N. 73 - Gennaio 2014
(CIV)
LA GENESI DELLA NOSTRA AETATE
LA PREPARAZIONE DEL DOCUMENTO CONCILIARE INTERRELIgiOSO
di Rita Mei
L’enciclica
Ecclesiam
Suam
del
1964
conteneva
in
germe
tutti
gli
argomenti
che
saranno
ampiamente
trattati
e
discussi
nella
dichiarazione
conciliare
Nostra
Aetate,
ma
la
storia
del
documento
comincia
precedentemente,
anche
prima
dell’inizio
del
concilio.
Figura
centrale,
sia
nella
formulazione
del
documento
conciliare
che
nello
sviluppo
dell’ecumenismo
e
del
dialogo
interreligioso,
in
particolare
di
quello ebraico-cristiano,
fu
il
cardinale
gesuita
di
origine
tedesca,
Agostino
Bea,
primo
presidente
del
Segretariato
per
l’Unità
dei
Cristiani.
Questo
organismo
era
stato
istituito
il 5
giugno
1960
da
papa
Giovanni
XXIII
come
commissione
preparatoria
per
il
Concilio
Vaticano II e
aveva
il
duplice
compito
di
promuovere
nella
Chiesa
cattolica
un
autentico
spirito
ecumenico
e
sviluppare
il
dialogo
e la
collaborazione
con
le
altre
chiese
cristiane.
Era
composto
da
due
gruppi
di
partecipanti
(membri
e
consultori),
entrambi
a
composizione
internazionale.
Riguardo
all’apporto
ai
lavori
del
Concilio,
lo
stesso
Bea
aveva
affermato
che
il
Segretariato
poteva
“contribuire
a
migliorare
l’atmosfera
tra
cattolici
e
non
cattolici
mediante
la
rimozione
di
più
di
un
malinteso.
Può
ancora
creare
certe
premesse
per
l’unione
mediante
la
soluzione
di
problemi,
che
riguardano
gli
sforzi
verso
l’unione
in
generale
o
questo
o
quel
gruppo
di
cristiani
non
cattolici”.
Già
da
queste
prime
indicazioni,
è
chiaro
come,
all’origine,
si
poneva
unicamente
il
problema
del
rapporto
tra
ebrei
e
cristiani.
Questo
argomento
stava
molto
a
cuore
a
Giovanni
XXIII,
che,
come
delegato
apostolico
a
Istanbul
al
tempo
della
guerra,
era
stato
testimone
della
persecuzione
degli
ebrei
in
Turchia
e,
divenuto
papa,
si
era
dimostrato
da
subito
attento
ai
lavori
del
Pontificio
Istituto
Biblico
di
Roma
–
presieduto
proprio
dal
cardinal
Bea
– e
alle
attività
del
gruppo
misto
Amicizia ebraico-cristiana.
La
necessità
di
affrontare
il
rapporto
con
gli
ebrei
nasceva
come
reazione
della
coscienza
cattolica
all’antisemitismo
e
come
risposta
agli
orrori
dei
massacri
compiuti
da
Hitler
verso
il
popolo
ebraico.
Proprio
l’ampiezza
di
questa
persecuzione,
il
suo
carattere
di
genocidio
e il
sistema
metodico,
con
cui
era
stata
preparata
nei
minimi
particolari,
avevano
scosso
tutta
l’umanità.
Il
popolo
cristiano
venne
stimolato
a
nuove
riflessioni
sulle
proprie
responsabilità,
ravvisando
in
una
lontana
origine
cristiana,
germi
di
disprezzo
e di
intolleranza
basati
su
una
falsa
interpretazione
di
alcuni
fatti
e
passi
del
Nuovo
Testamento,
di
un
certo
insegnamento
catechistico
accompagnato
da
letture
poco
benevole
verso
gli
ebrei.
Nacquero
e
proliferarono
così
numerose
iniziative
volte
a
migliorare
i
rapporti
tra
cristiani
ed
ebrei,
decise
a
evidenziare
il
patrimonio
comune
tra
le
due
tradizioni
religiose,
partendo
da
uno
studio
e
una
conoscenza
approfondita
della
storia
ebraica
che
non
aveva
precedenti.
