[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


contemporanea

FUGA DAL CARCERE
1944: La liberazione di Giovanni Roveda

di Raffaele Pisani

 

È la testimonianza per un’azione generosa e temeraria della Resistenza veronese compiuta da sei intrepidi gappisti il 17 luglio del 1944: la liberazione di Giovanni Roveda dal carcere degli Scalzi. Era una figura di primo piano nel Partito Comunista, di cui aveva partecipato alla fondazione nel 1921 con Bordiga, Gramsci, Togliatti e Terracini; era stato anche segretario della Camera del Lavoro di Torino.

 

Gianfranco De Bosio (1924-2022) negli ultimi anni di vita racconta in un libro con passione e lucidità quest’impresa, inserendola nella situazione generale di Verona dal settembre del 1943 alla primavera del ’45.

 

Nella città, che era già praticamente in mano ai Tedeschi a seguito dell’operazione Alarico iniziata subito dopo il 25 luglio, nei giorni immediatamente seguenti l’8 settembre si verificarono significative azioni di resistenza da parte di reparti militari e di gruppi di civili. Gli eventi successivi che porteranno all’istituzione della Repubblica Sociale Italiana faranno di Verona la sede di importanti comandi germanici, di uffici della neonata repubblica fascista, di tribunali di guerra e di ben sette prigioni.

 

Ma anche le forze che si opponevano ai nazifascisti si stavano organizzando, già nel ’43 si formò il primo Comitato di liberazione nazionale cittadino, che ebbe vita breve, come il secondo dell’anno successivo, che subì dolorose perdite. Nel pronao del palazzo comunale si ricordano i nomi dei deportati che terminarono la loro vita nei lager nazisti: Guglielmo Bravo, Angelo Butturini, Giuseppe De Ambrogi, Giovanni Domaschi, Giuseppe Marconcini, Pietro Meloni, Francesco Vivani. Accanto a questi stanno idealmente tanti altri nomi di quanti nella città e nella provincia ebbero a soffrire persecuzione, deportazione e morte.

 

De Bosio farà parte del terzo Comitato, quale rappresentante della componente democratico cristiana, sarà quello che vedrà la Liberazione del 25 aprile. Venne incaricato di questo impegnativo compito da Egidio Meneghetti, capo del Partito d’Azione veneto e professore all’Università di Padova, che De Bosio, studente non ancora ventenne, frequentava. Così racconta: «Il Cln Veneto si era costituito in seno all’Università di Padova, dove io stesso ero studente, con i professori Silvio Trentin, Concetto Marchesi ed Egidio Meneghetti, per l’appunto, che costituivano il punto di forza dell’attività clandestina» (De Bosio 2021, p. 22). Fra le mura dell’Ateneo c’era un certo spazio per l’azione degli antifascisti, è De Bosio stesso che racconta di scritte e manifesti e anche di ordigni preparati nei sotterranei dell’Istituto di Farmacologia e fatti esplodere in almeno due occasioni.

 

A Verona, sua città natale, sotto falso nome era almeno nell’immediato un po’ più al sicuro dalla rabbiosa reazione dei servizi di repressione italiani e tedeschi e poteva anche agire per portare a termine l’incarico assegnatogli. È in questa situazione che ha avuto modo di osservare e ha creduto bene di descrivere, a tanti anni di distanza, quanto accadeva nel carcere degli Scalzi. In questa prigione ricavata da un ex convento dei Padri Carmelitani ebbero a soggiornare, in qualche caso anche contemporaneamente, fascisti e antifascisti: i membri del Gran Consiglio che il 25 luglio del ’43 avevano sfiduciato Mussolini e gli oppositori al regime come appunto Giovanni Roveda, e anche alcuni alti ufficiali del Regio Esercito.

 

De Bosio annota ciò che vede personalmente: una città spettrale, sotto il giogo delle truppe nazifasciste presenti in misura maggiore rispetto ad altre città; la sua posizione all’imbocco della valle dell’Adige e i suoi importanti nodi stradali e ferroviari la predisponevano particolarmente alle incursioni aeree anglo-americane e certi quartieri erano diventati un ammasso di rovine. Ciò che succedeva dentro le mura del carcere lo ha saputo dal racconto che ne ha fatto Roveda stesso, qui condotto nei primi giorni del 1944, in tempo per sentire le voci e i rumori degli imputati, mentre andavano e tornavano delle udienze del processo ai traditori del fascismo che si teneva in Castelvecchio.

