N. 42 - Giugno 2011
(LXXIII)
gessopalena
e proprio lapide
di Giulia Gabriele
Ricordo
ancora
oggi
le
prime
vacanze
estive
passate
in
Abruzzo,
a
Gessopalena.
Nei
tempi
d’oro
erano
tre
mesi
di
immersione
totale
nel
verde.
Poi
si
cresce
e
gli
appuntamenti
si
diradano
eppure
il
richiamo
è
sempre
forte.
In
fondo
è la
terra
di
mia
madre.
È la
mia
terra.
Così,
oltre
ad
amarla,
provo
a
fare
un
passo
in
più:
provo
a
raccontarla.
Gessopalena, un paese in provincia di Chieti sito sul lato
orientale
della
Majella,
deve
il
suo
nome
al
promontorio
di
gesso
(gypsum,
in
latino)
sul
quale
nasce
il
suo
primo
insediamento,
quello
che
oggi
dai
locali
viene
chiamato
“paese
vecchio”.
Per
‘palena’,
invece,
ci
si
riferisce
alla
dea
Pale,
protettrice
dei
pastori
e
delle
greggi
in
onore
della
quale,
il
21
aprile,
venivano
purificati
gli
armenti.
A dire il vero, però, questo toponimo è documentato solo a
partire
dal
1645.
Infatti,
nei
secoli
il
“paese
del
gesso”
si è
chiamato
Gipsum,
Gessi,
Logisso,
Gisso
de
Domo,
Gesso
e
Gesso prope
Palenam
mantenendo
sempre,
però,
l’assonanza
con
la
sua
caratteristica
peculiare,
quella
cioè
di
essere
nato
e
proprio
lapide
(‘dalla
propria
pietra’),
come
è
scritto
anche
nello
stemma
comunale.
Nell’alto medioevo la popolazione gessana viveva sparsa
nelle
‘ville’
dell’antico
colonato
romano;
solo
intorno
al
Mille,
nella
fase
dell’incastellamento,
cominciò
a
raccogliersi,
in
difesa,
sul
baluardo
roccioso
davanti
alla
Majella.
Dall’VIII
all’XI
secolo
il
paese
fu
sotto
il
controllo
della
signoria
benedettina,
dopodiché
la
sua
storia
fu
analoga
a
quella
della
sua
regione.
L’economia locale fu sempre agro-pastorale, ma un importante
rilievo,
ovviamente,
lo
ebbe
il
gesso
stesso.
Non solo infatti veniva utilizzato per la costruzione delle
case
(l’estrazione
da
parte
degli
abitanti,
per
questa
attività,
era
gratuita)
ma
era
anche
oggetto
di
scambi
commerciali
e
fino
agli
inizi
del
XX
secolo
venne
utilizzato
prevalentemente
per
aziende
di
stampo
famigliare,
mentre
con
l’avvento
delle
due
guerre
mondiali,
si
passò
a un
concetto
che
vedeva
lo
sfruttamento
delle
cave
di
gesso
come
risorsa
industriale
vera
e
propria.
L’attività
in
quel
periodo
fu
particolarmente
fiorente
anche
per
cercare
di
sostenere
la
concorrenza
con
un
altro
materiale:
la
calce.
Ad oggi, a Gessopalena, le cave e i luoghi di trasformazione
sono
del
tutto
abbandonati,
ma
rimangono
a
testimonio
dell’importante
attività
che
ne
ha
contraddistinto
l’economia,
oltre
che
la
vita
stessa,
accessibili
a
chiunque
voglia
fare
un
viaggio
nel
tempo,
tra
i
resti
di
quello
che
i
terremoti
e il
Secondo
conflitto
mondiale
ci
hanno
lasciato.
E, a
tal
proposito,
fu
mia
zia
Francesca,
la
maggiore
tra
le
sorelle
di
mia
madre,
tempo
fa,
a
raccontarmi
i
suoi
ricordi,
qui
rielaborati.
È l’8 settembre 1943 e il generale Badoglio dichiara la
fine
dell’alleanza
tra
Germania
e
Italia.
Appena
il
giorno
dopo
un
mio
zio
paterno,
Santillo,
di
stanza
in
Grecia,
verrà
catturato
e
deportato
dai
nazisti
nel
campo
di
concentramento
di
Dachau
dal
quale
uscirà
vivo
solo
due
anni
dopo.
Per
i
militari
tedeschi
non
c’era
nemico
peggiore
del
traditore
e
così
non
solo
uccisero,
deportarono
o
torturarono
i
nostri
soldati
ma
fecero
razzia
nelle
case,
derubando
i
civili
di
quel
poco
che
avevano
nonostante
la
guerra.
Arrivarono
persino
in
una
contrada
di
Gessopalena,
Coccioli,
immersa
nel
verde
a
pochi
chilometri
dal
paese...
lì
dove
la
mia
famiglia,
ogni
estate,
si
riunisce.
