Definire
la
personalità
umana
e
politica
di
Garibaldi
non
è
impresa
facile.
Avvenimenti
politici
non
molto
lontani
nel
tempo,
ci
riferiamo
al
1948,
quando
Garibaldi
fu
posto
al
servizio
dell’opposizione
della
neonata
Repubblica
italiana,
rendono
ancora
arduo
il
compito
di
smitizzazione
e di
giudizio
sereno.
Già
questo
breve
excursus
introduttivo
dà
le
dimensioni
dell’importanza
politica
e
storica
di
Garibaldi
per
il
nostro
Paese
:
tanto
più
che
recentissimamente
forze
politiche
nostrane
, da
diversi
punti
di
vista,
ne
hanno
nuovamente
tessuto
la
strumentalizzazione
se
non
direttamente
propagandistica,
certamente
politica.
Garibaldi
si
staglia
nel
panorama
politico
italiano
del
Risorgimento
per
la
sua
singolarità
politica.
Egli,
pur
radicando
la
sua
lotta
nel
contesto
delle
correnti
ideali
e
politiche
dell’Italia
del
Risorgimento
e
dell’Europa
degli
anni
1840-1880,
sconvolge
ogni
giudizio
che
tenti
di
inquadrarlo
nettamente
in
uno
schieramento
ben
individuato.
Il
Nizzardo,
giovane
e
ardente
patriota
repubblicano,
forgia
il
suo
carattere
nelle
foreste
e
nei
mari
dell’America
latina,
tra
l’Uruguay,
il
Brasile
e
l’Argentina.
Sono
esperienze
di
lotta
determinanti
per
il
suo
futuro.
Egli,
in
queste
contrade
così
remote
dalla
sua
patria
che
era
stato
costretto
ad
abbandonare
perché
un
tentativo
di
sedizione
era
malamente
finito,
si
mette
al
servizio
di
una
Repubblica
sudamericana
che
si
ribella
al
dominio
imperiale
brasiliano.
Egli,
repubblicano
fervente,
diviene
il
comandante
delle
forze
armate
ribelli.
In
questa
impresa
l’eroe
dei
due
mondi
rivela
indiscutibili
capacità
militari.
La
sua
è
una
guerra,
anzi
una
guerriglia
per
bande,
che,
mentre
sconvolgono
le
linee
nemiche,
cercano
di
coinvolgere
tutta
la
popolazione
al
loro
fianco.
In
America
latina
Garibaldi
può
esprimere
il
meglio
di
sé
perché
le
pastoie
politiche
sono
poco
consistenti
e la
politica
si
risolve
quasi
immediatamente
in
azione
militare
in
cui
l’eroe
è
maestro
insuperabile.
La
sua
formazione
politica
è
pragmatica,
non
riesce
a
digerire
gli
snervanti
ed
estenuanti
maneggi
dei
politici,
ma
il
Risorgimento
italiano,
contrariamente
alle
concezioni
politiche
di
Garibaldi,
sarà
pieno
di
questi
intrighi
in
cui
l’eroe
dei
due
mondi
non
riuscirà
mai
a
districarsi.
I
patteggiamenti
diplomatici,
le
ambiguità
tatticistiche,
le
dilazioni
senza
fine
pur
necessarie
nel
nostro
Risorgimento
rimarranno
a
lui
incomprensibili.
Una
volta
ritornato
in
Italia,
egli
si
scontrerà
con
Mazzini
e
Cavour.
Di
Mazzini
egli
critica
l’astrazione
e il
dogmatismo
che
lo
allontanano
dalla
comprensione
dei
veri
problemi
del
popolo
italiano,
di
Cavour
critica
il
suo
conservatorismo
che
lo
vede
poco
propenso
a
una
Rivoluzione
popolare
per
l’unità
e
l’indipendenza
dell’Italia.
A
Cavour
interessa
l’unità
e
l’indipendenza
dell’Italia,
ma
senza
intervento
popolare.
Il
repubblicanesimo
di
Garibaldi
sembra
venir
meno
se
si
pensa
che
al
posto
di
Mazzini
e di
Cavour
, il
suo
interlocutore
privilegiato
finisce
con
l’essere
proprio
il
re
sabaudo
Vittorio
Emanuele:
paradossale
intesa
personale
e
politica
tra
il
campione
della
Repubblica
democratica
e il
monarca
nemico
della
istituzione
parlamentare.
