[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

196 / APRILE 2024 (CCXXVII)


arte

Friedrich Schlegel E l’amore romantico
da Lucinde a Fülle der Liebe

di Rosa Mazzei

 

Fülle der Liebe (Pienezza dell’amore) è l’ultimo – e quasi sicuramente il più complesso – dei componimenti poetici di Schlegel. Siamo lontani dal periodo panteistico dell’Abendröte e l’uomo che scrive ha un animo profondamente mutato rispetto al libero poeta di pochi anni prima. Il suo credo religioso è un Cattolicesimo romano ortodosso e, con la stessa passione con cui acclamò la Rivoluzione francese, sostiene ora il regime di Metternich.
 
Schlegel si trasferisce a Parigi nel 1802; è alla ricerca di una stabilità economica e di vita, tanto che nel 1804 sposa finalmente Dorothea. Ma il lavoro fisso tarda ad arrivare e i periodi di depressione si fanno sempre più frequenti anche a causa dello scioglimento e allentamento d’importanti rapporti d’amicizia tra cui quello con Schelling, Schleiermacher e suo fratello August Wilhelm. Il suo interesse converge verso il periodo medioevale e rinascimentale e gli studi filosofici si orientano verso i Padri della Chiesa e il misticismo, iniziando un lento processo che avrà come punto culminante la conversione del 1808. Anche politicamente il suo inte- resse muove verso una ricostituzione dell’unità europea. Ma quali mutamenti subisce la poesia schlegeliana in questo breve ma intenso lasso di tempo? Nel porla in relazione con la filosofia, Schlegel non si distacca molto dai suoi più ardui pensieri giovanili continuando a immaginarle indissolubilmente legate. Entrambe condividono lo stesso scopo, ossia la conoscenza della realtà suprema, ma mentre la poesia tende a rappresentarla cercando di intuire il Divino all’interno dell’infinito, la filosofia vuole spiegarla empiricamente ricavandone una conoscenza positiva.
 
Ciò che cambia in questi anni è invece il primato della religione all’interno dell’arte. Tutta l’arte viene messa in relazione con la religione e la poesia tende ad assumere una preminente funzione religiosa.
 Come spiega nei corsi di Colonia la poesia ha una duplice valenza religiosa: la prima tratta la valorizzazione della mitologia in quanto contenente tracce della prima rivelazione, mentre la seconda volge lo sguardo al futuro, portatore di presagi e anticipazioni sul Divino.
 
Certamente questa funzione religiosa della poesia è limitante, ma la forza con cui Schlegel ha virato mutando direzione è tale da fargli considerare la visione degli intellettuali tedeschi come puramente estetica e panteistica, mentre solo Dio e la Verità devono avere il primo posto nelle arti tutte. Il testo di Fülle der Liebe è un canto doloroso di ricordi e sensazioni intimissime narrato in 14 quartine. Ognuna di queste sembra essere un pensiero a sé stante, un piccolo componimento quasi indipendente dagli altri, non fosse per alcune parole chiave del testo che collegano sottilmente un verso a un altro, anche laddove questi risultino appartenenti a quartine diverse.
 
L’intero componimento trabocca di dicotomie e ossimori, espedienti che, se da un lato rafforzano il senso di alcune parole, dall’altro rendono ambiguo il significato della frase. La potenza di questo monologo sta nella forza con cui gli avvenimenti passati riaffiorano, a partire dal momento in cui qualcosa, nella vita dell’uomo che narra la sua storia, è cambiato: il risveglio dello spirito che si trova avvolto dal dolore e cerca una via d’uscita trovandola nel fuoco dell’amore. Il racconto continua in un crescendo emozionale: la conoscenza della passione e del desiderio, la forza coesiva dell’amore, l’immortalità dei sentimenti. Dalla sesta quartina si torna in un luogo interiore doloroso, in cui separazione e morte pare vogliano distruggere la cattedrale d’emozioni che due esseri hanno costruito insieme. Poi ancora luce e speranza in una visione celestiale che stordisce e rapisce i sensi e la certezza che neanche l’abbandono di questa terra o la più lunga distanza possano dividere chi è unito nell’anima. L’ultima quartina pare quasi un’accettazione della condizione di sofferenza a cui l’uomo è destinato a causa del suo essere mortale, soggetto a separarsi dagli amori e dai piaceri terreni. In questa presa di coscienza lo spirito resta intimamente toccato sebbene quasi felice del proprio stato.
 
Desiderio, fuoco, dolore/gioia, unione/separazione, amore/morte: questi sono i temi principali che sostengono l’intera poesia collegando verso per verso le strofe. Opponendosi e alternandosi l’un l’altro in un gioco di stati d’animo contrastanti e sempre agitati.
 
Leggendo Fülle der Liebe ci si trova di fronte a un potente surrogato di quelli che sono i pensieri e le passioni di Julius nel romanzo Lucinde, e solo leggendolo si può avere una visione più chiara della poesia e darne una corretta interpretazione. I parallelismi sono veramente molti e le citazioni talmente palesi da far si che certi accostamenti non siano ritenuti arbitrari.
Il primo verso introduce immediatamente il tema del desiderio, spinta propulsiva della vita, causa prima dell’atto del concepimento e motore costante nella ricerca dell’appagamento delle umane passioni.
 
