[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 201 / SETTEMBRE 2024 (CCXXXII)


contemporanea

SULLA GENESI DEL SIONISMO
Dal protosionismo a Theodor Herzl / I

di Emanuele Molisso

 

Il dualismo tra pratica e fede, le tensioni tra una visione laica del tema del ritorno del popolo ebraico in Terra Santa e il misticismo e le aspirazioni messianiche portate avanti dall’ebraismo tradizionale, sono stati degli elementi sempre presenti nella storia della formazione del movimento sionista.

Una formazione che ha avuto inizio con l’Haskalah (illuminismo ebraico), una corrente che nacque e si sviluppò alla fine del XVIII secolo in Germania, nel momento storico precedente all’emancipazione e al riconoscimento dell’uguaglianza politica e sociale degli ebrei. Il fondatore fu il filosofo tedesco di origini ebraiche, Moses Mendelssohn, il quale è stato il primo rappresentante dei “maskilim” (illuministi ebrei), i quali tentarono di coniugare la ragione dei Lumi (Aukflarung tedesca) con l’ebraismo per prepararsi all’incontro con le società europee.

Gli obiettivi dell’Haskalah erano due e complementari tra loro: da un lato cercava di conservare gli ebrei come un collettivo unico e separato, promuovendo un rinnovamento culturale e morale mirante soprattutto a una rinascita della lingua ebraica; allo stesso tempo, l’obiettivo principale restava la promozione dell’integrazione degli ebrei nelle società circostanti attraverso lo studio della lingua e della cultura di queste società “non ebree”.

I maskilim tedeschi, seguendo queste due direttive, iniziarono a pensare a un ebraismo rappresentato soltanto attraverso termini religiosi e questo causò la scomparsa delle nozioni di popolo ebraico e di nazione ebraica, che causarono uno studio razionalistico dell’ebraismo nelle università tedesche. Eliminare la componente mistica, portò al confezionamento di un ebraismo nuovo e modificato da parte dei maskilim tedeschi, con il fine di renderlo accettabile agli occhi dei compatrioti.

Una situazione che fece insorgere il filosofo tedesco di origini ebraiche, Gershom Scholem, il quale affermò che il misticismo era parte integrante e vitale dell’ebraismo “vivo” e accusò i maskilim tedeschi di aver ceduto all’illusione di una simbiosi ebreo-tedesca, che però, portò all’impossibilità di pensare all’idea nazionale e quindi all’idea di sionismo.

Questi processi fecero risvegliare le comunità ebraiche di tutta Europa, visto che l’Haskalah varcò i confini tedeschi e attecchì soprattutto in Russia, dove alla fine del XIX secolo, entro i confini dell’impero zarista vivevano due terzi del totale degli ebrei europei.

In questo contesto, i maskilim russi cercarono di creare un ponte tra la cultura ebraica e il mondo russo e questo portò nel 1863, a San Pietroburgo, alcuni maskilim russi a fondare la Società per la diffusione dei Lumi, il cui principale obiettivo era quello di espandere la lingua russa in un mondo che parlava quasi esclusivamente yiddish. La questione fondamentale era quale lingua, tra l’ebraico o il russo, bisognasse usare nell’educazione e la maggioranza si espresse a favore del russo, infatti, la Società, oltre a cercare di far conoscere l’ebraismo, incoraggiava anche numerose traduzioni in russo, tra le quali quella dei libri di preghiere o quelli di matematica e di scienze naturali. Da qui emerge come l’Haskalah russo cercasse di avvicinarsi al mondo non ebraico e allo stesso tempo cercò di favorire la corrente nazionale ebraica.

In questo contesto, la Russia divenne la culla del rinnovamento culturale e nazionale del mondo ebraico con il nome di Chochmat Israel, i cui seguaci, a partire dal 1830, utilizzarono i Lumi della ragione per rinnovare gli studi ebraici e promuovere l’emancipazione nazionale ponendosi su un lato opposto rispetto all’Haskalah tedesco, il quale, invece, tentò l’integrazione con la cultura tedesca ma cercando di rimodellare l’ebraismo. Di contro, quindi, l’ebraismo dell’Europa Orientale, minacciato dalla “secolarizzazione”, si assicurò di poter sopravvivere solo ritornando alle origini culturali e nazionali attraverso l’erudizione e le lingue ebraiche.

L’ Haskalah, in tutte le sue varie esperienze, insieme ai principi di Chochmat Israel furono alla base dei progetti dei protosionisti tra il XVIII e XIX secolo. Il pensiero dei protosionisti nasceva da due temi fondamentali e ricorrenti nell’immaginario collettivo delle comunità ebraiche: la devozione verso Eretz Israel e il tema del ritorno a Sion.

