N. 12 - Dicembre 2008
(XLIII)
GELMINI ATTO ii
FONDAZIONI
PRIVATE E LIBERA
RICERCA
di Ilaria Ferrante
Le proteste contro i tagli all’università continuano a
gran voce. “L’onda anomala” sembra non volersi ritirare.
E intanto il governo aspetta che si calmino le acque per
procedere con il secondo passo studiato dal ministro
Gelmini ed intervenire (ulteriormente) con una riforma
sull’ università.
Ancora non è definitivo il programma, ma sembra rimanere
a rischio la manovra di privatizzazione delle
Università, già annunciata.
“Ora, - ha detto il Presidente del Consiglio - andiamo
avanti con un po’ di calma” perché al momento è meglio
evitare di andare subito anche sulla riforma dell’
università”. Cosa bolla in pentola, però, è ancora poco
chiaro; in che modo si voglia mettere ancora mano all’
università, non si sa.
Sembra ormai chiaro quali “guasti” produrranno all’
università i tagli. Si è da più parti evidenziato che
tagli vuol dire aumento delle tasse universitarie,
disagi per i fuori sede e con ciò si toglierebbe la
possibilità di studi universitari anche “ai meritevoli
in condizioni disagiate “, come prevede l’ articolo 34
della Costituzione.
Si è ampiamente parlato di una ricerca italiana
“mortificata”, di un aggravarsi della “fuga dei
cervelli”, di una dissennata politica che non investe
nella Ricerca e quindi nel futuro, nello sviluppo.
Questi sono i punti che emergono da un’ analisi del
“problema Università”. Occorre però mettere con più
forza l’ accento su un problema che riguarda la
privatizzazione dei Dipartimenti di Ricerca delle
Università.
Forse molti di noi cittadini potranno sentirsi estranei
a ciò, ma non possiamo sentirci meno complici (seppur
non volendo) delle conseguenze che si potranno avere se
privati, come ad esempio molte case farmaceutiche
(multinazionali) potranno sopprimere i progetti dei
ricercatori per lasciare spazio ai propri progetti volti
ad interessi economici. Per le multinazionali si avrà
sempre più terreno in cui poter finanziare i propri
progetti.
Alcune case farmaceutiche investono nella ricerca, con
l’aiuto di scienziati di alto livello, con la speranza
di poter scoprire medicinali tali da curare malattie
ancora incurabili. Senza lasciarsi andare a
generalizzazioni, però, dobbiamo sapere che esistono
anche molti casi in cui i meccanismi e le finalità delle
fabbriche di medicinali, oggi convergono nella ricerca
che possa produrre “pillole magiche” per risolvere
disturbi che riguardano popolazioni ad alto potere d’
acquisto, per esempio la calvizie.
Non danno, per questo, il giusto peso alla ricerca su
terapie adeguate a trattare, invece, sempre meglio
malattie che strappano la vita a bambini, a uomini, a
donne in tutto il mondo.
Dunque, molti farmaci risultano migliori rispetto ad
altri spesso perché le ricerche hanno avuto un notevole
sostegno economico. Come dire: quando la ricerca è
pagata, e cioè finanziata soprattutto da privati con
degli interessi commerciali, i risultati si possono ben
immaginare.
Solitamente occorrono diversi anni (dai 12 ai 20 anni)
prima di sviluppare un nuovo farmaco, testarlo,
approvarlo e autorizzarne la vendita. Ma questo è un
periodo, ovviamente, troppo lungo per chi è spinto ad
avere larghi profitti nel più breve tempo possibile.
Così si preferisce aggirare il problema e magari
dispensare sostanziosi compensi a chi di dovere per
consentire, ancora una volta, di fare i propri comodi.
Insomma, la privatizzazione delle Università e degli
Istituti di Ricerca limiterà la libertà di ricerca che
potrà essere guidata dalle grandi aziende le quali
vorranno finanziare progetti che garantiscano loro buoni
profitti. Questo chiaramente con la supervisione dell’
azienda potrà sulla stessa attività di ricerca.
Per fare un esempio, consideriamo cosa potrebbe
significare tutto ciò ponendolo in altri termini,
facendo un paragone con una situazione in cui un’azienda
produttrice di armi da guerra finanzia un Ateneo: cosa
potrebbe conseguirne? Che la ricerca svolta da quell’Ateneo
che riceve fondi da quell’azienda sarebbe indotto a fare
ricerca per l’azienda stessa.
Per ora sembrerebbe che nel 2006 l’Oms (Organizzazione
mondiale della Sanità) abbia iniziato ad interessarsi
alla regolazione della Ricerca e dello Sviluppo per
orientare la salute pubblica sui diritti di chi ha veri
bisogni.
Si può sperare che in questo modo, almeno in parte, si
dia un minimo di freno a quelle industrie private, prive
di etica, che troppo spesso si vedono in prima linea
nell’ ambito della ricerca medica.
Intanto si continua a rimanere vigili su ciò che verrà
proposto nello specifico dal “nuovo” programma Gelmini
per le Università, con la speranza che venga migliorata,
e non peggiorata, la possibilità di una libera ricerca. |