Ein sehnend Streben Teilt mir das Herz, Bis alles Leben Sich löst in Schmerz...
 
Un desiderio narrato trafigge il mio cuore, finchè tutta la mia vita si dissolva nel dolore...
 
L’ardire di un desiderio non è mai disgiunto dalla frustrazione nel non riuscire a soddisfarlo ma anche e soprattutto dal ritorno a una condizione di ricerca e nuova bramosia non appena questo sia stato saziato. Schlegel dedica un intero capitolo della Lucinde al tema del desiderio, provando a spiegare, per mezzo del dialogo tra Julius e Lucinde, come questo si nutra di se stesso e come solo in questo, paradossalmente, si possa trovare la pace:
 
Julius, fragte Lucinde, warum fühle ich in so heitrer Ruhe die tiefe Sehnsucht? - Nur in der Sehnsucht finden wir die Ruhe, antwortete Julius. Ja die Ruhe ist nur das, wenn unser Geist durch nichts gestört wird, sich zu sehnen und zu suchen, wo er nichts Höheres finden kann als die eigne Sehnsucht.
 
(Julius, chiese Lucinde, perché in tanta serena quiete mi sento struggere dal desiderio? Solo nel desiderio troviamo la pace, rispose Julius, infatti la pace esiste quando il nostro spirito non è turbato da cosa alcuna e può quindi desiderare e cercare se stesso là dove nulla può trovare di più alto del suo desiderio medesimo).
 
Il desiderio può dunque placarsi solo dove lo spirito non sarà turbato dall’idea che possa esistere qualcosa di superiore a esso. Ma l’impossibilità di raggiungere una perfezione insuperabile fa sì che l’animo disperda la propria ricerca e sia vagante in una condizione di dolore e insoddisfazione.
 
L’amore tra Julius e Lucinde è un farmaco miracoloso che cura gli effetti della malattia ma non l’annienta, anzi rende reversibili gli effetti negativi trasformandoli in pace e completezza.
 
Julius: Es ist nicht eitle Fantasie. Unendlich ist nach Dir und ewig unerreicht mein Sehnen. Lucinde: Sei’s was es sei, Du bist der Punkt in dem mein Wesen Ruhe findet. Julius: Die heil’ge Ruhe fand ich nur in jenem Sehnen, Freundin. Lucinde: Und ich in die- ser schönen Ruhe jene heil’ge Sehnsucht. Julius: Ach, daß das harte Licht den Schleier heben darf, der diese Flammen so verhüllte, daß der Sinne Scherz die heiße Seele kühlend lindern mochte! Lucinde: So wird einst ewig kalter ernster Tag des Lebens warme Nacht zer- reißen, wenn Jugend flieht und wenn ich Dir entsage wie Du der großen Liebe größer einst entsagtest. [...] Julius: O ew’ge Sehnsucht! - Doch endlich wird des Tages fruchtlos Sehnen, eitles Blenden sinken und erlöschen, und eine große Liebesnacht sich ewig ruhig fühlen. Lucinde: So fühlt sich, wenn ich sein darf wie ich bin, das weibliche Gemüt in liebeswarmer Brust. Es sehnt sich nur nach Deinem Sehnen, ist ruhig wo Du Ruhe findest.
 
(J: non è vana fantasia. Infinito ed eternamente irraggiunto è il mio desiderio di te. L: Sia come sia, tu sei il punto in cui il mio essere trova pace. J: La pace santa, amica, io la trovai solo in quel desiderio. L: E io in questa pace bella trovai quel santo desiderio. J: Ah, se la luce selvaggia potesse togliere il velo che nascondeva queste fiamme; ah, se il gioco dei sensi potesse lenire con la sua freschezza l’arsura dell’anima! L: Il giorno della vita, eternamente freddo e greve, lacererà la calda notte, quando fuggirà giovinezza e quando io rinuncerò a te come tu più grandemente rinunciasti una volta al grande amore [...] J: Oh eterno desiderio! Cadrà in fine e si estinguerà lo sterile desiderio, il vano barbaglio del giorno e una grande notte d’amore si sentirà eternamente placata. L: Così se mi è lecito so essere come sono, all’animo femminile è dato sentirsi nel cuore bruciante d’amore, amore. Ha soltanto desiderio del tuo desiderio, ha pace là dove tu trovi pace).
 
L’ardente desiderio dei due amanti è per entrambi pace nonostante sia eternamente irraggiunto. Ma questa condizione è solo apparente. La bramosia e l’irrequietezza si palesano nell’attesa della calda notte, delle ore più scure in cui è facile nascondersi e ritrovarsi amanti, accendendo il buio con la luce della passione. Il giorno invece viene descritto con aggettivi luttuosi e tetri; la freddezza tipicamente mortale che gli viene attribuita è in assoluto contrasto col tepore mattutino, prerogativa data invece alla notte.
 
