1439: GALEAS PER MONTES
CONTESA TRA MILANO E VENEZIA PER il
territorio GARDESANO
di Raffaele Pisani
Ipotizzare uno spostamento di navi
dall’Adriatico fino al Lago di Garda per
affrontare la flotta nemica è certo idea
audacissima, al limite della follia, il
fatto poi che abbia avuto successo desta
ancora stupore e ammirazione.
Blasio de Arboribus, ingegnere, e Nicolò
Sorbolo, marinaio, presentarono questo
ardito progetto al Senato veneto; derisi
all’inizio, vennero poi presi in seria
considerazione e il loro disegno trovò
ben presto accoglimento. Pare anche che
il giudizio favorevole espresso dal
Gattamelata abbia contribuito alla
decisione.
Girolamo dalla Corte alla fine del ‘500,
nella sua opera intitolata Dell’istorie
della città di Verona, così riporta
il fatto: «(…) quando un certo
Sorbolo di Candia, avendo veduto quei
luoghi, e considerata diligentemente la
natura di quelli, e trovata la via che
tener si doveva, si fece introdur in
Senato, e disse, che aveva trovato una
via da introdurre un’armata da Venezia
nel Lago di Garda. Fu stimato costui
pazzo alla prima, parendo loro
impossibile che ciò far si potesse; ma
essendo poi stati avvertiti colui non
essere altrimenti pazzo, ma di grande
ingegno e giudizio, cominciarono a
dargli orecchie, e massimamente quando
lo videro star fermo nella sua opinione,
e arditamente affermare che gli bastava
l’animo di far ciò, adducendo ragioni
molto efficaci, ogni volta che dato gli
fosse tutto quello, che gli facesse
bisogno per tal impresa. Onde ordinarono
ai Signori sopra l’Arsenale, che
dovessero consegnargli tutto quello che
loro domandasse; ed alle Città, e
popoli, che sono longo la riva
dell’Adige, e fra terra, che
l’ubbidissero, ed a lui diedero autorità
di poter comandar quante persone, ed
animali gli paresse, e dove volesse».
Alla decisione formale seguirono ben
presto i preparativi. L’arsenale, il più
grande complesso produttivo dell’età
preindustriale, non mancava né di mezzi
né di maestranze qualificate per
risolvere ogni problema inerente alla
cantieristica, ma inoltrarsi nella
terraferma risalendo il fiume Adige,
trascinare i natanti scavalcando un
valico di 264 metri era certo un lavoro
del quale non si avevano esperienze
pregresse.
Il governo veneto era interessato a
mantenere buoni rapporti con
l’aristocrazia e con la popolazione dei
suoi domini di Terraferma e un’impresa
di tal genere, che richiedeva
requisizioni di animali e di materiali e
provocava sbancamenti e taglio di
alberi, doveva essere adeguatamente
compensata per non provocare
risentimenti.
Evidentemente per i Veneziani i 15mila
ducati da spendere per l’operazione
erano considerati un buon investimento,
così da poter dominare completamente il
Lago di Garda e mettersi al riparo dalla
potenza viscontea. È bene ricordare
comunque che Venezia, lungi dall’essere
in una posizione esclusivamente
difensiva, aveva un grande progetto di
espansione sulla terraferma. Del resto
la penisola italiana era politicamente
suddivisa in potentati di dimensione
regionale tutti impegnati ad allargare i
loro territori, le alleanze erano
finalizzate a mettere in difficoltà un
avversario troppo potente o a spartirsi
i territori di chi era caduto in
disgrazia.
A differenza di alcune monarchie come la
Francia, l’Inghilterra e quelle della
penisola iberica, in Italia non c’era
alcun disegno di unificazione nazionale.
Il dominio più esteso che comprendeva
tutto il Sud della penisola era retto da
dinastie straniere: gli Angioini ai
quali si sostituiranno gli Aragonesi,
prima nella sola Sicilia poi tutto il
Meridione.
La situazione della repubblica veneta
era diversa da quella di altri stati
regionali della penisola: italiana e al
tempo stesso levantina, con domini sugli
Stati da Tera e sugli Stati da
Mar. La sua politica estera e la sua
difesa territoriale e delle rotte di
navigazione ponevano complessi problemi.
La crescente pressione turca portava
Venezia a costituirsi sempre più come
Stato territoriale, senza peraltro
rinunciare al suo carattere marinaro.
Ma l’evento che stiamo trattandosi può
leggere anche in chiave molto locale: la
disputa tra il Ducato visconteo di
Milano e la Repubblica di Venezia; anche
l’alleanza di quest’ultima con Firenze
non pare incidere più di tanto. Disputa
locale e anche personale: da una parte
il duca Filippo Maria Visconti
dall’altra il doge Francesco Foscari,
entrambi risoluti nel portare a termine
i loro progetti di espansione.
