N. 100 - Aprile 2016
(CXXXI)
Quale sarà il futuro del tennis italiano?
parte I - L'universo maschile
di Francesco Agostini
Quale
sarà
il
futuro
del
tennis
italiano?
Bella
domanda.
Al
momento
pare
essere
nero,
terribilmente
nero
e,
cosa
peggiore,
senza
alcuna
luce
alla
fine
del
tunnel.
A
dispetto
di
quanto
ne
dicano
tecnici
ed
esperti,
la
nostra
Nazionale
non
ha
campioni,
nemmeno
il
tanto
decantato
Fabio
Fognini,
esaltato
dai
media
e
protagonista
dei
rotocalchi.
Nessuno
sta
dicendo
che
Fabio
Fognini
non
sia
un
buon
giocatore,
per
carità,
anzi.
Potenzialmente
il
ligure
potrebbe
essere
un
campione:
ottimo
servizio,
dritto
potentissimo,
soprattutto
in
lungolinea,
e
grande
rovescio
bimane.
L'unica
pecca
il
gioco
di
rete,
ma
nel
tennis
odierno,
così
muscolare
e
fisico,
le
volée
sono
più
un
gesto
per
i
fotografi
che
un
reale
vantaggio.
Novak
Djokovic
e il
suo
gioco
robotico
ne
sono
forse
il
più
fulgido
(e
drammaticamente
grigio)
esempio.
Niente
ricami,
niente
fronzoli:
solo
ed
esclusivamente
risultati,
ottenuti
nel
modo
più
sicuro
e
meno
spettacolare.
La
carriera
di
Fabio
Fognini
parla
da
sola:
tre
soli
titoli
Atp
conquistati
in
carriera
e
della
categoria
meno
importante,
i
250.
Non
vanno
sminuiti,
per
carità,
ma è
innegabile
che
per
essere
considerato
un
campione
il
bottino
è
assai
magro.
Molto,
molto
magro.
Il
punto
debole
di
Fabio
è
sempre
stata
la
mentalità,
poco
vincente
e un
po'
da
provinciale.
Racchette
gettate
a
terra,
discussioni
furenti
con
l'arbitro,
liti
con
gli
avversari
(memorabile
l'antipatia,
peraltro
debitamente
ricambiata,
col
francese
Gael
Monfils)
erano
all'ordine
del
giorno.
Adesso
un
po'
meno,
è
vero,
ma
le
cose
non
è
che
siano
cambiate
molto,
purtroppo.
Fabio
è in
grado
di
grandi
exploit
fini
a sé
stessi:
una
buona
partita
e
dopo
un
disastro,
in
un
movimento
sussultorio
che
non
gli
ha
mai
permesso
di
fare
il
tanto
agognato
salto
di
qualità.
E
questo
è il
nostro
miglior
tennista.
Quanto
agli
altri
ragazzi,
beh,
di
talento
ce
n'è
davvero
molto
poco.
L'Italia
vanta
nelle
sue
schiere
Simone
Bolelli,
Andreas
Seppi
e
Paolo
Lorenzi:
dei
giocatori
perfetti
da
un
punto
di
vista
mentale.
Grandi
lavoratori,
umili
e
lucidi
nelle
varie
fasi
di
una
partita.
Il
migliore
sotto
questo
punto
di
vista
è
sicuramente
Andreas
Seppi,
l'altoatesino
di
ghiaccio
che
nel
corso
della
carriera
ci
ha
preso
gusto
a
battere
Federer
e
che,
ricordiamolo,
ha
vinto
esattamente
gli
stessi
titoli
di
Fabio
Fognini.
Tre.
Gli
altri
due,
Simone
Bolelli
e
Paolo
Lorenzi,
occupano
una
posizione
più
ambigua
e
decentrata,
sicuramente
meno
importante.
Simone
Bolelli
non
è
mai
uscito
dal
limbo
dell'essere
un
tennista
troppo
forte
per
i
tornei
minori
(chiamati
in
gergo
tennistico
“Challenger”)
e
troppo
debole
per
gli
Atp.
Il
bolognese
è
rimasto
così,
a
metà,
e ha
riscosso
i
maggiori
successi
della
sua
carriera
in
doppio
assieme
a
Fabio
Fognini.
Per
la
sua
carriera
in
singolare,
poco
o
nulla
di
rilevante.
In
ultimo,
c'è
il
senese
Paolo
Lorenzi,
vero
dominatore
dei
Challenger.
Purtroppo
per
noi
italiani
però,
e
per
lui,
essere
il
numero
uno
tra
i
“minori”,
non
è
proprio
il
massimo
della
vita.
Torniamo
all'inizio.
Quale
sarà
il
futuro
del
tennis
italiano?
Al
momento
la
nostra
più
grande
e
unica
promessa,
Quinzi,
si è
un
po'
perso
a
contatto
col
professionismo
e
non
sembra
esserci
un
ricambio
generazionale
adatto.
Niente
all'orizzonte,
in
sostanza.
Che
il
tennis
italiano
sia
destinato
ad
abbandonare
definitivamente
i
grandi
palcoscenici?
In
realtà
non
è
che
come
nazione
l'Italia
abbia
mai
particolarmente
brillato
nel
mondo
della
racchetta.
I
successi
di
Panatta
hanno
oramai
quarant'anni,
quelli
di
Nicola
Pietrangeli
non
ne
parliamo
neanche;
dopo
di
loro
il
nulla
o
quasi.
Qualche
lampo
negli
anni
novanta
con
Furlan,
Gaudenzi
e
Nargiso
(ricordiamo
una
finale
di
Coppa
Davis
raggiunta
e
persa
contro
la
Svezia)
e
poi
il
nulla
più
assoluto.
Eppure
in
Italia
il
tennis
si
gioca,
eccome.
I
circoli
sono
tanti
e lo
sport
è in
vigorosa
crescita
negli
ultimi
anni.
E
allora?
Forse
è
ancora
un'attività
troppo
di
nicchia,
“da
ricchi”
e i
guadagni
non
sono
così
appetibili
come
nel
calcio;
anzi,
non
sono
minimamente
paragonabili
ai
milioni
che
piovono
nel
mondo
del
pallone.
La
considerazione
finale
non
è
delle
più
rosee:
se
il
passato
del
nostro
tennis
è
soddisfacente,
il
presente
è
grigio
e il
futuro
è,
purtroppo,
terribilmente
nero.