La luminosità della passione è comunque un risveglio, un alito sacro che riporta alla vita con lo stesso dolore della nascita immediatamente placato dalla consolazione dell’amore:
 
In Leid erwachte Der Junge Sinn Und Liebe brachte Zum Ziel mich hin...
 
Il giovane spirito si svegliò nella sofferenza, e l’amore mi condusse al mio scopo...
 
Parrebbe infatti di essere uomini privi di spirito se non si amasse e non si conoscessero le gioie dell’amore. La passione, in quanto eterno desiderio auto-rigenerante, riempie le attese della vita ponendo traguardi sempre più lontani gli uni dagli altri così che, dall’anelito al loro raggiungimento, si prosegua incalzanti verso la via del più completo godimento. Prima che Julius conoscesse Lucinde il suo animo era nostalgico, perso in sospiri d’attesa mai soddisfatti:
 
Und dann gedenke ich wieder plötzlich und rührend der dunkeln Zeit, da ich immer wartete, ohne zu hoffen, und heftig liebte, ohne daß ich es wußte; da mein innerstes Wesen sich ganz in unbestimmte Sehnsucht ergoß und sie nur selten in halb unterdrückten Seufzern aushauchte.
 
(Ed ecco che mi torna improvviso e sconvolgente il ricordo di questi giorni oscuri in cui eterna era l’attesa senza speranza e furibondo l’amore e non lo sapevo; poiché la mia più intima natura si riversava interamente in una nostalgia indistinta e solo di tanto in tanto si effondeva in sospiri a metà soffocati).
 
Una volta giunta la donna, amica e amante, perfetta metà mancante della mela, portatrice di sacralità e pienezza, fonte di vita e, per questo, rappresentazione terrena del divino, la gioia inizia a penetrare, prima sottilmente poi con sempre più prepotenza, nella vita dell’uomo. Bagliori indicano il cammino da percorrere e un fuoco chiaro e forte, non distruttivo ma generatore di luce e calore, eleva lo spirito conducendolo sempre più verso l’alto e mai di nuovo nelle profondità da cui proviene. Perché a chi ha conosciuto l’amore ed ha consumato la passione non è dato di tornare a una condizione di insensibilità; la ricerca di quelle sensazioni diventa ossessiva e il raggiungerle unica ragione di vita.
 
Ihr, edle Flammen, Wecktet mich auf, Es ging mitsammen Zu Gott der Lauf...
 
Voi, nobili fiamme, mi avete elevato; tutto è affluito a Dio...
 
Ein Feuer war es, Das alles treibt, Ein starkes, klares, Das ewig bleibt...
 
Era un fuoco a guidare ogni cosa; un fuoco chiaro e forte che dura per sempre...
 
L’amore che Julius prova per Lucinde è devozione totale, amore completo e immortale che avviluppa i sensi e si perde in un vortice di voluttà e beatitudine. È unità di spiriti affini che si incontrano per la prima volta e si riconoscono, e già sanno che il loro amore non è solo di questo mondo, ma è senza tempo e senza luogo, perché l’amore vero esiste solo se completo, o non esiste affatto.
 
Julius si riscopre con una sensibilità sconosciuta e si guarda dentro, quasi ripiegato su se stesso. Qui scopre scintille di fuoco celeste che tramutano la sua forza maschile in bellezza, il baccanale del suo spirito giovane in armonia dei sensi, e il suo scopo è ora un infinito desiderio d’unità, d’indivisibilità.
 
Und eigentlich brauchen sie nie zu entbehren, weil jener Zauber alles zu ersetzen vermag. [...] Der dritte und höchste Grad ist das bleibende Gefühl von harmonischer Wärme. Welcher Jüngling das hat, der liebt nicht mehr bloß wie ein Mann, sondern zugleich auch wie ein Weib. In ihm ist die Menschheit vollendet, und er hat den Gipfel des Lebens erstiegen.
 
(E in realtà essi non hanno mai bisogno di privarsi perché quella magia può sostituire tutto [...] Il terzo e più alto grado è il sentimento costante di armonioso calore. Quel giovane che lo possiede non ama più soltanto come maschio ma anche come donna. In lui l’umanità è completa ed ha scalato la vetta della vita).
 
Il premio ricevuto dopo una sofferta attesa è l’elevazione spirituale e l’unione immortale con un altro essere; uno sforzo dunque ripagato con l’amore eterno, sacro fuoco ardente di voluttà divina e presente nel petto di ogni uomo o donna, così che la loro unione sia un alimentarsi a vicenda. Schlegel rifiuta l’idea che certi scambi d’anima tra due individui possano avvenire in maniera del tutto casuale; proprio a causa della condizione essenziale del completarsi pare essere predestinato l’amore tra due persone e solo tra quelle, tali che siano l’una il riflesso dell’altra, che a essa si incastrino nella maniera più perfetta. La metà dell’anima di un individuo resterà allora per sempre unita a essa, anche qualora il destino dovesse, tragicamente, separarle.
 