Nel
momento
in
cui
Papa
Giovanni XXIII
annunciò
nel
1959
la
convocazione
un
concilio
ecumenico,
a
molti
esponenti
del
mondo
ebraico
sembrò
il
segno
concreto
di
voler
dare
una
svolta
decisiva
nella
storia
delle
relazioni
tra
la
Chiesa
e
gli
ebrei.
Il
Segretariato
per
l’Unità
dei
cristiani,
istituito
il 5
giugno
1960
da
papa
Giovanni
XXIII,
sotto
la
presidenza
del
card.
Agostino
Bea,
nella
sua
prima
riunione,
nel
novembre
del
1960,
aveva
nominato
le
persone
incaricate
di
redigere
uno
schema
che
affrontasse
la
tematica
ebraica.
Esso,
terminato
nel
maggio
del
1962,
doveva
essere
proposto
alla
commissione
centrale
preparatoria,
in
vista
di
un
esame
nella
prima
sessione
del
Concilio.
I
padri
del
Concilio,
originari
o
responsabili
delle
comunità
cattoliche
dei
paesi
arabi,
avevano
espresso
però
non
poche
preoccupazioni
su
tale
progetto,
ritenendo
che
sarebbe
stato
interpretato
come
un
atto
politico
della
Chiesa
nel
senso
di
un
riconoscimento
dell’esistenza
dello
Stato
di
Israele.
Come
risulta
dalle
lettere
mandate
al
Segretariato
stesso
da
parte
di
alcuni
esponenti
rappresentativi
del
mondo
ebraico
e
cattolico
e
dal
Segretario
di
Stato,
tra
il
gennaio
e il
dicembre
1963,
si
temeva
che
quel
testo
potesse
rendere
difficili
i
rapporti
tra
Arabi
e
Cristiani.
Il
progetto
iniziale,
che
ancora
non
conteneva
alcuna
menzione
all’accusa
di
deicidio
agli
ebrei,
che
invece
troverà
ampio
spazio
in
seguito,
fu
rimaneggiato;
questo
occupava
solo
42
linee:
dopo
un
breve
accenno
al
dialogo
con
i
non
cristiani
(che
occupava
solamente
tre
righe),
si
esplicitavano
i
motivi
per
cui
la
Chiesa
raccomandava
la
conoscenza
e la
stima
reciproca
tra
cristiani
ed
ebrei,
si
denunciavano
alcune
false
interpretazioni
di
brani
evangelici
sulla
Passione
di
Cristo
e
infine
si
denunciavano
l’odio
e le
persecuzioni
contro
gli
ebrei,
sia
quelle
del
passato
che
quelle
del
presente.
Il
testo
così
strutturato
era
stato
presentato
ai
padri
conciliari
nel
corso
della
70a
congregazione
generale
il
19
novembre
1963
proprio
dal
cardinal
Bea,
mettendo
ampiamente
in
rilievo
che
il
decreto
era
di
ordine
strettamente
religioso
e
che
si
rivolgeva
ai
cattolici
indicando
loro
l’atteggiamento
che
dovevano
avere
verso
gli
ebrei.
Divampavano
infatti
le
polemiche
sia
dentro
che
fuori
dell’aula
conciliare,
sia
dentro
che
fuori
dell’ambito
cattolico.
A
nulla
valsero
numerosi
interventi
personali
del
cardinal
Bea
per
assicurare
il
mondo
arabo
sul
carattere
puramente
religioso
e
universale
del
testo.
Non
servirono
neppure
alcune
voci
del
mondo
arabo
che
esortavano
a
separare
nettamente
l’aspetto
religioso
del
testo
conciliare
dall’aspetto
politico
della
lotta
araba
contro
il
sionismo
e lo
Stato
di
Israele.
La
stessa
Lega
araba
il 3
luglio
del
1963
aveva
pubblicato
una
nota
dove
affermava
che
“una
Dichiarazione
del
Concilio
ecumenico
che
si
opponga
all’antisemitismo,
ma
che
distingua
tra
ebraismo
ed
ebrei,
da
una
parte,
e
l’asse
politico-nazionale
sionista-israelitico
dall’altra,
non
potrebbe
essere
considerata
come
offensiva
per
gli
Stati
arabi.
Una
Dichiarazione
chiara
e
franca
da
parte
del
Concilio
ecumenico
sull’antisemitismo
sarebbe
ben
accolta
dagli
Stati
arabi”.
