N. 26 - Febbraio 2010
(LVII)
Gerusalemme, Gerusalemme…
culla perduta della Cristianità?
di Lawrence M.F. Sudbury
Gerusalemme,
duemila
anni
di
storia
e,
tra
essi,
sommando
periodi
diversi,
forse
meno
di
tre
secoli
di
vera
pace,
nonostante
il
suo
nome,
da
“Ur
–Shalaim”,
significhi
letteralmente
“Città
della
Pace”…
Gerusalemme
sacra,
città
di
David
e
del
Tempio,
città
del
Calvario
e
della
Resurrezione,
città
del
volo
notturno
del
Profeta
e
della
sua
Ascesa
ai
cieli,
Gerusalemme
mistica,
tanto
che
per
gli
Arabi
è
solo
“Al
Quds”,
“La
Santa”,
tanto
che
la
sua
voglia
di
Dio
spunta
ad
ogni
angolo,
anche
tra
il
vociare
dei
suk
e
tra
i
mitra
dei
soldati,
nei
negozi
di
oggetti
sacri,
nei
discorsi
della
gente
comune,
negli
abiti
di
migliaia
di
religiosi
di
forse
troppe
Fedi
e
Denominazioni
diverse,
nelle
Sinagoghe,
Moschee
e
Chiese
che
punteggiano
ogni
angolo
della
Città
Vecchia
…
Gerusalemme
contesa,
capitale
di
due
Popoli
che
non
possono
rinunciare
a
lei
…
“Chi
tiene
Gerusalemme
tiene
il
Medio
Oriente”
scrisse
molti
anni
fa
il
Generale
Allenby
prima
di
prendere
la
città
e
aveva
ragione:
è
lei,
microcosmo
a
sé,
antiche
case
di
pietra
e
alti
palazzi
in
cemento
armato,
folle
che
si
accalcano
e
angoli
dal
silenzio
quasi
eremitico,
ad
essere
la
chiave,
la
pietra
angolare
della
stabilità
e la
leva
dell’instabilità
di
tutta
l’area.
Ma
la
domanda
è
proprio
questa:
“Chi
tiene
Gerusalemme?”
Politicamente
la
risposta
è
facile.
In
città
basta
guardarsi
attorno:
su
ogni
collina,
bandiere
con
la
“Stella
di
David”,
in
ogni
strada,
pattuglie
di
militari
con
la
kippah,
nipoti
e
pronipoti
di
Sefarditi
olivastri,
di
Askenaziti
dagli
occhi
azzurri,
di
Felasha
dalla
pelle
nera,
di
Yemeniti
così
uguali
agli
Arabi.
E
intorno,
i
nipoti
e i
pronipoti
di
uomini
e
donne
scacciati
dalla
Spagna,
ghettizzati
in
tutta
Europa
e in
Africa,
sfuggiti
ai
“pogrom”
cosacchi,
scampati
dalla
follia
nazista
e
ora
intenzionati
a
difendere
senza
tregua
e
senza
pietà
quella
striscia
di
terra
tra
Mediterraneo
e
Giordano
che
è
costata
già
il
sangue
versato
in
tre
guerre,
la
paura
quotidiana
di
prendere
un
autobus
e
non
tornare
mai
più
a
casa
e
l’odio
di
chi
è
qui
forse
da
prima
di
loro
e
certamente
ora
con
loro,
ma
che,
finalmente,
è la
loro
terra,
dove
non
sono
più
ospiti
spesso
mal
sopportati,
ma
“padroni”.
Tenere
Gerusalemme
politicamente,
però,
non
significa
poi
molto:
la
storia
l’ha
insegnato
e
tanti,
dai
Greci
ai
Romani,
dai
Crociati
ai
Turchi
e
agli
Inglesi,
hanno
dovuto
capirlo.
Il
fatto
è
che
Gerusalemme
ha
un’anima
a
sé,
un
cuore
che
non
si
fa
imbrigliare
dalle
armi,
siano
esse
lance
e
spade
o
carri
armati
e
fucili
mitragliatori.
E,
al
centro
di
questo
cuore,
c’è
la
Città
Vecchia,
la
“vera”,
eterna,
millenaria
Gerusalemme,
laddove
il
suono
dello
Shofar
ha
lo
stesso
peso
del
richiamo
dei
Muezzin,
i
lunghi
boccoli
dei
Chassidim
si
contano
nello
stesso
numero
dei
capelli
neri
dei
ragazzini
palestinesi
e la
parola
di
un
Rabbi
o di
un
Rebe
ha
lo
stesso
seguito
di
quella
di
uno
Sheik.
