La crisi del gas ha costretto
governi e imprese a rallentare il
processo di decarbonizzazione,
mentre il mercato energetico è
caratterizzato da un’estrema
volatilità, causata principalmente
dalle tensioni geopolitiche,
dall’aumento della domanda di
energia con la ripresa economica e
dal conflitto in Ucraina, che hanno
innescato picchi significativi nei
prezzi dell'energia.
Nel 2021 la domanda di energia e le
emissioni globali sono aumentate del
5% rispetto al 2020, raggiungendo
quasi i livelli pre-COVID-19, ovvero
~33 Gt di CO₂ equivalente legata
all'energia, come indicato nel
rapporto di McKinsey Global Energy
Perspective dell’aprile 2022.
Le aspirazioni di arrivare entro il
2050 alla decarbonizzazione espresse
dai sessantaquattro Paesi che
rappresentano l’89% delle emissioni
globali di CO₂, in occasione della
COP26 di Glasgow del novembre 2021,
prevedevano un mix energetico con il
50% composto da elettricità,
idrogeno e synfuel, con una
previsione di domanda di elettricità
triplicata entro il 2050 e
l'utilizzo di idrogeno e di
carburanti a base di idrogeno che
aumentano la loro quota di mercato a
causa della decarbonizzazione. La
domanda di idrogeno potrebbe
raggiungere i 350-600 mtpa nel 2050,
rispetto agli attuali ~80 mtpa,
mentre la domanda globale di
carburanti dovrebbe aumentare,
raggiungendo l'8-22% di tutti i
combustibili liquidi entro il 2050.
Per quanto riguarda le fonti
rinnovabili si prevedeva prima della
guerra tra Russia e Ucraina che
avrebbero raggiunto l'80-90% del mix
energetico globale entro il 2050,
grazie all'aumento della produzione
di energia solare ed eolica con
previsione di crescita
rispettivamente di cinque e otto
volte.
Il conflitto in corso in Ucraina sta
però spostando in avanti il picco
previsto della domanda dei
combustibili fossili, con la domanda
di petrolio dovrebbe raggiungere il
picco nei prossimi cinque anni, tra
il 2024 e il 2027 (circa 102 MMb/d),
considerata la progressiva
immissione sul mercato dell’automotive
di veicoli elettrici. Un altro
combustibile la cui domanda è stata
influenzata dall’andamento del
conflitto in Ucraina è il carbone,
che aveva già raggiunto il suo picco
nel 2013 ma che, dopo un temporaneo
rimbalzo nel 2021, avrà un aumento
nel breve periodo, con picchi di
prezzo sempre dovuti al conflitto,
con la riattivazione di centrali per
la sicurezza energetica durante
l’emergenza del conflitto e la
conseguente riduzione delle
importazioni dalla Russia. Nel lungo
periodo il trend è comunque quello
di una traiettoria discendente.
Veniamo ora alla domanda di gas per
cui si prevede su tutti i fronti un
aumento del 10-20% rispetto a oggi
fino al 2035. Da quell’anno in poi
gli analisti prevedono che la
domanda di gas sarà soggetta a
maggiori incertezze, con un mix
energetico di biometano, idrogeno e
gas naturale.
Per la decarbonizzazione delle
industrie pesanti, dove i
combustibili fossili rappresentano
ancora la fonte energetica più
diffusa, è utilizzata la tecnologia
CCUS, che sempre entro il 2050
dovrebbe catturare da due a quattro¹
Gt di CO₂, come indicato nel
rapporto McKinsey 2022. La Carbon
dioxide Capture & Utilization or
Storage (cattura e stoccaggio o
utilizzo dell’anidride carbonica)
impedisce l’emissione in atmosfera
della molecola di anidride
carbonica. Tale tecnologia consta di
due fasi: nella prima le molecole di
anidride carbonica, come quelle
contenute nei fumi di combustione
delle fonti fossili, sono catturate
e separate dalle altre a cui sono
miscelate grazie all’applicazione di
particolari tecnologie. Nella
seconda fase, invece, l’anidride
carbonica è stoccata in luoghi
sicuri (“storage”), oppure è
utilizzata nella produzione di altre
sostanze (“utilization”), subendo
una trasformazione chimica. In
entrambi i casi la sua dispersione
in atmosfera è evitata. Nel caso
dello stoccaggio l’anidride
carbonica catturata è trasportata
nei luoghi dove può essere iniettata
nel sottosuolo, in “depositi”
(stoccaggi geologici come giacimenti
di idrocarburi esauriti o acquiferi
salini) sicuri, atti a contenerla in
assenza di perdite nel più lungo
periodo.