La
situazione
si
fece
ancora
più
delicata
quando,
oltre
all’opposizione
diplomatica,
si
aggiunse
anche
il
pericolo
reale
di
rappresaglie
contro
i
cattolici
presenti
nei
paesi
arabi,
se
tale
documento
fosse
stato
votato,
tanto
più
che
si
accennò
anche
a
un’altra
possibile
e
negativa
conseguenza
che
il
testo
poteva
rappresentare
per
l’unità
dei
cattolici
stessi,
considerando
che
alcune
Chiese
orientali
cattoliche
erano
fermamente
decise
a
non
accettarla.
Così,
mentre
la
quasi
totalità
dei
patriarchi
e
dei
vescovi
residenti
in
paesi
arabi
giudicò
quanto
meno
inopportuna
e
pericolosa
qualsiasi
dichiarazione
riguardante
gli
ebrei,
dall’altra
parte,
alcune
organizzazioni
ebraiche
mondiali
si
agitarono,
con
toni
a
volte
sopra
le
righe,
per
ottenere
la
formulazione
di
un
testo
a
strenua
difesa
del
popolo
ebraico.
Alla
luce
di
questa
situazione
così
tesa
e
complicata,
il
testo
fu
rielaborato
nuovamente
dal
Segretariato
e fu
sottoposto
ancora
allo
studio
della
Commissione
di
coordinamento,
durante
la
riunione
del
16
aprile
1964.
Nel
dettaglio,
questo
secondo
testo,
la
cui
storia
fu
breve
perché
rimandato
subito
in
commissione,
occupava
circa
due
pagine
e
presentava
notevoli
modifiche
rispetto
alla
versione
precedente.
Venne
ridotto
il
paragrafo
che
riguardava
il
comune
patrimonio
religioso
di
cristiani
ed
ebrei,
mentre
vennero
aggiunti
due
paragrafi,
uno
sulla
universale
paternità
di
Dio,
che
si
concludeva
con
un
breve
richiamo
ai
musulmani,
e
l’altro
con
il
ripudio
di
ogni
forma
di
discriminazione.
Il
nuovo
testo,
pubblicato
dalla
stampa,
subì
anch’esso
forti
attacchi,
in
particolar
modo
per
la
scomparsa
del
passo
che
discolpava
il
popolo
ebreo
dall’accusa
di
deicidio.
Fu
perciò
preparata
una
terza
edizione,
secondo
precise
indicazioni
e
richieste
di
alcuni
padri
conciliari
che
volevano
che
la
Dichiarazione
contemplasse
anche
le
altre
religioni:
«poiché
il
testo
attuale
rischia
di
non
accontentare
né
gli
ebrei
né i
musulmani,
e
potrebbe
essere
ritenuto
da
taluni
inopportuno,
occorrerebbe
sostituirlo
con
una
Dichiarazione
generale
su
tutti
i
non
cristiani».
Il
20
novembre
del
1964
venne
presentato
il
nuovo
testo,
Dei
rapporti
della
Chiesa
con
le
religioni
non
cristiane.
Mentre
il
paragrafo
sui
giudei
conteneva
solo
alcune
modifiche
rispetto
al
testo
già
discusso,
gli
altri
paragrafi
vennero
ampliati
e
riordinati
secondo
i
precisi
suggerimenti
di
alcuni
Padri
conciliari,
i
quali
richiesero
che
nella
Dichiarazione
si
accennasse
anche
alle
grandi
religioni
dell’Estremo
Oriente.
Nell’intersessione
dell’inverno
1964-1965,
il
Segretariato
sottopose
il
testo
a un
minuzioso
esame,
rivedendolo
alla
luce
delle
riserve
e
dei
suggerimenti
dati
dai
Padri
e
delle
opinioni
e
delle
esigenze
maturate
tra
i
membri
delle
gerarchie
ecclesiastiche,
cattoliche
e
non
solo,
per
arrivare
a
una
formulazione
che,
pur
senza
tradire
il
contenuto
sostanziale
del
testo
già
approvato,
potesse
tener
conto
anche
delle
posizioni
di
minoranza,
riscuotendo
così
il
voto
quasi
unanime
dell’assemblea
conciliare.
Riferimenti
bibliografici:
Storia
del
Concilio
Vaticano
II,
diretta
da
G.
Alberigo,
Vol.
4:
La
chiesa
come
comunione,
Editrice
Il
Mulino,
Bologna
1999.