Da
qui
nasce
tutto,
da
questa
capitale
di
una
terra
“troppo
promessa”
o
troppo
perduta
per
essere
condivisa:
da
qui
nasce
l’odio,
da
qui
nascono
le
bombe
dei
“martiri”,
le
carceri
piene
di
“quasi
bambini”
armati
di
pietre,
la
paura
di
andare
anche
solo
a
fare
la
spesa,
gli
appelli
degli
altri,
di
chi
sta
fuori,
gli
accordi
sperati,
firmati
e
mai
messi
in
pratica,
quella
tensione
che
aleggia
continuamente,
come
un
cumulo
di
nubi
all’orizzonte
anche
nelle
giornate
più
serene,
che
le
guardi
e
pensi
che
forse
oggi
non
pioverà,
ma
sai
che
la
tempesta
potrebbe
arrivare
da
un
momento
all’altro
in
tutta
la
sua
violenza.
Da
qui,
dunque,
nascono
i
due
grandi
schieramenti,
gli
Ebrei
da
una
parte,
con
il
loro
diritto
ad
avere
una
terra,
i
Palestinesi
dall’altra,
con
il
loro
diritto
uguale
e
contrario
ad
avere
una
terra;
da
qui
nascono
le
notizie
che
da
decenni,
con
frequenza
maggiore
o
minore
a
seconda
dei
periodi,
riempiono
i
giornali
di
tutto
il
mondo.
E
poi
ci
sono
loro,
i
Cristiani
di
Terra
Santa,
lì
in
mezzo.
Loro
non
riempiono
i
giornali
internazionali,
se
non
quando
si
vuole
dare
un
tocco
di
colore,
quando
si
vogliono
stupire
(“Eh,
hai
visto
i
Preti
che
predicano
tanto
e
poi
…”)
o
indignare
(“Eh,
hai
visto
a
che
punto
è
arrivata
la
Chiesa
…”)
i
lettori
mostrando
una
quindicina
di
Monaci
che
si
picchiano
al
Santo
Sepolcro
per
una
questione
di
precedenze
in
un
Rito:
come
se i
Monaci
non
fossero
anch’essi
esseri
umani,
come
se
quei
Riti
millenari
non
fossero
per
loro
così
importanti
da
valere
ben
più
del
denaro
o
del
potere
per
cui
i
“laici
progrediti”
si
scannano
ogni
giorno
…
Loro
…
loro
sono
troppo
pochi
e,
allo
stesso
tempo,
troppi
per
avere
un
peso
nelle
vicende
del
Medio
Oriente:
troppo
pochi
con
quell’1-2%
della
popolazione
che
non
è
sufficiente
a
dare
alcuna
visibilità
politica,
troppi
con
quelle
tredici
Chiese
ufficialmente
riconosciute
dal
governo
(a
cui
se
ne
devono
assommare
almeno
un’altra
quindicina
minori,
eccessivamente
“piccole”
o
“nuove”
per
ricevere
riconoscimento),
che
solo
da
poco
cercano,
in
qualche
occasione,
di
far
sentire
la
loro
voce
congiuntamente
ma
che
raramente
possono
dimenticare
secoli
di
rivalità
e
finiscono
per
dividersi
su
questioni
liturgiche
minime,
su
questioni
dottrinali
ormai
in
gran
parte
altrove
risolte
o
sul
possesso
di
questa
o
quella
Cappella
o di
questa
o
quella
Chiesa
tra
le
tante
che
punteggiano
ogni
angolo
della
Terra
Santa
come
“segnaposti”
di
qualunque
capitolo
della
vita
terrena
di
Gesù.
Eppure
ci
sono,
questi
Cristiani,
e
sono
lì,
in
mezzo
a
tutti
gli
altri,
in
mezzo
a
quelli
che
si
odiano
e
spesso
parte
di
quelli
che
si
odiano.
E
non
sono
lì
solo
perché
sono
arrivati
da
Roma
o da
Atene,
da
Alessandria
o da
Axum,
da
Mosca
o da
Londra:
sono
lì
perché
ci
sono
da
sempre,
dall’inizio,
da
2000
anni
fa …
E
non
sono
lì
perché
sono
parte
delle
migliaia
di
pellegrini
che
ad
ogni
Natale
(ad
ognuno
dei
tre
Natali
celebrati
lì)
e ad
ogni
Pasqua
(sia
a
quella
cattolica
che
a
quella
ortodossa)
affollano
la
Via
Dolorosa,
estatici
per
quella
“Sindrome
di
Gerusalemme”
che
finisce
per
colpire
un
po’
tutti
(fortunatamente,
nella
maggior
parte
dei
casi,
senza
assumere
tratti
patologici)
e
innervositi
per
le
continue
insistenze
a
comprare
dei
negozianti
dei
suk,
ma
perché
vivono
lì,
lavorano
lì,
ogni
giorno,
con
i
problemi
di
chiunque
e,
in
più,
con
quelli
tipici
di
questa
zona,
dalla
pressione
del
“muro”
del
West
Bank
al
traffico
congestionato
in
stradine
costruite
originariamente
per
muli
e
carretti,
dagli
affitti
alle
stelle
alla
disoccupazione
sempre
più
dilagante.
