consultivo, ma sulle decisioni da adottare c’è
costantemente il parere negativo del già citato
giudice.
E’ giusto ricordare a
questo punto gli altri quattordici membri: Shi,
presidente; Radeva, vicepresidente; Guillaume,
Koroma, Veresl, Higgins, Parra-Aranguren, Koojimans,
Rezek, Al-Khasawneh, Elaraby, Owada, Tomka, giudici.