Was wir anstrebten War treu gemeint; Was wir durchlebten, Bleibt tief vereint...
 
Ciò per cui ci siamo sforzati era veramente destinato; ciò che abbiamo passato resta profondamente unito...
 
Nel capitolo della Lucinde intitolato Dithyrambische Fantasie über die schönste Situation, Julius scrive all’amata quanto con lei il suo spirito sia cresciuto e si sia purificato, raggiungendo un’unita e un’armonia insperate, le stesse che rivede in lei ogni volta che la guarda:
 
Wie treu und wie einfach hast du ihn aufgezeichnet, den küh- nen alten Gedanken zu meinem liebsten und geheimsten Vorhaben. In dir ist er groß geworden und in diesem Spiegel scheue ich mich nicht, mich selbst zu bewundern und zu lieben. Nur hier sehe ich mich ganz und harmonisch, oder vielmehr die volle ganze Menschheit in mir und in dir.
 
(Come hai descritto fedelmente e con semplicità l’antico e ardito pensiero del mio più caro, segreto intendimento. In te è diventato grande e in questo specchio non ho paura di ammirarmi e amarmi. Solo in te mi vedo intero e armonico o piuttosto vedo in me e in te la piena, intera umanità).
 
Il suo volto è circondato d’un manto di beatitudine tipico delle visioni mistiche, e nel suo grembo pare rinascere l’intero mondo, reiterando ogni istante il sentimento dell’armonia primigenia:
 
Eine große Zukunft winkt mich eilends weiter ins Unermeßliche hinaus, jede Idee öffnet ihren Schoß und entfaltet sich in unzählige neue Geburten...
 
Un grande avvenire accenna rapido oltre di sé all’immensità, ogni idea dischiude il suo grembo e si dispiega in innumerevoli, nuove nascite...
 
La sfrenatezza della passione proietta immagini passate e future, animate da figure che moltiplicano il desiderio senza acquietarlo mai. È una forza quasi animale che pulsa e scor
re come sangue nelle vene; è fame insaziabile dei sensi:
 
Ich erinnere mich an alles, auch an die Schmerzen, und alle meine ehemaligen und künftigen Gedanken regen sich und stehen wider mich auf. In den geschwollnen Adern tobt das wilde Blut, der Mund durstet nach Vereinigung und unter den vielen Gestalten der Freude wählt und wechselt die Fantasie und findet keine, in der die Begierde sich endlich erfüllen und endlich Ruhe finden könnte.
 
(Mi ricordo di tutto, anche dei dolori, e tutti i miei pensieri passati e futuri si animano e si levano verso di me. Nelle vene turgide infuria il mio sangue selvaggio, la bocca ha sete di congiungimenti e, fra le molte figure della gioia, la fantasia avvicenda le sue scelte senza trovarne alcuna in cui il desiderio possa acquietarsi in fine).
 
Con la stessa forza con cui l’amore regala gioia e vita, felicità e goduria, allo stesso modo, terribilmente, può essere forza distruttrice, portatrice di dolori e sofferenze quando, con la fantasia, ci fa intravedere la possibilità di perdere un giorno la persona amata; di perderla con la morte, con una dipartita definitiva che trasforma l’oggetto dei desideri, turgido e vivo, in qualcosa di greve e freddamente mortale.
 
Julius viene a conoscenza, tramite una lettera, che Lucinde è ammalata e, nonostante nella lettera successiva gli porta la lieta notizia della sua completa guarigione, lo sconforto in cui precipita è tale da sconvolgere i suoi pensieri e trascinarlo in un vortice immaginifico in cui egli raffigura a se stesso la morte dell’amata, non solo nel giorno dell’avvenimento, ma in tutti gli anni futuri che vivrà in sua assenza e nei quali quotidianamente la morte di lei si perpetuerà. È un viaggio dalla giovinezza fulgida e vigorosa alla più acromatica e silente vecchiaia. Il suo pensiero sulla morte di lei era però già un ricordo della sua morte e, nell’immaginarla, non ne soffriva come fossa una tragedia appena vissuta, ma come un dolore già maturato con cui ha imparato a convivere, come se tanto tempo fosse passato e avesse già steso il velo triste dell’accettazione. Lei riposava già da tanto nel suo letto di terra e questa luttuosa visione si confondeva spesso con la figura viva e pallida di lei, con l’ultimo bagliore nei suoi occhi neri che ora lo fissano continuamente come stelle che brillano sulla nostra miseria:
 
Ich dachte es mir gar nicht als noch künftig oder als geschehe es jetzt. Alles war vergangen; schon lange warst du im Schoß der kühlen Erde verhüllt, Blumen keimten allmählich auf dem geliebten Grabe, und meine Tränen flossen schon milder. Stumm und einsam stand ich und sah nichts als die geliebten Züge und die süßen Blitze der sprechenden Augen. Unbeweglich blieb dieses Bild vor mir, nur trat bisweilen das bleiche Gesicht des letzten Lächelns und des letzten Schlummers leise an die Stelle, oder plötzlich verwirrten sich die verschiedenen Erinnerungen. Mit unglaublicher Schnelle veränderten sich die Umrisse, kehrten zur ersten Gestalt zurück, und verwandelten sich von neuem, bis der überspannten Einbildung alles verschwand. Nur deine heiligen Augen blieben im leeren Raum und standen unbeweglich da, wie die freundlichen Sterne ewig über unsrer Armut schimmern. Unverrückt schaute ich nach den schwarzen Lichtern, die mit bekanntem Lächeln in die Nacht meiner Trauer winkten.
 
