N. 73 - Gennaio 2014
(CIV)
GESÙ STORICO: INDAGINE ATTORNO A UN “PROBLEMA”
PARTE XII - LA FINE DI GESÙ A GERUSALEMME
di Luigi Pezzella
Iniziamo
l’ultima
parte
della
nostra
indagine
nella
quale
andremo
ad
affrontare
la
delicata
questione
degli
eventi
di
Gerusalemme
che
condussero
all’esecuzione
di
Gesù.
Come
qualsiasi
altro
aspetto
della
sua
vita,
anche
in
questo
vi
sono
diverse
interpretazioni
delle
circostanze
storiche
della
crocifissione.
I
due
poli
di
queste
interpretazioni
sono,
l’esecuzione
di
Gesù
avviene
per
iniziativa
delle
élite
dirigente
di
Gerusalemme,
ed è
quella
dei
Vangeli
stessa,
la
quale
ha
dato
uno
degli
input
alle
prime
fasi
della
ricerca;
l’altro
polo
è
quella
in
cui
il
consiglio
supremo
(il
sanhedrin,
sinedrio)
voleva
impedire
l’esecuzione
di
Gesù.
Il
dato
storico
di
questa
vicenda
è
che
Gesù
fu
giustiziato,
per
essere
giustiziato
avrà
dovuto
commettere
un
“reato”
di
pena
capitale
e a
condannarlo
dovrà
essere
stato
“un
potere”
che
disponesse
della
pena
capitale.
Prima
di
addentrarci
nelle
interpretazione
dell’esecuzione
vediamo
con
una
breve
panoramica
quali
erano
i
“poteri”
al
tempo
di
Gesù,
chi
poteva
condannare
un
soggetto.
Nel
IV
sec.
a.C.,
dopo
la
morte
di
Erode
il
grande,
in
base
al
testamento
del
re,
l’imperatore
Augusto
divise
il
territorio
giudaico
in
tre
parti:
la
Giudea
con
Gerusalemme
e il
Tempio,
la
Samarìa
e l’Idumea
furono
assegnate
ad
Archelao,
col
titolo
non
di
re,
ma
di
etnarca.
La
Galilea,
la
Perea
e le
regioni
del
Nord-est,
Betania,
Tracontide
e
Auranitide,
erano
state
affidate
ad
Antipa
e
Filippo
entrambi
col
titolo
di
tetrarca.
Firpo
ci
informa:“
il 6
d.C.
rappresentò
il
secondo
salto
di
qualità
nel
processo
di
identificazione
di
Roma
nel
quarto
impero
danielino,
iniziato
come
detto
nel
63
a.C.
con
l’invasione
della
Giudea.
Al
momento
della
deposizione
di
Archelao
e
della
trasformazione
della
Giudea,
con
Samarìa
e
Idumea
in
provincia
romana,
venne
attuato,
come
di
prammatica
in
casi
simili,
il
censimento
delle
persone
e
delle
risorse,
al
fine
di
determinare
l’ammontare
dei
tributi
che
dal
quel
momento
avrebbe
dovuto
essere
versati
a
Roma.
Da
notare
che
in
questo
contesto
si
colloca
l’evangelo
di
Giuda
il
galileo
che
dieci
anni
prima
aveva
già
infiammato
la
Galilea
e
ora
annunciava
il
suo
vangelo
di
liberazione:
“nessun
tributo,
segno
di
schiavitù,
doveva
essere
pagato
a
Roma,
poiché
nessun
padrone
Israele
avrebbe
dovuto
riconoscere
all’infuori
di
Dio”.
La
Galilea,
la
Perea
e le
regioni
del
nord-est
rimasero
invece
fin
dopo
la
metà
degli
anni
trenta
sotto
il
dominio
di
Antipa
e
Filippo.
Questo
significa
che
all’epoca
di
Gesù
(gli
anni
28-30)
la
Galilea,
con
le
due
successive
capitali
di
Sepphoris
e
Tiberiade,
era
retta
ancora
dal
sovrano
erodiano
e
godeva
quindi
di
una
certa
autonomia
nei
confronti
di
Roma;
la
Giudea,
invece,
con
Gerusalemme
e il
tempio,
era
governata
direttamente
dal
prefetto
romano,
il
quale
però
non
era
ivi
residente,
ma a
Cesarea
Marittima
in
Samarìa.
