N. 10 - Ottobre 2008
(XLI)
Chi
dice la gente ch’io
sia?
gesù si rivela ai contemporanei
di Carlo Siracusa
Un
giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a
pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa
domanda: « Chi dice la gente ch’io sia’? ». Essi
risposero: « Per alcuni Giovanni il Battista, per altri
Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto
». Allora domandò: « Ma voi chi dite che io sia? ».
Pietro, prendendo la parola, rispose: « Il Cristo di Dio
». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo
a nessuno. (Lc 9, 18-21)
Alla
domanda: ‘chi dice la gente ch’io sia’, la
risposta dei discepoli mostra come, benché Gesù stesse
in mezzo alla gente comune, questi non avevano
identificato la sua persona, non avevano capito chi
fosse realmente. Persino Erode Antipa, si interrogò per
capire chi fosse colui del quale si diceva compisse
grandi cose: “Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di
tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare,
perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai
morti», altri: «E’ apparso Elia», e altri ancora: «E’
risorto uno degli antichi profeti». Ma Erode diceva:
«Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui,
del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo”.
(Lc 9, 7-9)
Dalle
parole di Erode si comprende che, il pensiero diffuso
tra la gente dell’epoca, era quello che Gesù fosse uno
dei profeti ridestato dai morti, forse il Battista,
forse Elia, o forse qualcun altro degli antichi profeti
di Dio.
Gesù
sapeva bene, cosa pensava di lui la gente del suo tempo,
e disse che “nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre,
né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il
Figlio lo voglia rivelare”. (Lc 10, 22)
La
domanda: «voi chi dite che io sia?», era solo
l’anticipazione di una rivelazione, perché Gesù poteva
essere conosciuto realmente solo da “colui al quale il
Figlio lo voglia rivelare”. Facendosi, così, portavoce
dei discepoli, Pietro esclamo: “Tu sei il Cristo”,
identificandolo con l’atteso Messia, l’unto di Dio.
Secondo l’evangelista Matteo, Pietro oltre a confessare
la messianità di Gesù, ne rivelò anche l’origine divina,
quando disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente”. (Mt 16, 16)
A
quel punto, chiedendo loro di non riferire a nessuno
questo intendimento, Gesù confermò la sua identità
messianica. In verità, mai prima d’allora si era
rivelato personalmente come il promesso Messia.
Già
sin dal momento della scelta dei suoi apostoli, qualcuno
di loro lo riconobbe subito nel ruolo del Messia
promesso. Nel racconto evangelico si legge che uno dei
due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano
seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli
incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse:
«Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)».
(Gv 1, 40-41)
Anche
la samaritana che incontrò Gesù al pozzo di Giacobbe, lo
riconobbe quale Messia. Il Vangelo di Giovanni dice che
“la donna intanto lasciò la brocca, andò in città e
disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha
detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il
Messia? ». (Gv 4, 28)
Gesù
non si rivelò alla donna, ma si limitò a confermarle ciò
che da se stessa aveva capito. Le disse: «Sono io, che
ti parlo». (Gv 4, 26) Non solo questi, ma anche
altri riconobbero in Gesù il Cristo, il Messia. Una di
queste fu Marta, sorella della donna che lo spalmò di
olio profumato e gli asciugò i piedi con i propri
capelli, Maria, e il cui fratello Lazzaro era molto
malato.
Il
racconto biblico narra che quando Gesù giunse a Betania,
Lazzaro era ormai morto da quattro giorni. Avendo udito
che Gesù stava per arrivare, Marta gli andò incontro e
gli disse: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello
non sarebbe morto!” Al ché, Gesù nel confortarla, le
disse: “Tuo fratello risusciterà”, e le garantì che egli
sarebbe stato la risurrezione e la vita per quanti
avrebbero creduto in lui. Poi le domandò: “Credi tu
questo?”. Marta rispose a tono: “Sì, o Signore, io credo
che tu sei il Cristo, Figlio di Dio che deve venire nel
mondo”. (Gv 11, 1-27)
Anche
Marta, dunque, identificò in Gesù ‘il Cristo’, il Figlio
di Dio. Tuttavia, molti respinsero Gesù come Messia, e
mormoravano contro di lui perché aveva detto: “Io sono
il pane disceso dal cielo”. (Gv 6, 41)
Interrogandosi sull’identità di Gesù, i Giudei dicevano:
“Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui
conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire:
Sono disceso dal cielo?”. (Gv 6, 42)
Purtroppo, anche diversi di fra i suoi discepoli
inciamparono nell’affermazione di Gesù, e mormoravano
dicendosi tra loro: “questo linguaggio è duro; chi può
intenderlo?”. (Gv 6, 60) Così, scandalizzati a
motivo della loro poca fede, “molti dei suoi discepoli
si tirarono indietro e non andavano più con lui”.(Gv
6, 66)
Questa fu una grande prova di fede per quanti
sostenevano di seguire Gesù, ma fu soprattutto
un’importante prova di fede e lealtà per gli Apostoli di
Cristo. Infatti, dopo questo trambusto, Gesù si rivolse
ai Dodici, e chiese loro: “Forse anche voi volete
andarvene?”. (Gv 6, 67) Immediatamente Simon
Pietro intervenne, rispondendogli: “Signore, da chi
andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. (Gv
6, 67-69)
Coloro che riposero fede in Gesù, riconobbero che egli
era il Figlio di Dio, il Messia o Cristo, il Santo di
Dio ! Nessuno di loro osò mai riferirsi a lui
come a Dio incarnato. Sia Gesù che gli apostoli erano
Ebrei, e nessun Giudeo ha mai atteso Dio in terra,
poiché essi sanno bene che ‘nessuno può vedere Dio e
vivere’ (Es 33, 20); piuttosto, era lungamente
atteso un Messia mandato da Dio, l’unto di Dio,
il Liberatore, l’inviato di Dio.