Ma
di
loro
non
si
parla
in
Occidente,
loro
non
contano
e
se,
a
Gerusalemme,
la
loro
presenza
è
resa
almeno
evidente
dai
molti
Patriarcati,
a
volte
grandi
palazzi
con
scaloni
di
marmo
e
soffitti
affrescati,
a
volte
miseri
condomini
popolari
riadattati
a
conventi
con
annessi
ostelli
per
pellegrini,
e
dal
“possesso”,
storico
quanto
nominale,
di
due
dei
quattro
Quartieri
della
Città
Vecchia
(il
Quartiere
Cristiano
ed
il
Quartiere
Armeno,
mentre
gli
altri
due
sono
il
Quartiere
Mussulmano
ed
il
quartiere
Ebraico),
per
tutto
il
resto
del
mondo
potrebbero
quasi
non
esistere,
non
fosse
che
ogni
tanto
qualcuno
si
ricorda
che
questi
“Cristiani
di
Gerusalemme”
sono
coloro
che
vivono
nel
luogo
in
cui
è
nata
la
Fede
praticata
da
oltre
due
miliardi
di
persone
sparse
in
tutto
il
pianeta.
A
volte
sembrerebbe
che,
nella
mente
di
tanti
fedeli,
Gerusalemme
sia
stata
persa
alla
Cristianità
con
la
caduta
del
Regno
Latino
o
con
quella
di
Bisanzio,
ma
non
è
così:
i
Cristiani
ci
sono,
come
minoranza,
estrema
minoranza,
ma
ci
sono
e
tengono
viva
una
memoria
così
fondamentale,
così
costitutiva
che
senza
essi
forse
tutte
le
Gerarchie
Ecclesiastiche
di
Roma,
Costantinopoli,
Alessandria,
Antiochia,
Canterbury,
etc.
perderebbero
parte
del
loro
stesso
senso
di
esistere,
le
loro
radici
fondative.
Eppure
sappiamo
così
poco
di
loro,
di
questi
“Cristiani
di
Gerusalemme”
venuti
da
lontano
o
nati
e
cresciti
lì
che
siano.
Se
siamo
interessati
alle
questioni
religiose,
al
massimo,
di
tanto
in
tanto,
riceviamo
notizie
frammentarie
su
qualche
rivista
specializzata
o su
qualche
sito
internet:
i
Cristiani
in
Terra
Santa
sono
sempre
meno
…; i
Capi
delle
Chiese
Cristiane
di
Gerusalemme
hanno
sottoscritto
un
documento
comune
…;
le
Chiese
Cristiane
si
sono
fatte
promotrici
di
una
iniziativa
a
favore
della
pace
…;
questa
Denominazione
è in
lotta
con
quest’altra
per
tale
ragione,
mentre
quella
Denominazione
è in
lotta
con
quell’altra
per
tal’altra
ragione
…
Niente
di
più
…
Eppure,
la
Religione
di
oltre
due
miliardi
di
esseri
umani
è
legata
inscindibilmente
a
questo
luogo,
ne è
quasi
intrinsecamente
connaturata.
Per
comprenderlo,
per
comprendere
che
se
Roma,
Costantinopoli,
Canterbury
o
Axum
sono
alcune
delle
molte
teste
di
un
Cristianesimo
diviso,
per
tutti
esiste
un
solo
cuore,
che
sta
proprio
a
Gerusalemme,
basta
anche
solo
uno
sguardo
veloce
alla
“storia
cristiana”
della
città.
Secondo
il
Nuovo
Testamento,
Gerusalemme
fu
la
città
in
cui
Gesù
venne
portato
da
bambino
per
essere
presentato
al
Tempio
e
per
partecipare
ad
una
festività
pasquale,
fu
la
città
in
cui
Egli
predicò
e
guarì,
in
cui
scacciò
i
mercanti
dal
Tempio,
in
cui
celebrò
l’Ultima
Cena,
in
cui
fu
arrestato,
condannato
e
crocifisso
sul
Golgota,
in
cui
fu
sepolto,
resuscitò,
ascese
al
cielo
e in
cui
ritornerà
per
il
Giudizio
Finale.