A
Gerusalemme,
però,
vi
era
una
coorte
romana
di
circa
seicento
uomini,
di
stanza
nella
fortezza
Antonia
situata
a
nord-ovest
del
tempio,
a
controllare
attentamente
la
situazione.
Per
quanto
riguarda
l’aspetto
non
politico
ma
“etnico”
la
situazione
era
più
complessa.
Giuseppe
Flavio,
attesta
che
il
giudaismo
dell’epoca
era
diviso
in
tre
gruppi
principali
che
egli
definisce
scuole
o
addirittura
filosofie:
i
sadducei,
i
farisei
e
gli
esseni
e
aggiunge
che
al
momento
della
riduzione
della
Giudea
in
provincia
romana
a
questi
tre
gruppi
se
ne
aggiunse
un
quarto
fondato
da
un
“certo”
Giuda
il
Galileo.
Jossa:
“possiamo
far
riferimento
a
questi
gruppi
come
i
più
significativi
nel
giudaismo
del
tempo”.
Egli
ci
fornisce
un’attenta
descrizione:
“I
sadducei
costituivano
il
gruppo
più
aristocratico
e
conservatore,
al
quale
aderivano
in
particolare,
anche
se
non
esclusivamente,
i
sacerdoti.
Loro
elemento
di
riferimento
essenziale
era
la
Legge
scritta,
contenuta
nei
libri
del
Pentateuco.
Legati
strettamente,
per
motivi
di
organizzazione
del
culto,
ma
anche
economici
(la
gestione
del
tesoro
del
tempio),
al
sistema
sacrificale
del
tempio
di
Gerusalemme,
erano
quasi
sempre
collusi
con
il
potere
politico
romano
che,
come
in
tutte
le
regioni
dell’impero,
cercava
un
punto
d’appoggio.
Essi
erano
pertanto
ostili
a
ogni
tentativo
di
rivolta
antiromana,
come
pure
ogni
forma
di
messianismo
popolare,
e
godevano
di
scarso
seguito
nella
popolazione.
I
farisei,
contro
quella
che
è
stata
a
lungo
l’opinione
più
diffusa
tra
gli
studiosi,
erano
invece
il
gruppo
più
vivo
e
innovatore.
A
carattere
essenzialmente
laico,
reclutavano
i
loro
membri
principalmente
dal
popolo.
Fedeli
anch’essi
prima
di
tutto
alla
Legge
mosaica
di
cui
osservavano
rigorosamente
le
norme
(Giuseppe
Flavio
ricorda
costantemente
la
loro
“acribia”
nella
interpretazione
della
Legge),
cercavano
di
fare
osservare
a
tutto
il
popolo
un’idea
di
santità
intesa
come
“giustizia”
e
“separazione”.
Presso
di
loro
aveva
valore
anche
quella
che
veniva
definita
la
tradizione
dei
padri,
l’insegnamento
cioè
dei
grandi
maestri
del
passato,
che
dava
luogo
a
una
vera
e
propria
legge
orale
accanto
a
quella
scritta.
Erano
difensori
tenaci
della
Legge
nei
confronti
dei
romani,
ma
erano
leali
verso
il
governo
erodiano,
romano
e
diffidavano
dai
movimenti
messianici.
Essi
godevano
di
un
seguito
notevole
del
popolo,
che
nei
loro
maestri
riconosceva
le
loro
guide
spirituali.
Gli
esseni,
questi
erano
una
setta,
vivevano
separati
(Qumram)
convinti
di
costituire
il
resto
santo
d’Israele
in
attesa
dell’intervento
definitivo
di
Dio
a
loro
favore.
La
loro
era
una
comunità
di
carattere
monastica,
governata
da
sacerdoti
allontanatisi
dal
tempio
e
retta
da
precise
e
rigorosissime
norme
di
vita”.