Per gli ebrei, nonostante la Diaspora avvenuta sotto il regno di Babilonia e sotto l’Impero Romano, il legame con la Terra promessa rimase sempre vivo. Per tutti i secoli successivi, continuò a esserci una presenza di piccole comunità ebraiche in Palestina. Esse erano il risultato dell’assembramento degli ebrei che, nel corso dei secoli, avevano scelto di trasferirsi in Terra Santa stabilendosi soprattutto nelle città di Gerusalemme e Hebron.

Questa tesi sembra essere confermata dal censimento realizzato da Moses Montefiore (1784-1885) nel 1840. Quest’anno corrispondeva al 5600 del calendario ebraico che secondo la Kabbalah, era l’anno della redenzione d’Israele, esattamente il “seicentesimo anno del VI millennio”. Il censimento mostrava, come la rinnovata attesa messianica per la redenzione della terra promessa aveva fatto raddoppiare le emigrazioni e il numero di ebrei in Eretz Israel tra il 1830 e il 1839. Quindi, analizzando questi dati, notiamo che nella prima metà dell’Ottocento in Palestina ci fu un aumento della popolazione ebraica dovuto soprattutto a credenze religiose.

Nella seconda metà dell’Ottocento, il rimando a Sion cominciò a essere definito in termini “politici” e non più soltanto religiosi, visti i processi di emancipazione che modificarono l’immagine della Palestina nelle menti degli ebrei in Europa. Nei primi decenni del XIX secolo, registriamo la comparsa delle prime proposte per restaurare una patria nazionale ebraica in Palestina, vista sempre di più come la terra di una possibile Redenzione.

Una serie di proposte che provenivano maggiormente dagli ambienti ebraici dell’Europa orientale, infatti, non trovarono consensi in alcuni gruppi ebraici dell’Europa occidentale, soprattutto in quelli tedeschi, influenzati dalla scienza dell’ebraismo e quindi da una cultura favorevole all’assimilazione, che vedeva il ritorno nella Terra promessa, non più come l’obiettivo primario da perseguire.

Nessuno riusciva, in modo concreto, a definire un’idea di ritorno a Sion coerente e da proporre sotto forma di letteratura. La svolta avvenne intorno alla metà del XIX secolo, quando iniziò a cristallizzarsi l’idea nazionale ebraica.

Un primo tentativo fu realizzato da un rabbino sefardita di Sarajevo, rabbi Yehudà Chai Alkalai (1798-1878), considerato il primo protosionista perché fu uno dei primi a elaborare un progetto protonazionale seppur ancora legato all’idea di Redenzione. Il suo pensiero lo espresse nella sua opera dal titolo in Minchat Yehudà (L’offerta di Giuda), tra il 1843 e il 1845, si basava su di un progetto di autoredenzione che esortava gli ebrei a non aspettare più passivamente l’arrivo del Messia ma li incoraggiava a prendere da soli in mano la situazione per propiziare l’autoredenzione e la venuta del Messia, attraverso un’immigrazione in Eretz Israel.

Per questo suo progetto, Alkalai propose di fondare una Società di colonizzazione con l’obiettivo di ricomprare la Terra Santa dell’Impero Ottomano; una proposta che poteva essere realizzata solamente con un sostegno finanziario da parte degli ebrei ricchi e acculturati dell’Europa Occidentale, che avevano il compito di finanziare l’acquisto di queste terre, dove si sarebbero successivamente insediati gli ebrei educati dall’Alliance israèlite universelle, fondata a Parigi nel 1860. Alkalai iniziò a raccogliere fondi destinati all’acquisizione di terre per la Società ma venne sempre ricevuto con scetticismo dai notabili ebrei e nonostante i suoi numerosi viaggi, ottenne risultati scarsi.

Il pensiero di Alkalai fu ripreso da un rabbino ashkenazita Zvi Hirsch Kalischer (1795-1874) che nel 1862 pubblicò Drishat Zion (Alla Ricerca di Sion) in cui propose un compromesso tra il pensiero laico e le tradizionali aspirazioni messianiche. Una terza via che non subordinava più l’arrivo degli ebrei, nella Terra promessa, alla venuta del Messia, ma anzi prevedeva l’immigrazione in Palestina per accelerare la Redenzione, che sarebbe stata portata a termine successivamente con l’arrivo del Messia.

Quest’immigrazione, secondo il suo progetto, doveva essere favorita dalla fondazione di un’organizzazione che si doveva fare carico dell’acquisto di terre e vigne, per favorire gli insediamenti, in Palestina. Egli decise di mettere in pratica questo suo progetto nel 1836 quando propose al barone Asher Ansel Rothschild, di Francoforte, di acquistare da Mohammed ‘Ali, viceré d’Egitto, terre in Eretz Israel; proposta che inoltrò anche a Sir Moses Montefiore, ricevendone in entrambi i casi risposte negative.

