N. 48 - Dicembre 2011
(LXXIX)
Hans-Georg Gadamer e il suo Appello per l’Europa
L’applicabilità del pensiero del filosofo
nella realtà contemporanea italiana ed europea
di Emanuela Ferrari
Nella nostra epoca, anzi più precisamente in questi ultimi anni il pensiero dello studioso Hans-Georg Gadamer rivolto all’Europa dimostra tutta la sua vitalità nel senso che si pone come una ricetta, a mio parere, di necessaria applicazione non solo nel contesto europeo, ma soprattutto nel nostro paese, l’Italia, che si è incagliato in un movimento vorticistico anti-evolutivo in cui non è ravvisabile una conclusione per poi iniziare a pensare, in termini nuovi, a una ripresa costruttiva.
Due
ingredienti
sono
mancati,
i
quali
si
pongono
a
basamento
dell’intero
edificio
dello
Stato:
pazienza
e
lavoro,
come
afferma
Gadamer.
La
pazienza
di
capire
cosa
è
giusto
fare
e
come
intervenire
in
merito
e il
lavoro
inteso
come
atto
costruttivo,
pratica
applicata
al
contesto
che
richiede
intervento.
Quel
che
siamo
oggi
è il
risultato
del
nostro
passato
storico
e
non
a
caso
Gadamer
ci
ricorda
che
“quello
che
oggi
chiamiamo
scienza
è
una
creazione
dell’età
moderna”
che
inizia
con
Galileo
Galilei.
Si
tratta
di
una
scienza
che
tende
a
dominare
la
natura
e a
riprodurla.
Questo
atteggiamento
invadente
dell’uomo
sulla
natura
ha
prodotto
delle
conseguenze
negative
ben
visibili
che
si
traducono
come
segue:
“chiusura
individualistica
e
mancanza
di
ogni
fede”.
Di
conseguenza
–
spiega
Gadamer
–
tutto
si
traduce
come
“un
monologo
appiattito”
dove
il
ruolo
della
famiglia
si
indebolisce
così
tanto
da
scomparire
e il
suo
posto
viene
preso
“dall’autorità
dei
messaggi
diffusi
dai
mass-media”.
Sullo
stesso
argomento
insiste
Max
Weber
che
riconduce
questa
panoramica
a
due
tendenze
emergenti:
a)
la
necessità
di
impartire
regole,
dato
che
non
ci
sono
più
riferimenti
e
punti
di
orientamento,
e b)
l’aumento
esponenziale
d
abusi
di
potere.
Non
dobbiamo
però
dimenticare
che
i
cambiamenti
in
atto
sono
strettamente
collegati
ad
un
mondo
in
evoluzione,
ad
una
società
che
cambia
in
modo
vertiginoso
e
che
mette
a
dura
prova
l’intera
esistenza
del
genere
umano.
Allora
come
si
può
frenare
questo
ingranaggio?
Quale
contributo
verso
il
miglioramento
può
dipendere
dal
nostro
essere
presenti?
Si
deve
anche
tener
conto
del
fatto
che
conviviamo
con
popolazioni
appartenenti
a
religioni
ed
etnie
diverse
e
che
ci
confrontiamo
con
una
alterità
che
si
pone
come
risorsa
evolutiva,
ma
anche
come
scontro
dialettico.
Si
deve
dunque
lavorare
sul
dialogo
e
non
sul
monologo,
che
conduce
inevitabilmente
ad
una
strada
a
senso
unico
dove
non
c’è
mediazione
ed
incontro.
Nel
1946
Gadamer
diventa
Rettore
dell’Università
di
Lipsia
e -
come
lui
stesso
ci
ricorda
in
Appello
per
l’Europa
-
gli
fu
chiesto
di
scrivere
un
messaggio
nell’albo
contenente
le
firme
dei
visitatori
ed
egli
scrisse:
pazienza
e
lavoro.
Sono
due
componenti
che
richiedono
molta
applicazione,
serietà
di
comportamento
e
partecipazione.
Si
tratta
di
un
“compito
gigantesco
e
nient’altro
ci
può
salvare”.
Questo
monito
si
rivolge
all’Università
quale
nucleo
ristretto
del
contesto
sociale,
ma è
estensibile
ad
un
intero
territorio
poiché
il
rapporto
dialogico
che
si
dovrebbe
instaurare
tra
studenti
e
docenti
riflette,
anche
se
in
una
prospettiva
più
ridotta,
il
dialogo
tra
governanti
e
governati,
tra
popolazione
e
classe
politica.
Gadamer
insiste
molto
sul
carattere
pedagogico
e
costruttivo
del
dialogo
quale
elemento
fondante,
anzi
quale
seme
destinato
a
fiorire
che
si
allea
con
la
interdisciplinarietà
per
produrre
quella
attività
necessaria
per
far
nascere
altre
idee.
In
questo
passaggio
lo
studioso
riprende
un
pensiero
di
Humboldt
conosciuto
come
“Leben
in
Ideen”
(gettare
i
semi
per
far
germogliare
le
idee),
i
seminari
appunto
rappresentano
il
significato
oggettivo
del
legame
delle
due
componenti
esaminate,
dialogo
e
interdisciplinarietà.
Questa
maieutica
delle
idee
deve
essere
un
modello
di
riferimento
per
l’Europa
e
per
tutti
quei
paesi
del
mondo
con
“lo
scopo
di
realizzare
una
cultura
libera
da
rigidi
schemi
precostituiti,
all’insegna
di
una
solidarietà
che
sia
garanzia
di
pace”.
In
questo
panorama
devono
essere
coinvolte
le
nuove
generazioni,
-
precisa
Gadamer
–
“alla
flessibilità
della
gioventù
come
leva
per
una
riorganizzazione
della
vita”
ci
si
deve
rivolgere.
Ciò
richiede
pazienza
e
lavoro
continui.