attualità
LA GEOGRAFIA DEL GAS
TRA CRISI INTERNAZIONALE E TRANSIZIONE
ECOLOGICA / PARTE II
di Leila Tavi
Alla vigilia dell’invasione da parte
della Russia dell’Ucraina, il 22
febbraio 2022 alcuni dei Paesi
produttori di gas si sono incontrati a
Doha per il GECF (Gas Exporting
Countries Forum). Durante il meeting
Putin ha fatto pervenire una lettera in
cui si garantiva la fornitura
ininterrotta di gas a livello
internazionale. Immediatamente dopo la
Germania annunciava di non voler mettere
in funzione il Nord Stream 2. Il
ministro di Stato del Qatar per gli
affari energetici Saad Al-Kaab ha
sottolineato durante il forum che
l’improvviso aumento dei prezzi del gas
in Europa ha avuto inizio con molto
anticipo rispetto alla crisi
dell’Ucraina, perché è da imputare
invece alla mancanza di investimenti nel
settore. Da parte sua, l’emiro del
Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani
ha assicurato che la capacità di
produzione di gas naturale liquefatto
del Qatar salirà a 126 milioni di
tonnellate all'anno entro il 2027, così
come promesso agli Stati Uniti. Il suo
intervento si è concluso con l’appello
ai Paesi esportatori e importatori di
gas al dialogo, per garantire la
sicurezza dell’approvvigionamento
globale del gas.
Invece di utilizzare il gas come arma
durante lo stallo con l’Ucraina, come
accaduto in passato, Putin ha deciso per
l’intervento militare. Nonostante non ci
sia stato ancora il blocco delle
forniture, il prezzo del gas è
continuato ad aumentare, con le scorte
dei Paesi dell’Unione Europea che sono
drasticamente diminuite. Il mercato
internazionale del gas sembrerebbe però
essere più influenzato dalla narrazione
della guerra che dai fatti, come ha
dichiarato Bespoke Weather Services,
agenzia di consulenza per investitori,
commercianti e broker di gas. Tuttavia,
vale la pena notare che, a differenza
del passato, i drammatici cambiamenti
nel panorama geopolitico globale
innescati dalla crisi russo-ucraina
hanno causato un profondo impatto a
cascata sul mercato energetico globale e
sul panorama dell'industria energetica.
Di conseguenza, questo impatto
strutturale sta innescando un grande
cambiamento nel mercato globale
dell'energia.
Se facciamo un passo indietro alla crisi
del 2014 e all’annessione della Crimea
da parte della Russia, troviamo un
mercato del gas relativamente sicuro
rispetto a oggi, invece, grazie alla una
nuova "era d'oro" del gas naturale,
caratterizzata da costi di produzione in
calo e da una rinascita energetica del
Nord America, con un mercato
diversificato, che ha avuto come
conseguenza una riduzione della capacità
della Russia di condurre il gioco con
politiche energetiche dettate da mire
geopolitiche.
La diplomazia energetica euroasiatica si
è dimostrata in quegli anni, nonostante
la crisi della Crimea, efficace.
L’allora vicepresidente degli Stati
Uniti Joseph Robinette Biden Jr.,
l’attuale presidente, consigliava come
strumento per indurre la moderazione
nella diplomazia energetica di Mosca lo
sviluppo di reti di gas sicure,
diversificate e interconnesse come
prossimo passo per un’efficace
integrazione europea. Da parte sua Mosca
era già insofferente, trovandosi a un
bivio per cui o avrebbe accettato le
regole di mercato, scegliendo di
perseguire una politica energetica
basata sulla competitività commerciale,
liberalizzando e deliberando regole a
livello nazionale funzionali a una sana
politica delle esportazioni, oppure
sarebbe stata costretta ad aggrapparsi
allo status quo di potenza militare dal
polso fermo, addossandosi un grave
rischio strategico, sottovalutando la
diversificazione in atto nel mercato del
gas. Tutti abbiamo sotto gli occhi quale
è stata la scelta della Russia, che ha
dimostrato nella gestione strategica
delle sue risorse energetiche una certa
ingenuità.
Dopo il tentativo di annessione della
Crimea, infatti, la Russia non è stata
in grado di gestire in modo strategico
la dipendenza di molti dei Paesi
europei, tra cui ricordiamo
Bosnia-Erzegovina, Estonia, Lettonia,
Lituania, Macedonia, Slovacchia,
Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca e la
stessa Ucraina, oltre ad Austria,
Germania, Francia e Italia. L’UE ha
iniziato a perseguire una politica
energetica di differenziazione degli
approvvigionamenti, ma considerando la
Russia comunque un fornitore affidabile
e con la consapevolezza di iniziare una
transizione energetica con una
prospettiva di lungo periodo.
