[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

178 / OTTOBRE 2022 (CCIX)


contemporanea

CRIMINALI NAZISTI IN FUGA

SULLE RESPONSABILITà DEL GOVERNO ARGENTINO DELL’EPOCA

di Simone Barcelli

 

La fuga dall’Europa dei criminali nazisti e dei loro collaborazionisti, alla fine della Seconda guerra mondiale, fu favorita anche dal governo argentino di Juan Domingo Perón, che costituì organi istituzionali per l’immigrazione, facendo gestire ai faccendieri tedeschi gli uffici decentrati e le reti di fuga, favorendo infine le aziende che “assumevano” le ex SS. Naturalmente, parte delle riserve di denaro sparite dalla Reichsbank di Berlino negli ultimi giorni di guerra, finirono proprio in Argentina.

 

L’ambasciatore argentino in Svizzera, Pedro Benito Llambì, ebbe un ruolo importante nella formazione della rete d’emigrazione dei nazisti, alla fine della Seconda guerra mondiale, soprattutto di quelli che potevano vantare competenze scientifiche. Llambì, un buon amico di Juan Domingo Perón, già maggiore dell’esercito, faceva infatti parte del Grupo de Oficiales Unidos (GOU) – una specie di loggia segreta fondata nel febbraio 1943 e composta da ufficiali dell’esercito e alcune sigle sindacali –, e contribuì all’ascesa del collega, di cui fu assistente al ministero del Lavoro nel 1943.

 

L’ambasciatore era da tempo in contatto con Henry Guisan, colonnello dell’esercito svizzero e figlio del generale comandante di quella milizia. I rapporti tra Svizzera e Argentina, durante la Seconda guerra mondiale, furono dettati dalle esigenze alimentari, poiché il paese dei banchieri aveva pur bisogno delle derrate per sopravvivere nel paradisiaco isolamento.

 

Enzo Trentin racconta che «Navi battenti bandiera argentina oppure svizzera, passando per Gibilterra, attraccavano regolarmente a Genova. Da qui i carichi proseguivano per ferrovia, col viatico del Duce (…) Quando poi l’Italia divenne teatro di guerra non fu più possibile far scalo a Genova. Allora i rifornimenti destinati alla Svizzera presero a essere sbarcati in Portogallo. E di qui, attraverso la Spagna franchista e la Francia di Vichy, raggiungevano Ginevra. Ma anche questa via fu tagliata, con lo sbarco anglo-americano nel sud della Francia, verso la fine del 1944».

 

La Germania era all’epoca per la Svizzera il miglior partner commerciale, che in cambio di macchinari e materiale bellico, riforniva la confederazione di carbone e petrolio, tanto che gli Alleati furono costretti a imporre l’embargo nel dicembre 1944.

 

Alla fine del conflitto, come dimostrano i documenti conservati nel dipartimento di polizia di Berna, l’ufficio della Delegacion Argentina de Immigracion en Europa (DAIE), l’organizzazione che nel giro di una decina d’anni si sarebbe fatta carico dell’immigrazione in Argentina anche di trecentomila italiani, era in Marktgasse 49, nel centro della città. L’apertura di questa sede fu certamente favorita da Benito Llambì, con la copertura dell’Instituto Suizo-Argentino, l’associazione culturale da lui creata, che si fece carico anche di pianificare gli incontri di Evita Perón durante la sua permanenza in Svizzera nel 1947. Fu Heinrich Rothmund, funzionario della polizia federale svizzera, che autorizzò l’apertura della sede, ben consapevole che si trattava di un punto di smistamento per nazisti in fuga.

 

Carlos Fuldner, un ex capitano delle SS, ritornò in Europa nel dicembre 1947 e divenne responsabile di quell’ufficio fino a settembre 1948, con la collaborazione dell’architetto del Terzo Reich Herbert Helfrich, che aveva realizzato le rampe di lancio dei missili V2, e lo scienziato Georg Weiss, che con Wernher von Braun (poi assunto dalla NASA) fu progettista degli stessi razzi. Helfrich, in particolare, curava una rete clandestina con sedi a Colonia e Aach Bei Singen, in cui sussisteva la logistica per il transito illegale dei nazisti.

