SULLA GENESI DEL SIONISMO
Dal protosionismo
a Theodor Herzl / II
di Emanuele
Molisso
L’azione
di Chibbat Tzion ispirò i vari
movimenti “palestinofili” che si
formarono in Europa Occidentale. A
Berlino, per esempio, si venne a
creare il primo nucleo di sionisti
tedeschi che decisero di fondare,
nel 1895, la Vereinigung Jüdischer
Studierender (Unione degli studenti
ebrei.
Quest’associazione iniziò a chiedere
la convocazione di un primo
congresso a cui dovevano partecipare
tutte le associazioni studentesche,
per gettare le basi di un primo
progetto statale. L’associazione
iniziò a diffondere il termine
“sionismo” (Zionismus in tedesco),
coniato da Nathan Birnbaum che lo
utilizzò per indicare il passaggio
da una fase di filantropia ad uno
stadio politico, il passaggio dalla
comunità al popolo per esprimere il
carattere di una corrente
nazionalista ma soprattutto
territorialista con particolare
riferimento a Gerusalemme.
L’impegno politico mirato alla
creazione di uno stato ebraico
prendeva sempre più piede e la
palestinofilia dell’Europa
occidentale insieme al movimento di
Chibbat Tzion furono i principali
precursori di Theodor Herzl
(1860-1904), l’unico che riuscì ad
unire tutta questa massa disordinata
di tendenze politiche e religiose,
in un movimento nazionalista
coerente che diede al sionismo
un’unica direzione ed un obiettivo
preciso. Mentre il movimento
palestinofilo reclutava proseliti in
Germania, Herzl si trovava a Parigi,
come corrispondente del giornale
austriaco Neue Freie Presse. Egli
ignorava l’esistenza di Chibbat
Tzion e del nascente sionismo
tedesco. Herzl si limitò soltanto a
leggere l’opera di Pinsker che lo
portò a credere fortemente
nell’assimilazione degli ebrei nelle
società in cui vivevano. Il lavoro a
Parigi permise ad Herzl, di seguire
da vicino sia l’affaire Dreyfus, sia
la questione del canale di Panama.
Questi due eventi, entrambi simbolo
della presenza di un forte
antisemitismo negli ambienti
europei, lo fecero ricredere. Herzl
iniziò a cambiare la sua opinione e
a pensare che gli ebrei non potevano
liberarsi, in alcun modo, dai
pregiudizi dell’antisemitismo
diffuso in Europa occidentale;
l’unica soluzione era quella di
un’immigrazione di massa verso un
territorio, dove gli ebrei avrebbero
costruito il loro Stato autonomo.
Nessuna novità in questa idea che
era stata alla base del presionismo
russo ma sorprende come a distanza
di anni, la conclusione rimanesse la
stessa nonostante il percorso
intellettuale di Herzl fosse stato
completamente differente. La
differenza fondamentale stava
nell’ottimismo che Herzl riponeva
nel liberalismo dell’epoca. Egli,
infatti, portò la questione
all’attenzione dei notabili ebrei ma
sia il barone Maurice de Hirsch, sia
la casata viennese dei Rothschild lo
ascoltarono con scetticismo e questo
causò la sua ira. Incassato il
rifiuto, egli sentiva di essere
stato investito del ruolo di
salvatore del popolo: soltanto
risvegliando la forza propulsiva del
popolo ebraico si poteva arrivare
alla soluzione della questione
ebraica.
Per cercare di avvicinare le masse
al suo progetto, decise di mettere
per iscritto il suo pensiero in un
pamphlet, pubblicato in tedesco nel
febbraio del 1896, con il titolo Der
Judenstaat: Versuch einer moderner
Lösung der Judenfrage (Lo Stato
ebraico: tentativo di una soluzione
moderna del problema ebraico).
Pubblicato in diciassette edizioni,
grazie anche all’aiuto del suo
discepolo Max Nordau, nel pamphlet
Herzl costruisce dalle fondamenta il
suo progetto utopico, attraverso
diverse tappe che il popolo ebraico
avrebbe dovuto affrontare. Il punto
di partenza doveva essere la presa
di coscienza del popolo ebraico del
problema dell’antisemitismo;
l’assimilazione non era la soluzione
a questo problema e quindi non
rimaneva che richiedere
l’assegnazione di una superficie di
terra sulla quale stabilire il
proprio Stato. Gli ebrei dovevano
entrare nel gioco diplomatico
europeo e per Herzl, due erano gli
strumenti da istituire per
raggiungere quest’obiettivo: la
Society of Jews e la Jewish Company.
