N. 145 - Gennaio 2020
(CLXXVI)
SE NON C'è POSSIBILITà DI DIFESA, NON C'è UN GIUSTO PROCESSO
GEZI
E
OSMAN
KAVALA
ANCORA
SOTTO
ACCUSA
di
Leila
Tavi
Gezi
è
uno
dei
principali
movimenti
di
opposizione
pacifica
al
regime
di
Recep
Tayyip
Erdoğan.
Sedici
dei
suoi
esponenti
hanno
subito
ancora
una
volta
un
processo
farsa
martedì
28
gennaio,
con
la
quinta
udienza
del
“Gezi
Trial”,
che
si è
svolto
nel
30.
Tribunale
Penale
di
Silivri,
Istanbul.
Il
gruppo
prende
il
nome
dalla
protesta
spontanea
dell’estate
2013
nel
parco
di
Gezi,
quando
centinaia
di
persone
scesero
in
piazza
a
Istanbul
per
dire
basta
alla
politica
autoritaria
di
Erdoğan.
La
protesta
in
cui
sono
deceduti
otto
manifestanti
e un
poliziotto
si
diffuse
velocemente
in
tutto
il
Paese.
Osman
Kavala
è
l’unico
detenuto
della
resistenza
di
Gezi.
L’ex
filantropo
e
uomo
d’affari
turco
vive
ormai
in
una
cella
da
822
giorni
in
custodia
cautelare,
dopo
essere
stato
arrestato
all’aeroporto
Atatürk
di
istanbul
il
18
ottobre
2017
e
messo
in
prigione
il
1.
novembre
2017.
Il 4
marzo
2019
la
Procura
della
Repubblica
di
Istanbul
ha
inviato
un
atto
d'accusa
al
30.
Tribunale
Penale
di
Istanbul,
raccomandando
l'ergastolo
aggravato
per
tutti
gli
imputati,
compreso
Kavala,
che
ha
negato
tutte
le
accuse
mosse
a
suo
carico.
Nonostante
la
sentenza
del
10
dicembre
2019
della
Corte
europea
dei
diritti
dell'uomo
(CtEDU),
che
ha
stabilito
l’immediata
scarcerazione
di
Kavala,
il
30.
Tribunale
Penale
ha
confermato
la
detenzione
già
sentenziata
nella
precedente
udienza
del
24
dicembre
2019.
La
sentenza
della
CtEDU è
stata
accolta
da
quattro
giudici
della
Corte
Costituzionale
turca,
che
hanno
apertamente
criticato
la
sentenza
del
Tribunale
Penale,
in
dissenso
con
la
maggioranze
dei
loro
colleghi.
Nella
sua
memoria
difensiva
Kavala
ha
ribadito
come
non
ci
siano
prove
valide
che
dimostrino
che
abbia
pianificato,
orchestrato
o
finanziato
una
rivolta
contro
il
governo
al
tempo
della
protesta
di
Gezi,
come
indicato
nei
capi
di
accusa.
Kavala
ha
inoltre
sottolineato
in
aula
come
la
privazione
della
libertà
senza
prove
certe
sia
una
gravissima
violazione
dei
diritti
umani
e,
di
conseguenza,
un’estensione
del
mandato
di
arresto
nei
suoi
confronti
senza
l’evidenza
di
nuove
prove
sulla
colpevolezza
dell’accusato,
aumenti
la
gravità
della
situazione
e le
responsabilità
dei
giudici.
I
cinquanta
avvocati
incaricati
della
difesa
degli
imputati
hanno
protestato
in
massa
per
costringere
i
giudici
del
processo
a
ricusare
se
stessi
per
le
accuse
di
cattiva
condotta
legale.
Gli
avvocati
hanno
reso
pubblica
la
loro
nota
riepilogativa
sull’ultima
udienza
in
cui
denunciano
una
grave
infrazione
durante
il
processo,
parrebbe
che
la
Corte
abbia
ascoltato
un
testimone
“immaginario”,
il
cui
nome
non
è
presente
in
nessuna
lista
anagrafica
della
Turchia.
La
Corte
ha
depositato
il
fascicolo
del
caso
al
pubblico
ministero
per
preparare
il
parere
legale,
affermando
che
il
fascicolo
del
caso
è
completo,
nonostante
tutte
le
carenze
del
caso,
senza
nemmeno
sentire
la
necessità
di
verificare
il
nome
completo
del
testimone.