 

Quando anche Fuldner s’imbarcò per l’Argentina, presumibilmente nell’ottobre 1948, non appare casuale che fosse in compagnia di un certo Hubert von Blücher, figlio del diplomatico Wipert von Blücher, poiché il suo nome ricorre, assieme a quello del tenente colonnello delle SS Friedrich Josef Rauch, nelle vicende legate all’evacuazione di lingotti d’oro e riserve di denaro dalla Reichsbank di Berlino negli ultimi giorni della guerra.

 

Nella primavera del 1945, quando ormai gli Alleati avevano invaso la Germania, la Reichsbank trasferì altrove le sue giacenze. Il compito fu affidato proprio a Rauch, che si occupò del trasporto delle riserve: 520 milioni di marchi, 146 sacchi di valuta straniera e circa 9 tonnellate di lingotti d’oro. Il prezioso carico fu consegnato il 22 aprile 1945 al colonnello Franz Pfeiffer a Mittenwald, all’interno di una caserma d’addestramento della Wehrmacht. Una parte di quel tesoro fu seppellita una ventina di chilometri più in là, nel campo di pomodori della famiglia von Blücher, nel giardino fuori dalla villa a Garmisch-Partenkirchen, sempre in Baviera, ai confini con l’Austria.

 

Rauch, nel dopoguerra, non fu processato e il 16 febbraio 1948 raggiunse l’Argentina, grazie all’interessamento del prete croato Krunoslav Draganovic. A Villa Ballester, una cittadina vicino Buenos Aires, divenne socio della Exact SCL, una società metallurgica con prevalente capitale tedesco, cui aveva contribuito personalmente con una somma di oltre centomila dollari.

 

Nel marzo 1949 anche Franz Pfeiffer, colui che ricevette da Rauch parte del tesoro della Reichsbank, raggiunse l’Argentina, contribuendo anch’egli con centomila dollari al capitale sociale della Exact SCL. Entrambi negarono un loro coinvolgimento economico nella società argentina, anche se le informative redatte all’epoca dalla polizia di Buenos Aires risultano ben circostanziate al riguardo.

 

Gli arrivi di nazisti e loro collaborazionisti in Argentina proseguirono almeno fino al 1950, per esaudire tutte le richieste pervenute a Fuldner quand’era referente dell’ufficio DAIE di Berna, che nella primavera del 1949 chiuse i battenti.

 

Uki Goni sottolinea che nei primi mesi del 1949 Perón iniziò a dissociarsi discretamente dalle attività fino a quel momento compiute dalla DAIE e dalla SARE (Sociedad argentina de recepcion de europeos), la cui sede era in una vecchia casa di proprietà dell’Arcivescovado di Buenos Aires: si trattava di un ufficio supplementare, finanziato direttamente dal cardinale di origine genovese Santiago Luis Copello, creato appositamente per far fronte alle migliaia di richieste di espatrio che pervenivano soprattutto da criminali di origine croata.

 

Dopo la morte nel 1948 di Charles Lescat, un antisemita che collaborava con il filonazista Pierre Daye, responsabile della SARE, i rapporti tra la Division de Informaciones di Rodolfo Freude (figlio dell’affarista nazista Ludwig) e la direzione della migrazione furono misteriosamente interrotti. La ragione che portò al raffreddamento nelle relazioni tra gli uffici, fu in qualche modo dovuta alle indagini promosse in quel frangente da una commissione d’inchiesta, che avrebbe dovuto far luce sulle palesi irregolarità con cui venivano rilasciati i permessi di sbarco.

 

Per ironia della sorte, gli accertamenti vertevano inizialmente sull’ingresso di alcuni ebrei, favorito da Leonard de Roover, un collaborazionista belga alle dipendenze di Rodolfo Freude, che generalmente controllava le liste degli indesiderabili per conto di Casa Rosada. Il vero obiettivo era però Pablo Diana, responsabile della Direccion General de Migraciones, accusato dai diplomatici argentini di essere stato troppo indulgente nel concedere permessi di sbarco agli ebrei.