Ma
il
paradosso
vien
meno,
quando
si
pensi
che
in
effetti
il
Nizzardo
era
molto
più
interessato
all’unità
e
all’indipendenza
dell’Italia
che
ai
valori
della
Repubblica
e
della
democrazia,
che
passavano
in
secondo
piano.
L’esigenza
primaria
e
irrinunciabile
per
Garibaldi
era
la
costruzione
immediata
dello
Stato
unitario
italiano
e se
il
re
sabaudo
era
l’unico
che
contribuisse
efficacemente
a
tale
costruzione,
egli
non
disdegnava
la
sua
partecipazione,
anzi
finiva
col
diventare
il
più
fedele
dei
sudditi.
La
Spedizione
dei
Mille
nel
I860
offre
a
Garibaldi
l’occasione
di
verificare
la
portata
reale
della
sua
impostazione
politica.
Con
o
senza
l’aiuto
sabaudo,
egli
è
deciso
a
partire
per
la
conquista
del
Regno
delle
due
Sicilie.
È
indubbio
che
in
tale
operazione
militare
l’ombrello
protettivo
della
flotta
e
della
diplomazia
inglese
è
determinante
per
Garibaldi
che
gode
di
molte
simpatie
in
Gran
Bretagna
la
quale
tra
l’altro
richiede
il
rafforzamento
italiano
nel
Mediterraneo
per
equilibrare
il
peso
navale
di
Francia
e
Austria
nello
stesso
mare.
La
Sicilia
è
conquistata
dai
garibaldini
che
trovano
appoggio
nella
popolazione
sicula.
L’esercito
borbonico
si
dissolve.
L’occupazione
di
Napoli
si
trasforma
in
una
passeggiata
per
le
truppe
garibaldine.
Garibaldi,
una
volta
conquistato
il
Regno
delle
due
Sicilie,
non
tenta
un
colpo
di
mano
per
dichiarare
la
Repubblica,
ma,
fedele
suddito,
consegna
il
Sud
al
monarca
sabaudo.
È la
riprova
che
per
Garibaldi
conta
soprattutto
l’unità
e
l’indipendenza
italiana,
gli
interessa
poco
la
Rivoluzione
democratica
per
l’instaurazione
della
Repubblica.
Per
lui
il
concetto
di
libertà
si
identifica
con
quello
di
indipendenza
nazionale.
È in
questo
senso
che
va
inteso
il
suo
internazionalismo.
La
sua
partecipazione
alla
guerra
del
I870
in
Francia
a
fianco
dei
Francesi
è la
testimonianza
più
viva
del
suo
internazionalismo
:
libertà
come
indipendenza
nazionale
in
qualunque
Paese
essa
si
trovi
in
pericolo.
Questa
sua
concezione
lo
porta
in
Italia
a
uno
scontro
frontale
e
permanente
con
la
Chiesa
nella
quale
egli
individua
uno
dei
maggiori
ostacoli
per
l’unità
e
l’indipendenza
dell’Italia.
Ma
una
volta
terminato
il
processo
di
unificazione
e
indipendenza
dell’Italia
risorgimentale,
egli,
dall’aula
del
Parlamento,
protesterà
a
gran
voce
contro
una
classe
dirigente
che
per
risolvere
i
problemi
economici
e
sociali
del
Paese
non
troverà
di
meglio
che
accrescere
spaventosamente
il
carico
fiscale
ai
danni
dei
ceti
sociali
più
poveri,
quali
i
contadini.
Ed è
forse
a
questo
punto,
ma
non
lo
sapremo
mai
con
certezza,
che
comincia
la
trasformazione
politica
di
Garibaldi:
la
libertà
non
più
come
indipendenza
nazionale,
ma
come
indipendenza
sociale.
Questa
sua
presa
di
coscienza
sociale
ne
accentuerà
il
distacco
dalla
classe
dirigente
e
dalle
istituzioni
parlamentari
sentite
come
oppressive
e
non
liberatrici
dell’intero
corpo
sociale
della
nazione
risorta.