Le mamme di allora, che sono le nonne di oggi, cercavano di
fare
il
possibile
(spesso
in
assenza
degli
uomini
in
quanto
molti
erano
stati
arruolati
nell’esercito,
mentre
altri
si
erano
uniti
alle
milizie
partigiane)
per
nascondere
le
loro
cose
ai
nazisti.
Non
che
ci
fosse,
in
realtà,
molto
da
rubare.
Le
donne,
come
api
laboriose,
portavano
le
bestie
su
per
le
montagne,
in
luoghi
riparati.
Difficilmente
infatti
i
soldati
tedeschi,
non
esperti
della
zona,
sarebbero
riusciti
a
trovarli
in
quell’intreccio
di
querce
e
pini.
Il
cibo
(grasso
di
maiale,
prosciutto,
zucchero,
ecc.)
invece
veniva
seppellito
sotto
i
covoni
del
fieno,
mentre
gli
oggetti
costosi
e
indispensabili
direttamente
sotto
terra,
magari
ricoperti
da
un
piccolo
cumulo
di
pietre.
Non se ne faceva una questione di valore, ma di proprietà:
le
donne
difendevano
le
loro
cose,
per
quanto
frugali:
la
guerra
può
toglierti
tutto
ma
non
la
dignità
nella
ricerca
della
sopravvivenza.
Anche
mia
nonna,
oggi
una
splendida
94enne,
fu
una
di
quelle
api,
impegnata
non
solo
a
difendere
i
beni
della
propria
casa,
ma
anche
i
sorrisi
dei
propri
figli:
si
cercava,
in
paese
come
in
campagna,
di
mantenere
vive
le
tradizioni
e le
abitudini
di
sempre.
I
canti
erano
più
dimessi,
ma
non
si è
mai
persa
la
voce.
Se a Coccioli, però, i nazisti si “limitarono” a razziare
il
possibile,
così
non
accadde
a
Sant’Agata.
Il 21 gennaio 1944, quarantadue persone vennero rinchiuse
in
una
casa,
che
prima
fu
sventrata
dalle
bombe
a
mano
e
poi
data
alle
fiamme.
I
pochi
sopravvissuti
vennero
condotti
alla
stazione
di
pronto
soccorso
di
Gessopalena,
dove
furono
curati.
Una
ragazza,
addirittura,
si
nascose
sotto
i
corpi
di
due
persone
decedute
e
per
fingersi
morta
sopportò
una
bruciatura
sul
collo
inflitta
con
un
accendino
da
un
soldato.
Il 2 febbraio dello stesso anno venne istituito un “gruppo
per
le
sepolture”
che
da
Gessopalena
arrivò
a
piedi
a
Sant’Agata.
La
prima
vittima
che
incontrarono
fu
una
bambina
di
12
anni,
con
il
corpo
dilaniato
dall’esplosione
delle
bombe
e da
quattro
colpi
di
arma
da
fuoco,
uno
dei
quali
procurato
tenendo
la
canna
dell’arma
sul
petto
della
piccola.
I
riconoscimenti
dei
corpi
vennero
fatti
dai
parenti
o
dai
conoscenti
delle
masserie
vicine.
Appena un anno prima, nel dicembre del 1943, la stessa Gessopalena,
già
provata
dal
terremoto
del
1933,
era
stata
rasa
al
suolo
dai
bombardamenti
tedeschi,
che
obbligarono
la
popolazione
a
rifugiarsi
nelle
campagne
e a
ricostruire
l’abitato
non
più
sulla
rocca
di
gesso,
ma a
valle,
dove
attualmente
sorge
il
ridente
e
serafico
paese.
A riconoscimento del coraggio dei gessani e della loro attività
contro
il
nazifascismo
(famosa
è la
Brigata
Majella,
con
a
capo
Domenico
Troilo)
il
16
settembre
2006
l’ex
Presidente
della
Repubblica
Carlo
Azeglio
Ciampi
conferì
la
Medaglia
d’oro
al
merito
civile
al
comune
abruzzese.
Alla
mia
famiglia
di
quel
periodo
rimane
anche
un
piccolo
oggetto:
una
sveglia
che
mia
nonna
aveva
nascosto
sotto
la
paglia
e
che
quando
con
la
pace
fu
riportata
alla
luce
non
funzionava
più,
perché
un
“filo
d’oro”
si
era
incastrato
nei
suoi
ingranaggi.
Ovviamente
è
stata
aggiustata
e
oggi
segna
ore
ben
più
liete.
La guerra ha segnato buona parte della storia di Gessopalena,
tanto
che
i
monumenti
alla
memoria
sono
ben
due:
uno
per
la
Prima
guerra
mondiale
(molto
particolare
in
quanto
due
soldati,
calpestando
dei
fucili,
si
abbracciano)
e
uno,
alla
fine
della
via
principale
del
paese
vecchio,
per
la
Seconda.
Le città sono costellate di monumenti simili, ma vederne
due,
in
un
luogo
così
piccolo
che
oggi
conta
appena
1500
residenti,
dà
l’idea,
da
una
parte,
che
forse
siano
state
spese
le
vite
di
più
persone
del
dovuto;
e
dall’altra
che,
oltre
alla
forza
per
ricominciare,
c’è
una
grande
volontà
di
memoria.