La Society of Jews aveva una
funzione diplomatica perché doveva
cercare di stringere rapporti con le
potenze europee per ottenere la
sovranità su di un territorio, sul
quale gli ebrei avrebbero costruito
il loro Stato. Invece la Jewish
Company aveva il compito di
raccogliere fondi per acquistare il
territorio che la Society of Jews
avrebbe ottenuto dalle potenze
straniere. Le due agenzie dovevano
lavorare in maniera complementare
sia sul piano politico, sia su
quello pratico ma soprattutto il
loro compito fondamentale era quello
di coordinare l’immigrazione che
doveva essere un processo graduale
nel tempo. Quindi l’immigrazione
sarebbe stata graduale e avrebbe
portato alla creazione di uno stato,
i cui fondamenti civili dovevano
essere la libertà di religione,
credo, nazionalità e uguaglianza di
fronte alla legge.
Queste erano le linee guida del
disegno utopico di Herzl, il quale
si poneva in continuità con Pinsker
sulla necessità di una patria
nazionale ebraica e proprio come il
pensatore russo, Herzl non aveva
deciso quale territorio sarebbe
stato scelto. Herzl era indeciso
sulla scelta di Eretz Israel oppure
sull’Argentina, e lasciò la
questione aperta perché la decisione
doveva essere presa dalla Society of
Jews. La neutralità di Herzl
sull’argomento, in realtà, va
ricercata nel suo tentativo di
ingraziarsi le potenze europee. Egli
era fortemente convinto che esse
avrebbero favorito la creazione
dello Stato ebraico e come
ricompensa, gli ebrei avrebbero
creato un avamposto di difesa contro
l’Asia, per difendere la “cultura
europea”.
Per dare maggiore diffusione alle
proprie idee, Herzl fondò il
quotidiano di riferimento del
sionismo, Die Welt (il Mondo)
pubblicato con pagine di colore
giallo. Una scelta simbolica per
creare un ponte tra il sionismo e la
tradizione ebraica precedente ma
soprattutto doveva essere un gesto
per rappresentare la volontà degli
ebrei di trasformare la debolezza e
la vergogna, in coraggio ed onore
con l’obiettivo di creare un ebreo
padrone del suo destino. Il libro fu
accolto positivamente dagli ambienti
sionisti dell’Europa occidentale
mentre i notabili ebrei rimasero
indifferenti. Le critiche maggiori
arrivarono da due ambienti in
particolare: dal sionismo russo e
dalla comunità rabbinica.
Quest’ultima denunciò l’impostazione
del nazionalismo ebraico data da
Herzl. Seguendo l’ordinanza
talmudica, gli ebrei non potevano
utilizzare forze umane per stabilire
uno stato ebraico fino a quando non
fosse arrivato il Messia dalla casa
di Davide; agire come il Messia
veniva considerato un gesto
incompatibile con il giudaismo.
Herzl rispose che gli ebrei si erano
costruiti un “ghetto invisibile” non
soltanto per colpa
dell’antisemitismo, ma anche per via
della severità dei dettami del
giudaismo tradizionale, che
considerava incompatibile con la
modernità.
Dell’ambiente russo, Achad Ha’am era
il più ostile verso il libro di
Herzl. Achad rifiutava il sionismo
politico, definendolo guidato da un
falso messianismo, e promuoveva un
sionismo “culturale” riservato agli
“eletti”. Egli credeva che
l’obiettivo primario del sionismo,
non era quello di favorire il sogno
di un’immigrazione di massa in
Palestina, ma doveva essere quello
di preparare il popolo ebraico ad
una rinascita spirituale lenta e
selettiva. Egli assegnava un
carattere restrittivo alla
colonizzazione della Palestina,
infatti la sua idea si fondava su di
un “rinascimento ebraico” che aveva
il compito di preparare un numero
ristretto di ebrei per allontanarli
da una ortodossia considerata ormai
cristallizzata e retrograda. La
critica maggiore di Achad era
rivolta all’entusiasmo delle masse
verso le “figure messianiche
occidentali” che dimenticavano la
condizione sociale ed economica
misera degli ebrei dell’Europa
Orientale. Herzl rispose a queste
critiche con sfrontatezza ed accusò
Achad e i suoi seguaci di provare
gelosia per il prestigio acquisito
da un ebreo occidentale, a discapito
degli ebrei dell’Europa orientale,
nel progetto del sionismo.
Questi due poli, sionismo politico e
sionismo culturale, diedero vita ad
una lotta ideologica che
caratterizzò i primi anni di
formazione del movimento sionista.
Herzl trascorse i mesi successivi
alla pubblicazione del suo libro in
giro per l’Europa per cercare quella
sovranità territoriale che era
l’elemento su cui si fondava il suo
progetto. Herzl cercò aiuti a
Berlino, Parigi e Londra ma tutti i
notabili erano scettici verso il
programma di Herzl, ribadivano il
timore di contrariare la Turchia ed
inoltre temevano ripercussioni da
parte degli antisemiti. Herzl tentò
di instaurare un dialogo anche con
il Sultano ottomano, ma una volta
arrivato a Costantinopoli, non fu
ricevuto perché era stato deciso di
negare ogni tipo di negoziato
sull’immigrazione ebraica in
Palestina.