(Pensavo alla morte non come a qualcosa di futuro o di presente. Tutto era trascorso; da molto tempo giacevi celata nel grembo della fredda terra, fiori germogliavano a poco a poco sulla tomba amata e le mie lacrime sgorgavano più pacate. Muto e solo vedevo soltanto i lineamenti amati e i dolci bagliori degli occhi eloquenti. Immota rimaneva quest’immagine dinanzi a me e solo di quando in quando la pallida visione dell’ultimo sorriso e dell’ultimo torpore si sostitutiva delicatamente a essa oppure i diversi ricordi si confondevano all’improvviso. I contorni si trasformavano con incredibile rapidità, tornavano alla forma primitiva e subivano una nuova metamorfosi fino a che tutto scompari- va all’immaginazione esaltata. Nel vuoto spazio rimaneva- no soltanto i tuoi santi occhi e se ne stavano immoti come le stelle amiche che scintillano eternamente sulla nostra miseria. Guardavo fissamente quelle nere luci che nella notte del mio lutto accennavano un conosciuto sorriso).
 
Julius si sveglia da questo stato di sogno, ma non riesce del tutto a uscirne. Si sofferma su un particolare: la sua sofferenza equivaleva ad ammettere di trovarsi, come tutti gli uomini, nell’impotenza di agire. Questa condizione di meschinità non fa altro che affermare la centralità di ogni cosa terrena, quindi l’ordine costituito delle cose che si oppone al caos in quanto statico e sterile, mentre quest’ultimo è generativo e in eterno mutamento. Se si riuscisse a desiderare la morte, o la malattia, o comunque una condizione di sofferenza si andrebbe contro la normalità degli avvenimenti e della natura umana. Questo pensiero porta Julius a essere quasi felice dei suoi pensieri mortale e a considerare la sua condizione come quella di un malato che nel suo dolore stesso trova conforto:
 
Ich war krank und litt viel, aber ich liebte meine Krankheit und hieß selbst den Schmerz willkommen. Ich haßte alles Irdische und freute mich, daß es bestraft und zerrüttet würde; ich fühlte mich so allein und so sonderbar, und wie ein zarter Geist oft mitten im Schoß des Glücks über seine eigne Freude wehmütig wird, und uns grade auf dem Gipfel des Daseins das Gefühl seiner Nichtigkeit überfällt, so schaute ich mit geheimer Lust auf meinen Schmerz.
 
(Ero malato e soffrivo molto, ma amavo la mia malattia e detti il benvenuto persino alla sofferenza. Odiavo ogni cosa terrena e mi rallegravo che fosse punita e ridotta a pezzi; mi sentivo così solo e strano e come uno spirito delicato spesso si rattrista della sua stessa gioia, pur trovandosi nel cuore della felicità, come ci sorprende proprio al culmine dell’esistenza il senso della sua nullità, così guardai il mio dolore con un segreto piacere).
 
La sesta e la settima quartina della poesia riassumono perfettamente queste righe della Lucinde:
 
Da trat ein Scheiden Mir in die Brust; Das tiefe Leiden Der Liebeslust...
 
Poi una separazione mi entrò nel petto; il profondo dispiacere della gioia dell’amore...
 
Im Seelengrunde Wohnt mire in Bild, Die Todeswunde Ward nie gestillt...
 
Nelle profondità della mia anima dimora un’immagine, la ferita mortale non guarì mai...
 
La separazione che si apre nel petto è il desiderio contrastante di vita e morte, la speranza che il lutto sia sempre lontano da ciò che si ama e che le passioni e gli amori della giovinezza siano per sempre; la paura di scadere nel ‘mortale sentimento’ che stabilisce che gli esseri umani abbiano certi timori, ne soffrano e tengano a debita distanza alcune grevi fantasie, fa però sì che la morte e il dolore siano quasi un auspicio, perché comunque emozioni e sentimenti potenti, alieni dalla noia e dall’ordine delle cose, anzi pronti proprio a distruggere quest‘ordine in chiunque lo usi come scudo per prevenire le sofferenze. La presenza della malattia implica la lotta alla sopravvivenza, la disperata ricerca della guarigione. Essa si carica di una tale energia da diventare quasi vita e mondo a sé stante.
 