Dopo
l'ultima
udienza
del
24
dicembre
la
Corte
ha
sentito
per
due
volte
un
altro
testimone,
Murat
Papuç,
senza
permettere
agli
avvocati
della
difesa
di
assistere
all’interrogatorio
del
testimone,
commettendo
una
grave
violazione
della
normativa
penale
turca,
secondo
cui
solo
in
caso
di
criminalità
organizzata,
se
la
vita
del
testimone
è in
grave
pericolo,
egli
può
essere
ascoltato
in
un’altra
aula,
e
non
in
quella
in
cui
si
sta
svolgendo
il
processo.
Audio
e
video
dell’interrogatorio
devono
essere
però
trasmessi
simultaneamente,
riservando
agli
avvocati
difensori
il
diritto
di
porre
domande
alle
parti.
Nell’udienza
del
28
gennaio,
invece,
è
stata
data
la
possibilità
solo
all’accusa
di
ascoltare
il
testimone,
inoltre
in
nessun
capo
di
accusa
del
processo
Gezi
si
parla
di
organizzazione
criminale.
La
Corte
ha
acquisito
agli
atti
come
prova
valida
una
maschera
antigas
che
Murat
Papuç
ha
dichiarato
di
avere
in
casa
sua
e
che
sarebbe
stata
distribuita
dagli
organizzatori
della
protesta
di
Gezi
nel
2013
tra
i
partecipanti.
Gli
avvocati
della
difesa
hanno
chiesto
di
mettere
agli
atti
che
il
cognome
di
Murat
Papuç,
corrisponde
in
realtà
a
Eren
e
non
a
Papuç.
All'inizio
dell'udienza
la
Corte
ha
letto
ad
alta
voce
i
documenti
pervenuti
prima
dell'udienza,
così
come
è
stato
messo
a
verbale
che
ci
sia
stato
una
corrispondenza
tra
la
Corte
e il
Ministero
della
Giustizia
turco
in
merito
alla
decisione
della
CtEDU sulla
violazione
di
Osman
Kavala
e
che
la
Corte
Europea
è
stata
informata
che
la
sentenza
non
era
definitiva.
Gli
avvocati
della
difesa
hanno
obiettato
che
non
c’è
stata
nessuna
dichiarazione
ufficiale
del
Ministero
della
Giustizia
riguardo
al
fatto
che
la
sentenza
sul
processo
Gezi
non
sia
ancora
passato
in
giudicato.
Nella
loro
nota
scritta
gli
avvocati
di
Kavala
precisano
che
il
Ministero
della
Giustizia
ha
trasmesso
una
sola
dichiarazione
scritta
in
merito.
Nella
lettera
del
23
dicembre
2019
la
CtEDU si è
limitata
a
dichiarare
che
vi è
una
violazione
dei
diritti
di
Osman
Kavala;
la
sentenza
è
stata
notificata
il
10
dicembre
e la
traduzione
della
sentenza
è
stata
inviata
in
allegato.
Nella
lettera
del
Ministero
della
Giustizia
non
vi è
alcuna
dichiarazione
che
affermi
che
la
decisione
sul
caso
non
sia
definitiva.
I
legali
hanno
altresì
chiesto
che
il
parere
dell'ex
giudice
della
CtEDU Rıza
Türmen
riguardo
all'immediato
rilascio
di
Osman
Kavala
fosse
inserito
nel
fascicolo
del
processo
Gezi.
Attualmente
Türmen
è
deputato
di
Smirne
nel
Parlamento
turco
per
il
Partito
Popolare
Repubblicano.
All'inizio
dell'udienza
del
28
gennaio
gli
avvocati
della
difesa
hanno
preso
la
parola
uno
a
uno
per
chiedere
la
ricusazione
del
collegio
giudicante
per
i
gravi
motivi
finora
elencati
di
violazione
dei
diritti
umani
e
del
diritto
processuale
penale
turco.
Poiché
la
Corte
ha
respinto
le
richieste
di
proroga
dell'udienza,
gli
avvocati
della
difesa
hanno
lasciato
l'aula.
La
Corte
ha
continuato
a
interrogare
gli
imputati
anche
in
assenza
degli
avvocati
della
difesa.
La
prossima
udienza
del
processo
Gezi
si
svolgerà
il
18
febbraio
prossimo.
È
evidente
che
si
tratta
di
un
processo
politico
e
che
la
prassi
messa
in
atto
dai
tribunali
turchi
delle
lunghe
ed
estenuanti
carcerazioni
preventive,
come
quella
di
Kavala,
sono
un
modo
per
fiaccare
il
morale
dei
difensori
dei
diritti
umani,
dei
giornalisti
non
allineati
al
potere
e
dei
dissidenti
politici.