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filosofia & religione


N. 66 - Giugno 2013 (XCVII)

GESÙ STORICO: INDAGINE ATTORNO A UN “PROBLEMA”

PARTE VI - Amare il prossimo e il nemico
di Luigi Pezzella

 

È convinzione incoercibile della teologia che il comandamento dell’amore del prossimo stia al centro dell’etica di Gesù e rappresenti il principio ermeneutico della sua interpretazione della Torah. La concezione giudaica dell’amore del prossimo era “limitata” ai soli appartenenti alla propria nazione, ma Gesù nell’amore per il nemico e nell’apertura allo straniero nella parabola del samaritano avrebbe anche esteso la concezione giudaica dell’amore e l’avrebbe “superata”.

 

Secondo Stegemann questa presunta “antitesi” non convince. La base letteraria se la si legge nel suo contesto è visibilmente la conseguenza positiva dell’esortazione ad astenersi da comportamenti ostili nei confronti del proprio popolo: 17. Non odiare tuo fratello nel tuo cuore! Rimprovera chiaro e tondo il tuo connazionale! E non caricarti di una mancanza a causa sua! 18. Non fare vendetta! E non serbare rancore ai figli del tuo popolo! E ama il tuo prossimo come te stesso! Io sono Jhwh (Lev.19,17-18).

 

Crusemann fa notare che nel contesto antropologico e sociologico giudaita “amore” significa una forma di reciproca lealtà: “significa fare al prossimo ogni bene possibile, come lo si fa a se stessi”. Per Crusemann, amore è una forma di lealtà intesa come reciprocità”.

 

Termini come allargamento, inasprimento, assenza di analogie nell’interpretazione dell’amore per il prossimo attribuita a Gesù, ignorano la base di partenza biblica: “in poche parole, l’esortazione di amare il proprio nemico aggiunge al comandamento della Torah di amare il prossimo, soltanto la parola esplicita “nemico”, non la cosa in sé.

 

Trattiamo ora la versione lucana, che rispecchia più chiaramente la collocazione naturale di queste esigenze etiche nell’ambito dell’antico codice di valori della reciprocità.

 

27. Ma a voi che ascoltate dico: Amate i vostri nemici! Fate del bene a coloro che vi odiano! 28. Benedite coloro che vi maledicono! Pregate per coloro che vi insultano! 29. A chi ti colpisce su una guancia porgi anche l’altra, e a chi ti toglie il mantello non rifiutare la tunica. 30. Dà a chiunque ti chieda, e a chi prende del tuo non richiederlo. 31. Ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo voi a loro. 32. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete? Anche i peccatori amano chi li ama. 33. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avete anche i peccatori fanno lo stesso. 34. E se prestate a coloro di cui sperate di ricevere, che merito ne avete? Anche i peccatori prestano per ricevere altrettanto. 35. Amate invece i vostri nemici e fate del bene e prestate senza sperare il contraccambio. Allora il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’altissimo, perché egli è benevolo con gli ingrati e coi malvagi. 36. Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro! (Lc. 6, 27-36).

 

Nel Disagio della civiltà, S. Freud definisce il comandamento dell’amore del prossimo esigenza ideale delle società della nostra civiltà.

 

La critica di Freud all’amore per il prossimo denuncia che questa esigerebbe che si ami un estraneo al pari (di sentimenti) con cui si ama una moglie, genitori o fratelli.

 

Addirittura poi questo stesso amore lo si dovrebbe riversare ai nemici. È evidente che Freud interpreti il concetto di amore sulla base delle esperienze europee del XIX-XX secolo. Questo presupposto però misconosce l’orizzonte biblico.

 

Stegemann spiega: ”nella Bibbia “amore” (agapan) può significare un legame o un rapporto emotivo, ma centrale in esso è una semantica sociale che al concetto di amore/amare (agapan/agape) associa relazioni sociali tra singoli e gruppi”.

 

Malina ci illustra la diversità della visione moderna con la visione biblica; egli illustra in questi termini: ”Parlando in termini generali, nella cultura occidentale l’amore è un affetto del cuore che normalmente viene vissuto come esperienza individuale nel rapporto con un altro individuo o con altri individui. Non necessariamente comporta un legame. Per l’universo di valori mediterraneo, al contrario, l’amore è un valore che ha per contenuto la coesione di un gruppo e il suo vincolo. Può associarsi o meno a sentimenti e affetti. Questo genere di vincolo e coesione di un gruppo è una sorta di collante (glue) sociale che tiene insieme il gruppo”.

 

I termini greci agapan e agape, designano legami sociali, viceversa il verbo odiare (misein) significa la rottura del vincolo tra famiglie; così è in Lc. 14,26: “Se uno viene a me e non odia (misein) suo padre e sua madre e la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle e anche la sua vita, non può essere mio discepolo”.

 

Il vincolo della sequela è lo scioglimento del vincolo con la famiglia. L’amore per il prossimo quindi si riferisce a pratiche sociali, si tratta di reciprocità, questo è lo sfondo sociale dell’amore per il prossimo e del nemico. La reciprocità è una forma di solidarietà vicendevole; si basa su un quid pro quo e non è finalizzata al guadagno, equivarrebbe a Lc. 6,38: “Pregate e vi sarà dato... perché con la misura con cui misurerete vi sarà misurato”.