Semmai qualcuno cercò di travisare le parole di Cristo,
mettendogli in bocca espressioni da lui mai dette,
questi furono quei Giudei che non riconobbero in Gesù il
promesso Messia. Questi, cercando in tutti i modi di
costruire accuse infondate per poterlo uccidere, dissero
che “non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo
Padre, facendosi uguale a Dio”. (Gv 5, 18)
La
verità è che Gesù non si è mai fatto uguale a Dio!
Tutt’altro! Infatti, dopo che i Giudei avanzarono questa
accusa contro Gesù, egli rispose, dicendo: “In verità,
in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se
non ciò che vede fare dal Padre”. (Gv 5, 19)
Dicendo: “In verità, in verità vi dico”, Gesù
stava correggendo il pensiero e l’accusa impropria
avanzata da quei Giudei: egli non poteva essere ‘uguale
a Dio’, perché Gesù dipendeva da Dio, era
sottomesso, subordinato a Dio; appropriatamente disse
che il Figlio ‘non può fare nulla se non ciò che vede
fare dal Padre’.
Persino immediatamente dopo la sua morte, coloro che non
avevano un cuore malvagio, seppero riconoscere in Gesù
il “Figlio di Dio”. Alcuni di quelli che erano lì, non
conoscendo realmente né Gesù né Dio suo Padre, udendolo
gridare con voce forte: “Eloì, Eloì, lema sabactàni?”,
cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
(Mc 15, 34), pensavano che chiamasse Elia. (v.35)
(Ricordiamoci che Gesù aveva detto che nessuno sa chi è
il Figlio né chi è il Padre se non colui al quale il
Figlio lo voglia rivelare).
Questi, in verità, non avevano ricevuto alcuna
rivelazione da Dio, per cui fraintesero il grido di
Gesù. Il centurione, invece, aveva udito bene il grido
emesso da Gesù, e aveva capito che stava invocando Dio.
Quando la terra cominciò a tremare e la cortina del
tempio si squarciò in due, “vistolo spirare in quel
modo, disse: ‘Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!’”
(v.39)
Dopo
la sua morte, Gesù risuscitò e tornò alla gloria che
aveva presso il Padre, prima che il mondo fosse. (Gv
17, 5) Una volta asceso al Padre, come fu
considerato Gesù dai suoi seguaci? Qual’era il punto di
vista degli Apostoli e dei discepoli intorno
all’identità del Cristo? Vediamolo!
Dopo
aver compiuto un miracolo di guarigione verso un uomo
storpio fin dalla nascita, “Pietro disse al popolo:
‘Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e
continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra
pietà avessimo fatto camminare quest’uomo? Il Dio di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri
ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete
consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli
aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il
Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato
un assassino e avete ucciso l’autore della vita. Ma Dio
l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo
testimoni’”. (At 3, 12-15)
Pietro distinse Dio da Gesù, infatti disse che fu Dio a
glorificarlo; inoltre parlò di Cristo come del servo
di Dio; disse anche che ‘Dio l’ha risuscitato dai
morti’. E di tutto questo, Pietro ammette d’esserne
stato testimone.
Dopo
essere stati liberati dal sinedrio per aver reso
testimonianza intorno a Gesù, Pietro e Giovanni
“andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano
detto i sommi sacerdoti e gli anziani. All’udire ciò,
tutti insieme levarono la loro voce a Dio dicendo:
‘Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare
e tutto ciò che è in essi, tu che per mezzo dello
Spirito Santo dicesti per bocca del nostro padre, il tuo
servo Davide: Perché si agitarono le genti e i popoli
tramarono cose vane? Si sollevarono i re della terra e i
principi si radunarono insieme, contro il suo Cristo;
davvero in questa città si radunarono insieme contro il
tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e
Ponzio Pilato con le genti e i popoli d’Israele, per
compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano
preordinato che avvenisse. Ed ora, Signore, volgi lo
sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di
annunciare con tutta franchezza la tua parola. Stendi la
mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi
nel nome del tuo santo servo Gesù’”. (At 4, 23-30)
In
questa preghiera che i fedeli elevarono a Dio,
continuarono a parlare di Gesù come del santo servo
di Dio, colui che Dio aveva unto come Cristo. Per
loro, Gesù era e continuava ad essere il Servo
dell’unico e solo vero Dio, il Dio di Abramo e Isacco e
Giacobbe, il Dio e Padre di Gesù.