Le emissioni di CO₂ contribuiscono
in larga parte al riscaldamento
globale, che secondo uno studio del
2019 di cento climatologi in
Francia, dovrebbe arrivare a 7 gradi
centigradi nel 2100 con conseguenze
catastrofiche. Con la crisi
economica in atto e il conflitto in
Ucraina è difficile al momento
stanziare cospicui investimenti per
la ricerca, lo sviluppo e
l’attuazione delle nuove tecnologie
necessarie alla decarbonizzazione.
Di contro, il percorso che prevede
di mantenere 1,5° sembra non poter
essere realizzato per la
decarbonizzazione senza investimenti
in tecnologie orientate verso fonti
di energia non fossile con una
crescita di oltre il 4% all’anno.
Gli investimenti annuali per la
fornitura e la produzione di energia
dovrebbero raddoppiare entro il
2035, per raggiungere 1.500-1.600
miliardi di dollari, necessari per
conseguire l’obiettivo di contenere
il riscaldamento globale.
Il gas ha gradualmente aumentato la
sua quota nel mix energetico e si
prevede che svolgerà un ruolo chiave
durante la transizione energetica,
grazie alla sua ampia gamma di
applicazioni. Come abbiamo avuto
modo di spiegare in un precedente
articolo, il rally dei prezzi del
gas a livello mondiale nel 2021 è
stato sostenuto da un'elevata
domanda dovuta alla rapida ripresa
economica e a condizioni
meteorologiche inattese, oltre a una
minore offerta, dovuta a
interruzioni impreviste e a
investimenti insufficienti.
L'incertezza sulle tempistiche e
sulle modalità della transizione
energetica può influire sulla
volatilità dei prezzi del gas e
portare a cicli di investimento
ancora più pronunciati, considerato
che, in futuro, il gas potrebbe
svolgere un nuovo ruolo nella
produzione di idrogeno e ammoniaca
blu, inoltre le infrastrutture che
ora trasportano gas potrebbero
essere riutilizzate per carburanti a
basse emissioni di carbonio o CO₂,
come idrogeno e biogas. Applicando
la tecnologia CCUS, la previsione di
domanda di gas dovrebbe attestarsi
al 10% nel prossimo decennio, ma
dopo il 2030 le previsioni divergono
a seconda degli scenari, in larga
parte il trend dipenderà dai
progressi nel processo di
decarbonizzazione nel riscaldamento
degli edifici e per la produzione
nell'industria. Quello che è certo è
che la domanda di gas sarà più
resistente rispetto a quella di
altri combustibili fossili, con una
quota rispetto alla domanda di
energia primaria che dovrebbe
scendere dall'attuale 23% al 23-15%
entro il 2050.
Se fossero mantenuti gli impegni
raggiunti dai Paesi che hanno
aderito al programma di
decarbonizzazione, la restante
domanda di gas dal 2050 in poi sarà
da parte dei soli Paesi che non
hanno assunto impegni di azzeramento
delle emissioni, alle compensazioni
delle emissioni di carbonio e alla
diffusione del CCUS, che spiegano
rispettivamente il 54%, il 15% e il
31% della domanda di gas. Una
domanda di gas relativamente robusta
in termini assoluti si traduce in
una riduzione del ruolo del gas
nella fornitura di calore ed energia
elettrica, a causa della forte
crescita di alternative a basso
contenuto di carbonio in questi
settori, secondo le previsioni di
McKinsey.
Ricordiamo che il picco della
domanda di gas è previsto per il
2035, con una crescita della domanda
nell'energia e nell'industria, in
particolare in Asia, compensata da
un calo nel riscaldamento degli
edifici, che già dal 2025 saranno
isolati meglio e riscaldati con gas
verdi come l’idrogeno e il biometano.
A seguito della crescita nel settore
energetico fino al 2035-2040, è
previsto che il gas svolgerà in
seguito un ruolo sempre più di
supporto alle energie rinnovabili.
La crisi diplomatica tra Occidente e
Russia ha innescato uno spostamento
regionale della domanda di gas verso
l'Asia che proseguirà, senza dubbio,
anche alla fine del conflitto in
Ucraina, in quanto il ruolo di
motore della crescita della domanda
della Cina sarà assunto dal Sud-Est
asiatico dopo il 2030. Il consumo di
gas in Cina sarà con molta
probabilità sostenuto dal passaggio
dal carbone al gas e dal ruolo del
CCUS nell'energia e nell'industria.
Quasi tutta la domanda aggiuntiva di
gas importato è fornita dal GNL, il
gas naturale liquefatto, che secondo
le proiezioni porterà a una crescita
del 20-70% nel 2050 rispetto al
2019.
L'invasione da parte della Russia
dell'Ucraina, oltre ad aver
innescato una grave crisi umanitaria
e ad aver riportato il mondo a un
livello di tensione geopolitica da
Guerra Fredda, influisce nel breve
periodo in modo pesante come fattore
esogeno nella transizione
energetica, essendo la Russia uno
dei maggiori produttori mondiali di
petrolio, gas e materie prime.