 

Erano solo sei, perché gli altri erano riusciti a mettersi in salvo, i loro nomi sono i seguenti: Tullio Cianetti, Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi; solo Cianetti evitò la condanna a morte che colpì gli altri cinque. Anche Ciano, genero di Mussolini, non poté sfuggire alla fucilazione, che fu eseguita l’11 gennaio a Forte Procolo. Roveda nella sua cella rifletteva su quello che stava succedendo e pensava quando sarebbe toccato a lui, non sapeva che fuori qualcuno progettava di liberarlo.

 

De Bosio in un colloquio con Idelmo Mercandino, attivista comunista che operava per il costituendo Cln veronese, venne a sapere cose interessanti: «Roveda adesso è qui, a Verona. Lo hanno incarcerato agli Scalzi e vogliono giustiziarlo. Noi del partito stiamo pensando a un piano per farlo evadere». Si trattava certo di un’impresa difficile, al limite dell’impossibile; doveva essere ben pianificata ma bisognava far presto perché l’esecuzione di Roveda si prospettava come imminente.

 

Un giorno di maggio, don Chiot, cappellano delle carceri, annunciò a Roveda che la moglie Caterina veniva a fagli visita, non la vedeva da tanti anni e l’emozione di entrambi era molto grande. Quando la mise al corrente del progetto d’evasione lei rispose: «Lo so. Ne ho già parlato con i compagni di Roma. So cosa devo fare, abbiamo già ideato un piano, dobbiamo solo metterlo a punto» (De Bosio 2021, p. 84).

 

Non ebbero alcun esito alcuni tentativi di evasione con il classico “buco nel muro” né con copie di chiavi nonostante, ironia della sorte, avesse ricevuto l’aiuto di Tulio Cianetti, che risparmiato dalla fucilazione stava scontando la sua pena detentiva. Occorreva un gruppo capace di entrare nel carcere per liberare il prigioniero. I cinque gappisti che erano stati scelti per la squadra di Verona erano coraggiosi e scaltri, gente “di fegato”. De Bosio scrive che: «Si trattava di cinque ufficiali dell’esercito: Berto Zampieri, Emilio Bernardinelli, Lorenzo Fava, Danilo Preto, Vittorio Ugolini» (De Bosio 2021, p. 88). A essi si aggiunse Aldo Petacchi mandato dalla resistenza milanese.

 

Non tutto andò come sperato, il 14 luglio Radio Londra diffuse la notizia che Roveda era fuggito dal carcere, questo portò a un rafforzamento della sorveglianza. Altre contingenze portarono a differire l’assalto di un paio di giorni, si arrivò così al 17 luglio. «A bordo della Lancia Artena Erano partiti alle 17.30 da Borgo Trento, in piazza Cittadella si erano fermati a caricare Lorenzo Fava e Vittorio Ugolini e avevano poi proseguito fino al carcere degli Scalzi, passando per corso Vittorio Emanuele» (De Bosio 2021, p. 92).

 

Bernardinelli, sceso dalla vettura suonò alla porta, l’abbigliamento borghese elegante e l’atteggiamento calmo e sicuro trassero in inganno la guardia, che aprì pensando si trattasse di un agente dei servizi segreti. Pistola alla mano, disarmò la guardia, intanto altri quattro lo seguirono lasciando uno solo alla vettura. Senza sparare riuscirono a neutralizzare le altre guardie e a portar fuori Roveda; è in quel momento che si cominciarono a sentire i primi spari che provenivano dalle finestre del carcere. I gappisti scaricarono i loro parabellum e lanciarono una bomba a mano nel cortile per creare scompiglio e garantirsi la fuga.