Nella settima quartina appare l’immagine trasfigurata dell’amata, ancora sospesa tra malattia e morte, meravigliosa nel suo splendore divino datole, oltre che dall’essere donna, proprio dal suo stato di grazia. Gli ultimi due versi presentano una palese contraddizione: una ferita mortale dovrebbe, ovviamente, condurre alla morte, invece rimane non guarita, aperta e sanguinante, sì, ma proprio per questo viva. La ferita mortale è il sogno/desiderio di Julius sulla malattia e morte di Lucinde che ritroviamo ancora una volta nell’ottava e nona quartina di Fülle der Liebe:
 
Viel tausend Tränen Flossen hinab, Ein ewig Sehnen Zu ihr ins Grab...
 
Migliaia di lacrime caddero giù, un eterno desiderio per lei nella tomba...
 
In Liebewogen Wallet der Geist Bis fortgezogen Die Brust zerreist...
 
Lo spirito si gonfiain onde d’amore, 
finchè, quando questo ci ha lasciato il cuore si spezza...
 
Al termine di questa strana fantasia egli si risveglia spaventato e angosciato dai suoi pensieri e dalle sue visioni. Sarà per sempre ossessionato dalle immagini vedute e dal senso di soavità e pienezza di spirito provati nel vedere la figura della sua donna defunta; ma al risveglio si ripresenta forte anche la certezza dell’amore terreno per lei, della loro inscindibile unità e del loro far parte del tutto, pur rimanendo per la vita solo un frammento di esso. La presa di coscienza più importante riguarda la naturalezza con cui tutto ciò che è sbocciato e fiorito, naturalmente propenda verso il declino. Una rassegnazione alla morte che la fa apparire più bella e dolce. Morire è dunque portare a termine un lungo viaggio e tornare, finalmente, all’agognata patria:
 
Und dann weiß ich’s nun, daß der Tod sich auch schön und süß fühlen läßt. Ich begreife, wie das freie Gebildete sich in der Blüte aller Kräfte nach seiner Auflösung und Freiheit mit stiller Liebe sehnen und den Gedanken der Rückkehr freudig anschauen kann wie eine Morgensonne der Hoffnung.
 
(E ora so che la morte si fa sentire anche bella e dolce. Ciò che si è liberamente formato nella fioritura di tutto il suo vigore - ora lo comprendo - può desiderare ardentemente con silenzioso amore, di dissolversi e di liberarsi, e può guardare con gioia il ritorno come il sole mattutino della speranza).
 
Il binomio amore/morte è spesso accompagnato da un altro accostamento dicotomico, ossia culla/bara; un modo di immaginare il nostro corpo disteso e addormentato alla nascita e nella stessa posizione, ma senza possibilità di risveglio, alla morte. Culla e bara sono comunque gusci che ci proteggono e racchiudono prima e dopo la nostra vita da uomini eretti; sono la nostra prima casa (dopo il grembo materno) e anche l’ultima. La casa, eterno luogo di fuga e allo stesso tempo meta sospirata di ogni viandante, chiudendoci tra quattro mura amplia il desiderio di libertà e di evasione. Da questo desiderio ha inizio il viaggio, ha inizio la vita e il concatenarsi di esperienze. Se Lucinde fosse realmente morta Julius non avrebbe più avuto alcuna ragione per proseguire questo cammino; si sarebbe fidato dello scintillio dei suoi occhi neri che, come stelle di lassù, gli indicavano gli ultimi passi verso di lei, verso l’ultima patria e l’unica vera libertà.
 
Ein Stern erschien Mir vom Paradies; Und dahin flieh’n Wir vereint gewiss...
 
Una stella mi apparve dal Paradiso;
 e lì, uniti certamente noi fuggiremo via...
 
Ma forse il senso di questi versi è reso più chiaro da alcuni frammenti del romanzo, che ridipingono lo stato d’animo quasi ipnotico di Julius, che così scrive all’amata nella Zweiter Brief:
 
Da erschienst Du mir bedeutend und winktest tödlich. Schon ergriff mich ein herzliches Verlangen nach Dir und nach der Freiheit; ich sehnte mich nach dem geliebten alten Vaterlande und wollte eben den Staub der Reise von mir schütteln, als ich wieder ins Leben gerufen ward durch das Verheißen und die Gewißheit deiner Genesung.
 
(Mi apparisti allora maestosa e con un cenno di morte. Già mi afferrava un bisogno estremo di te e della libertà; anelavo all’amata antica patria e stavo per scuotermi di dosso la polvere del viaggio quando fui chiamato di nuovo in vita dalla promessa e dalla sicurezza che eri guarita).
 
