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contemporanea


N. 125 - Maggio 2018 (CLVI)

cittadini italiani, cittadini europei, cittadini del mondo
identità in trasformazione

di Titti Brunori Zezza

 

In un momento in cui, a causa di calcoli politici ed egoismi economici, il processo di integrazione europea sembra essere a un passo dal suo disfacimento, può essere di qualche interesse riflettere sulla parabola storica che ha portato alla creazione dei primi Stati nazionali, e quindi, tramite un enorme salto concettuale, alla globalizzazione e infine all'emergente volontà di creare tante piccole patrie o ripristinare politiche nazionalistiche.

 

I tragici atti di terrorismo che in tempi recenti hanno sconvolto varie città del mondo ci porterebbero a ritenere che facciamo ormai parte di una società globale senza più confini. A Barcellona, nell'agosto del 2017, tra morti e feriti provocati dal clamoroso attentato, si sono contate trentacinque nazionalità. Confini, limiti, muri, passaporti sembrano far parte di un passato ormai alle nostre spalle. I flussi sempre più intensi di chi si muove per il mondo, pressato dalle esigenze del proprio lavoro o per desiderio di conoscenza o altre molteplici cause, fanno sì che un popolo variegato, multilingue, multicolore si possa trovare dovunque e purtroppo, a volte, anche nel momento e nel luogo sbagliato.

 

Un tempo le nazioni piangevano e onoravano i propri morti, ora i morti di questa insensata guerra condotta unilateralmente travalicano i confini delle singole nazioni e nel comune dolore ci fanno sentire cittadini di un unico Paese.

 

Eppure, nel contempo, pulsioni separatiste oggi premono per cambiare radicalmente secolari assetti istituzionali come va accadendo in Catalogna ed è già accaduto negli anni Novanta nella ex Iugoslavia mentre emerge qua e là il proposito sempre più diffuso di costruire muri o di ripristinare frontiere che sembravano ormai cancellate.

 

È il caso in un recente passato dei plurimi tentativi di respingimento, addirittura con l'istituzione di una task force, di migranti provenienti dall'Italia da parte dell'Austria rivitalizzando, così, una linea di confine negli ultimi anni resa pressochè virtuale dal Trattato di Schengen. Quel trattato che per primo ha fatto assaporare ai cittadini di alcuni Stati europei la libertà di “sconfinare” liberamente in territori un tempo “stranieri”.

 

Firmato nel 1985 da Germania occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo questo trattato, mentre prevedeva lo smantellamento dei confini interni, ha visto, però, modificarsi per ben sette volte quelli dell'area che inglobava e a tutt'oggi, pur costituendo un pilastro della Unione europea non ne delimita ancora appieno i confini. Infatti attualmente ne fanno parte solo ventidue Paesi, mentre quattro suoi membri (Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein) non si trovano nella UE.

 

 È chiaro così che le frontiere di Schengen non coincidono con quelle dell'Unione europea, che sono a loro volta diverse da quelle della zona euro e non coincidenti con quelle dei quarantasette Paesi facenti parte del Consiglio d'Europa.

 

Parimenti risulta chiaro che quella aspirazione dell'individuo a sentirsi cittadino del mondo, già presente in una concezione filosofico-politica universalistica di epoca ellenistica e riscoperta nella seconda metà del Settecento, ha incontrato e incontra ancora oggi numerosi ostacoli. Lo dimostra anche il fatto che il trattato di Schengen attualmente è in crisi essendo stati in parte o globalmente sospesi tali accordi da ben nove dei Paesi firmatari.

 

Il cosmopolitismo settecentesco, frutto di un antico sogno di fratellanza universale tra gli uomini, sfociò in un chimerico internazionalismo proletario che voleva dar vita ad una nuova società universale, senza classi, senza denaro, senza Stati e di conseguenza senza frontiere: un sogno naufragato miseramente con il naufragio del cosiddetto “socialismo reale”.

 

Inquadrando storicamente le frontiere che separano oggi virtualmente o di fatto i singoli Stati in Europa ci rendiamo conto che esse, nella loro forma attuale, risalgono a tre secoli e mezzo or sono quando al Congresso di Vestfalia del 1648 vennero gettate le basi concettuali e giuridiche della “sovranità statale” da cui scaturirà lo Stato-nazione.

 

Al vecchio ordine feudale si sostituiva il nuovo ordine assolutista con diversa organizzazione territoriale. Il primo poggiava su una relazione tra potere e territorio molto più fluida poiché il rispetto della soggezione gerarchica del vassallo al suo signore era di gran lunga più importante del controllo del territorio.

