[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

170 / FEBBRAIO 2022 (CCI)


attualità

LA GEOGRAFIA DEL GAS
TRA CRISI INTERNAZIONALE E TRANSIZIONE ECOLOGICA / PARTE II

di Leila Tavi

 

Alla vigilia dell’invasione da parte della Russia dell’Ucraina, il 22 febbraio 2022 alcuni dei Paesi produttori di gas si sono incontrati a Doha per il GECF (Gas Exporting Countries Forum). Durante il meeting Putin ha fatto pervenire una lettera in cui si garantiva la fornitura ininterrotta di gas a livello internazionale. Immediatamente dopo la Germania annunciava di non voler mettere in funzione il Nord Stream 2. Il ministro di Stato del Qatar per gli affari energetici Saad Al-Kaab ha sottolineato durante il forum che l’improvviso aumento dei prezzi del gas in Europa ha avuto inizio con molto anticipo rispetto alla crisi dell’Ucraina, perché è da imputare invece alla mancanza di investimenti nel settore. Da parte sua, l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani ha assicurato che la capacità di produzione di gas naturale liquefatto del Qatar salirà a 126 milioni di tonnellate all'anno entro il 2027, così come promesso agli Stati Uniti. Il suo intervento si è concluso con l’appello ai Paesi esportatori e importatori di gas al dialogo, per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento globale del gas.

Invece di utilizzare il gas come arma durante lo stallo con l’Ucraina, come accaduto in passato, Putin ha deciso per l’intervento militare. Nonostante non ci sia stato ancora il blocco delle forniture, il prezzo del gas è continuato ad aumentare, con le scorte dei Paesi dell’Unione Europea che sono drasticamente diminuite. Il mercato internazionale del gas sembrerebbe però essere più influenzato dalla narrazione della guerra che dai fatti, come ha dichiarato Bespoke Weather Services, agenzia di consulenza per investitori, commercianti e broker di gas. Tuttavia, vale la pena notare che, a differenza del passato, i drammatici cambiamenti nel panorama geopolitico globale innescati dalla crisi russo-ucraina hanno causato un profondo impatto a cascata sul mercato energetico globale e sul panorama dell'industria energetica. Di conseguenza, questo impatto strutturale sta innescando un grande cambiamento nel mercato globale dell'energia.

Se facciamo un passo indietro alla crisi del 2014 e all’annessione della Crimea da parte della Russia, troviamo un mercato del gas relativamente sicuro rispetto a oggi, invece, grazie alla una nuova "era d'oro" del gas naturale, caratterizzata da costi di produzione in calo e da una rinascita energetica del Nord America, con un mercato diversificato, che ha avuto come conseguenza una riduzione della capacità della Russia di condurre il gioco con politiche energetiche dettate da mire geopolitiche.

La diplomazia energetica euroasiatica si è dimostrata in quegli anni, nonostante la crisi della Crimea, efficace. L’allora vicepresidente degli Stati Uniti Joseph Robinette Biden Jr., l’attuale presidente, consigliava come strumento per indurre la moderazione nella diplomazia energetica di Mosca lo sviluppo di reti di gas sicure, diversificate e interconnesse come prossimo passo per un’efficace integrazione europea. Da parte sua Mosca era già insofferente, trovandosi a un bivio per cui o avrebbe accettato le regole di mercato, scegliendo di perseguire una politica energetica basata sulla competitività commerciale, liberalizzando e deliberando regole a livello nazionale funzionali a una sana politica delle esportazioni, oppure sarebbe stata costretta ad aggrapparsi allo status quo di potenza militare dal polso fermo, addossandosi un grave rischio strategico, sottovalutando la diversificazione in atto nel mercato del gas. Tutti abbiamo sotto gli occhi quale è stata la scelta della Russia, che ha dimostrato nella gestione strategica delle sue risorse energetiche una certa ingenuità.

Dopo il tentativo di annessione della Crimea, infatti, la Russia non è stata in grado di gestire in modo strategico la dipendenza di molti dei Paesi europei, tra cui ricordiamo Bosnia-Erzegovina, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca e la stessa Ucraina, oltre ad Austria, Germania, Francia e Italia. L’UE ha iniziato a perseguire una politica energetica di differenziazione degli approvvigionamenti, ma considerando la Russia comunque un fornitore affidabile e con la consapevolezza di iniziare una transizione energetica con una prospettiva di lungo periodo.