Mettendo a confronto le due teorie, notiamo che Kalischer si inserisce nello stesso filone di pensiero di Alkalai. Entrambi i rabbini provenivano da ambienti in cui prevaleva il giudaismo tradizionale, con quest’ultimo che considerava il crescente fervore nazionalistico in Europa, unito alle numerose “idee” dei gentili per un ritorno a Sion, dei pericoli per le antiche credenze ebraiche.

Con le loro opere, i due rabbini muovevano un attacco contro gli ebrei assimilati dell’Haskalah, infatti giudicavano negativamente l’opportunità dell’emancipazione e portavano avanti l’idea che soltanto la strada nazionale avrebbe salvato l’ebraismo minacciato dall’Europa. Il loro pensiero è moderno e messianico allo stesso tempo. Essi gettarono le basi all’idea di una restaurazione nazionale in Eretz Israel compatibile con l’insegnamento della Torah.

Questo prenazionalismo ebraico che coniugò l’eredità messianica con la secolarizzazione, trovò poi la sua massima espressione nella figura di Moses Hess (1812-1875). Hess aveva una forte ammirazione per nazionalismo italiano, che portò all’Unità d’Italia, e quegli eventi ispirarono la sua opera principale ovvero Roma e Gerusalemme. L’ultima questione nazionale.

L’opera poneva il problema principale della questione ebraica: l’assenza di una patria. Sulla scia dei nazionalismi di quegli anni, Hess era giunto alla conclusione che bisognava riconoscere il carattere nazionale dell’ebraismo che doveva far “risorgere” dal punto di vista politico il popolo ebraico; una rinascita politica che aveva come obiettivo una rigenerazione del popolo ebraico, che poteva avvenire solamente grazie al rito e alla fede.

Si capisce quindi perché Hess insistesse sulla rinascita nazionale come unica soluzione alle discriminazioni da parte delle maggioranze non ebraiche. Era questa una visione che univa l’aspirazione socialista e l’aspirazione nazionale ebraica a quella messianica, che avrebbe portato a un raduno territoriale con tutti gli ebrei stretti osservanti dei precetti dell’ebraismo tradizionale, in Palestina.

Nonostante Hess condividesse il senso di isolamento e distacco dall’ebraismo occidentale, come in Alkalai e Kalischer, analizzando la sua opera emerge come egli si possa considerare un sionista “ante litteram”: attribuzione valida perché effettivamente egli ragionò in termini nazionali per risolvere i problemi di un popolo senza nazione, lo stesso principio che diverrà il fondamento dell’ideologia sionista.

Analizzando il protosionismo nelle sue varie forme, si nota che tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo si creò una frattura insanabile tra l’ebraismo occidentale e quello orientale; una frattura acuita dall’Haskalah e i suoi seguaci, colpevoli secondo l’ebraismo ortodosso di essersi allontanati dalla Torah e di aver rinnegato i precetti dell’ebraismo tradizionale.

Il rendere politico il primo apparato di idee del sionismo, non deve distogliere l’attenzione dalla sempre presente aspirazione messianica e di redenzione; quella componente religiosa legata a un misticismo, che continuò a essere parte integrante delle comunità ebraiche perché riusciva ad alleviare il senso di alienazione in un ambiente estraneo ma che soprattutto aveva tenuto legati, nel corso dei secoli, gli ebrei alla loro patria.

L’apparato di autori e opere protosionisti ha influenzato una figura fondamentale che, ancor prima di Theodor Herzl, gettò le vere e proprie basi del progetto sionista. Stiamo parlando di Leon Yehuda Leib Pinsker (1821-1891). Egli era tra i principali fautori di un processo che vedeva gli ebrei assimilarsi e adottare la cultura russa ma cambiò radicalmente la sua visione dopo gli eventi del 1881 (pogrom di massa a Elizavetgrad, odierna Kirovo) arrivando alla conclusione che solo il possesso di una patria poteva offrire sicurezza da quel clima di odio, al popolo ebraico.

Pinsker affidò il suo programma ideologico a un pamphlet pubblicato anonimo, nel settembre del 1882, a Berlino intitolato Auto-emancipazione: Appello di un ebreo russo ai suoi fratelli. Il testo di Pinsker è mosso principalmente dalla sua preoccupazione verso l’antisemitismo che considerava un male incurabile e permanente nella società Occidentale.

Egli ragionò sulle cause della persistenza dell’antisemitismo e arrivò a individuare tre aspetti fondamentali: 1) gli ebrei erano considerati un popolo-fantasma che destabilizzava gli stati a base territoriale e nazionale; 2) gli ebrei erano presenti in ogni nazione e questo conferisce all’antisemitismo una dimensione sovranazionale; 3) gli ebrei entravano in contrasto con le élites economiche e nazionali.