 

Il nuovo ordine politico-territoriale, riconoscendo al principe di esercitare la propria autorità sovrana ed esclusiva all'interno di una zona geografica data, ebbe invece come conseguenza di stabilire linee di demarcazione nette tra il territorio di un principe e quello di un altro.

 

Gli Stati nascono sull'idea di confine, quella linea comune “con-” che segna la “-fine” di due territori e la separazione tra due spazi fisici, ed anche il termine “frontiera”, spesso usato come sinonimo, che sembra avere un' ovvia derivazione di origine bellica essendo quella linea immaginaria sulla quale gli Stati nazionali si affrontano perchè separa i diritti degli uni da quelli degli altri, a ben vedere nasce anch'esso da un'idea di vicinanza perchè indica dove “si sta di fronte”. E fiumi e monti che la gente in passato guadava e valicava liberamente diventarono per decreto una barriera. Dopo il 1648 quelle prime frontiere negoziate diverranno con il tempo frontiere intangibili.

 

L'unificazione territoriale e l'omogenizzazione culturale degli Stati hanno favorito in Europa la nascita e lo sviluppo di un mercato nazionale capitalistico che per mantenere vivo il proprio impulso di crescita, però, ha sempre avuto bisogno di espandere i propri mercati creando vaste aree di libero scambio.

 

Cominciò così a farsi strada una prima formalizzazione dell'idea della circolazione delle merci e nacquero unioni doganali e persino politiche e monetarie. Per questo sino a pochi anni fa si registrava in Europa una tendenza al depauperamento delle frontiere nazionali nel loro ruolo politico e geopolitico che si traduceva in un abbattimento dei confini degli Stati-nazione a cui si associava la tendenza ad un loro assorbimento in insiemi territoriali più vasti. Da qui nascerà l'Unione europea attuale. Ma ciò è venuto a scontrarsi inevitabilmente con la simmetrica e ben radicata volontà degli Stati di difendere le frontiere del mercato nazionale.

 

Già alla fine dell'Ottocento, a seguito della prima ondata di globalizzazione (1870-1913) e della nascita del diritto internazionale (ricordiamo che la Corte permanente di arbitrato, avente il compito di prevenire o risolvere i contenziosi tra gli Stati a proposito delle frontiere, è stata istituita nel 1899) le frontiere cominceranno a veder incrinato il loro valore. Cosa che subirà un'accelerazione improvvisa con la seconda ondata di globalizzazione della fine degli anni Settanta portando alla crisi dello Stato-nazione e delle sue istituzioni, frontiere comprese. L'idea di un “mondo piatto”, dovuto alla crescente libera circolazione delle merci nel processo di globalizzazione, tendeva a rendere sempre più irrilevanti le frontiere storiche, geografiche, culturali tra gli Stati.

 

Certamente con la liberalizzazione dei mercati il mondo è diventato molto più ricco e integrato, ma ciò non ha significato che esso sia diventato realmente “più piatto” perchè lo sviluppo economico oggi risulta molto disuguale negli Stati coinvolti in tale processo. L'evoluzione sociale dell'umanità è stata sempre dominata dalla legge dello sviluppo ineguale. Possono essere circostanze storiche o naturali che determinano ciò, ma quando popolazioni e stadi di sviluppo diverso si incontrano si determina una collisione storica.

 

Contro lo scoglio dello sviluppo ineguale si frantuma così l'antico sogno cosmopolita mentre si rileva che “l'appiattimento” riguarda solo alcune aree privilegiate del pianeta. E oggi imponenti movimenti migratori dai Paesi più poveri del mondo sembrano minacciare la stabilità di quelli più ricchi. In Europa l'egoismo nazionale ha vinto quando si è cominciato a negare il diritto d'asilo ai migranti tradendo l'ideale federale della solidarietà tra gli Stati.

 

Questi ultimi, inoltre, malgrado la globalizzazione, hanno continuato a mantenere la tendenza a difendersi dalla intrusione dei mercati altrui nel proprio e una riprova di ciò è sotto gli occhi di tutti noi in questi giorni nel contenzioso commerciale tra le due maggiori potenze economiche del pianeta, USA e Cina.

 

Assistiamo oggi ad un duplice fenomeno, quello del libero mercato dei prodotti legato alla globalizzazione, ma anche quello della imposizione di nuovi dazi con finalità protezionistiche da parte di singoli Stati. La globalizzazione ha anche accelerato lo spostamento dell'asse geo-politico mondiale trasformando in pochi anni la Cina nella seconda potenza economica mondiale.