Come
abbiamo
visto,
al
tempo
di
Gesù,
la
Galilea
era
governata
da
Erode
Antipa
e la
Giudea
dal
prefetto
romano.
Ma
sia
il
Nuovo
Testamento
sia
Giuseppe
Flavio
ci
dice
che
per
il
governo
più
diretto
e
concreto
del
popolo
a
Gerusalemme
esisteva
il
sinedrio,
un
organismo
composto
da
settanta
uomini
e
presieduto
dal
sommo
sacerdote.
Quest’ultimo
esercitava
un
potere
notevole
sulla
popolazione,
non
solo
a
Gerusalemme
e
sarà
proprio
questo
organismo
secondo
i
Vangeli
che
condannerà
Gesù
e lo
consegnerà
a
Pilato,
quindi,
per
noi
è
importante
sapere
quale
era
in
quel
periodo
la
sua
composizione.
Sia
secondo
Giuseppe
Flavio
che
secondo
i
Vangeli
e
gli
Atti
degli
Apostoli
il
sinedrio
era
composto
da
farisei
e
sadducei.
I
Vangeli
ci
dicono,
però,
che
il
sinedrio
in
particolare
era
composto
dai
sommi
sacerdoti,
dagli
anziani
e
dagli
scribi;
tali
categorie
corrispondono
nella
sostanza
ai
sommi
sacerdoti,
capi
del
popolo
e ai
primi
farisei
che
Giuseppe
Flavio
nomina
come
detentori
reali
del
potere,
cui
spettava
risolvere
situazioni
particolarmente
difficili
sia
nei
conflitti
tra
i
vari
gruppi
giudaici
sia
nei
loro
rapporti
con
il
governo
romano.
Jossa:
“questo
significa
che
all’epoca
di
Gesù
per
lo
stretto
legame
tra
religione
e
politica,
era
in
mano
soprattutto
alla
casta
sociale
dei
sommi
sacerdoti,
prevalentemente
sadducei,
e
alle
figure
più
eminenti
del
gruppo
fariseo,
che
la
esercitavano
congiuntamente
all’interno
del
sinedrio”.
I
Vangeli
raccontano
gli
eventi
di
Gerusalemme
in
un
modo
per
cui
c’è
chi
interpreta
gli
eventi
della
condanna
a
morte
di
Gesù
come
se
essa
è
dovuta
all’iniziativa
dell’élite
dirigente
locale.
Mentre
il
rappresentante
del
potere
romano
pare
essere
convinto
dell’innocenza
di
Gesù
e
tenta
ormai
senza
speranza
di
liberare
l’accusato.
Inoltre,
i
Vangeli
poi
faranno
colpevoli
di
questa
esecuzione
tutti
i
giudei
in
generale,
in
Giovanni
la
responsabilità
è
data
ai
giudei,
e
per
contro
Pilato
ne
viene
sempre
più
assolto,
in
Matteo
se
ne
lava
le
mani.
Brown
parte
dall’idea
che
la
cosiddetta
purificazione
del
tempio
fu
il
fattore
scatenante
della
condanna
di
Gesù,
avvenuta
per
iniziativa
delle
autorità
religiose
giudaiche.
Stegemann,
ragiona
con
il
Vangelo
di
Marco
come
base:
“Marco
descrive
un
procedimento
illegale
e
non
ufficiale
contro
Gesù,
che
soltanto
il
mattino
seguente,
dopo
cattura
e
interrogatorio
notturni
sfocia
in
una
delibera
ufficiale
(Mc.
15,1).
Il
gruppo
giudaico
progetta
l’annientamento
di
Gesù,
si
allea
in
un
complotto
con
un
membro
del
suo
movimento
e
manda
una
schiera
di
uomini
armati
a
catturare
nottetempo
Gesù.
La
squadra
porta
Gesù
a
casa
del
sommo
sacerdote
non
nel
locale
dove
si
tengono
le
riunioni
ufficiali
del
tribunale
supremo”.
Nella
casa
del
sommo
sacerdote
si
riuniscono
i
membri
dell’élite
giudaita
e i
falsi
testimoni
per
preparare
una
denuncia
a
Pilato:
“poiché
i
testimoni
non
producono
nessuna
testimonianza
utilizzabile,
il
sommo
sacerdote
cerca
con
un
interrogatorio
a
Gesù
di
raccogliere
da
sé
munizioni
da
usare
contro
di
lui.