Ma,
ovviamente,
nelle
pagine
della
storia
del
paese
non
ci
sono
solo
conflitti
e
distruzioni.
Un
ampio
spazio,
infatti,
lo
ha
anche,
ad
esempio,
la
tradizione
musicale.
La musica, a Gessopalena come in Abruzzo, ha avuto (e ha
tutt’ora)
un
grande
rilievo.
La
fisarmonica
è lo
strumento
d’accompagnamento
prediletto
e le
varietà
dei
canti
popolari
si
perdono
nel
tempo
e
nella
memoria.
La
musica
quindi
entra
nella
quotidianità
dei
gessani
come
nelle
pagine
dell’eccellenza
universalmente
riconosciuta.
« […] Era stato per molti anni in America e aveva una tecnica
spaventosa,
ubriacava
tutti,
assolutamente!
Aveva
un
volume
di
voce
talmente
potente
che
quando
faceva
un
glissando
si
sentiva
fino
a
piazza
Esedra!
» e,
dichiara
Goffredo
Titti,
un
compagno
di
band:
«
[…]
Tutte
le
orchestre
lo
volevano.
L’avrebbero
pagato
chissà
che
cosa.
»
Queste
citazioni
parlano
di
Armando
Manzi,
uno
dei
più
grandi
trombonisti
italiani
dei
primi
decenni
del
XX
secolo.
Il Manzi era di Gessopalena ed emigrato negli Stati Uniti
d’America
ebbe
modo
di
ascoltare
i
primi
gruppi
jazz
di
New
Orleans
e di
New
York.
Negli anni Venti fece parte della jazz band Philips and His
Seven
Boys,
voluta
dal
violinista
romano
Ugo
Filippini.
Quando
lasciò
il
gruppo
(e
la
musica
da
ballo
in
generale),
entrò
nell’Orchestra
Sinfonica
del
Maggio
Musicale
Fiorentino,
ove
rimase
per
tutta
la
vita.
Nel
1989,
il
suo
paese
di
origine,
decise
di
dedicare
a
lui
la
Scuola
di
Musica
appena
fondata,
che
dal
1997
è
gemellata
con
l’Academie
Musicale
di
Tamines
(Sambreville,
Belgio)
e in
particolare
con
il
complesso
orchestrale
Ensemble
Instrumental
Votano.
Da allora ogni estate i musicisti belgi vengono a Gessopalena
per
seguire
dei
corsi
di
musica
insieme
ai
locali.
Insomma,
il
paese
del
gesso
sembra
non
aver
dimenticato
il
suo
illustre
concittadino
e,
nonostante
la
banda
musicale
sia
formata
da
dilettanti,
è
sempre
possibile,
a
ogni
esibizione,
ascoltare
un’ottima
sinfonia.
Gessopalena, nonostante siamo ormai nel 2009, rimane un
luogo
ameno,
lontano
dalle
dinamiche
di
vita
contemporanee,
che
spesso
investono
persino
i
paesi
più
isolati.
Se
c’è
una
cosa
di
cui,
però,
ha
sofferto
e
soffre
ancora,
sicuramente
è
l’emigrazione.
La
popolazione
in
50
anni
si è
dimezzata.
Anche nella mia famiglia sono pochissimi gli zii che sono
rimasti
in
paese
(e
nessuno
di
loro
non
ha
provato,
almeno
per
un
breve
periodo,
la
strada
del
lavoro
in
un
altro
Stato);
dei
miei
cugini
nessuno
vive
lì:
si
dividono
tutti
tra
l’Italia
e il
resto
d’Europa.
Il Ferragosto, però, è sacro e torniamo, insieme, nel luogo
dove
tutto
ebbe
inizio.
In
quel
paesino
all’ombra
della
Majella,
immersi
nella
tranquillità
di
Coccioli,
banchettando,
ridendo
e
discutendo
su
chi
deve
cucinare
l’anno
seguente
(e
noi
cugini,
al
grido
di
“Vive
la
résistance”,
continuiamo
a
ripetere
che,
gli
anziani
della
tribù,
non
ci
avranno
mai!)
Se avrete il piacere di affacciarvi in questo angolo d’Abruzzo,
troverete
tanto
altro
oltre
a
quello
che
qui
ho
provato
a
raccontare.
Troverete
il
museo
del
gesso,
il
passeggio
della
sera
lungo
il
corso
principale,
la
fontana
monumentale
in
piazza
Roma,
la
bellissima
chiesa
della
Madonna
dei
Raccomandati,
le
feste
e le
tradizioni
accolte
sempre
con
entusiasmo.
Troverete, infine, una roccia di gesso, fragile e forte al
tempo
stesso,
che
risplende
sotto
la
luce
del
mattino.
E
con
essa,
l’incapacità
di
capire
se
sia
lei
a
illuminare
l’antico
paese
o il
sole.