Friedrich Schlegel E l’amore
romantico
da Lucinde a Fülle der
Liebe
di Rosa Mazzei
Fülle der Liebe
(Pienezza dell’amore) è l’ultimo – e
quasi sicuramente il più complesso –
dei componimenti poetici di Schlegel.
Siamo lontani dal periodo
panteistico dell’Abendröte e l’uomo
che scrive ha un animo profondamente
mutato rispetto al libero poeta di
pochi anni prima. Il suo credo
religioso è un Cattolicesimo romano
ortodosso e, con la stessa passione
con cui acclamò la Rivoluzione
francese, sostiene ora il regime di
Metternich.
Schlegel si trasferisce a Parigi nel
1802; è alla ricerca di una
stabilità economica e di vita, tanto
che nel 1804 sposa finalmente
Dorothea. Ma il lavoro fisso tarda
ad arrivare e i periodi di
depressione si fanno sempre più
frequenti anche a causa dello
scioglimento e allentamento
d’importanti rapporti d’amicizia tra
cui quello con Schelling,
Schleiermacher e suo fratello August
Wilhelm. Il suo interesse converge
verso il periodo medioevale e
rinascimentale e gli studi
filosofici si orientano verso i
Padri della Chiesa e il misticismo,
iniziando un lento processo che avrà
come punto culminante la conversione
del 1808. Anche politicamente il suo
inte- resse muove verso una
ricostituzione dell’unità europea.
Ma quali mutamenti subisce la poesia
schlegeliana in questo breve ma
intenso lasso di tempo? Nel porla in
relazione con la filosofia, Schlegel
non si distacca molto dai suoi più
ardui pensieri giovanili continuando
a immaginarle indissolubilmente
legate. Entrambe condividono lo
stesso scopo, ossia la conoscenza
della realtà suprema, ma mentre la
poesia tende a rappresentarla
cercando di intuire il Divino
all’interno dell’infinito, la
filosofia vuole spiegarla
empiricamente ricavandone una
conoscenza positiva.
Ciò che cambia in questi anni è
invece il primato della religione
all’interno dell’arte. Tutta l’arte
viene messa in relazione con la
religione e la poesia tende ad
assumere una preminente funzione
religiosa.
Come spiega nei corsi di
Colonia la poesia ha una duplice
valenza religiosa: la prima tratta
la valorizzazione della mitologia in
quanto contenente tracce della prima
rivelazione, mentre la seconda volge
lo sguardo al futuro, portatore di
presagi e anticipazioni sul Divino.
Certamente questa funzione religiosa
della poesia è limitante, ma la
forza con cui Schlegel ha virato
mutando direzione è tale da fargli
considerare la visione degli
intellettuali tedeschi come
puramente estetica e panteistica,
mentre solo Dio e la Verità devono
avere il primo posto nelle arti
tutte. Il testo di Fülle der Liebe è
un canto doloroso di ricordi e
sensazioni intimissime narrato in 14
quartine. Ognuna di queste sembra
essere un pensiero a sé stante, un
piccolo componimento quasi
indipendente dagli altri, non fosse
per alcune parole chiave del testo
che collegano sottilmente un verso a
un altro, anche laddove questi
risultino appartenenti a quartine
diverse.
L’intero componimento trabocca di
dicotomie e ossimori, espedienti
che, se da un lato rafforzano il
senso di alcune parole, dall’altro
rendono ambiguo il significato della
frase. La potenza di questo monologo
sta nella forza con cui gli
avvenimenti passati riaffiorano, a
partire dal momento in cui qualcosa,
nella vita dell’uomo che narra la
sua storia, è cambiato: il risveglio
dello spirito che si trova avvolto
dal dolore e cerca una via d’uscita
trovandola nel fuoco dell’amore. Il
racconto continua in un crescendo
emozionale: la conoscenza della
passione e del desiderio, la forza
coesiva dell’amore, l’immortalità
dei sentimenti. Dalla sesta quartina
si torna in un luogo interiore
doloroso, in cui separazione e morte
pare vogliano distruggere la
cattedrale d’emozioni che due esseri
hanno costruito insieme. Poi ancora
luce e speranza in una visione
celestiale che stordisce e rapisce i
sensi e la certezza che neanche
l’abbandono di questa terra o la più
lunga distanza possano dividere chi
è unito nell’anima. L’ultima
quartina pare quasi un’accettazione
della condizione di sofferenza a cui
l’uomo è destinato a causa del suo
essere mortale, soggetto a separarsi
dagli amori e dai piaceri terreni.
