N. 90 - Giugno 2015
(CXXI)
GAIO MARIO
UN HOMO NOVUS CHE SEGNÒ I DESTINI DELLA REPUBBLICA
di Davide Galluzzi
Gli
ultimi
anni
della
Repubblica
romana,
è
noto,
furono
travagliati
dai
continui
conflitti
interni
alla
classe
dominante,
divisa
in
due
fazioni:
populares
e
optimates.
Questo
scontro,
iniziato
con
quella
che
potremmo
definire
“epoca
graccana”,
terminò
con
la
liquidazione
dei
cesaricidi,
con
la
fine
sanguinosa
del
secondo
Triumvirato
e
con
l’istituzione
del
Principato
augusteo.
Tuttavia
possiamo
fissare
un
punto
di
svolta
decisivo
nell’epoca
che
vide
confrontarsi
da
un
lato
Gaio
Mario
e,
dall’altro,
Lucio
Cornelio
Silla.
In
questo
breve
articolo
ci
occuperemo
di
Mario,
lasciando
ad
uno
scritto
futuro
l’analisi
dell’operato
di
Silla.
TralasceremO
gli
albori
dell’esperienza
politico-militare
di
Mario,
concentrandoci
sugli
avvenimenti
che
lo
portarono
a
ricoprire
per
la
prima
volta
il
consolato,
proseguendo
poi
fino
alla
morte
dell’esponente
popolare.
Per
fare
questo
dobbiamo
tornare
indietro
negli
anni,
fino
alla
conclusione
della
terza
guerra
punica.
Al
termine
del
conflitto
i
territori
conquistati
(ossia
la
provincia
d’Africa)
si
trovarono
a
confinare
con
regno
di
Numidia
guidato
da
Massinissa.
Morto
il
re
salì
al
potere
il
figlio
Micipsa,
che
continuò
la
politica
filoromana
che
aveva
contraddistinto
il
regno
del
padre.
Politica
che,
come
è da
aspettarsi,
attirò
gli
esponenti
economici
di
Roma.
Nel
118
a.C.
morì
pure
Micipsa
ed
il
regno
passò,
integro,
ai
tre
figli.
La
situazione,
tuttavia,
non
fu
tollerata
da
Giugurta,
il
quale
ben
presto
assassinò
il
fratello
Iempsale.
Il
terzo
fratello,
Aderbale,
riuscì
a
fuggire
a
Roma
e
chiese
l’aiuto
del
Senato.
La
soluzione
elaborata
da
Roma
fu
quella
di
dividere
il
regno
in
due
parti:
ad
Aderbale,
amico
di
Roma,
la
parte
più
ricca.
A
Giugurta,
invece,
la
parte
più
vasta.
Inutile
dirlo,
a
Giugurta
la
situazione
non
piacque
affatto
e,
nel
112
a.C.,
assediò
Cirta,
capitale
del
regno
di
Aderbale.
Entrato
vittorioso
in
città
Giugurta
decise
non
solo
di
uccidere
il
fratello,
ma
anche
di
trucidare
i
romani
che
risiedevano
in
città.
Questa
tragica
decisione
scatenò
indignazione
a
Roma,
soprattutto
nel
ceto
equestre,
che
aveva
i
maggiori
interessi
in
nord
Africa.
Furono
proprio
i
cavalieri
a
spingere
il
Senato,
riluttante,
in
guerra.
Gli
oppositori
del
Senato
videro
nella
sua
riluttanza
un
segno
della
corruzione
giugurtina,
ma è
più
probabile
che
ad
essa
avesse
contribuito
il
pericolo
dei
Teutoni
e
dei
Cimbri,
che
minacciano
la
Repubblica
a
settentrione.
Ad
ogni
modo
la
guerra
scoppiò
nel
111
a.C.
e,
fino
al
109
a.C.,
le
operazioni
belliche
furono
condotte
senza
troppa
enfasi,
portando
di
conseguenza
diverse
sconfitte
alle
legioni
romane.
Fu
proprio
nel
109
a.C.
che
a
comando
dell’esercito
fu
inviato
il
console
Quinto
Cecilio
Metello,
il
quale
aveva
come
legato
Gaio
Mario.
Il
console
riuscì
a
sconfiggere
più
volte
Giugurta,
ma
non
pervenne
mai
ad
una
vittoria
definitiva.
Fu
tra
l’oscillante
andamento
bellico
e
tra
le
sempre
più
pressanti
richieste
e
lamentele
degli
ambienti
economici
che,
nel
107
a.C.,
Gaio
Mario
divenne
console.
È da
notare
come
il
Senato
avesse
tuttavia
prorogato
il
comando
militare
a
Quinto
Cecilio
Metello.