Dopo il fallimento di quest’ultimo
tentativo, Herzl decise che era
giunto il momento di convocare un
congresso sionista. Nel marzo del
1897, egli incontrò gli esponenti
delle associazioni sioniste di
Berlino e si decise di fissare la
data del congresso per l’agosto del
1897, in una città a scelta tra
Monaco, Breslavia o Zurigo. Le città
però furono tutte bocciate per vari
motivi e mentre si trovavano
difficoltà nella scelta della sede
del congresso, Herzl era occupato a
convincere gli esponenti del
sionismo russo a partecipare
all’incontro. Il movimento di
Chibbat Tzion aveva paura di vedere
distrutto il suo programma di
colonizzazione della Terra Santa ed
inoltre non voleva irritare il
barone Edmond de Rothschild.
Quest’ultimo si unì al coro dei
notabili ebrei, apertamente ostili
nei confronti del sionismo di Herzl.
Con sofferenza, i sionisti russi
decisero di accettare l’invito al
primo congresso sionista, che si
tenne tra il 29 e il 31 agosto del
1897, a Basilea. Il congresso
rappresentò una cesura fondamentale
nella storia ebraica; una cesura
rispetto alla “politica ebraica” del
passato, caratterizzata dagli eterni
compromessi e dall’attesa
messianica.
I delegati furono 197, provenienti
dall’Europa occidentale e da quella
orientale, ed inoltre ci fu una
notevole partecipazione da parte
delle comunità ebraiche degli Stati
Uniti. Il dibattito fu aspro perché
il congresso fu il terreno di
scontro tra il movimento di Chibbat
Tzion, promotore della
colonizzazione immediata della
Palestina contro il principio
all’azione politica di Herzl.
Soltanto dopo tre sedute, i delegati
sionisti arrivarono ad una
dichiarazione “accettabile” del
programma sionista.
Il primo passaggio fu la nascita
dell’Organizzazione sionista con un
organo legislativo, il congresso
stesso, ed un esecutivo che era
guidato da un capo eletto dal
congresso; il primo incaricato fu
proprio Herzl. Successivamente
furono stabiliti: la quota da pagare
per il diritto al voto nelle
elezioni dei congressi successivi,
l’inno del congresso, la bandiera
ufficiale che era composta da due
strisce parallele azzurre su un
fondo bianco, un richiamo al taled
ovvero lo scialle da preghiera
indossato dagli uomini ebrei, con al
centro la stella di David.
Il programma che l’Organizzazione
sionista doveva seguire fu redatto
da Max Nordau. Consisteva in quattro
punti e risultava un vero e proprio
compromesso tra le varie questioni
che dividevano il sionismo. Il primo
punto incoraggiava la colonizzazione
“moderata” in Palestina con operai
agricoli e manovali e quindi Chibbat
Tzion riuscì a raggiungere il
proprio obiettivo ; il secondo e
terzo punto andavano a soddisfare
gli ebrei occidentali e il sionismo
culturale di Achad: per i primi, fu
deciso per l’organizzazione di tutte
le comunità ebraiche in gruppi
locali che dovevano seguire le leggi
dei loro rispettivi paesi mentre
per il secondo, fu deciso per
l’organizzazione di un progetto di
rafforzamento della coscienza
nazionale ebraica. L’ultimo punto
rappresentava l’obiettivo reale di
Herzl e che lui perseguì fino alla
sua morte; esso poneva la necessità
di interventi preparatori, per
ottenere dalle potenze europee, il
consenso necessario per realizzare
gli obiettivi del sionismo. Sulla
questione del territorio, il
congresso votò per la Palestina
mentre Herzl era deciso ad accettare
qualunque concessione da parte dei
governi europei. Herzl uscì
entusiasta dal congresso, tanto da
esclamare: “a Basilea, ho fondato lo
stato ebraico”.
Da quel momento, iniziò la sua
intensa attività diplomatica, volta
ad ottenere il tanto agognato
consenso dalle potenze europee. Il
suo viaggio può essere diviso in tre
fasi, che alla fine riprendevano i
contatti con quelle potenze che
avevano respinto Herzl, prima del
congresso. Nella prima, tra il
1898-1899, Herzl tentò il dialogo
con la Germania guglielmina. Egli
ottenne un incontro con il Kaiser
Guglielmo II a Costantinopoli. I due
discussero sulla creazione di uno
Stato ebraico sotto la protezione
tedesca mentre gli ebrei si
impegnavano a procurare il denaro
necessario a risanare i debiti
dell’impero ottomano. Il Kaiser si
interessò al sionismo ma decise di
rifiutare il progetto di Herzl,
perché non voleva creare inimicizie
con l’impero ottomano.