In questa presa di coscienza lo
spirito resta intimamente toccato
sebbene quasi felice del proprio
stato.
Desiderio, fuoco, dolore/gioia,
unione/separazione, amore/morte:
questi sono i temi principali che
sostengono l’intera poesia
collegando verso per verso le
strofe. Opponendosi e alternandosi
l’un l’altro in un gioco di stati
d’animo contrastanti e sempre
agitati.
Leggendo Fülle der Liebe ci si trova
di fronte a un potente surrogato di
quelli che sono i pensieri e le
passioni di Julius nel romanzo
Lucinde, e solo leggendolo si può
avere una visione più chiara della
poesia e darne una corretta
interpretazione. I parallelismi sono
veramente molti e le citazioni
talmente palesi da far si che certi
accostamenti non siano ritenuti
arbitrari.
Il primo verso introduce
immediatamente il tema del
desiderio, spinta propulsiva della
vita, causa prima dell’atto del
concepimento e motore costante nella
ricerca dell’appagamento delle umane
passioni.
Ein sehnend Streben Teilt mir das
Herz, Bis alles Leben Sich löst in
Schmerz...
Un desiderio narrato trafigge il mio
cuore, finchè tutta la mia vita si
dissolva nel dolore...
L’ardire di un desiderio non è mai
disgiunto dalla frustrazione nel non
riuscire a soddisfarlo ma anche e
soprattutto dal ritorno a una
condizione di ricerca e nuova
bramosia non appena questo sia stato
saziato. Schlegel dedica un intero
capitolo della Lucinde al tema del
desiderio, provando a spiegare, per
mezzo del dialogo tra Julius e
Lucinde, come questo si nutra di se
stesso e come solo in questo,
paradossalmente, si possa trovare la
pace:
Julius, fragte Lucinde, warum fühle
ich in so heitrer Ruhe die tiefe
Sehnsucht? - Nur in der Sehnsucht
finden wir die Ruhe, antwortete
Julius. Ja die Ruhe ist nur das,
wenn unser Geist durch nichts
gestört wird, sich zu sehnen und zu
suchen, wo er nichts Höheres finden
kann als die eigne Sehnsucht.
(Julius, chiese Lucinde, perché in
tanta serena quiete mi sento
struggere dal desiderio? Solo nel
desiderio troviamo la pace, rispose
Julius, infatti la pace esiste
quando il nostro spirito non è
turbato da cosa alcuna e può quindi
desiderare e cercare se stesso là
dove nulla può trovare di più alto
del suo desiderio medesimo).
Il desiderio può dunque placarsi
solo dove lo spirito non sarà
turbato dall’idea che possa esistere
qualcosa di superiore a esso. Ma
l’impossibilità di raggiungere una
perfezione insuperabile fa sì che
l’animo disperda la propria ricerca
e sia vagante in una condizione di
dolore e insoddisfazione.
L’amore tra Julius e Lucinde è un
farmaco miracoloso che cura gli
effetti della malattia ma non
l’annienta, anzi rende reversibili
gli effetti negativi trasformandoli
in pace e completezza.
Julius: Es ist nicht eitle Fantasie.
Unendlich ist nach Dir und ewig
unerreicht mein Sehnen. Lucinde:
Sei’s was es sei, Du bist der Punkt
in dem mein Wesen Ruhe findet.
Julius: Die heil’ge Ruhe fand ich
nur in jenem Sehnen, Freundin.