 

Sulla macchina, crivellata di colpi e con una gomma forata finalmente riuscirono a salire, alcuni erano feriti, Danilo Preto il più grave. Poi finalmente partirono per Borgo Trento dove trovarono riparo in un fabbricato del dottor Casu; il fatto che ci fossero feriti, non si sa quanto gravi, portò a dei cambiamenti di programma. Scesero qui Roveda, ferito all’inguine, Zampieri, Petacchi e Ugolini; Bernardinelli, che era alla guida, con Preto e Fava cercò scampo nella zona di Porto San Pancrazio.

 

Vista l’impossibilità di proseguire, ferito ma in grado di muoversi, lasciò la vettura con l’idea di cercare soccorsi. Su questo punto De Bosio non si dilunga, sappiamo da altre fonti che i due feriti furono presi dalla polizia e ricoverati all’ospedale, il primo morì quasi subito, Fava invece ebbe il tempo di riprendersi, torturato invano perché rivelasse i nomi dei gappisti, venne lasciato morire per mancanza di cure e altre privazioni. L’Università di Padova che lo aveva visto studente gli conferì la laurea ad honorem.

 

Giovanni Roveda, ma anche Petacchi e Ugolini, i primi due con gravi ferite, furono ospitati dalla famiglia Dabini; la polizia fascista che era sulle loro tracce fu sul punto di catturarli, un provvidenziale allarme aereo li salvò. Era necessario cambiare aria e allontanarsi da Verona, Roveda, pur limitato dalle ferite ebbe modo di continuare la sua attività nella Resistenza prima a Milano e poi a Torino, sua città natale.

 

A liberazione avvenuta ha ricoperto la carica di sindaco della città subalpina fino al 2 giugno del 1946, quando fu eletto all’Assemblea Costituente. Per i numerosi contributi che la città ha offerto in questo travagliato periodo bellico, nel 1993 è stato conferito questo solenne riconoscimento:

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

CONCEDE AL COMUNE DI VERONA

MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE

“CITTA’ DI NOBILI TRADIZIONI PATRIOTTICHE,

DAL RISORGIMENTO ALLA SECONDA GUERRA

MONDIALE PIU’ VOLTE VESSATA DA OPERAZIONI

MILITARI E DA ESERCITI STRANIERI, VERONA

OFFRI’ ALLA RESISTENZA L’OLOCAUSTO DEL SUO

SECONDO COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE

CHE VI ORGANIZZO’ LA GUERRIGLIA E VENNE

STERMINATO NEI CAMPI NAZISTI; IL SANGUE DEI

SUOI CONCITTADINI DEL CORPO ITALIANO DI

LIBERAZIONE E DI QUANTI VOLONTARIAMENTE

COMBATTERONO LONTANI DALLA PATRIA; IL

SACRIFICIO DEGLI INTERNATI MILITARI NEI LAGER

E QUELLO DEI DEPORTATI POLITICI E RAZZIALI.

L’ARMISTIZIO DELL’8 SETTEMBRE 1943 VI

SUSCITO’ LA STRENUA DIFESA DI POPOLO E DI

MILITARI DELL’8°REGGIMENTO ARTIGLIERIA; IL 17

LUGLIO 1944 VIDE L’AUDACE ASSALTO AL

CARCERE DEGLI “SCALZI; LA NOTTE SUL 26

APRILE 1945 LA SOLIDARIETA’ DEL POPOLO DI

AVESA NELLO SGOMBERO DELL’IMMENSA

POLVERIERA TEDESCA, PER LA SALVEZZA DELLA

CITTA’. FEDELE CUSTODE DELLE SUE GLORIE

MILITARI, ESPRESSE IN NUMEROSE DECORAZIONI

AL VALORE, NON DOMA DAI BOMBARDAMENTI

DEVASTANTI, DALLE DEPORTAZIONI, DALLE

INSIDIE DELLE VARIE POLIZIE, DALLE

REPRESSIONI, FUCILAZIONI, DISTRUZIONI DI

INTERE CONTRADE CHE COLPIRONO LA PIANURA

E LA MONTAGNA, FU DEGNA PROTAGONISTA DEL

SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA”

ROMA, 5 OTTOBRE 1993

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Gianfranco De Bosio, Fuga dal carcere. 1944. La liberazione di Giovanni Roveda, Neri Pozza Editore, Vicenza 2021.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]