Dopo queste ultime quartine in cui la tomba e la morte primeggiano tristemente ma infondo anche con serena rassegnazione, Schlegel torna indietro, proponendo un’altra tematica presente nella Lucinde: quella dell’essere madre. Du wirst Mutter sein! (Sarai madre). L’affermazione di Julius nel capitolo Zwei Briefe contiene una gioia particolare che brilla di un’aura sacra, una felicità che la passione e lo struggente desiderio di amante non gli avevano mai dato. La sacralità che possiede una donna gravida si infonde nelle persone che essa ama e nell’uomo con cui essa ha concepito il figlio. Il figlio stesso è dono celeste poiché sta a rappresentare come i due genitori non siano state sterili figure unite solo parzialmente da un amore altrettanto vano, ma elementi naturali completi e decisivi per il rigenerarsi dell’umanità. Il neonato è l’eterna manifestazione dell’indissolubilità di quell’amore, un miracolo creato per essere ricevuto da tutti e di cui due mortali possono dirsi fautori innalzandosi al di sopra delle altre creature:
 
Was vorher war zwischen uns, ist nur Liebe gewesen und Leidenschaft. Nun hat uns die Natur inniger verbunden, ganz und unauflöslich. [...] Wir sind nicht etwa taube Blüten unter den Wesen, die Götter wollen uns nicht ausschließen aus der großen Verkettung aller wirkenden Dinge, und geben uns deutli- che Zeichen. So laß uns denn unsre Stelle in dieser schönen Welt verdienen, laß uns auch die unsterblichen Früchte tragen, die der Geist und die Willkür bildet, und laß uns eintreten in den Reigen der Menschheit.
 
(Ciò che esisteva prima tra noi è stato solo amore e passione. Ora la natura ci ha legato più intimamente in modo completo e indissolubile [...] Noi non siamo sterili fiori tra le creature umane, gli dei non vogliono escluderci dal grande concatenarsi di ogni attivo elemento e ce ne danno chiari disegni. Lasciaci quindi meritare il nostro posto in questo bel mondo, lasciaci anche portare i frutti immortali generati dallo spirito e dall’arbitrio e lasciaci entrare nel girotondo dell’umanità).
 
Il figlio è l’anello mancante della catena per mezzo del quale si ripropone ancora una volta la Sacra Famiglia, venerata dalla religione Cristiana Cattolica. Se la donna è già santa immagine della Vergine, l’essere madre le consentirà di diventare addirittura Madonna e il frutto che stringerà sul suo seno non sarà solo figlio suo, ma raffigurazione vivente del figlio di Dio:
 
Weißt du noch, wie ich dir schrieb, keine Erinnerung könne dich mir entweihen, du seist ewig rein wie die heilige Jungfrau von unbeflecktem Empfängnis, und nichts fehle dir zur Madonna wie das Kind?
 
(Ti scrissi, rammenti ancora, che nessun ricordo può profanarti ai miei occhi, che sei eternamente pura come la Santa Vergine dell’Immacolata concezione e che per essere la Madonna ti manca solo il figlio?).
 
L’undicesima quartina di Fülle der Liebe racconta la casta gioia dell’uomo che apprende di essere diventato padre, la serenità del suo animo che prende il posto dell’amore energico e della sfrenatezza, quasi irresponsabile, della gioventù. Eppure è un passaggio cruciale della vita reso ancora più arduo e importante dalla sua irreversibilità. Un altro esempio della centralità delle cose che, seppur create da una duplice mano, risplendono di unicità e immortalità. Dall’abbraccio voluttuoso di due amanti nasce e si avvera il perpetuo miracolo della natura che restituisce all’umanità delle creature l’originaria divinità:
 
Hier noch befeuchtet Der Blick sich lind, Wenn mich umleuchtet, Dies Himmelskind.
 
(Qui la mia guancia è ancora bagnata di lacrime gentili quando intorno a me splende questo bambino celestiale).
 
La dodicesima quartina è un ritorno improvviso alle impressioni più forti vissute da amante, da uomo e non ancora da padre. Quasi un nostalgico tuffo nelle emozioni terrene la cui pienezza di frenesia e godimento contrastano nettamente con la tranquillità di un amore vissuto sotto il vincolo del matrimonio e l’impegno della paternità.
 
Ein Zauber waltet Jetzt über mich Und der gestaltet Dies all’nach sich...
 
Un profumo magico mi rende ora schiavo, modellando tutto a suo modo...
 
Dallo sbocciare di questa nuova vita si diffonde il profumo di un’altra primavera, e così Julius avverte i suoi sensi scivolare in un dolce oblio e lì mescolarsi a ricordi di gioia e amore ma anche di dolore. Da quest’alchimia di sensazioni fiorisce ancora una volta la passione mai finita per la sua donna, fluente silenziosa come il fuoco nelle viscere di un vulcano all’apparenza spento. Torna, come l’effetto di una droga, il desiderio lascivo d’abbandono e la bramosia del possedersi, non molto diversa dall’estasi religiosa, palesata con veemenza dalle parole di Julius nel primo capitolo del romanzo:
 
Aber gern und tief verlor ich mich in alle die Vermischungen und Verschlingungen von Freude und Schmerz, aus denen die Würze des Lebens und die Blüte der Empfindung hervorgeht, die geistige Wollust wie die sinnliche Seligkeit. Ein feines Feuer ström- te durch meine Adern; was ich träumte, war nicht etwa bloß ein Kuß, die Umschließung deiner Arme, es war nicht bloß der Wunsch, den quälenden Stachel der Sehnsucht zu brechen und die süße Glut in Hingebung zu kühlen; [...] wir umarmten uns mit eben so viel Ausgelassenheit als Religion.
 