La
tradizione
più
diffusa
(ma,
come
molte
altre
riguardanti
la
localizzazione
dei
vari
edifici
legati
alla
vita
del
Cristo,
non
universalmente
condivisa
da
tutte
le
Denominazioni)
vuole
che
il
Cenacolo
sia
in
una
camera
al
secondo
piano
di
un
edificio
sul
Monte
Sion,
proprio
sopra
la
Tomba
di
David,
che
il
Getsemani
sia
vicino
all’odierna
“Chiesa
di
Tutte
le
Nazioni”
sul
Monte
degli
Ulivi,
che
il
processo
sia
avvenuto
alla
Fortezza
Antonia,
a
nord
dell’area
del
Tempio,
nel
luogo
in
cui
oggi
sorge
il
Convento
delle
Sorelle
di
Sion
(o,
secondo
un’altra
versione,
nel
palazzo
di
Erode,
sul
Monte
Sion).
La
Via
Dolorosa
è,
tradizionalmente,
il
cammino
percorso
da
Cristo
verso
il
luogo
della
sua
crocifissione,
su
cui
oggi
sorge
l’imponente
edificio
della
Chiesa
del
Santo
Sepolcro,
costruita
originariamente
da
Costantino
nel
336
d.C.
e
che
include
anche
la
Sua
Tomba
(sebbene
alcuni,
tra
i
quali
Charles
Gordon,
ritengano
che
il
vero
Golgota
fosse
sul
monte
Sion,
nei
pressi
della
Porta
di
Damasco,
dove
ora
si
trova
la
Tomba
del
Giardino).
Tutto
ciò
fa
di
Gerusalemme,
ovviamente,
il
luogo
più
santo
della
Cristianità.
Gli
Atti
degli
Apostoli
e le
Epistole
Paoline
indicano
Giacomo
il
Giusto,
“fratello”
di
Gesù,
come
il
primo
Vescovo
della
Chiesa
gerosolimitana:
lui
e i
suoi
successori
rappresentarono
il
punto
focale
dei
Cristiani
ebrei
fino
alla
distruzione
della
città
da
parte
dell’imperatore
Adriano
nel
135
d.C..
Quando
gli
Ebrei
vennero
cacciati
dalla
“nuova”
Aelia
Capitolina,
i
Vescovi
“gentili”
che
seguirono
furono
nominati
sotto
l’autorità
dei
Metropoliti
di
Cesarea
e,
soprattutto,
sotto
quella
dei
Patriarchi
di
Antiochia.
Solo
con
il
“Canone
VII”
del
Concilio
di
Nicea,
nel
325
d.C.,
Gerusalemme
ricevette
uno
speciale
riconoscimento
della
sua
importanza
ma,
ugualmente,
non
fu
eretta
a
sede
metropolitana.
Di
fatto,
comunque,
l’imperatore
Costantino
e
sua
madre
Elena
arricchirono
la
città
di
Chiese
e
luoghi
sacri,
rendendola
una
dei
più
importanti
centri
di
pellegrinaggio
della
Cristianità.
Così,
al
Concilio
di
Calcedonia
del
451
d.C.,
il
Vescovo
di
Gerusalemme
fu
elevato
al
rango
di
Metropolita,
andando
a
formare,
con
Roma,
Costantinopoli,
Alessandria
e
Antiochia,
la
cosiddetta
“Pentarchia”.
In
effetti,
ciò
significò,
per
la
Chiesa
gerosolimitana,
semplicemente
passare
dalla
giurisdizione
siriaca
di
Antiochia
a
quella
greca
di
Costantinopoli
che,
per
secoli,
dominerà
la
vita
spirituale
cristiana
di
Gerusalemme,
nonostante
le
pretese
suprematiste
del
Papato
romano.
Quando,
nel
638
d.C.,
Sofronio,
Patriarca
di
Gerusalemme,
consegnò
le
chiavi
della
città
alle
forze
mussulmane
del
califfo
Umar,
iniziò
il
periodo
più
buio
per
i
Cristiani
della
Città
Santa,
protetti
sì
come
“popolo
del
Libro”
ma
considerati
sudditi
di
serie
B e
forzati
a
pagare
ingenti
tasse.
La
situazione
peggiorò
ulteriormente
con
l’appressarsi
delle
truppe
della
Prima
Crociata:
i
Mussulmani,
temendo
che
i
Cristiani
Orientali,
che,
dopo
il
Grande
Scisma
del
1054
erano
rimasti
nella
zona
d’influenza
dell’Ortodossia
(anche
se
la
situazione
non
fu
ben
chiara
e
definita
fino
al
1517,
con
l’occupazione
ottomana),
avessero
cospirato
con
i
“Franchi”,
uccisero
gran
parte
della
popolazione
cristiana,
gettando
la
città
nel
terrore.