Anche
questo
interrogatorio
appare
una
chiara
manovra
nel
corso
del
quale
il
sommo
sacerdote
costruisce
un
grave
crimine
di
Gesù.
Egli
si
strappa
le
vesti
a
indicare
che
nella
risposta
di
Gesù
alle
sue
domande
vi
sia
una
bestemmia”.
Sulla
quale
non
si
capisce
la
natura
se
contro
Dio,
se
perché
Gesù
si
professa
Unto
o il
figlio
dell’uomo
che
ritorna.
In
questo
interrogatorio
del
sinedrio
si
cerca
un
pretesto
per
poter
accusare
Gesù
davanti
al
governatore
romano.
Stegemann:
“Pilato
parla
esplicitamente
di
Gesù
come
di
un
giusto
e lo
ritiene
evidentemente
innocente,
perché
poi
avrebbe
ceduto
a
condannare
un
innocente?
I
sommi
sacerdoti
minacciano
Pilato
di
accusarlo
davanti
all’imperatore”.
Ratzinger:
“Pilato
sapeva
che
Gesù
era
da
prosciogliere,
più
importante
della
verità
del
caso
è la
forza
pacificante
del
diritto,
questo
fu
forse
il
suo
pensiero.
Un’assoluzione
di
un
innocente
poteva
recare
danno
non
solo
a
lui
personalmente
ma
poteva
anche
provocare
ulteriori
dispiaceri
e
disordini”.
Aggiunge
Stegemann:
“Pilato
non
vede
nessun
motivo
d’accusa
nel
primo
dialogo
tra
Pilato
e i
sommi
sacerdoti,
questi
non
nominano
infatti
alcun
concreto
elemento
d’accusa
contro
Gesù,
sono
venuti
da
Pilato
perché
vogliono
l’esecuzione
di
Gesù,
non
avendo
essi
la
competenza
per
condannare
a
morte
qualcuno.
Le
accuse
però
avrebbero
dovuto
essere
dibattute
secondo
il
diritto
giudaita,
ma
le
autorità
giudaite
competenti
(i
sommi
sacerdoti)
volevano
che
Gesù
fosse
condannato
a
morte;
per
questo
fecero
intervenire
il
rappresentante
di
Roma,
il
solo
ad
avere
la
facoltà
di
mettere
a
morte.
Il
prefetto
romano
resistette
piuttosto
a
lungo
all’intento
omicida
dei
sommi
sacerdoti,
ma
quando
questi
ultimi
indirettamente
lo
minacciarono
di
denunciarlo
davanti
all’imperatore
alla
fine
cedette;
da
quel
momento
Pilato
cercava
di
liberarlo
ma i
giudaiti
gridavano
e
dicevano:
“Se
liberi
costui
non
sei
amico
dell’imperatore;
chiunque
si
faccia
re
si
oppone
all’imperatore”
(Gv.
19,12).
Di
Palma:
“il
praefectus
Iudaeae
era
investito
di imperium,
che
comprendeva
anche
la coercitio,
a
cui
era
legato
il
potere
di
mettere
a
morte
coloro
che
si
erano
macchiati
di
crimini
particolarmente
gravi,
in
primo
luogo
il
crimen
lesae
maiestatis.
Pilato
seguì
la
prassi
del
rito
processuale
detto
della
cognitio
extra
ordinem,
usato
nelle
province
e
caratterizzato
dall’ampia
discrezionalità
del
funzionario
d’inquisire,
interrogando
accusatori
e
imputato
e
valutando
monocraticamente
le
prove.
L’interrogatorio
mira
a
suscitare
non
già
la
confessione
di
un
reato
commesso,
bensì
una
dichiarazione
da
cui
far
emergere
indizi
di
prova,
poiché
la
confessione
nell’ordinamento
processuale
romano,
non
aveva
sufficiente
valore
probatorio.