Da parte sua, invece, la Russia ha
perseguito dall’annessione della Crimea
una politica di “dipendenza asimmetrica”
per quanto riguarda i Paesi citati in
precedenza, sfruttando i vantaggi
dell’incremento della vendita
all’Europa, la diversificazione delle
esportazioni verso l’Asia e mantenendo
elevato il livello delle quotazioni,
forte dei 65 miliardi di metri cubi
esportati nel 2021 verso l'Europa,
record degli ultimi dieci anni. Qualcosa
però già stava cambiando alla fine dello
scorso anno, i flussi di gas dalla
Russia sono arrivati in Europa in
maniera discontinua, infatti, per tutto
questo inverno, costringendo i Paesi
europei a utilizzare le riserve.
Dall’inizio della guerra il flusso è
invece raddoppiato, 109,5 milioni di
metri cubi al giorno, in modo da poter
finanziare da parte russa il conflitto e
resistere alla sanzioni che il Cremlino
si aspettava essere pesanti, ma che non
avrebbero intaccato le forniture e i
pagamenti relativi al gas.
Contemporaneamente la Russia ha firmato
il contratto del secolo con la Cina per
il gasdotto lungo 3mila chilometri Forza
della Siberia (Сила Сибири, Sila Sibiri),
in passato noto come gasdotto Yakutia –
Khabarovsk – Vladivostok. Situato nella
Siberia orientale, può trasportare fino
a 55 miliardi di metri cubi di gas
all'anno dalla Yakutia fino in Cina. Si
tratta della stessa quantità che
avrebbero potuto garantire il Nord
Stream 1 e 2 verso la Germania, più di
cinque volte la capacità del gasdotto
Tap. Da parte di Pechino la
sottoscrizione del contratto di
forniture con Gazprom fa parte della
strategia per arrivare all’obiettivo
della carbon neutrality entro il 2060.
Perché allora la Russia non ha
continuato a condurre il gioco dal punto
di vista economico? Il Cremlino e
Gazprom dal 2014 a oggi sono stati in
grado di tenere le quotazioni dei nuovi
concorrenti relativamente basse, di
preservare la flessibilità nella
fornitura, di minacciare con tagli nelle
forniture agli Stati di transito e ai
“clienti” vulnerabili, in primis
all’Ucraina, che fino allo scoppio del
conflitto ricavava dalle tariffe pagate
da Gazprom al governo di Kiev la
principale fonte di entrata economica,
tre miliardi di dollari l’anno. Con la
caduta nel 2014 del presidente ucraino
filo russo Viktor Janukovyč (Віктор
Федорович Янукович), a seguito delle
sommosse pro-europeiste di piazza Maidan
(Євромайдан), e la salita al potere del
governo di unità nazionale, Gazprom rese
noto che l’Ucraina aveva conti arretrati
con l’azienda per 1,59 miliardi di
dollari. Nel dicembre del 2019 sembrava
che ci fosse una distensione tra Russia
e Ucraina con le due compagnie
energetiche nazionali, Gazprom e
Naftogaz, che avevano raggiunto un
protocollo d’intesa per evitare il
rischio di interruzioni del transito di
gas russo inviato in Europa attraverso
il territorio ucraino. Eppure Mosca ha
dimostrato una mancanza di autostima
nella gestione dei rapporti di forza con
l’Ucraina e con l’Europa, con cui ha
deciso di non giocare la carta
dell’energia, ma di mostrare il pugno di
ferro.
L'intensità della diplomazia del gas
coercitiva di una nazione può dipendere
da tanti fattori, in primis dalla
solidità e dal consenso dei sostenitori
all’interno del Paese (e la Russia ha
avuto negli ultimi tempi un certo
dissenso politico interno), delle
priorità per la sicurezza energetica,
dalle convenzioni e gli accordi con i
Paesi terzi che garantiscono il transito
del gas (rapporti tesi tra Russia e
Ucraina), dalle preoccupazioni per la
reputazione e/o le responsabilità
percepite nel commercio globale
dell'energia. In questo modo si
comprende la scelta da parte di Mosca di
securizzare i suoi gasdotti e di vedere
la dipendenza dai flussi
transfrontalieri come una potenziale
minaccia per la sicurezza nazionale. L’energy
statecraft della Russia, ovvero
l'utilizzo delle risorse energetiche
interne di uno Stato produttore come
mezzo per indurre altri attori
internazionali a fare ciò che altrimenti
non farebbero, al fine di raggiungere
gli obiettivi politici della politica
estera dello Stato produttore, non è
stato ritenuto strumento sufficiente dal
Cremlino per il rilancio della Russia
come potenza mondiale. Le conseguenze
scatenate dal conflitto russo-ucraino
non hanno solo determinato una tragica
crisi umanitaria, ma hanno fatto
piombare il mercato internazionale nel
caos.