Questo
provvedimento
fu
probabilmente
dovuto
al
fatto
che
Mario
era
homo
novus,
quindi
inviso
all’ambiente
senatorio.
Ad
ogni
modo
il
nuovo
console
fece
votare
ai
comizi
una
proposta
del
tribuno
della
plebe
che
metteva
da
parte
la
decisione
del
Senato
e
affidava
a
Mario
il
comando
militare.
Mario
si
trovò
quindi
a
dover
affrontare
il
problema
dell’esercito.
Il
console,
infatti,
si
scontrò
con
la
forte
mancanza
di
truppe
dovute
alla
lunga
guerra
contro
Giugurta
e
agli
scontri
con
Cimbri
e
Teutoni.
Fu
così
che
egli
elaborò
una
riforma
di
grandissima
importanza
e
che
solo
in
seguito
dispiegò
tutto
il
suo
potere
e le
sue
potenzialità:
aprì
l’arruolamento
ai
capite
censi,
cioè
i
nullatenenti.
Questa
pratica,
prima
utilizzata
solo
in
casi
d’emergenza,
dopo
la
riforma
mariana
divenne
pratica
comune
e
creò
legioni
fedeli
al
proprio
comandante,
dalla
cui
azione
dipendeva
la
ricompensa
per
tutti
i
soldati
(bottino,
terre
ecc.).
Rinforzato
l’esercito
Mario
tornò
in
Africa
e,
nel
giro
di
tre
anni,
sconfisse
Giugurta.
La
sua
abilità
consistette
non
solo
nell’utilizzo
delle
armi,
ma
anche
nell’utilizzo
della
diplomazia,
grazie
alla
quale
riuscì
a
separare
Giugurta
dall’alleato
e
suocero
Bocco,
re
di
Mauretania,
il
quale,
grazie
all’operato
di
Silla
(legato
di
Mario),
tradì
il
genero
e lo
consegnò
ai
romani.
La
Numidia
fu
di
nuovo
spartita.
Una
parte
andò
ad
un
nipote
di
Massinissa,
la
parte
restante
andò
a
Bocco.
Nel
104
a.C.
Mario,
uscito
da
un
proconsolato
biennale
e
rieletto
console,
celebrò
il
trionfo
su
Giugurta.
Come
già
accennato
più
volte
mentre
in
Africa
si
combatteva
contro
Giugurta
a
settentrione
cresceva
la
minaccia
dei
Cimbri
e
dei
Teutoni
che,
spinti
da
necessità
impellenti,
iniziarono
una
travolgente
migrazione
che
coinvolse
i
territori
romani.
Più
volte
queste
popolazioni
unite
sconfissero
i
generali
romani.
Il
pericolo,
quindi,
cresceva
sempre
più,
cosiccome
cresceva
il
malcontento
verso
i
generali
che
non
seppero
fermare
i
barbari.
In
questo
contesto,
nel
104
a.C.,
Mario
venne
chiamato
di
nuovo
al
consolato.
Subito
egli
approfondì
quella
riforma
dell’esercito
iniziata
anni
addietro.
Questa
volta
l’opera
riformatrice
andò
a
toccare
diversi
aspetti,
dalla
riorganizzazione
delle
legioni
(non
più
divise
in
trenta
manipoli,
ma
in
dieci
coorti
da
seicento
uomini
ciascuna),
all’addestramento,
passando
per
equipaggiamento,
armamento
e le
insegne
delle
legioni.
Con
questo
esercito
riformato
e
grazie
anche
alla
divisione
intercorsa
tra
i
Cimbri
ed i
Teutoni
Roma
riuscì
a
sconfiggere
queste
popolazioni.
Nel
102
a.C.
le
legioni
sterminarono
i
Teutoni
ad
Aquae
Sextiae,
mentre
l’anno
successivo
eliminarono
i
Cimbri
presso
i
Campi
Raudii.
Fino
ad
ora
abbiamo
analizzato
le
imprese
militari
di
Mario,
che
dire,
quindi,
del
fronte
politico?in
questo
campo
il
nome
di
Mario
va
necessariamente
affiancato
a
quello
dei
suoi
due
principali
alleati:
Lucio
Appuleio
Saturnino
e
Caio
Servilio
Gaucia.
Il
primo
fu
eletto
tribuno
della
plebe
nel
103
a.C.,
grazie
proprio
all’appoggio
di
Mario.
Questo
tribunato
fu
estremamente
importante
poiché
in
esso
furono
approvate
due
leggi
importanti,
oltre
alla
riduzione
del
prezzo
del
grano
fissato
da
Caio
Gracco.
