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N. 118 - Ottobre 2017 (CXLVIII)

vita e opera di al-Idrisi
sul geografo arabo di re Ruggero II

e sulla geografia araba medievale - PARTE I
di Vincenzo La Salandra

 

In questo breve contributo si vuole sottolineare l’importanza dell’opera geografica di al-Idrisi, tracciare alcuni paralleli con la Geografia di Strabone, che è l’opera classica che più si avvicina per impianto e per carattere a quella del geografo arabo di Ruggero II.

 

A Palermo Abù ‘Abd Allàh Muhammad ibn Muhammad ‘Abd Allàh ibn Idrìs al-Hammùdì al-Hasanì, più semplicemente noto come al-Idrisi, di schiatta principesca della famiglia degli Idrisidi, realizzò su richiesta del re uno straordinario mappamondo piano (il suo planisfero) inciso su una lastra d’argento di notevoli dimensioni: forse 3,5 metri in lunghezza per 1,5 di altezza. La mappa venne solennemente presentata a Ruggero II nel 1154, circa sedici anni dopo l’arrivo del geografo in Sicilia.

 

L’ambizioso progetto prevedeva la particolareggiata descrizione dei continenti, dei mari, dei fiumi, delle città e delle vie di comunicazione di tutte le terre abitate e conosciute fino ad allora. Tuttavia nel 1160, e durante una sommossa, l’enorme mappa siculo-araba fu distrutta da un gruppo di rivoltosi che la fusero per spartirsi l’argento. Ma il grande erudito arabo aveva, sempre su richiesta di Ruggero II, accompagnato il planisfero con una vastissima opera scritta in prosa rimata araba classica la Nuzaht al-mushtaq fì Ihtiraq al-afaq (ovvero Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo) universalmente nota come Kitàb ar-Rugiar, Il Libro di Ruggero.

 

La Geografia di Idrisi si configura essenzialmente come il contributo personale del nostro geografo di Palermo alla conoscenza del mondo: si è già detto che scrisse il suo trattato per ordine di Ruggero II normanno di Sicilia, alla cui corte visse questo principe musulmano.

 

Idrisi fondò l’opera sua su una carta comparabile a quella di Tolomeo, ampiamente diffuso in traduzione araba: questa carta divideva il mondo in climi, che corrispondono alle vere zone geografiche, e in compartimenti, equivalenti alla latitudine dei climi. Il testo passa in rassegna, e in successione regolare, i differenti climi descrivendo, per ciascuno, i diversi compartimenti, l’uno dopo l’altro e realizzando uno sforzo di descrizione completa e sistematica.

 

In effetti il testo si sovrappone alla carta geografica in modo perfetto e alcuni studiosi lo hanno definito come una vera e propria parafrasi della mappa. Spesso il testo della Geografia è una vera elencazione dei toponimi, una lista delle direzioni, delle vie e delle distanze, spesso senza troppe informazioni ulteriori oltre quelle fornite dalla mappa.

 

Ma l’autore, per nostra fortuna, dedica a quasi tutte le città, piccole e incisive descrizioni e finanche importanti paragrafi in prosa che, in qualche caso, rappresentano la sola fonte descrittiva delle città e dei borghi a nostra disposizione per i secoli medioevali. La maggior parte delle descrizioni sono fugaci e stereotipate, come notavano alcuni ricercatori e arabisti francesi: ad esempio i mercati sono quasi tutti ‘floridi’ o ‘fiorenti’ e i prodotti quasi sempre ed invariabilmente ‘abbondanti’.

 

Non è possibile riscontrare nella Geografia di al-Idrisi, se non di rado, tutto lo spessore etnografico e la ricchezza magmatica delle opere di Erodoto o di Strabone, tuttavia, l’opera di Idrisi è sicuramente, in mezzo a quelle coeve di geografia araba e per esteso medievale e mediterranea, quella che più si avvicina ai modelli greci e a Strabone in particolare, tanto che è possibile considerare al-Idrisi come lo ‘Strabone Arabo’ per eccellenza.

 

La massa di informazioni contenute nell’opera è impressionante, basti pensare che i nomi geografici che vi sono menzionati sono in numero di circa 5.000. La Sicilia è nel cuore della Geografia: infatti è la regione meglio descritta in dettaglio e precisione; ed allontanandosene progressivamente l’opera perde in dettagli ed esattezza. La cosa è già evidente per l’Italia peninsulare, che viene descritta con molto minore dettaglio da Idrisi: mentre le principali città siciliane meritano infatti tutte descrizioni lunghe e particolareggiate, paragonabili solo alla descrizione di Roma, le altre città d’Italia sono descritte in modo molto più stringato ed essenziale.