In
effetti,
l’accusa,
sebbene
i
crociati
fossero
intenzionati,
rispondendo
all’appello
dell’imperatore
bizantino
Alessio
I
Comneno,
a
proteggere
i
pellegrini
cristiani
e a
salvaguardare
i
Luoghi
Santi,
profanati
e
distrutti
dal
folle
califfo
al-Hakim,
era
molto
probabilmente
infondata,
soprattutto
per
gli
scarsissimi
contatti
tra
la
Cristianità
locale
e
quella
latina.
Il
15
luglio
1099,
le
armate
crociate
presero
Gerusalemme
e
fecero
seguire
a
ciò
un
bagno
di
sangue
dei
residenti,
dal
quale
solo
i
Cristiani
Orientali
si
salvarono,
pur
venendo
esiliati
(in
quanto
considerati
di
nuovo
colpevoli
di
cospirazione,
questa
volta
a
favore
dei
Mussulmani).
Gerusalemme
divenne
così
la
capitale
del
Regno
Latino,
con
una
Chiesa
Latina
(dipendente
cioè
direttamente
dal
Papa)
e
Clero
occidentale.
Dopo
la
morte
di
Goffredo
di
Buglione
e
l’intronamento
di
suo
fratello
Baldovino,
nel
1115
il
nuovo
re
offrì
una
sezione
di
Gerusalemme
ai
Cristiani
Ortodossi
di
Transgiordania,
soggetti
a
frequentissimi
attacchi
da
parte
dei
Mussulmani
e
quando,
nel
1187,
Saladino
riprese
la
città,
il
Santo
Sepolcro
e
molte
altre
Chiese
ritornarono
sotto
il
controllo
dell’Ortodossia.
Tra
il
XVII
e il
XIX
secolo,
numerose
Nazioni
cattoliche
europee
richiesero
all’Impero
Ottomano
che
i
Luoghi
Santi
passassero
definitivamente
sotto
il
controllo
dei
Francescani,
tradizionali
Custodi
di
Terra
Santa,
ma
tale
controllo
totale
non
venne
mai
accordato
e
venne
sempre
condiviso,
non
senza
aspre
dispute,
tra
Chiesa
occidentali
e
Chiese
orientali,
finché,
nel
1852,
il
sultano
Abd-ul-Mejid
I
(1839–1861),
con
un
“firman”
della
Sublime
Porta,
non
stabilì
definitivamente
le
competenze
delle
singole
Denominazioni
(in
particolare
per
quanto
riguardava
Santo
Sepolcro
e
Basilica
della
Natività
a
Betlemme),
modificando
parzialmente
un
precedente
firman
del
1767
in
cui
la
custodia
era
affidata
congiuntamente
a
Greco-Ortodossi
(che
facevano
la
parte
del
leone),
Cattolici
e
Armeni
Apostolici.
In
questo
documento,
ancora
in
vigore
e
conosciuto
come
“Status
Quo”,
oltre
che
alle
suddette
Denominazioni,
anche
ai
Copto-Ortodossi,
agli
Etiopico-Ortodossi
e ai
Siriaco-Ortodossi
vengono
riconosciute
responsabilità
minori
sui
Luoghi
Santi
e le
aree
limitrofe
e
vengono
dettagliatamente
stabilite
regole
per
i
tempi
e le
aree
di
culto.
Ciò,
in
ogni
caso,
non
ha
interrotto
le
dispute
che,
sino
a
tempi
recentissimi,
hanno
coinvolto
più
o
meno
tutte
le
Denominazioni
e
soprattutto,
stabilendo
il
firman
che
nessuna
parte
delle
zone
comuni
possa
essere
toccata
senza
il
consenso
di
tutte
le
comunità
interessate,
ha
fatto
sì
che
alcune
aree
non
ricevessero
per
decenni,
per
il
disaccordo
di
questa
o
quella
Denominazione,
i
necessari
restauri.
Allo
stato
attuale,
tra
Israele,
Giordania
(che,
essendo
per
molte
Denominazioni
sottoposta
al
Patriarcato
di
Gerusalemme,
viene
inclusa
nei
computi
statistici
con
i
suoi
40.000
Cristiani)
e
zone
sotto
il
controllo
dell’Autorità
Palestinese,
i
Cristiani
in
Terra
Santa
si
aggirano
intorno
ai
150-160.000
(circa
1,7%
della
popolazione,
in
netto
calo
rispetto
al
2,1%
del
2006),
di
cui
circa
15.000
vivono
a
Gerusalemme.
Dei
120.000
Cristiani
sotto
il
controllo
diretto
di
Israele,
circa
93.000
sono
Cattolici,
divisi
nelle
varie
Denominazioni
latina
e
cattolico-orientali.
