N. 62 - Febbraio 2013
(XCIII)
Gesù storico: Indagine attorno a un “problema”
Parte II – oggetto della ricerca
di Luigi Pezzella
Un
punto
da
considerare
importantissimo
per
la
questione
della
nuova
prospettiva
è
mettere
in
risalto
uno
dei
limiti
più
rilevanti
della
ricerca
storica
su
Gesù,
ovvero,
essa
ebbe
la
sua
genesi
in
un
periodo
storico
in
cui
l’impostazione
predefinita
dei
ricercatori
era
un
paradigma
letterario:
“siamo
tutti
figli
di
Gutemberrg
e
Caxton,
apparteniamo
a
culture
plasmate
dal
libro,
una
cultura
che
è
preminentemente
letteraria”.
Il
metodo
che
ha
dominato
lo
studio
dei
Vangeli
sinottici
nell’ultima
generazione
è
stata
la
critica
della
redazione
che
considera
i
Vangeli
quali
prodotto
“esclusivo”
di
revisione
letteraria.
Oggi
un
tema
di
primaria
importanza
si
può
compendiare
nel
termine
“ipertestualità”,
per
la
quale
l’appropriazione
di
testi
anteriori,
tanto
orali
quanto
scritti
è
concepita
in
senso
esclusivamente
letterario.
Non
siamo
nella
condizione
adeguata
per
renderci
conto
di
come
funzioni
una
cultura
non
letteraria,
una
cultura
orale,
se
la
ricerca
non
elimina
la
sua
“impostazione
predefinita”,cioè
esclusivamente
letteraria.
Questo
significa
che
si
sa
poco
di
una
cultura
orale.
Quella
della
Palestina
del
primo
secolo,
era
una
cultura
orale
più
che
letteraria,
una
cultura
dove
la
tradizione
era
“memoria”
e
dove
il
“ricordo”
era
un
“ricordo”
tramandato
oralmente.
Inoltre,
si
dovrebbe
ricordare
e
considerare
che
la
stima
di
fonti
autorevoli
come
Harris
secondo
cui:”
il
tasso
di
alfabetismo
in
Palestina
ai
tempi
di
Gesù
era
probabilmente
inferiore
al
10%
della
popolazione”.
Quindi
essendo
la
Palestina,
un
territorio
non
alfabetizzato,
resta
estremamente
probabile
che
la
tradizione
più
antica
di
Gesù
sia
stato
“un
ricordo
orale”.
Nella
ricerca
su
Gesù,
sin
dall’inizio
si
partiva
sull’analisi
delle
fonti
col
criterio
che
quanto
più
antico
fosse
un
testo
tanto
più
era
“affidabile”.
L’ipotesi
che
prevalse
fu
quella
delle
due
fonti
e
cioè
il
Vangelo
di
Marco,
il
più
antico
dei
Vangeli
sinottici.
Esso
era
a
sua
volta
fonte
di
Matteo
e
Luca
insieme
a
un’altra
fonte
la
cosiddetta
fonte
comune
(solo
a
Matteo
e
Luca),
fonte
Q.
Dunn
propone
un
interessante
ragionamento
sulla
fonte
Q:”due
degli
aspetti
più
produttivi
della
ricerca
su Q
hanno
avuto
particolare
rilevanza.
Uno
è
l’assenza
in
essa
di
un
racconto
della
passione,
essa
è
costituita
esclusivamente
da
detti
di
Gesù.
Il
secondo
è il
carattere
tipicamente
galileo
del
materiale
di
Q,
sembra
esso
aver
preso
forma
in
Galilea
e
pare
tradire
una
prospettiva
galilea,
tanto
da
identificare
“una
comunità
[con]
un
documento”.
La
tendenza
dell’impostazione
letteraria
colloca
Q e
la
sua
comunità
in
un
periodo
post-pasquale
di
discepoli
della
Galilea
che
non
conoscevano
l’annuncio
della
morte
e
risurrezione,
oppure
in
opposizione
a
questa
“categoria”,
si
identificava
Gesù
quale
grande
maestro
di
sapienza
e di
morale,
perciò
ne
conservavano
aforismi
pungenti.
Dunn
“cambia
prospettiva”
su
questo
punto.
Per
lui
la
spiegazione
più
ovvia
è
che
il
materiale
di Q
nacque
inizialmente
in
Galilea
e lì
ricevette
la
sua
forma
permanente
prima
della
morte
di
Gesù
a
Gerusalemme.
Esso
è
l’insegnamento
di
Gesù
durante
la
sua
missione
in
Galilea,
“ricordato”
e
posto
nella
sua
forma
attuale
da
coloro
che
furono
con
lui
in
Galilea.