Dell'escalation del conflitto tra Russia
e Ucraina, i rischi geopolitici hanno
stimolato un forte aumento dei prezzi
internazionali del petrolio. Dal 21
febbraio 2022, con il riconoscimento
ufficiale di Mosca delle due regioni
secessioniste dell'Ucraina orientale
come entità indipendenti fino al 2
marzo, il prezzo del greggio Brent è
aumentato del 17,6%, da 97,38 a 114,5
dollari; il prezzo del greggio WTI è
aumentato del 20%, da 92,8 a 111,38
dollari. Il 2 marzo, il prezzo del gas
all'hub olandese TTF, il prezzo di
riferimento del gas per l'Europa, è
salito a un livello record di oltre 194
euro per megawattora, equivalente a più
di 2.000 euro per 1.000 metri cubi di
gas (dati pubblicati dal think tank
indipendente Anbound con sede a
Pechino).
Con il vertiginoso aumento dei prezzi
del petrolio, causato dall'aumento del
premio di rischio derivato dalla guerra
in atto tra Russia e Ucraina, sono da
prevedere forti aumenti per le industrie
e per i consumatori, con il rischio di
una pesante inflazione globale, con un
impatto devastante sull'economia globale
che si è appena ripresa dagli effetti
della pandemia. L’Europa, la Cina e il
Giappone in primis, i principali
importatori al mondo di petrolio e di
gas naturale, saranno i più colpiti
dall'aumento dei prezzi del petrolio e
del gas. Dal 31 dicembre 2021 al 3 marzo
2022 i prezzi del petrolio raffinato in
Cina hanno subito aumenti progressivi
per ben cinque volte, con la benzina che
è salita di 1.265 yuan per tonnellata e
il diesel di 1.220 yuan per tonnellata.
Nel 2021, la produzione di petrolio
greggio della Russia si è attestata a
circa 520 milioni di tonnellate, al
terzo posto nel mondo, dopo gli Stati
Uniti e l'Arabia Saudita; la produzione
di gas naturale di 761 miliardi di metri
cubi, al secondo posto nel mondo, pari a
circa il 18% della produzione totale di
gas naturale del mondo, seconda solo
agli Stati Uniti. Nel 202, la Russia ha
esportato circa 230 milioni di
tonnellate di petrolio, al secondo posto
nel mondo dopo l'Arabia Saudita, e circa
200 miliardi di metri cubi di gas
naturale, al primo posto nel mondo.
L'80% delle esportazioni di gas naturale
della Russia sono destinate al mercato
europeo. Nel 2020 circa il 30% del gas
naturale dell’Europa è stato fornito
dalla Russia, la percentuale sale al 38%
del totale del gas se facciamo
riferimento in particolare ai ventisette
Stati membri dell'UE. Più nello
specifico, la Repubblica Ceca, la
Lettonia, la Moldavia e l'Ungheria
ricevono più del 95% della loro
fornitura interna di gas dalla Russia;
Finlandia e Germania più del 65%,
Polonia più del 50%; Romania, Italia e
Grecia circa il 40%; i Paesi Bassi circa
il 26%; Francia, Svezia e Spagna più del
10%. La Norvegia fornisce all'UE il 24%,
mentre l'Algeria l’11% (Fonte The Global
Economy). La prima conseguenza di una
riduzione delle forniture di gas all’UE
da parte della Russia è il vantaggio che
ne potranno trarre i produttori
statunitensi.
La guerra in atto ha anche costretto il
ritiro massiccio dei capitali
internazionali dall'industria energetica
russa, come prevedibile, con le sanzioni
dei Paesi occidentali che hanno
costretto investitori europei e
statunitensi ad abbandonare i settori
energetici della Russia. Nove compagnie
petrolifere multinazionali hanno
annunciato il loro ritiro dai progetti
di cooperazione nel settore del petrolio
e del gas in Russia, tra cui British
Petroleum (BP), Norwegian National Oil
Company (Equinor), Shell, ExxonMobil e
la spagnola Repsol, per un giro d'affari
di circa trentaquattro miliardi di
dollari.
Con il drastico cambiamento del modello
del mercato globale dell'energia causato
da un guerra che non accenna a trovare
una risoluzione diplomatica, l’Europa
sarà costretta a ad attuare rapide ed
efficace politiche di austerity, ma non
sarà il solo attore internazionale a
essere coinvolto, anche la Cina, il più
grande consumatore di energia e
importatore di petrolio, vedrà
improvvisamente messa a rischio la sua
sicurezza energetica. |