Nell’intera
area
il
gruppo
preponderante
è
quello
dei
Greco-Cattolici
(noti
come
Melchiti),
con
circa
60.000
fedeli,
stanziati
in
particolare
in
Galilea
ma
poco
presenti
a
Gerusalemme.
Seguono
la
Chiesa
Cattolica
Latina
con
circa
27.000
fedeli,
quella
Maronita,
con
5.500
fedeli,
quella
Armeno-Cattolica
con
400
fedeli,
quella
Siriaco-Cattolica
con
300
e
quella
Copto-Cattolica,
con
un
centinaio
di
aderenti.
Gli
Ortodossi,
divisi
tra
Ortodossi
Bizantini
(Greco-Ortodossi
e
Russo-Ortodossi)
e
Ortodossi
Monofisiti
o
Orientali
(tutte
le
altre
Denominazioni)
sono
circa
13.000,
suddivisi
in
8.000
Ortodossi
Bizantini
(con
una
netta
preponderanza
di
ecclesiastici
greci),
2.000
Armeni
Apostolici
e
2.000
Siriaco-Ortodossi
(particolarmente
presenti
a
Betlemme),
700
Copto-Ortodossi
e
circa
100
(o
poco
più)
Etiopico-Ortodossi.
I
Protestanti,
giunti
in
Palestina
solo
nel
XIX,
assommano,
tra
Luterani
e
Anglicani,
a
circa
3.700.
Queste
sono
le
Confessioni
cosiddette
“riconosciute”
(fin
dai
tempi
dell’Impero
Ottomano).
Ad
esse
vanno
aggiunte
una
miriade
di
Chiese
minori,
per
lo
più
nate
dalla
Riforma,
che
hanno
rappresentanze
numericamente
piuttosto
esigue
(sebbene
in
crescita)
e
che
non
figurano
nei
dati
ufficiali.
Dal
punto
di
vista
legale,
l’attitudine
formale
al
pluralismo
religioso
dello
Stato
d’Israele
trova
espressione
già
nella
Dichiarazione
d’Indipendenza
del
1948,
in
cui
si
trova:
“Lo
Stato
d’Israele
[…]
sarà
basato
sulla
libertà,
la
giustizia
e la
pace,
così
come
previsto
dai
Profeti
d’Israele;
assicurerà
completa
uguaglianza
di
diritti
sociali
e
politici
a
tutti
i
suoi
abitanti,
indipendentemente
dalla
loro
religione,
dalla
loro
razza
e
dal
loro
sesso;
garantirà
libertà
di
religione,
coscienza,
lingua,
educazione
e
cultura
…”
Su
questa
base,
la
legislazione
di
Stato
ha
garantito
formalmente
la
libertà
di
Fede,
di
scelta
di
festività
religiose,
di
giorni
di
riposo
settimanali
e di
amministrazione
degli
affari
interni
a
tutti
i
Culti.
Con
una
legge
del
1967,
inoltre,
detta
Legge
di
Protezione
dei
Luoghi
Santi,
si
stabilisce
che:
“I
Luoghi
Santi
saranno
protetti
da
ogni
dissacrazione
o
altra
violazione
e da
qualunque
atto
possa
violare
la
libertà
di
accesso
dei
membri
delle
varie
religioni
a
luoghi
che
sono
per
loro
sacri
o
che
possa
colpire
i
loro
sentimenti
riguardo
a
tali
luoghi.”
Per
quanto
riguarda
nello
specifico
i
Cristiani,
essi
hanno
rappresentanza
presso
il
governo
israeliano
attraverso
il
“Dipartimento
Ministeriale
per
le
Comunità
Cristiane”,
responsabile
del
mantenimento
dei
rapporti
tra
tali
comunità
ed
Esecutivo.
All’interno
della
Knesset,
inoltre,
esiste
una
Commissione
(la
“Israel
Knesset
Christian
Allies
Caucus”)
creata
nel
2004
con
l’intento
di
migliorare
le
relazioni
tra
Cristiani
ed
Ebrei
e di
promuovere
la
reciproca
conoscenza
tra
i
membri
delle
due
Religioni.
Infine,
in
tutto
il
Paese
è
garantita
la
piena
autonomia
di
ogni
Comunità,
autonomia
di
cui
le
varie
Denominazioni
cristiane
hanno
sempre
largamente
usufruito,
anche
se,
ultimamente,
si è
registrata
una
sempre
maggiore
tendenza
da
parte
dei
Cristiani
ad
integrare
le
loro
strutture
sociali,
mediche
ed
educative
con
le
istituzioni
statali.