Sembra però evidente che nel lungo
termine la necessità di stabilità
per quanto riguarda la sicurezza
energetica e l'economia mondiale
porterà a una convergenza per
accelerare la transizione verso le
emissioni zero, a due velocità a
livello regionale, con un percorso
di decarbonizzazione più rapido in
alcune regioni rispetto ad altre.
In passato i conflitti hanno spesso
accelerato le transizioni
energetiche, basti pensare alle
guerre navali del XIX secolo, che
hanno incentivato il passaggio dalle
navi a vento a quelle a carbone. La
Prima Guerra Mondiale ha favorito,
invece, il passaggio dal carbone al
petrolio, mentre la Seconda Guerra
Mondiale ha introdotto l'energia
nucleare come fonte energetica. In
ognuno di questi casi le innovazioni
belliche si sono riversate
direttamente nell'economia civile e
hanno inaugurato una nuova era. Nel
caso della guerra in Ucraina non
assistiamo a una spinta
all'innovazione energetica, ma a una
presa di coscienza della comunità
internazionale della necessità
immediata di una transizione
energetica.
In Europa la transizione energetica
si sta attuando con notevole
ritardo, soprattutto in alcuni
Paesi, tra cui l’Italia. Tale
ritardo, in concomitanza con il
conflitto in corso, ha provocato un
aumento dei prezzi dell'energia con
conseguente aumento dell'allocazione
di capitale a breve termine per la
produzione e il consumo di
combustibili fossili, in particolare
dagli asset esistenti o recentemente
dismessi. Questo aumento improvviso
dei prezzi dell’energia ha scaturito
una grave e improvvisa crisi
economica e politica che deve essere
risolta in tempi brevi.
Nello scenario ora descritto la
diversificazione dal gas russo
richiede del tempo, perché vanno
superati gli ostacoli logistici, la
negoziazione dei contratti, le
restrizioni di capacità dei gasdotti
e lo sviluppo delle strutture di
importazione. L'Europa ha acquistato
più di 46 miliardi di dollari di gas
naturale dalla Russia dall'invasione
dell'Ucraina (fonte McKinsey) ed ora
è costretta, in situazione di
emergenza, a diversificare in tempi
rapidi le fonti di importazione di
combustibili fossili, nell'interesse
sia dei prezzi che della sicurezza
energetica, anche attraverso una
maggiore produzione nazionale, che
senza un’innovativa tecnologia
porterà inevitabilmente all’utilizzo
di combustibili più economici ma più
emissivi, come il carbone, come sta
accadendo in Germania e come
presumibilmente avverrà in Italia.
La necessità, inoltre, di allocare
maggiori risorse per la difesa
contribuirà a ritardare la
diffusione delle tecnologie net-zero
per mancanza di fondi e di
ricerche.
Anche negli Stati Uniti la tendenza
a breve termine è quella di
aumentare la produzione di
combustibili fossili per far fronte
all'aumento dei prezzi interni e per
sostenere la diversificazione
dell'approvvigionamento europeo. La
tendenza a medio e lungo termine è
meno certa, invece, considerata
l'abbondanza di riserve nazionali di
combustibili fossili di cui
dispongono, gli Stati Uniti sono
meno sensibili agli aumenti dei
prezzi dell'energia, ma altrettanto
esposti alla carenza di materiali
chiave a zero emissioni. Pertanto
l'economia della transizione
potrebbe non migliorare negli Stati
Uniti proprio come in Europa. Un
probabile scenario energetico a
medio termine negli Stati Uniti
potrebbe essere l'accelerazione
della sostituzione del petrolio più
costoso e ad alta intensità di
carbonio sul mercato globale, con il
petrolio del Bacino Permiano, un
bacino sedimentario che si estende
nella parte occidentale del Texas e
in Nuovo Messico, nel sud-ovest
degli Stati Uniti.
In Occidente si rende necessaria,
inoltre, un'efficiente politica
energetica per ridurre il consumo di
combustibili fossili, con una
conseguente riduzione di costi per i
consumatori e una più efficace
sicurezza energetica, che
contestualmente potrebbe portare
notevoli progressi per la riduzione
di CO₂.
Infine, in Asia, nonostante la
Russia abbia incrementato verso il
sud-est del mondo l'export di gas e
petrolio, resta il rischio di un
ritorno al carbone nel breve
termine. Se le sanzioni riducono
l'accesso agli oleodotti che la
Russia utilizza principalmente per
trasportare petrolio e gas verso
l'Europa, ci vorrà del tempo prima
che la Russia costruisca oleodotti
alternativi per attingere al mercato
asiatico. Con la probabilità che il
mercato del gas naturale si
restringa in modo sostanziale,
l'aumento dei prezzi che ne
deriverebbe potrebbe spingere i
consumatori asiatici meno solidi
economicamente ad abbandonare il
mercato e a tornare al carbone, che
è abbondante, economico e con una
regolamentazione più leggera.