Berlino era interessata ad
un’alleanza con il sultano per
portare a compimento il progetto di
una ferrovia Berlino-Baghdad;
l’obiettivo era cercare di limitare
l’espansione britannica. Nella
seconda fase, Herzl cercò il dialogo
diretto con il sultano dell’impero
ottomano Abdul Hamid II. Riuscì ad
ottenere una serie di udienze, tra
il 1896-1902, in cui cercò sempre di
offrire un aiuto economico
all’impero ottomano e quest’ultimo
si impegnava ad approvare la
colonizzazione ebraica della
Palestina. Il sultano rifiutò
categoricamente questo accordo.
Incassati questi due rifiuti, Herzl
iniziò ad avvicinarsi al governo
inglese (terza fase 1902-1903).
Egli incontrò il banchiere londinese
Lord Nathan Meyer Rothschild, che
superò il suo iniziale antagonismo
contro il sionismo, e discussero
sulla possibilità di creare uno
stato ebraico nell’Africa orientale
britannica. Successivamente, Herzl
incontrò il ministro delle Colonie
britannico Joseph Chamberlain, a cui
cercò di promuovere i vantaggi che
il sionismo poteva portare
all’Impero britannico. Come
territorio furono offerti Cipro ed
El Arish, situata nella penisola del
Sinai, ma entrambe per questioni
logistiche e pratiche vennero
scartate. Alla fine, il governo
britannico decise di proporre il
progetto di una creazione di un
insediamento ebraico, in una zona
che corrisponde all’attuale Kenya.
Herzl, per non rendere fallimentare
tutto il suo lavoro, decise di
accettare la proposta e di portarla
davanti al congresso, che si riunì
per la sesta volta, il 24 agosto del
1903. Il blocco russo era totalmente
contrario a questa proposta, ma la
votazione vide la proposta avere un
voto favorevole per il 62,4% dei
delegati. La spaccatura sembrava
essere stata superata ma esponenti
del sionismo russo, si incontrarono
nella città di Kharkov, dove
decisero di inviare un ultimatum ad
Herzl ed al congresso. Essi
minacciavano di creare
un’organizzazione sionista
alternativa. Il problema non si
presentò, perché Herzl morì il 4
luglio del 1904.
Dopo tante fatiche, Herzl non riuscì
a portare a compimento il suo
progetto. Il fattore determinante
che causò la sua sconfitta era la
sua visione di “Stato”. Herzl era
affascinato dallo Stato tedesco
guglielmino di Bismarck e dallo
Stato francese modellato dalla
Rivoluzione francese; per lui solo
uno stato, modellato su questi due
esempi, era la chiave per formare la
nazione. Questa visione andava a
scontrarsi con il sionismo
dell’Europa orientale e con il mondo
rabbinico. Egli finì per creare una
frattura profonda all’interno del
movimento sionista. Il tema della
colonizzazione in Palestina e
soprattutto l’ortodossia ebraica
erano fattori fondanti della cultura
personale degli ebrei; non potevano
essere completamente dimenticati o
messi in secondo piano, un errore
che Herzl commise per via della
mancanza di una cultura sulla
tradizione ebraica e sull’azione del
protosionismo russo. Il risultato lo
si può ben vedere nella sua
intenzione di accettare la “proposta
ugandese”. Il sionismo russo non
poteva accettare una decisione
simile soprattutto dopo gli sforzi
del movimento di Chibbat Tzion ed
inoltre pensare ad una patria
lontana da Eretz Israel ormai
sembrava impossibile. Egli fu
accusato di voler appagare soltanto
il suo ego smisurato e di sfruttare
il sionismo per essere accettato
dalle potenze europee.
Il suo lavoro però non va
considerato completamente
fallimentare. Egli riuscì a dare una
voce politica al mondo ebraico,
tracciando una serie di linee guida
che crearono per la prima volta, una
visione del popolo ebraico unitaria
e soprattutto non più spaesata o
vittima di soprusi ma che prendeva
in mano il proprio destino, con
l’obiettivo di tornare a Sion
soltanto con le proprie forze. Un
fattore che deve essere considerato
come il terreno fertile su cui
l’Assemblea generale delle Nazioni
Unite, nel 1947, organizzò il piano
di partizione della Palestina che
porterà alla proclamazione dello
stato d’Israele, il 14 maggio 1948.
Riferimenti bibliografici:
Bensoussan, Georges, Il sionismo.
Una storia politica e intellettuale,
ed. it. a cura di M. Guerra,
Einaudi, Torino 2007 [ed. originale
2002].
Dowty, Alan, Arabs and Jews in
Ottoman Palestine. Two worlds
collide, Indiana University
Press, Bloomington 2019.