Il
quadro
sembrerebbe,
dunque,
piuttosto
idilliaco
per
i
Cristiani
(certamente
migliore
che
in
molte
realtà
mediorientali
o
che,
per
quanto
riguarda
il
West
Bank,
durante
il
periodo
di
dominazione
giordana)
ma,
in
realtà,
le
cose
non
sempre
funzionano
in
questi
termini.
Il
problema,
in
particolare,
riguarda
il
fatto
che
circa
il
70%
dei
Cristiani
presenti
in
Terra
Santa
sia
Palestinese.
I
Cristiani,
al
momento,
rappresentano
circa
il
6,5%
del
Popolo
Palestinese
(sebbene
il
56%
di
loro
vivano
all’estero,
soprattutto
dopo
il
grande
esodo
di
rifugiati
a
seguito
della
guerra
del
1948)
e
sono
divisi
in
almeno
15
diverse
Denominazioni,
delle
quali
la
Greco-Ortodossa
(51%)
e la
Cattolica
Latina
(32%)
risultano
nettamente
maggioritarie.
Tale
situazione
è
frutto
dell’impegno
missionario
cristiano
europeo
del
XIX
secolo,
che
trovò
terreno
fertile
soprattutto
nella
media-borghesia
araba,
attirata
anche
dalle
possibilità
educative
offerte
dalle
varie
Confessioni
cristiane.
Come
per
ogni
altro
gruppo
palestinese,
le
guerre
del
1948
e
del
1967
sono
state
assolutamente
devastanti
per
i
Cristiani
palestinesi,
con
una
diaspora
enorme,
che
ha
riempito
i 60
campi
profughi
dislocati
nei
Paesi
adiacenti
e
che
ha
portato
ad
una
massiccia
emigrazione
verso
l’Europa
e il
Nord
America,
deprivando
Israele
di
una
fetta
consistente
della
sua
popolazione
cristiana
(circa
12.000
unità
hanno
lasciato
Gerusalemme
Est,
il
West
Bank
e
Gaza
solo
tra
il
1967
ed
il
1993).
Al
di
là
di
questo,
però,
la
comunità
cristiano-palestinese,
proprio
per
il
suo
background
borghese,
si è
dimostrata
particolarmente
sensibile
al
clima
di
instabilità
e
incertezza
che
ha
accompagnato
la
presenza
militare
israeliana.
Conseguenza
di
ciò
è
stata
la
massiccia
partecipazione
della
comunità
all’Intifada
del
dicembre
1987,
con
numerosi
arresti
e
fughe
dalle
zone
di
maggiore
tensione
e
con
una
riorganizzazione
interna
susseguente
gli
“Accordi
di
Oslo”.
A
tale
riorganizzazione
i
Cristiani,
normalmente
con
un
livello
di
scolarizzazione
più
alto
rispetto
ai
Mussulmani
(sebbene
il
dislivello
si
stia
notevolmente
riducendo)
e
una
maggiore
presenza
urbana,
hanno
partecipato
attivamente,
spesso
ponendosi
in
contrasto
diretto
con
le
autorità
israeliane.
Il
rallentamento
del
processo
di
pace
ed
il
mancato
ottenimento
da
parte
di
molti
delle
condizioni
socio-economiche
sperate
ha
portato
ad
una
ulteriore
insorgenza
del
fenomeno
migratorio
(e
un
recente
sondaggio,
che
ha
indicato
come
il
65%
della
popolazione
cristiana
del
West
Bank
sarebbe
pronto
a
emigrare
in
altre
Nazioni
ha
dimostrato
che
tale
fenomeno
resta
in
espansione).
Ciò,
naturalmente,
comporta
una
continua
emorragia
di
Cristiani
dalla
Terra
Santa,
con
picchi
che
riguardano
in
particolare
Armeni
Apostolici,
Siriaco-Ortodossi
e
Greco-Ortodossi,
e,
conseguentemente,
un
sempre
minor
peso
sociale
della
comunità.
Gerusalemme
appare,
poi,
particolarmente
colpita
in
questo
senso,
con
una
popolazione
cristiana
che,
con
le
sue
15.000
unità
(di
cui,
all’incirca,
4.500
Cattolici,
3.500
Greco-Ortodossi,
1.500
Armeni
Apostolici
e
850
Luterani
e
Anglicani,
a
cui
vanno
aggiunti
2.600
Ecclesiastici
stranieri)
raggiunge
solo
il
35,5%
della
sua
consistenza
nel
1944
e
con
Chiese
che
rischiano
seriamente
di
non
avere
più
rappresentanza
di
fedeli
nella
Città
Santa.