Da parte sua, invece, la Russia ha perseguito dall’annessione della Crimea una politica di “dipendenza asimmetrica” per quanto riguarda i Paesi citati in precedenza, sfruttando i vantaggi dell’incremento della vendita all’Europa, la diversificazione delle esportazioni verso l’Asia e mantenendo elevato il livello delle quotazioni, forte dei 65 miliardi di metri cubi esportati nel 2021 verso l'Europa, record degli ultimi dieci anni. Qualcosa però già stava cambiando alla fine dello scorso anno, i flussi di gas dalla Russia sono arrivati in Europa in maniera discontinua, infatti, per tutto questo inverno, costringendo i Paesi europei a utilizzare le riserve. Dall’inizio della guerra il flusso è invece raddoppiato, 109,5 milioni di metri cubi al giorno, in modo da poter finanziare da parte russa il conflitto e resistere alla sanzioni che il Cremlino si aspettava essere pesanti, ma che non avrebbero intaccato le forniture e i pagamenti relativi al gas. Contemporaneamente la Russia ha firmato il contratto del secolo con la Cina per il gasdotto lungo 3mila chilometri Forza della Siberia (Сила Сибири, Sila Sibiri), in passato noto come gasdotto Yakutia – Khabarovsk – Vladivostok. Situato nella Siberia orientale, può trasportare fino a 55 miliardi di metri cubi di gas all'anno dalla Yakutia fino in Cina. Si tratta della stessa quantità che avrebbero potuto garantire il Nord Stream 1 e 2 verso la Germania, più di cinque volte la capacità del gasdotto Tap. Da parte di Pechino la sottoscrizione del contratto di forniture con Gazprom fa parte della strategia per arrivare all’obiettivo della carbon neutrality entro il 2060.

Perché allora la Russia non ha continuato a condurre il gioco dal punto di vista economico? Il Cremlino e Gazprom dal 2014 a oggi sono stati in grado di tenere le quotazioni dei nuovi concorrenti relativamente basse, di preservare la flessibilità nella fornitura, di minacciare con tagli nelle forniture agli Stati di transito e ai “clienti” vulnerabili, in primis all’Ucraina, che fino allo scoppio del conflitto ricavava dalle tariffe pagate da Gazprom al governo di Kiev la principale fonte di entrata economica, tre miliardi di dollari l’anno. Con la caduta nel 2014 del presidente ucraino filo russo Viktor Janukovyč (Віктор Федорович Янукович), a seguito delle sommosse pro-europeiste di piazza Maidan (Євромайдан), e la salita al potere del governo di unità nazionale, Gazprom rese noto che l’Ucraina aveva conti arretrati con l’azienda per 1,59 miliardi di dollari. Nel dicembre del 2019 sembrava che ci fosse una distensione tra Russia e Ucraina con le due compagnie energetiche nazionali, Gazprom e Naftogaz, che avevano raggiunto un protocollo d’intesa per evitare il rischio di interruzioni del transito di gas russo inviato in Europa attraverso il territorio ucraino. Eppure Mosca ha dimostrato una mancanza di autostima nella gestione dei rapporti di forza con l’Ucraina e con l’Europa, con cui ha deciso di non giocare la carta dell’energia, ma di mostrare il pugno di ferro.

L'intensità della diplomazia del gas coercitiva di una nazione può dipendere da tanti fattori, in primis dalla solidità e dal consenso dei sostenitori all’interno del Paese (e la Russia ha avuto negli ultimi tempi un certo dissenso politico interno), delle priorità per la sicurezza energetica, dalle convenzioni e gli accordi con i Paesi terzi che garantiscono il transito del gas (rapporti tesi tra Russia e Ucraina), dalle preoccupazioni per la reputazione e/o le responsabilità percepite nel commercio globale dell'energia. In questo modo si comprende la scelta da parte di Mosca di securizzare i suoi gasdotti e di vedere la dipendenza dai flussi transfrontalieri come una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale. L’energy statecraft della Russia, ovvero l'utilizzo delle risorse energetiche interne di uno Stato produttore come mezzo per indurre altri attori internazionali a fare ciò che altrimenti non farebbero, al fine di raggiungere gli obiettivi politici della politica estera dello Stato produttore, non è stato ritenuto strumento sufficiente dal Cremlino per il rilancio della Russia come potenza mondiale. Le conseguenze scatenate dal conflitto russo-ucraino non hanno solo determinato una tragica crisi umanitaria, ma hanno fatto piombare il mercato internazionale nel caos.