Di
conseguenza,
sentiti
i
fatti
dai
delatores
ed
edotto
dei
capi
d’accusa
prodotti
dai
sommi
sacerdoti,
non
si
può
essere
sorpresi
dal
convincimento
di
Pilato
circa
l’innocenza
di
Gesù”.
C’è
chi
invece
vede
nel
sinedrio
come
coloro
che
volevano
impedire
l’esecuzione
di
Gesù.
Chaim
Cohn,
storico
del
diritto,
giunge
a
sostenere
che
si
debba
capovolgere
ciò
che
i
Vangeli
tendono
ad
affermare,
e
così
conclude
le
sue
argomentazioni:
“centinaia
di
generazioni
di
ebrei
sono
stati
puniti
in
tutto
il
mondo
cristiano
per
un
delitto
che
né
loro
né i
loro
antenati
hanno
mai
commesso.
Peggio
ancora,
per
centinaia,
o
piuttosto
per
migliaia
di
anni,
essi
sono
stati
costretti
a
sopportare
ogni
forma
immaginabile
di
supplizi,
di
persecuzioni
e
umiliazioni
a
motivo
della
supposta
partecipazione
dei
loro
antenati
al
processo
e
alla
crocifissione
di
Gesù,
anche
se
la
pura
verità
è
che
i
loro
antenati
non
vi
ebbero
parte
alcuna
ma
fecero
tutto
ciò
che
è
umanamente
possibile
per
preservare
Gesù,
che
amavano
di
cuore
e
veneravano
come
uno
di
loro,
dalla
sua
fine
tragica
per
mano
degli
oppressori
romani”.
Cohn
afferma
e
dimostra
che
davanti
al
sinedrio
non
vi
era
stato
alcun
processo:
“la
Sanhedrin
che
si
riunì
quella
notte
nella
casa
del
sommo
sacerdote
non
sottopose
Gesù
a
processo
e né
svolse
serie
indagini
preliminari”.
Egli
non
nega
che
in
quell’occasione
il
sinedrio
si
sia
riunito,
ma a
suo
parere
con
intenti
opposti
a
quelli
che
siamo
abituati
a
pensare
sulla
base
dei
Vangeli
neotestamentari,
per
salvare
Gesù,
non
per
abbandonarlo
alla
crocifissione:
“quel
che
vorrei
sostenere
è
che
l’intero
gruppo
dirigente
giudaico
può
aver
avuto
interesse
vitale
per
una
cosa
sola:
impedire
la
crocifissione
a un
giudeo
ad
opera
dei
romani,
soprattutto
di
un
giudeo
che
godeva
dell’amore
e
della
simpatia
del
popolo”.
Molte
delle
tesi
di
Cohn
sono
condivise,
soprattutto
quella
che
davanti
al
sinedrio
non
vi
fu
alcun
processo,
mentre
di
rado
si è
condivisa
la
tesi
positiva
di
Cohn
secondo
cui
il
sommo
sacerdote
e il
sinedrio
volevano
salvare
Gesù
dalla
crocifissione
romana.
Heinze
Kremers,
è
convinto
che
la
crocifissione
fu
esclusiva
colpa
dei
romani
e
che
i
giudei
non
sono
nemmeno
corresponsabili:
“in
ciò
i
giudei
non
hanno
nessuna
parte
della
colpa.
Anche
il
sommo
sacerdote,
al
quale
si
può
rimproverare
una
corresponsabilità
nella
morte
di
Gesù,
voleva
forse
indurre
Gesù
a
ritirare
la
sua
dichiarazione
messianica
per
salvarlo
in
tal
modo
dai
romani,
e
solo
in
una
condizione
di
acuta
emergenza
morale
lo
consegnò
ai
romani,
credendo
di
poter
soltanto
così
risparmiare
al
suo
popolo
un
bagno
di
sangue,
la
deportazione
e la
fine
del
tempio”.
Interessante
è la
prospettiva
di
Ratzinger:
“Gesù
si
era
dichiarato
messia,
aveva
quindi
preteso
per
sé
la
dignità
regale,
la
rivendicazione
della
regalità
messianica
era
un
reato
politico,
che
dalla
giustizia
romana
doveva
essere
punito”.