Anche
per
questo
le
Comunità
cristiane
appaiono
essere
tra
le
più
attive
sostenitrici
del
processo
di
pace:
l’obiettivo
non
è
solo
quello
di
una
vita
più
pacifica,
ma
anche
quello
di
raggiungere
una
situazione
di
stabilità
politica
che
riporti
i
livelli
economici
(si
pensi
solo
alle
mancate
entrate
legate
al
turismo
e al
commercio
nei
periodi
più
“caldi”
dell’infinito
contrasto
arabo-israeliano)
a
situazioni
accettabili
e
tali
da
non
dover
obbligare
la
popolazione
ad
una
migrazione
praticamente
forzata.
Allo
stato
attuale,
comunque,
le
tensioni
restano,
in
particolare
riguardo
allo
status
di
Gerusalemme:
gran
parte
della
popolazione
Cristiana
sembra
orientata
verso
la
soluzione
di
una
“capitale
condivisa”
tra
Stato
d’Israele
e
futuro
Stato
Palestinese,
ma
si
tratta,
allo
“stato
dell’arte”,
di
una
strada
che
appare
ben
poco
percorribile
e,
di
conseguenza,
il
pessimismo
risulta
sempre
più
dilagante,
nonostante
i
tentativi
di
rassicurazione
di
gran
parte
dei
leader
religiosi
che,
pur
rendendosi
conto
dei
problemi
dei
loro
fedeli,
sono
particolarmente
preoccupati
del
progressivo
assottigliamento
delle
loro
file.
Per
altro,
un
ulteriore
grave
problema
delle
diverse
Denominazioni
cristiane
risulta
essere
il
mancato
raggiungimento,
nonostante
le
proprietà
acquisite
sia
a
Gerusalemme
che
in
tutta
la
Terra
Santa,
di
una
vera
autosufficienza
economica:
tutte
le
Chiese
Cristiane
presenti
in
Israele
sono,
al
momento,
dipendenti
da
altre
Diocesi
in
Paesi
stranieri
e,
ovviamente,
il
sempre
minor
numero
di
fedeli
sta
progressivamente
aggravando
la
situazione,
rendendo
molti
Patriarcati
di
fatto
“Missioni”
sovvenzionate
dalle
strutture
centrali
delle
loro
Denominazioni.
In
conclusione,
forse
il
maggior
problema
dei
Cristiani
è
che,
come
affermato
dal
professor
Salim
Munayer
del
“Bethlehem
Biblical
College”,
anche
tenendo
conto
del
minor
tasso
di
incremento
demografico
dei
Cristiani
rispetto
ai
Mussulmani,
i
Cristiani
nella
Città
Santa
dovrebbero
essere,
ad
un
livello
di
crescita
naturale,
il
doppio
rispetto
a
quelli
odierni.
Purtroppo
se,
soprattutto
per
i
Cristiano-Palestinesi,
continueranno
a
sussistere
la
condizioni
attuali
di
bassissima
natalità,
di
problemi
economici
e
sociali
(indubbiamente
aggravati
dalla
barriera
di
sicurezza
che
divide
Gerusalemme
dai
Territori
dell’Autorità
Palestinese
e da
Betlemme),
di
mancanza
di
alloggi
e, a
Gerusalemme
Est,
di
un
sistema
educativo
insufficiente,
i
Cristiani
rischieranno
concretamente
di
sparire
dal
luogo
natale
della
loro
Religione.
Spesso,
come
accennato,
i
Cristiani
occidentali
e la
stampa,
impegnata
a
relazionare
sulle
crisi
tra
Mussulmani
ed
Ebrei,
tendono
a
dimenticare
questa
realtà,
senza
tener
conto
del
fatto
che
i
Cristiani
di
Terra
Santa,
a
prescindere
dalle
loro
differenti
Denominazioni
(che,
per
altro,
sembrano
tutte
impegnate,
quale
più
quale
meno,
in
un
dialogo
ecumenico
che
porti
ad
azioni
comuni
verso
obiettivi
condivisi)
potrebbero
assumere,
se
adeguatamente
sostenuti,
un
ruolo
di
mediazione
tra
le
parti
che
per
loro
non
è
unicamente
un
imperativo
morale
(comunque
proprio
di
ogni
Cristiano)
di
cammino
verso
la
pace
e il
riconoscimento
della
dignità
umana
di
chiunque,
ma
anche
una
vera
e
propria
condizione
di
sopravvivenza.
Forse,
se
qualcuno
di
noi
è
andato
a
passare
le
ultime
festività
natalizie
o
deciderà
di
trascorrere
la
prossima
Pasqua
nella
“speciale
atmosfera”
che
si
respira
nel
centro
della
Cristianità,
è
bene
che
si
ricordi
che
per
i
Cristiani
di
Gerusalemme
ci
sono
altre
50
settimane
in
anno
in
cui
sicuramente
non
dovrebbero
essere
dimenticati…
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