(Volentieri e profondamente dimenticai me stesso in tutte quelle mescolanze e quegli intrecci della gioia e del dolore da cui s’effonde l’aroma della vita e il fiorire della sensazione, la voluttà dello spirito come la beatitudine dei sensi. Mi fluiva per le vene un fuoco sottile; ciò che sogna- vo non era soltanto un bacio o lo stridermi delle tue braccia, non era soltanto il desiderio di frangere il pungolo tormentoso della nostalgia e di dare all’ardore dolce il desiderio dell’abbandono [...] eravamo l’uno nelle braccia dell’altra con frenesia pari all’estasi religiosa).
 
Il testo di Fülle der Liebe non segue affatto l’ordine cronologico degli avvenimenti, ma questo rispecchia perfettamente i moti dell’animo che avanzano e trascinano dietro sé, come l’onda e la risacca, attimi presenti, proiezioni di un incerto futuro e ritratti di un tempo passato. Non c’è da meravigliar- si, dunque, se questi ultimi versi paiono ricondurci alla quarta e quinta strofa riesumando un discorso, in realtà mai morto, che si muove sul filo dell’inseparabilità di due anime simili e amanti.
 
Als ob uns vermähle Geistegewalt, Wo Seel’in Seele Hinüber wallt...
 
Come se un potere spirituale ci unisse dove l’anima affluisce nell’anima...
 
Così la penultima quartina ribadisce ancora una volta come tutta l’estasi che siamo capaci di vivere sia in realtà celata da tempo dentro l’anima del nostro amante per cui l’uno rappresenta per l’altro il tutto; come l’amare e l’essere amati sia una fame insaziabile che rende eterno il sentimento cancellando distanze e mezzi di comunicazione, collegando i sensi dell’uomo a quelli della sua donna così che possano vedersi e sentirsi, percepirsi e accarezzarsi laddove le loro menti si incontrano e le anime si fondono in un connubio infinito:
 
Du willst wissen, was mich umgibt, wo, wann und wie ich alles tue, lebe und bin? - Sieh doch um dich, auf dem Stuhl neben dir, in deinen Armen, an deinem Herzen, da lebe und bin ich.
 
(Vuoi sapere cosa mi circonda? Dove, come e quando lavoro, dove vivo e sono? Guardati intorno, sulla sedia accanto a te, fra le tue braccia, sul tuo cuore: là vivo, là sono io).
 
A rendere complessa l’interpretazione di questa poesia è la mescolanza di più tipi d’amore che un individuo ha la possibilità di provare durante la sua vita. Ognuno è profondamente diverso dall’altro e l’uno non è condizione necessaria dell’altro. Purtuttavia essi tendono a cedersi il posto, così come fa l’adolescenza con la maturità; ma se durante la giovinezza si anela alla crescita e al raggiungimento dell’età adulta, in questo secondo periodo della vita si riguarda nostalgicamente indietro mentre il tempo, tristemente, incede. Probabilmente gli amori tra cui l’animo di Schlegel, con difficoltà, si divide sono, da un lato quello per la natura, collegato al suo più florido e vivido periodo panteistico, in cui l’energia rigogliosa del creato era fonte di nutrimento per il suo spirito, assetato di passioni e stravolgimenti, e dall’altro quello per il nuovo Dio, sacro e vincolato da sodalizi e promesse, ma immortale e imperscrutabile nella sua divinità.
 
Il dolore per questo stato di passaggio da un sentimento all’altro è necessario dazio per accedere a una maturità spirituale più consona forse al periodo e agli avvenimenti storico-politici che al suo animo. Volendo tornare al Romanzo anche l’ultima quartina di Fülle der Liebe è una sorta di variazione sul tema dicotomico amore/morte e sull’ossimoro dei vv 3 e 4 della sesta strofa Das tiefe Leiden/Der Liebeslust. Questo ci riconduce alla Zweiter Briefe, al sogno a occhi aperti della morte di lei e al desiderio di vedere la sua figura nella tomba, così da poterla ancor più divinizzare e, con lei, anelare a raggiungerla nell’immortalità. La ferità che questa luttuosa speranza ha creato in lui non è mai guarita, ma gronda ancora sangue e crea uno strappo insanabile nella sua anima. Né l’energia vitale della passione, né l’amore sereno e celestiale per la moglie/madre riescono a cancellare la visione di lei trapassata e la sua gioia nell’immaginare il suo amore ormai lontano dalla banalità e dalla grossolanità delle cose terrene, ma meritatamente fluttuante nella sacralità dei cieli.
 
Ob auch zerspalten Mir ist das Herz, Selig doch alten Will ich den Schmerz...
 
Sebbene la mia anima sia spezzata in due, considero il mio dispiacere una
benedizione...

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

F. Schlegel, Lucinde, Insel, Frankfurt am Main 1985.

R. Mazzei, Il ciclo Abendröte. Le poesie di Friedrich Schlegel nella liederistica di Franz Schubert. GB EditoriA, Roma 2008.

The Hyperion Schubert Edition, Londra 1996.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]