Lucinde: Und ich in die- ser schönen
Ruhe jene heil’ge Sehnsucht. Julius:
Ach, daß das harte Licht den
Schleier heben darf, der diese
Flammen so verhüllte, daß der Sinne
Scherz die heiße Seele kühlend
lindern mochte! Lucinde: So wird
einst ewig kalter ernster Tag des
Lebens warme Nacht zer- reißen, wenn
Jugend flieht und wenn ich Dir
entsage wie Du der großen Liebe
größer einst entsagtest. [...]
Julius: O ew’ge Sehnsucht! - Doch
endlich wird des Tages fruchtlos
Sehnen, eitles Blenden sinken und
erlöschen, und eine große
Liebesnacht sich ewig ruhig fühlen.
Lucinde: So fühlt sich, wenn ich
sein darf wie ich bin, das weibliche
Gemüt in liebeswarmer Brust. Es
sehnt sich nur nach Deinem Sehnen,
ist ruhig wo Du Ruhe findest.
(J: non è vana fantasia. Infinito ed
eternamente irraggiunto è il mio
desiderio di te. L: Sia come sia, tu
sei il punto in cui il mio essere
trova pace. J: La pace santa, amica,
io la trovai solo in quel desiderio.
L: E io in questa pace bella trovai
quel santo desiderio. J: Ah, se la
luce selvaggia potesse togliere il
velo che nascondeva queste fiamme;
ah, se il gioco dei sensi potesse
lenire con la sua freschezza
l’arsura dell’anima! L: Il giorno
della vita, eternamente freddo e
greve, lacererà la calda notte,
quando fuggirà giovinezza e quando
io rinuncerò a te come tu più
grandemente rinunciasti una volta al
grande amore [...] J: Oh eterno
desiderio! Cadrà in fine e si
estinguerà lo sterile desiderio, il
vano barbaglio del giorno e una
grande notte d’amore si sentirà
eternamente placata. L: Così se mi è
lecito so essere come sono,
all’animo femminile è dato sentirsi
nel cuore bruciante d’amore, amore.
Ha soltanto desiderio del tuo
desiderio, ha pace là dove tu trovi
pace).
L’ardente desiderio dei due amanti è
per entrambi pace nonostante sia
eternamente irraggiunto. Ma questa
condizione è solo apparente. La
bramosia e l’irrequietezza si
palesano nell’attesa della calda
notte, delle ore più scure in cui è
facile nascondersi e ritrovarsi
amanti, accendendo il buio con la
luce della passione. Il giorno
invece viene descritto con aggettivi
luttuosi e tetri; la freddezza
tipicamente mortale che gli viene
attribuita è in assoluto contrasto
col tepore mattutino, prerogativa
data invece alla notte.
La luminosità della passione è
comunque un risveglio, un alito
sacro che riporta alla vita con lo
stesso dolore della nascita
immediatamente placato dalla
consolazione dell’amore:
In Leid erwachte Der Junge Sinn Und
Liebe brachte Zum Ziel mich hin...
Il giovane spirito si svegliò nella
sofferenza, e l’amore mi condusse al
mio scopo...
Parrebbe infatti di essere uomini
privi di spirito se non si amasse e
non si conoscessero le gioie
dell’amore. La passione, in quanto
eterno desiderio auto-rigenerante,
riempie le attese della vita ponendo
traguardi sempre più lontani gli uni
dagli altri così che, dall’anelito
al loro raggiungimento, si prosegua
incalzanti verso la via del più
completo godimento. Prima che Julius
conoscesse Lucinde il suo animo era
nostalgico, perso in sospiri
d’attesa mai soddisfatti:
Und dann gedenke ich wieder
plötzlich und rührend der dunkeln
Zeit, da ich immer wartete, ohne zu
hoffen, und heftig liebte, ohne daß
ich es wußte; da mein innerstes
Wesen sich ganz in unbestimmte
Sehnsucht ergoß und sie nur selten
in halb unterdrückten Seufzern
aushauchte.
(Ed ecco che mi torna improvviso e
sconvolgente il ricordo di questi
giorni oscuri in cui eterna era
l’attesa senza speranza e furibondo
l’amore e non lo sapevo; poiché la
mia più intima natura si riversava
interamente in una nostalgia
indistinta e solo di tanto in tanto
si effondeva in sospiri a metà
soffocati).