La
fonte
Q
esprime
gli
effetti
che
Gesù
produsse
prima
che
la
croce
condizioni
il
“ricordo”
del
suo
insegnamento.
Secondo
Dunn:”in
Q si
dimostra
che
non
solo
gli
insegnamenti
di
Gesù
erano
stati
“ricordati”
ma
erano
già
stati
organizzati”.
È
poco
probabile
che
non
ci
sia
stata
nessuna
tradizione
conosciuta
e
circolante
prima
che
Marco
o Q
la
mettesse
per
iscritto,
come
poco
probabile
è
che
Marco
o
Matteo
o
Luca
per
scriverla
dovettero
mettersi
a
rovistare
tra
documenti.
La
tradizione
era
nota
solo
a
chi
venne
“l’ispirazione”
di
scriverla?
Dunn
osserva:
“Ovviamente
no,
come
è
vero
che
anche
una
volta
scritta
secondo
lui
non
cessò
di
essere
orale.
Anzi,
la
stesura
scritta
poteva
servire
proprio
per
diffonderla
oralmente,
perché
in
una
cultura
orale,
la
tradizione
orale
è
memoria
collettiva.
Per
Dunn
quindi,
Q è
contemporanea
alla
vita
galilea
di
Gesù
ed
essa
è un
“ricordo
collettivo”
orale,
di
una
cultura
orale”.
Il
materiale
comune
a
Matteo
e
Luca
testimonia
di
per
sé
la
diffusione
della
tradizione
orale
di
Gesù
proprio
nella
sua
variabilità.
Questo
cambio
di
prospettiva
ha
conseguenze
rilevanti,
in
questa
oralità
del
Gesù
ricordato,
una
volta
che
si
abbandoni
l’ipotesi
della
dipendenza
letteraria
esclusiva,
sarà
ancor
più
difficile
tracciare
la
storia
delle
tradizioni.
Il
solo
modello
di
sviluppo
lineare,
strato
su
strato,
redazione
su
redazione
non
è
più
appropriato,
poiché
se
si
riconosce
il
carattere
orale
di
una
prima
tradizione
di
Gesù,
si
deve
abbandonare
l’idea
di
una
singola
forma
originaria
a
cui
devono
essere
ricondotte
tutte
le
altre
versioni.
Importante
sottolineare
che
Dunn
non
intende
dire
che
è
impossibile
parlare
degli
effetti
originatori
di
Gesù
stesso,
anzi,
è
proprio
il
contrario.
Per
lo
studioso:
“le
varianti
redazionali
non
indicano
né
contraddizioni
né
manipolazioni,
esse
sono
semplicemente
il
marchio
di
una
tradizione
orale”,
ossia
la
“variazione
dell’identico”
nel
“ricordo
di
ognuno”.
Ora,
esposto
il
concetto,
al
di
là
delle
varie
figure
di
Gesù,
sia
reale,
storico
o
ricordato,
una
considerazione
o
delle
domande
sorgono
spontaneamente
e
prepotentemente.
La
storia
di
Gesù,
di
Abramo
e
Isacco
non
è
documentata
meglio
o
peggio
di
quella
di
Ulisse,
Penelope
o
della
guerra
di
Troia.
Eppure
si
riconosce
unanimamente
che
i
personaggi
omerici
sono
“filtrati”
da
secoli
di
oralità
prima
di
arrivare
alla
redazione
scritta.
Ma
quando
leggiamo
le
opere
di
Omero
non
ci
chiediamo
se
chi
le
ha
scritte
riporti
come
dice
Penna:”l’ipsissima
verba”di
Omero.
Perché
invece
di
Matteo,
Marco,
Luca
e
gli
altri
sì?
Forse
perché
come
dice
Auerbach:
“se
non
si
“crede”
ad
Omero
si
può
fare
delle
“sue”
opere
l’uso
che
era
nelle
sue
intenzioni,
mentre
se
non
si
crede
a
Gesù
non
se
ne
può
fare
dei
Vangeli
l’uso
per
cui
furono
scritti”.
Potrebbe
essere
proprio
questo
il
punto
da
cui
partì
la
ricerca
storica?
Cercare
di
“invalidare”
il
Gesù
terreno
dal
Gesù
Cristo
della
fede
e
far
perdere
autorità
ai
Vangeli?
Oppure,
viceversa
“trovare
una
conferma”
a
quanto
la
fede
propone?
Quindi,
perché
la
ricerca
storica
su
Gesù?
Come
e
perché
nasce,
come
si
evolve
e a
che
punto
è?
Questo
risponderemo
nel
prossimo
articolo
e
poi
ci
addentreremo
begli
affascinanti
problemi
che
riguardano
la
figura
di
Gesù
di
Nazareth
direttamente
da
vicino.