Esortando i cristiani Ebrei ad essere fedeli, Paolo
scrisse: “Perciò fratelli santi, partecipi di una
vocazione celeste, fissate bene la mente in Gesù,
l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi
professiamo, il quale è stato fedele a colui che l’ha
costituito, così come lo fu Mosè in tutta la sua casa”.
(Ebr 3, 1-2)
Chi
era per San Paolo il Signore Gesù glorificato? Anche per
lui, Gesù continuava ad essere il servo di Dio, e lo
chiama: “apostolo”, “sommo sacerdote”, e
colui che è stato “fedele” a Dio.
Che
dire di Giovanni, l’apostolo che Gesù particolarmente
amava? Chi era per lui Gesù? Giovanni risponde: “Chiunque
riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui
ed egli in Dio”. (1 Gv 4, 15) Sì, Giovanni
riconobbe in Gesù il Figlio di Dio, tuttavia non ne
parlò come del Dio fatto Uomo.
Cosa
voleva dire allora con le parole: “Dio dimora in lui
ed egli in Dio”? Rivela forse che Gesù è in Dio,
fa parte di Dio, essendo lo stesso Dio incarnato?
Il
contesto del discorso di Giovanni, spiega il senso di
questa espressione, quando aggiunge: “Noi abbiamo
riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio
è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora
in lui”.
Ebbene, avendo operato nell’amore di Dio, Gesù ha fatto
sì che Dio fosse in lui, che dimorasse in lui,
attraverso le sue opere piene d’amore. Prendendo esempio
da Gesù, l’Apostolo, a quel punto, esortò anche i
discepoli, affinché restassero anch’essi nell’amore di
Dio, essendo uniti nel medesimo amore che ha legato il
Figlio al Padre. L’amore di Dio è ciò che lega
spiritualmente, e Giovanni, dice che questo agisce come
catalizzatore e forza unificante.
Che
dire poi delle parole di Tommaso? Non si rivolse a Gesù
riconoscendolo quale Dio? Cosa intendeva dire, quando si
rese conto che l’uomo davanti a sé era Gesù il risorto
e, mettendogli il dito nelle ferite, disse: “Mio
Signore e mio Dio!”? (Gv 20,28)
Rivolgendosi a Gesù con le parole ‘Signore’ e ‘Dio’,
non stava dicendo che Gesù fosse il Dio Onnipotente e
Creatore venuto in forma d’uomo. “L’espressione greca
pronunciata da Tommaso è: “ho kurios mou kai ho theos
mou”, che letteralmente si traduce: “il Signore
di me e il Dio di me”. La probabilità più ovvia è
che l’espressione si riferisca alla persona di Gesù, dal
momento che è preceduta dalle parole: “gli disse”.
La presenza dell’articolo ‘ho’ (il) è data dalla
costruzione della frase, che fa precedere theos
(Dio) dal pronome mou (mio). In questo caso, la
grammatica greca richiede che mou sia preceduto
dall’articolo determinativo, e dunque non ha una
particolare rilevanza semantica in quanto alla sua
determinazione”.
[MOULE, An Idiom Book of New Testament Greek, pagg.
116-117]
Con
le parole: “Mio Signore e mio Dio”, dunque,
Tommaso stava prendendo atto della natura divina
di Cristo, poichè, solo un essere divino, glorificato,
un Figlio generato da Dio, poteva manifestarsi in tal
modo. Tommaso sapeva che Gesù era morto. Trovarselo
davanti, e appurarne l’effettiva identità, servì a
smontare del tutto la sua incredulità. Nulla toglie,
comunque, che quelle parole fossero l’esclamazione di
esultanza di Tommaso, per ciò che i suoi occhi stavano
vedendo con meraviglia; un po’ come dire: “Oh, mio
Dio!”. Ma la costruzione della frase, in cui è presente
il termine greco tradotto “gli”, rende
l’espressione direttamente rivolta a Gesù. Quindi,
pensare alle parole di Tommaso come a una esclamazione
rivolta al Padre, diventa una chiave di lettura molto
remota, benché non impossibile.
Come
abbiamo visto, da questa ricostruzione storica della
vita di Gesù, nessuno dei suoi seguaci pensò mai a lui
come all’unico Dio (YHWH) incarnato.
Non
lo sostenne nessuno di loro, non lo disse mai nemmeno
Gesù, né in alcun modo lo sostengono le sacre Scritture!
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