Il
primo
provvedimento
sanciva
una
distribuzione
di
terre
africane
ai
veterani
di
Mario.
Il
secondo
provvedimento,
la
lex
de
maiestate,
puniva
la
lesione
dell’autorità
del
popolo
romano
da
parte
di
un
magistrato
(da
notare
che
il
collegio
giudicante
sarebbe
stato
composto
da
cavalieri).
Glaucia,
invece,
fu
eletto
pretore
nel
100
a.C.,
anno
in
cui
Mario
rivestì
il
sesto
consolato
e
Saturnino
venne
rieletto
al
tribunato.
L’azione
di
Saturnino
ovviamente
non
si
fermò.
Durante
il
suo
secondo
tribunato
fece
approvare
una
legge
che
sanciva
una
distribuzione
di
terre
nella
Gallia
meridionale
e
imponeva
la
nascita
di
nuove
colonie
in
Macedonia,
Sicilia
e
Acaia.
Nella
legge
fu
inserita
una
clausola
che
impegnava
i
senatori
a
giurare
di
portare
a
compimento
quanto
decretato.
Nello
stesso
tempo
si
svolse
anche
l’azione
di
Glaucia,
che
restituì
le
giurie
per
i
processi
di
concussione
ai
membri
dell’ordine
equestre.
L’anno
successivo
Saturnino
fu
di
nuovo
eletto
al
tribunato
e
Glaucia
si
candidò
al
consolato.
In
seguito
ai
tumulti
scoppiati
durante
le
votazioni
il
Senato
ricorse
al
senatus
consulum
ultimum,
che
Mario,
in
qualità
di
console,
dovette
far
rispettare
contro
i
suoi
alleati.
Saturnino
e
Glaucia
vennero
uccisi
e
Mario
decise
di
allontanarsi
da
Roma,
andando
in
missione
presso
Mitridate
VI.
Il
re
del
Ponto,
infatti,
aveva
dato
segnali
allarmanti,
deciso
com’era
ad
attuare
una
politica
espansionistica
ai
danni
di
Roma.
Dopo
fasi
alterne
nei
rapporti
tra
le
due
potenze
la
guerra
dilagò
e,
nell’88
a.C.,
fu
affidato
il
comando
dell’esercito
al
console
Lucio
Cornelio
Silla.
A
Roma,
intanto,
la
situazione
era
tutt’altro
che
statica.
Il
tribuno
della
plebe
Publio
Sulpicio
Rufo
avviò
una
vasta
opera
legislativa.
Tra
i
provvedimenti
che
egli
fece
approvare
ci
fu
anche
il
trasferimento
del
comando
militare
da
Silla
al
redivivo
Mario.
Ovviamente
Silla
non
poteva
tollerare
la
cosa
e
decise
di
marciare
su
Roma.
Sulpicio
fu
assassinato,
mentre
Mario
riuscì
a
rifugiarsi
in
Africa,
dove
poteva
contare
sull’appoggio
delle
sue
clientele.
Fu
questa
prima
presa
di
Roma
da
parte
dei
sillani
a
rendere
evidenti
le
conseguenze
della
riforma
mariana
dell’esercito
di
cui
abbiamo
parlato
poco
sopra.
Nonostante
questo
atto
di
gravissima
entità
Silla
non
riuscì
ad
impedire
che
nell’87
a.C.
venne
eletto
console
Lucio
Cornelio
Cinna,
alleato
di
Mario.
Il
nuovo
console
decise
di
proporre
una
legge
che
garantisse
l’iscrizione
dei
neocittadini
italici
nelle
trentacinque
tribù
e
non
solo
in
alcune
di
esse,
come
era
stato
precedentemente
decretato.
Per
questo
fu
cacciato
da
Roma.
Giunto
in
Campania
Cinna
venne
raggiunto
da
Mario
e i
due
marciarono
insieme
su
Roma.
Successivamente
a
questa
presa
del
potere
Silla
venne
dichiarato
nemico
pubblico
e
diversi
suoi
sostenitori
furono
trucidati.
Nell’anno
86
a.C.
Mario
fu
rieletto
console
assieme
a
Cinna,
tuttavia
morì
poco
tempo
dopo.
La
sua
morte
non
portò
alla
conclusione
delle
lotte
interne
alla
classe
dirigente
romana
che,
nonostante
la
parentesi
dittatoriale
di
Silla,
sarebbero
riesplose
successivamente
tra
Cesare
e
Pompeo,
fino
alle
ultime
guerre
civili
tra
cesaricidi
e
triumviri
e,
infine,
tra
Ottaviano
ed
Antonio.
La
conclusione
fu
la
morte
della
Repubblica
e la
nascita
del
Principato.