 

Al tattico ordine esecutivo trumpiano che ha imposto dazi sull'importazione di 1300 prodotti cinesi, Pechino ha risposto con la tassazione su 128 prodotti USA distribuiti nel proprio Paese. Oggi il surplus della Cina verso gli Stati Uniti è pari da solo a quello dei successivi dieci Paesi presenti in questa classifica tra cui c'è anche l'Italia, grande polmone manifatturiero. Quest'ultima e gli altri Paesi della UE vantano allo stesso modo nei confronti degli USA un surplus commerciale di circa 400 miliardi di dollari l'anno e temono anche loro le minacce protezionistiche degli Stati Uniti.

 

Esistono regole nel commercio mondiale, tra le quali anche quella del principio di non discriminazione tra gli Stati partecipanti, che non sono comunque riuscite a frenare la creazione di altre barriere dettate dalla volontà di salvaguardia dei propri interessi. Sembra così che oggi più che mai la disciplina leader, la dimensione decisiva nel rapporto tra gli Stati e quindi tra gli uomini sia diventata l'economia, nuovo destino dell'umanità.

 

Probabilmente Trump minacciando l'imposizione di dazi commerciali otterrà dai partners delle concessioni, perchè gli USA restano l'economia più vasta del pianeta e di conseguenza è un mercato a cui nessuno vuole rinunciare. Secondo gli esperti è questo, però, un rimedio sbagliato alle storture di funzionamento del sistema globale degli scambi perchè in mondo post-protezionista che vive sulla integrazione dei mercati il protezionismo e la chiusura delle frontiere sono la premessa per una guerra generalizzata. D'altra parte l'isolazionismo oggi non è più possibile perchè ogni tipo di produzione è legata da mille fili al mercato globale.

 

Da qualche decennio lo Stato è diventato un agente del mercato e applica le stesse regole del mercato alla sua funzione pubblica creando negli individui riflessi di sfiducia e di calcolo verso gli altri. Nella società di calcolo il disoccupato guarda al migrante come a un concorrente e regioni ricche come la Catalogna mirano a staccarsi dai governi centrali per non mantenere le aree più povere del Paese. In tal senso si possono leggere anche gli slogan autonomistici di alcune nostre regioni dell'Italia settentrionale.

 

Al pluralismo economico ha fatto seguito un pluralismo politico frutto di una percezione errata di quelle conquiste. Così i populisti europei di destra e di sinistra condividono la predisposizione trumpiana ad innalzare barriere identitarie e a ripristinare confini, rivelando una allarmante xenofobia.

 

La linea di separazione tra il perseguimento legittimo dei propri interessi e la religione dell'egoismo si è fatta troppo labile. È sotto i nostri occhi l'emergere di una linea di frattura tra una “mondializzazione felice” e la ripresa di pulsioni nazionalistico-statalistiche di stampo protezionistico, il contrario di quel progetto che ha visto a suo tempo in Europa una cessione di sovranità da parte di alcuni Stati ad autorità sovranazionali in grado di interpretare meglio istanze di interesse collettivo, ancor oggi, forse, l'unica soluzione possibile.

 

“Le frontiere, insomma, sono al tempo stesso senescenti e d'attualità: senescenti, perchè l'integrazione tra i mercati, le migrazioni, le armi intercontinentali, il diritto internazionale e l'informazione digitale hanno intaccato il principio di sovranità di cui esse si facevano garanti; d'attualità, perchè il loro indebolimento ha coinciso con la rottura degli equilibri sociali, con la trasformazione dei rapporti di forza tra le potenze e con il rimescolamento di territori e di identità”.

 

Così sintetizza Manlio Graziano autore di una illuminante ricognizione a livello mondiale del rapporto tra gli Stati in un saggio pubblicato da Il Mulino nel 2017 e intitolato Frontiere, oggi integrato dalla pubblicazione de l'Atlante delle frontiere. Muri, conflitti, migrazioni di Bruno Tertrais e Delphin Papin, in cui attraverso più di quaranta cartine gli Autori spiegano il mondo di oggi.

 

Ma nel mondo di un domani non troppo lontano, fra ottant'anni, si formeranno città enormi che potranno avere quasi il doppio degli abitanti dell'Italia, come prevedono i demografi per Lagos che diverrà la megalopoli più abitata del pianeta, e allora a ragione possiamo affermare che forse il nostro futuro è ancora tutto da scrivere.



 

 

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