Una volta giunta la donna, amica e
amante, perfetta metà mancante della
mela, portatrice di sacralità e
pienezza, fonte di vita e, per
questo, rappresentazione terrena del
divino, la gioia inizia a penetrare,
prima sottilmente poi con sempre più
prepotenza, nella vita dell’uomo.
Bagliori indicano il cammino da
percorrere e un fuoco chiaro e
forte, non distruttivo ma generatore
di luce e calore, eleva lo spirito
conducendolo sempre più verso l’alto
e mai di nuovo nelle profondità da
cui proviene. Perché a chi ha
conosciuto l’amore ed ha consumato
la passione non è dato di tornare a
una condizione di insensibilità; la
ricerca di quelle sensazioni diventa
ossessiva e il raggiungerle unica
ragione di vita.
Ihr, edle Flammen, Wecktet mich auf,
Es ging mitsammen Zu Gott der Lauf...
Voi, nobili fiamme, mi avete
elevato; tutto è affluito a Dio...
Ein Feuer war es, Das alles treibt,
Ein starkes, klares, Das ewig bleibt...
Era un fuoco a guidare ogni cosa; un
fuoco chiaro e forte che dura per
sempre...
L’amore che Julius prova per Lucinde
è devozione totale, amore completo e
immortale che avviluppa i sensi e si
perde in un vortice di voluttà e
beatitudine. È unità di spiriti
affini che si incontrano per la
prima volta e si riconoscono, e già
sanno che il loro amore non è solo
di questo mondo, ma è senza tempo e
senza luogo, perché l’amore vero
esiste solo se completo, o non
esiste affatto.
Julius si riscopre con una
sensibilità sconosciuta e si guarda
dentro, quasi ripiegato su se
stesso. Qui scopre scintille di
fuoco celeste che tramutano la sua
forza maschile in bellezza, il
baccanale del suo spirito giovane in
armonia dei sensi, e il suo scopo è
ora un infinito desiderio d’unità,
d’indivisibilità.
Und eigentlich brauchen sie nie zu
entbehren, weil jener Zauber alles
zu ersetzen vermag. [...] Der dritte
und höchste Grad ist das bleibende
Gefühl von harmonischer Wärme.
Welcher Jüngling das hat, der liebt
nicht mehr bloß wie ein Mann,
sondern zugleich auch wie ein Weib.
In ihm ist die Menschheit vollendet,
und er hat den Gipfel des Lebens
erstiegen.
(E in realtà essi non hanno mai
bisogno di privarsi perché quella
magia può sostituire tutto [...] Il
terzo e più alto grado è il
sentimento costante di armonioso
calore. Quel giovane che lo possiede
non ama più soltanto come maschio ma
anche come donna. In lui l’umanità è
completa ed ha scalato la vetta
della vita).
Il premio ricevuto dopo una sofferta
attesa è l’elevazione spirituale e
l’unione immortale con un altro
essere; uno sforzo dunque ripagato
con l’amore eterno, sacro fuoco
ardente di voluttà divina e presente
nel petto di ogni uomo o donna, così
che la loro unione sia un
alimentarsi a vicenda. Schlegel
rifiuta l’idea che certi scambi
d’anima tra due individui possano
avvenire in maniera del tutto
casuale; proprio a causa della
condizione essenziale del
completarsi pare essere predestinato
l’amore tra due persone e solo tra
quelle, tali che siano l’una il
riflesso dell’altra, che a essa si
incastrino nella maniera più
perfetta. La metà dell’anima di un
individuo resterà allora per sempre
unita a essa, anche qualora il
destino dovesse, tragicamente,
separarle.
Was wir anstrebten War treu gemeint;
Was wir durchlebten, Bleibt tief
vereint...
Ciò per cui ci siamo sforzati era
veramente destinato; ciò che abbiamo
passato resta profondamente unito...