Dell'escalation del conflitto tra Russia e Ucraina, i rischi geopolitici hanno stimolato un forte aumento dei prezzi internazionali del petrolio. Dal 21 febbraio 2022, con il riconoscimento ufficiale di Mosca delle due regioni secessioniste dell'Ucraina orientale come entità indipendenti fino al 2 marzo, il prezzo del greggio Brent è aumentato del 17,6%, da 97,38 a 114,5 dollari; il prezzo del greggio WTI è aumentato del 20%, da 92,8 a 111,38 dollari. Il 2 marzo, il prezzo del gas all'hub olandese TTF, il prezzo di riferimento del gas per l'Europa, è salito a un livello record di oltre 194 euro per megawattora, equivalente a più di 2.000 euro per 1.000 metri cubi di gas (dati pubblicati dal think tank indipendente Anbound con sede a Pechino).

Con il vertiginoso aumento dei prezzi del petrolio, causato dall'aumento del premio di rischio derivato dalla guerra in atto tra Russia e Ucraina, sono da prevedere forti aumenti per le industrie e per i consumatori, con il rischio di una pesante inflazione globale, con un impatto devastante sull'economia globale che si è appena ripresa dagli effetti della pandemia. L’Europa, la Cina e il Giappone in primis, i principali importatori al mondo di petrolio e di gas naturale, saranno i più colpiti dall'aumento dei prezzi del petrolio e del gas. Dal 31 dicembre 2021 al 3 marzo 2022 i prezzi del petrolio raffinato in Cina hanno subito aumenti progressivi per ben cinque volte, con la benzina che è salita di 1.265 yuan per tonnellata e il diesel di 1.220 yuan per tonnellata.

Nel 2021, la produzione di petrolio greggio della Russia si è attestata a circa 520 milioni di tonnellate, al terzo posto nel mondo, dopo gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita; la produzione di gas naturale di 761 miliardi di metri cubi, al secondo posto nel mondo, pari a circa il 18% della produzione totale di gas naturale del mondo, seconda solo agli Stati Uniti. Nel 202, la Russia ha esportato circa 230 milioni di tonnellate di petrolio, al secondo posto nel mondo dopo l'Arabia Saudita, e circa 200 miliardi di metri cubi di gas naturale, al primo posto nel mondo. L'80% delle esportazioni di gas naturale della Russia sono destinate al mercato europeo. Nel 2020 circa il 30% del gas naturale dell’Europa è stato fornito dalla Russia, la percentuale sale al 38% del totale del gas se facciamo riferimento in particolare ai ventisette Stati membri dell'UE. Più nello specifico, la Repubblica Ceca, la Lettonia, la Moldavia e l'Ungheria ricevono più del 95% della loro fornitura interna di gas dalla Russia; Finlandia e Germania più del 65%, Polonia più del 50%; Romania, Italia e Grecia circa il 40%; i Paesi Bassi circa il 26%; Francia, Svezia e Spagna più del 10%. La Norvegia fornisce all'UE il 24%, mentre l'Algeria l’11% (Fonte The Global Economy). La prima conseguenza di una riduzione delle forniture di gas all’UE da parte della Russia è il vantaggio che ne potranno trarre i produttori statunitensi.

La guerra in atto ha anche costretto il ritiro massiccio dei capitali internazionali dall'industria energetica russa, come prevedibile, con le sanzioni dei Paesi occidentali che hanno costretto investitori europei e statunitensi ad abbandonare i settori energetici della Russia. Nove compagnie petrolifere multinazionali hanno annunciato il loro ritiro dai progetti di cooperazione nel settore del petrolio e del gas in Russia, tra cui British Petroleum (BP), Norwegian National Oil Company (Equinor), Shell, ExxonMobil e la spagnola Repsol, per un giro d'affari di circa trentaquattro miliardi di dollari.

Con il drastico cambiamento del modello del mercato globale dell'energia causato da un guerra che non accenna a trovare una risoluzione diplomatica, l’Europa sarà costretta a ad attuare rapide ed efficace politiche di austerity, ma non sarà il solo attore internazionale a essere coinvolto, anche la Cina, il più grande consumatore di energia e importatore di petrolio, vedrà improvvisamente messa a rischio la sua sicurezza energetica.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]