 

Gli ispettori dell’Instituto Etnico National, diretto da Santiago Peralta (predecessore, defenestrato, di Diana), chiamarono a deporre anche Carlos Fuldner: egli confermò che i funzionari erano stati costretti a rilasciare documenti ai criminali di guerra, anche in carenza di riscontri, poiché ciò corrispondeva agli ordini ricevuti direttamente dal presidente Perón, e non potevano chiaramente entrare nei dettagli o parlare apertamente di quel che stava succedendo.

 

La commissione concluse che le irregolarità commesse da Fuldner e dal resto degli agenti di Freude, si erano conformate alle istruzioni presidenziali segrete e pertanto la faccenda non era alla portata dell’inchiesta. Nelle centinaia di pagine del rapporto conclusivo, non veniva mai menzionata la parola nazista. Sulla scorta di tali risultanze, Perón decretò l’espulsione dal servizio di Diana e dei suoi più stretti collaboratori, poiché avevano fatto troppe eccezioni nel permettere l’ingresso nel paese agli ebrei. Quasi tutte quelle eccezioni erano state autorizzate dallo stesso Perón. Una situazione davvero imbarazzante.

 

Nel 1992 il giornalista Leonardo Coen, sulle pagine de La Repubblica, ricordava anche che «il 21 luglio del 1949, il deputato radicale Silvano Santander, antiperonista viscerale, leader della cosiddetta “ala gorila” dell’UCR, l’unione cristiana radicale, presentò alla Camera un’interrogazione per sapere se avevano qualche particolare funzione dentro le forze armate l’ex colonnello Hans Ulrich Rudel; Otto Skorzeny, generale delle Guardie d’Assalto tedesche; l’ingegnere Willy Kurt Tank e il generale Adolf Galland. Inoltre, chiedeva se rispondeva al vero che nella fabbrica militare dell’aeronautica e all’Istituto Aerotecnico di Cordoba erano impiegati trentaquattro militanti nazisti».

 

Fuldner, nonostante la chiusura dell’ufficio di Berna e il ritorno in Argentina, non rimase inoperoso. Nel 1950 fondò a Buenos Aires l’azienda Compania Argentina para Proyectos y Realizaciones Industriales - Fuldner y Cia (in sigla CAPRI), i cui dipendenti, fino al 1955, si occuparono di misurare le velocità di flusso dell’acqua e raccogliere campioni di roccia nelle aree inaccessibili della giungla, nella provincia settentrionale di Tucuman.

 

La società si avvaleva di un lauto contratto pubblico propiziato da Perón, sottoscritto con la Agua y Energia, con il compito di verificare la fattibilità di opere idroelettriche. Vi furono impiegati, anche sotto falso nome, almeno trecento nazisti giunti in Sud America, tra cui Adolf Eichmann.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

George Hodel, Evita, the Swiss and the Nazis, Consortium News, 22 giugno 2010.

Enzo Trentin, Il generale che divenne eroe senza combattere, Vicenzareport, 27 marzo 2020.

Carlo Provasi, Evita Perón: il mito, il tesoro nazista, la salma perduta, Maquisard 11 Gennaio 2018.

Uki Goni, Operazione Odessa, Garzanti, 2003.

Guillermo Miguel Chavez Rodriguez, Exodo de nazis en la posguerra, Universidad Autonoma Metropolitana, settembre 2018.

Ian Sayer e Douglas Botting, L’oro nazista, SugarCo, 1985.

Julio B. Mutti, Horst Carlos A. Fuldner; el fugitive, La Prensa, 16 ottobre 2018.

Leonardo Coen, L’ingegner Tank sottobraccio a Evita Perón, La Repubblica, 11 marzo 1992.

Eckhard Schimpf, Heilig: Die Flucht des Braunschweiger Nazifuhrers auf der Vatikan-Route nach Sudamerika, Appelhans Verlag, 2005.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]