Nel capitolo della Lucinde
intitolato Dithyrambische Fantasie
über die schönste Situation, Julius
scrive all’amata quanto con lei il
suo spirito sia cresciuto e si sia
purificato, raggiungendo un’unita e
un’armonia insperate, le stesse che
rivede in lei ogni volta che la
guarda:
Wie treu und wie einfach hast du ihn
aufgezeichnet, den küh- nen alten
Gedanken zu meinem liebsten und
geheimsten Vorhaben. In dir ist er
groß geworden und in diesem Spiegel
scheue ich mich nicht, mich selbst
zu bewundern und zu lieben. Nur hier
sehe ich mich ganz und harmonisch,
oder vielmehr die volle ganze
Menschheit in mir und in dir.
(Come hai descritto fedelmente e con
semplicità l’antico e ardito
pensiero del mio più caro, segreto
intendimento. In te è diventato
grande e in questo specchio non ho
paura di ammirarmi e amarmi. Solo in
te mi vedo intero e armonico o
piuttosto vedo in me e in te la
piena, intera umanità).
Il suo volto è circondato d’un manto
di beatitudine tipico delle visioni
mistiche, e nel suo grembo pare
rinascere l’intero mondo, reiterando
ogni istante il sentimento
dell’armonia primigenia:
Eine große Zukunft winkt mich
eilends weiter ins Unermeßliche
hinaus, jede Idee öffnet ihren Schoß
und entfaltet sich in unzählige neue
Geburten...
Un grande avvenire accenna rapido
oltre di sé all’immensità, ogni idea
dischiude il suo grembo e si
dispiega in innumerevoli, nuove
nascite...
La sfrenatezza della passione
proietta immagini passate e future,
animate da figure che moltiplicano
il desiderio senza acquietarlo mai.
È una forza quasi animale che pulsa
e scor
re come sangue nelle vene; è
fame insaziabile dei sensi:
Ich erinnere mich an alles, auch an
die Schmerzen, und alle meine
ehemaligen und künftigen Gedanken
regen sich und stehen wider mich auf.
In den geschwollnen Adern tobt das
wilde Blut, der Mund durstet nach
Vereinigung und unter den vielen
Gestalten der Freude wählt und
wechselt die Fantasie und findet
keine, in der die Begierde sich
endlich erfüllen und endlich Ruhe
finden könnte.
(Mi ricordo di tutto, anche dei
dolori, e tutti i miei pensieri
passati e futuri si animano e si
levano verso di me. Nelle vene
turgide infuria il mio sangue
selvaggio, la bocca ha sete di
congiungimenti e, fra le molte
figure della gioia, la fantasia
avvicenda le sue scelte senza
trovarne alcuna in cui il desiderio
possa acquietarsi in fine).
Con la stessa forza con cui l’amore
regala gioia e vita, felicità e
goduria, allo stesso modo,
terribilmente, può essere forza
distruttrice, portatrice di dolori e
sofferenze quando, con la fantasia,
ci fa intravedere la possibilità di
perdere un giorno la persona amata;
di perderla con la morte, con una
dipartita definitiva che trasforma
l’oggetto dei desideri, turgido e
vivo, in qualcosa di greve e
freddamente mortale.
Julius viene a conoscenza, tramite
una lettera, che Lucinde è ammalata
e, nonostante nella lettera
successiva gli porta la lieta
notizia della sua completa
guarigione, lo sconforto in cui
precipita è tale da sconvolgere i
suoi pensieri e trascinarlo in un
vortice immaginifico in cui egli
raffigura a se stesso la morte
dell’amata, non solo nel giorno
dell’avvenimento, ma in tutti gli
anni futuri che vivrà in sua assenza
e nei quali quotidianamente la morte
di lei si perpetuerà. È un viaggio
dalla giovinezza fulgida e vigorosa
alla più acromatica e silente
vecchiaia. Il suo pensiero sulla
morte di lei era però già un ricordo
della sua morte e, nell’immaginarla,
non ne soffriva come fossa una
tragedia appena vissuta, ma come un
dolore già maturato con cui ha
imparato a convivere, come se tanto
tempo fosse passato e avesse già
steso il velo triste
dell’accettazione. Lei riposava già
da tanto nel suo letto di terra e
questa luttuosa visione si
confondeva spesso con la figura viva
e pallida di lei, con l’ultimo
bagliore nei suoi occhi neri che ora
lo fissano continuamente come stelle
che brillano sulla nostra miseria:
Ich dachte es mir gar nicht als noch
künftig oder als geschehe es jetzt.