Nel 1438 i Visconti tenevano assediata
Brescia e avevano occupato Desenzano e
Peschiera del Garda. Ai Veneziani era
precluso l’accesso meridionale al lago,
l’unica via verso il bacino benacenseera
sull’apice settentrionale e qui
superando tanti ostacoli condussero la
loro flotta. Uscirono dall’arsenale
all’inizio del 1439 con 2 grandi galee,
3 fuste e 25 copani, gli uomini
impegnati per la navigazione, il
trasporto terrestre e il combattimento
erano 2.000, alcuni reperiti nella parte
terminale del tragitto, 640 buoi
provvidero al traino delle imbarcazioni
che risalirono il fiume Adige dalla foce
fino a Mori, piccolo centro a poca
distanza da Rovereto.
Se le modeste chiatte per il trasporto
delle merci non trovavano particolari
problemi nella navigazione, la cosa si
presentava ben diversa per questo tipo
di imbarcazioni, specie per le galee.
Data la magra del fiume nel periodo
invernale, per superare certi tratti
furono adoperati dei galleggianti onde
evitare danni alle carene; giunti alla
città di Verona, non potendo passare
sotto i ponti, le barche furono tratte
in secca e trainate su strada fino a
monte della città, per poi riprendere la
navigazione sul fiume.
Arrivati all’altezza di Mori si mise in
secca tutto il naviglio per compiere il
tratto più difficile e pieno
d’incognite: partendo da 160-170 m sul
livello del mare si doveva superare il
valico, 264 m s.l.m. che separa la valle
dell’Adige dal Lago di Garda. Bisognava
spianare la via, abbattere alberi e
anche qualche casa, compiti difficili
sia dal punto di vista tecnico sia da
quello sociale. A Venezia stava a cuore
conservare il consenso della popolazione
locale, per questo provvide ai relativi
risarcimenti per le requisizioni e gli
inevitabili danni causati, adoperò anche
manodopera locale retribuendola
adeguatamente.
La salita verso la sommità del valico
avvenne con l’ausilio di centinaia di
buoi che trascinarono le barche sopra
tronchi posti trasversalmente
funzionanti da rulli, giunti quasi alla
sommità, a quel tempo con la presenza di
un lago che permise ancora un tratto di
navigazione,dovettero salire ancora un
po’ fino al valico di San Giovanni per
arrivare alla ripida discesa che porta
al bacino lacustre in località Torbole.
Con una serie di accorgimenti per
rallentare il più possibile lo
scorrimento delle imbarcazioni, aiutati
anche dal vento che provvidenzialmente
si contrappose alla direzione del moto,
con il dispiegamento delle vele in
funzione di freno si giunse finalmente
sul bacino lacustre.
La flotta della Serenissima comandata da
Pietro Zen ebbe modo di operare nel Lago
di Garda per alcuni mesi fino allo
scontro con quella viscontea presso
Maderno nel mese di settembre dove subì
una cocente sconfitta, si salvarono solo
due navi che ripararono a Torbole.
Intanto Brescia resisteva ancora
all’assedio dei Milanesi e Venezia era
più che mai decisa a continuare la
disputa. Avendo alle spalle una grande
capacità produttiva non ebbe difficoltà
a realizzare in tempi brevi una seconda
flotta; questa volta invece di condurre
le navi da battaglia lungo il fiume i
Veneziani fecero affluire uomini e
materiali e produssero in loco le
imbarcazioni.
Nella primavera del 1440, presso Riva
del Garda nelle acque del Ponale, la
flotta veneziana al comando di Stefano
Contarini ebbe decisamente la meglio su
quella lombardae Venezia poté
consolidare i suoi possedimenti nel
bacino benacense.
Questo avvenimento, certamente
significativo ma non risolutivo della
complessa situazione, è ricordato
soprattutto dalla storiografia locale
per il senso di meraviglia che suscita
una tale impresa; anche i contemporanei
l’avevano considerato come qualcosa di
eccezionale. Le vicende successive
porteranno Venezia a sottomettere una
notevole porzione di territori
lombardi,una situazione che, a parte
qualche breve periodo e qualche modesta
variazione, sarà destinata a durare fino
all’epoca napoleonica.
Riferimenti bibliografici:
Beggiato E., 1439: galeas per montes.
Navi attraverso i monti, Editrice
Veneta, Vicenza 2019.
Dalla Corte G., Dell’istorie della
città di Verona, Camporese e Savioli
Stampatori, Venezia 1744.