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N. 44 - Agosto 2011 (LXXV)

a proposito di Garibaldi
Un eroe "difficile"

di Gennaro Tedesco

 

Definire la personalità umana e politica di Garibaldi non è impresa facile. Avvenimenti politici non molto lontani nel tempo, ci riferiamo al 1948, quando Garibaldi fu posto al servizio dell’opposizione della neonata Repubblica italiana, rendono ancora arduo il compito di smitizzazione e di giudizio sereno.

 

Già questo breve excursus introduttivo dà le dimensioni dell’importanza politica e storica di Garibaldi per il nostro Paese : tanto più che recentissimamente forze politiche nostrane , da diversi punti di vista, ne hanno nuovamente tessuto la strumentalizzazione se non direttamente propagandistica, certamente politica.

 

Garibaldi si staglia nel panorama politico italiano del Risorgimento per la sua singolarità politica. Egli, pur radicando la sua lotta nel contesto delle correnti ideali e politiche dell’Italia del Risorgimento e dell’Europa degli anni 1840-1880, sconvolge ogni giudizio che tenti di inquadrarlo nettamente in uno schieramento ben individuato.

 

Il Nizzardo, giovane e ardente patriota repubblicano, forgia il suo carattere nelle foreste e nei mari dell’America latina, tra l’Uruguay, il Brasile e l’Argentina. Sono esperienze di lotta determinanti per il suo futuro.

 

Egli, in queste contrade così remote dalla sua patria che era stato costretto ad abbandonare perché un tentativo di sedizione era malamente finito, si mette al servizio di una Repubblica sudamericana che si ribella al dominio imperiale brasiliano.

 

Egli, repubblicano fervente, diviene il comandante delle forze armate ribelli. In questa impresa l’eroe dei due mondi rivela indiscutibili capacità militari.

 

La sua è una guerra, anzi una guerriglia per bande, che, mentre sconvolgono le linee nemiche, cercano di coinvolgere tutta la popolazione al loro fianco.

 

In America latina Garibaldi può esprimere il meglio di sé perché le pastoie politiche sono poco consistenti e la politica si risolve quasi immediatamente in azione militare in cui l’eroe è maestro insuperabile.

 

La sua formazione politica è pragmatica, non riesce a digerire gli snervanti ed estenuanti maneggi dei politici, ma il Risorgimento italiano, contrariamente alle concezioni politiche di Garibaldi, sarà pieno di questi intrighi in cui l’eroe dei due mondi non riuscirà mai a districarsi. I patteggiamenti diplomatici, le ambiguità tatticistiche, le dilazioni senza fine pur necessarie nel nostro Risorgimento rimarranno a lui incomprensibili.

 

Una volta ritornato in Italia, egli si scontrerà con Mazzini e Cavour. Di Mazzini egli critica l’astrazione e il dogmatismo che lo allontanano dalla comprensione dei veri problemi del popolo italiano, di Cavour critica il suo conservatorismo che lo vede poco propenso a una Rivoluzione popolare per l’unità e l’indipendenza dell’Italia.

 

A Cavour interessa l’unità e l’indipendenza dell’Italia, ma senza intervento popolare.

 

Il repubblicanesimo di Garibaldi sembra venir meno se si pensa che al posto di Mazzini e di Cavour , il suo interlocutore privilegiato finisce con l’essere proprio il re sabaudo Vittorio Emanuele: paradossale intesa personale e politica tra il campione della Repubblica democratica e il monarca nemico della istituzione parlamentare.

 

Ma il paradosso vien meno, quando si pensi che in effetti il Nizzardo era molto più interessato all’unità e all’indipendenza dell’Italia che ai valori della Repubblica e della democrazia, che passavano in secondo piano.

 

L’esigenza primaria e irrinunciabile per Garibaldi era la costruzione immediata dello Stato unitario italiano e se il re sabaudo era l’unico che contribuisse efficacemente a tale costruzione, egli non disdegnava la sua partecipazione, anzi finiva col diventare il più fedele dei sudditi.

 

La Spedizione dei Mille nel I860 offre a Garibaldi l’occasione di verificare la portata reale della sua impostazione politica. Con o senza l’aiuto sabaudo, egli è deciso a partire per la conquista del Regno delle due Sicilie. È indubbio che in tale operazione militare l’ombrello protettivo della flotta e della diplomazia inglese è determinante per Garibaldi che gode di molte simpatie in Gran Bretagna la quale tra l’altro richiede il rafforzamento italiano nel Mediterraneo per equilibrare il peso navale di Francia e Austria nello stesso mare. La Sicilia è conquistata dai garibaldini che trovano appoggio nella popolazione sicula. L’esercito borbonico si dissolve.

 

L’occupazione di Napoli si trasforma in una passeggiata per le truppe garibaldine. Garibaldi, una volta conquistato il Regno delle due Sicilie, non tenta un colpo di mano per dichiarare la Repubblica, ma, fedele suddito, consegna il Sud al monarca sabaudo. È la riprova che per Garibaldi conta soprattutto l’unità e l’indipendenza italiana, gli interessa poco la Rivoluzione democratica per l’instaurazione della Repubblica. Per lui il concetto di libertà si identifica con quello di indipendenza nazionale. È in questo senso che va inteso il suo internazionalismo.

 

La sua partecipazione alla guerra del I870 in Francia a fianco dei Francesi è la testimonianza più viva del suo internazionalismo : libertà come indipendenza nazionale in qualunque Paese essa si trovi in pericolo. Questa sua concezione lo porta in Italia a uno scontro frontale e permanente con la Chiesa nella quale egli individua uno dei maggiori ostacoli per l’unità e l’indipendenza dell’Italia.

 

Ma una volta terminato il processo di unificazione e indipendenza dell’Italia risorgimentale, egli, dall’aula del Parlamento, protesterà a gran voce contro una classe dirigente che per risolvere i problemi economici e sociali del Paese non troverà di meglio che accrescere spaventosamente il carico fiscale ai danni dei ceti sociali più poveri, quali i contadini.

 

Ed è forse a questo punto, ma non lo sapremo mai con certezza, che comincia la trasformazione politica di Garibaldi: la libertà non più come indipendenza nazionale, ma come indipendenza sociale.

 

Questa sua presa di coscienza sociale ne accentuerà il distacco dalla classe dirigente e dalle istituzioni parlamentari sentite come oppressive e non liberatrici dell’intero corpo sociale della nazione risorta.



 

 

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