 

Le fonti di al-Idrisi sono da ricercarsi nella tradizione già ampia della geografia araba medievale, ma le opere geografiche sono indagate e messe a confronto con le relazioni contemporanee dei viaggiatori e mercanti che gravitavano intorno alla corte normanna di Sicilia. Di conseguenza, la descrizione dell’Europa dipende largamente dai racconti dei viaggiatori, dei mercanti e dei missionari inviati direttamente da re Ruggero II. Importante la consultazione diretta da parte del nostro geografo degli archivi reali normanni di Sicilia: fonte diretta e specchio degli interessi della monarchia e delle strategie monarchiche normanne.

 

Ecco perché la Geografia di Idrisi non era certamente uno strumento per la guerra, ma possiamo considerarla come una giuda ragionata del mondo a uso dei mercanti siciliani: e forse traduceva in opera scientifica lo spirito di questo ‘re filosofo’, che non era interessato solo alla dimensione pratica del sapere geografico, ma mirava ad una vera intelligenza teorica che si appoggiava alle griglie dei climi e dei compartimenti per costruire uno ‘nuovo argomento scientifico’: il mondo intero visto nella sua dimensione globale.

 

L’insigne orientalista Ugo Monneret de Villard nel suo interessante e seminale libro intitolato Lo studio dell’Islàm in Europa nel XII e nel XIII secolo, che è un affresco completo della diffusione del pensiero filosofico e scientifico arabo in Europa, commentava, a un certo punto e in una pagina pregnante, il forte disinteresse in Europa per la letteratura religiosa e scientifica islamica.

 

Sulla geografia esprime il suo critico giudizio dopo aver notato che la lingua araba era pur conosciuta in Italia nei secoli XII e XIII, infatti: “La colonia araba di Lucera ha un suo notaio. Malgrado questa conoscenza della lingua, non abbiamo nessuna traccia di un qualsiasi interesse per la letteratura religiosa dell’islàm in nessuna regione d’Italia. E non per questa soltanto: una riprova l’abbiamo in ciò che è avvenuto per la magnifica opera geografica di al-Idrisi. Questa è composta a Palermo, è composta per ordine e con l’appoggio del sovrano, e rappresenta, come tutti sanno (?), un enorme progresso relativamente alle conoscenze geografiche di cui disponeva allora l’Europa cristiana. Tutte queste condizioni sono le più favorevoli ad una grande diffusione dello scritto e ci si attenderebbe una sua grande fama attraverso almeno a delle traduzioni. Avviene invece tutto il contrario: l’opera rimane ignorata al mondo cristiano, anche al mondo italiano e a quello siculo dove essa è sorta, e bisognerà attendere qualche secolo perché gli studiosi europei abbiano a scoprirla”.

 

Effettivamente la conoscenza di al-Idrisi cominciò nel 1592, con la stampa di un compendio della sua opera intitolato Geographia nubiensis: questa sintesi fu edita a Roma, nella celebre tipografia Medicea attiva in quegli anni, da Giovanni Battista Raimondi, napoletano di famiglia cremonese.

 

Nell’Ottocento Michele Amari traduceva nella Biblioteca arabo-sicula le parti sull’Italia e specialmente sulla Sicilia. Ancora, Amari e Celestino Schiaparelli, ai primi del Novecento, fornivano una edizione completa della descrizione dell’Italia. Altre importanti traduzioni sono quelle di Francesco Gabrieli, di Umberto Rizzitano e di Angelo Arioli.

 

Nell’opera di Idrisi le notizie più attendibili, interessanti e sicuramente originali sono quelle riguardanti l’Africa settentrionale, la Spagna, l’Italia insulare e peninsulare: queste zone sono descritte dal geografo di Ruggero II con il conforto di informazioni di prima mano e personali esperienze di viaggio.

 

Ma è anche vero che tutta l’Europa occidentale, nel suo insieme, ha trovato in Idrisi un descrittore attento, scrupoloso e degnamente informato: senza dubbio più preciso nelle descrizioni della Romania, dell’Albania e del resto della Penisola balcanica, piuttosto che nelle sue più evasive descrizioni di Polonia, Germania e Russia, territori che vennero in ogni caso descritti con piglio sintetico, ma singolare.



 

 

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