 

Ma se come dice Stegemann nella pericope dell’amore per il prossimo è già presente il concetto di nemico, ma un nemico incluso nella “cerchia” giudaita, come si spiega l’amore per il prossimo applicato allo straniero nella parabola del samaritano?

 

Il racconto del buon samaritano viene spesso interpretato come “proprium christianum” e come qualcosa che è di più dell’amore giudaico del prossimo, questo oltrepassamento viene esplicitato come universalizzazione.

 

25. Ed ecco, un dottore della Torah si alzò e lo mise alla prova e disse: Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? 26. Ed egli gli disse: Che cosa sta scritto nella Torah? Che cosa vi leggi? 27. Ed egli rispose: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso. 28. Ed egli disse: Hai risposto bene; fa questo e vivrai. 29. E quello poiché voleva giustificarsi disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? 30. Gesù allora iniziò e disse: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò in briganti che lo spogliarono e lo percossero se ne andarono e lo lasciarono mezzo morto. 31. Per caso un sacerdote scendeva per quella strada e quando lo vide passò accanto dalla parte opposta. 32. Anche un levita sopraggiunse in quel luogo e quando lo vide passò accanto dalla parte opposta. 33. Ma un samaritano in viaggio s’imbatté in quello e come lo vide provò compassione; 34. e gli si fece vicino, gli fasciò le ferite e versò sopra olio e vino; e lo mise sulla sua bestia da soma e lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35. E il giorno dopo estrasse due denari, li diede all’albergatore e disse: Abbi cura di lui! E ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. 36. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che era finito sotto i briganti? 37. E quegli disse: Chi gli ha mostrato misericordia (eleos). Gesù gli disse: “Va’ e fa anche tu lo stesso”. (Lc.10,25-37)

 

Il samaritano è in cammino attraverso la Giudea. Per i canoni etici della cultura della società del tempo di cui si è detto, egli può aiutare chi sia caduto in mano ai briganti ma non vi e tenuto.

 

Ci troviamo in Giudea e Gesù vuole rimarcare che la vittima è un giudaita. Per le ragioni di reciprocità si sarebbe dovuti attendere che gli prestassero soccorso i due giudaiti che l’hanno visto, ma se così fosse stato la storia non avrebbe avuto nulla di “stravagante”.

 

Se poi il terzo personaggio non fosse stato né un levita, né un sacerdote e nemmeno un samaritano ma un israelita, l’attenzione sarebbe andata alla “laicita” dell’intervento a scapito dell’“ecclesialita”. Invece è uno straniero, un samaritano, uno straniero di un altro popolo con cui i giudaiti sono in cattivi rapporti. La storia vuole proprio così, perché l’attenzione vada alla condotta del samaritano. Questi presta soccorso; lo vede mezzo morto e mezzo nudo, quest’immagine, come diremmo, gli rivolta le viscere, gli tocca il cuore (nella cultura mediterranea il cuore era sede dell’intelletto, delle riflessioni razionali e della memoria. Nelle viscere invece venivano avvertite le emozioni, in questo caso la compassione).

 

Ma è solo la compassione (eleos) il motivo del comportamento soccorrevole del samaritano?

 

No… Stegemann ci informa che a dire di Giuseppe la condotta del samaritano rientra nella solidarietà umana più ovvia che il legislatore ha ordinato al popolo dei giudaiti (Ap.2,211s.): Devono soccorrere tutti gli uomini con fuoco, acqua e cibo, se ne hanno bisogno, indicare loro la via e non lasciarli insepolti, trattare con moderazione i nemici, ad esempio non mettere a fuoco il paese del nemico, non abbattere i suoi alberi da frutta, non ferire i prigionieri o abusare delle loro donne.  

 

Il samaritano presta aiuto perché risponde all’appello che proviene dall’uomo denudato, deturpato, privato della sua dignità e se ne sente responsabile. Inoltre, in Lev. 19,33, l’amore per il prossimo viene esteso allo straniero, il comandamento veterotestamentario è già un comandamento di amore per il nemico e include gli stranieri.

 

A detta di Stegemann: “Il racconto biblico non descrive un comportamento che esprime un’etica di nuovo tipo. Di nuovo c’è soltanto che la solidarietà umana elementare illustrata da questo esempio viene associata al comandamento dell’amore del prossimo”.

 

Analizzando quindi gli articoli 3, 4, 5 e quest’ultimo, abbiamo visto che Gesù di Nazareth non prende né una posizione antitetica alla Legge mosaica e né tantomeno la cambia. Gesù di Nazareth fu un ebreo a tutti gli effetti e quindi di conseguenza “non cristiano” il “cristiano” sarà un’interpretazione postuma dei suoi discepoli e non una “volontà” gesuana.

 

La nostra indagine ora proseguirà su un tema che da sempre suscita interesse e che è fondamentale per capire la ipsissima intentio Iesus, cioè: Gesù annunciava il regno di Dio, ma quale, “quello” che ci hanno da sempre indottrinato? Oppure Gesù annunciava qualcosa di meramente terreno?



 

 

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