La soluzione che Pinsker propose nella sua opera fu quella di invitare alla mobilitazione gli ebrei per creare una “propria patria” in cui vivere serenamente senza paura di pogrom o persecuzioni. Il suo pamphlet generò varie correnti di pensiero che ebbero come obiettivo comune la realizzazione del suo progetto di auto-emancipazione ovvero l’emigrazione in un paese per avere una terra tutta per sé. Presupposto fondamentale, espresso da Pinsker nella sua opera, doveva essere l’abbandono di ogni tentativo di assimilazione nelle varie società e la volontà di costituirsi come una nazione vera e propria.

L’opera diffuse l’idea dell’indipendenza e autonomia del popolo ebraico, delineando la base su cui lavorò successivamente Herzl, soprattutto quello che rappresentò l’aspetto più innovativo del progetto di auto-emancipazione immaginato da Pinsker ovvero quello di proporre una patria diversa dalla Terra Santa, che sarà il tema principale dell’operato di Herzl.

La proposta rappresentò un’innovazione perché segnò un punto di rottura con tutte le posizioni messianiche e le loro visioni di Eretz Israel come luogo di redenzione del popolo ebraico ed è proprio da questo momento, che iniziarono a diffondersi nuove idee di emigrazioni verso gli Stati Uniti d’America e in Palestina; e nonostante lo ritenesse immorale, Pinsker affermò che fosse un progetto realizzabile soltanto attraverso l’aiuto economico dei ricchi ebrei occidentali.
Auto-emancipazione ebbe molto successo nell’Europa orientale, perché i pogrom del 1881 avevano fatto perdere ogni credibilità ai progetti d’integrazione con la società russa. Molti ebrei, a partire da quel momento, decisero di prendere in mano la situazione e si organizzarono in piccole società che iniziarono a preparare il ritorno a Sion.

Queste società nacquero in varie città dell’Impero russo con il nome di Chovevei Tzion (Amanti di Sion) che si raggrupparono tutte nel movimento di Chibbat Tzion (Amore per Sion). Un movimento che fu fondato negli ultimi mesi del 1881, quando ottanta studenti universitari si incontrarono a San Pietroburgo con l’obiettivo di formare un movimento che li portasse ad abbandonare la Russia.

Questo sentimento nacque dal rifiuto di quelle visioni dell’ebraismo tradizionale che vedevano nei pogrom una punizione divina, che veniva accettata da una buona parte dei fedeli. Gli studenti che non accettavano più questa visione decisero di allontanarsi dai dirigenti tradizionali che, secondo loro, “chiusero gli occhi” davanti alle violenze dei pogrom.

Questo fermento studentesco portò alla nascita, intorno al 1882, di molte società legate al movimento di Chibbat Tzion. Troviamo organizzazioni come Benei Zion e Nehemia rivolte ai giovani e agli studenti, Nes Ziona dedita all’attività letteraria oppure società come Zerobabel che aveva il compito di organizzare e aiutare gli emigranti diretti in Palestina. Molte di queste erano di ispirazione religiosa, altre rifiutavano la componente religiosa ma tutte avevano un unico scopo, “l’insediamento dei nostri fratelli in Eretz Israel”.

Il movimento elesse Pinsker come suo leader e il due ottobre del 1883, nella sua casa di Odessa, riunì trentaquattro personalità ebraiche che stilarono gli statuti del movimento di Chibbat Tzion. Questi statuti misero in chiaro che la migrazione verso Eretz Israel doveva essere realizzata completamente dagli ebrei russi, senza aspettare l’aiuto dell’Occidente, ma soprattutto misero in chiaro che il movimento era «aperto a ogni figlio di Israele, il quale ammetta che non esiste salvezza per Israele finché non verrà stabilito in terra di Israele un governo ebraico».

Queste riunioni segnarono una svolta perché portarono gli ebrei a gestirsi sul piano politico ma nonostante quest’ultime, non si riuscì a indirizzare in un’unità di intenti comune le numerose società.

Il futuro appariva confuso, ma in questi primi anni di vita va riconosciuta la portata innovativa, dal punto di vista morale e intellettuale, del movimento di Chibbat Tzion. Eretz Israel è sempre posta al centro ma gli ebrei devono conquistarsela con le proprie forze senza aspettare l’aiuto da terze parti (rifiuto filantropia e distacco dalle visioni messianiche). Il movimento creò una tensione verso la Palestina nell’Europa orientale per la prima volta, distinguendosi come prima espressione politica del popolo ebraico dopo l’Esilio.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]