Alles war vergangen; schon lange
warst du im Schoß der kühlen Erde
verhüllt, Blumen keimten allmählich
auf dem geliebten Grabe, und meine
Tränen flossen schon milder. Stumm
und einsam stand ich und sah nichts
als die geliebten Züge und die süßen
Blitze der sprechenden Augen.
Unbeweglich blieb dieses Bild vor
mir, nur trat bisweilen das bleiche
Gesicht des letzten Lächelns und des
letzten Schlummers leise an die
Stelle, oder plötzlich verwirrten
sich die verschiedenen Erinnerungen.
Mit unglaublicher Schnelle
veränderten sich die Umrisse,
kehrten zur ersten Gestalt zurück,
und verwandelten sich von neuem, bis
der überspannten Einbildung alles
verschwand. Nur deine heiligen Augen
blieben im leeren Raum und standen
unbeweglich da, wie die freundlichen
Sterne ewig über unsrer Armut
schimmern. Unverrückt schaute ich
nach den schwarzen Lichtern, die mit
bekanntem Lächeln in die Nacht
meiner Trauer winkten.
(Pensavo alla morte non come a
qualcosa di futuro o di presente.
Tutto era trascorso; da molto tempo
giacevi celata nel grembo della
fredda terra, fiori germogliavano a
poco a poco sulla tomba amata e le
mie lacrime sgorgavano più pacate.
Muto e solo vedevo soltanto i
lineamenti amati e i dolci bagliori
degli occhi eloquenti. Immota
rimaneva quest’immagine dinanzi a me
e solo di quando in quando la
pallida visione dell’ultimo sorriso
e dell’ultimo torpore si sostitutiva
delicatamente a essa oppure i
diversi ricordi si confondevano
all’improvviso. I contorni si
trasformavano con incredibile
rapidità, tornavano alla forma
primitiva e subivano una nuova
metamorfosi fino a che tutto
scompari- va all’immaginazione
esaltata. Nel vuoto spazio rimaneva-
no soltanto i tuoi santi occhi e se
ne stavano immoti come le stelle
amiche che scintillano eternamente
sulla nostra miseria. Guardavo
fissamente quelle nere luci che
nella notte del mio lutto
accennavano un conosciuto sorriso).
Julius si sveglia da questo stato di
sogno, ma non riesce del tutto a
uscirne. Si sofferma su un
particolare: la sua sofferenza
equivaleva ad ammettere di trovarsi,
come tutti gli uomini,
nell’impotenza di agire. Questa
condizione di meschinità non fa
altro che affermare la centralità di
ogni cosa terrena, quindi l’ordine
costituito delle cose che si oppone
al caos in quanto statico e sterile,
mentre quest’ultimo è generativo e
in eterno mutamento. Se si riuscisse
a desiderare la morte, o la
malattia, o comunque una condizione
di sofferenza si andrebbe contro la
normalità degli avvenimenti e della
natura umana. Questo pensiero porta
Julius a essere quasi felice dei
suoi pensieri mortale e a
considerare la sua condizione come
quella di un malato che nel suo
dolore stesso trova conforto:
Ich war krank und litt viel, aber
ich liebte meine Krankheit und hieß
selbst den Schmerz willkommen. Ich
haßte alles Irdische und freute mich,
daß es bestraft und zerrüttet würde;
ich fühlte mich so allein und so
sonderbar, und wie ein zarter Geist
oft mitten im Schoß des Glücks über
seine eigne Freude wehmütig wird,
und uns grade auf dem Gipfel des
Daseins das Gefühl seiner
Nichtigkeit überfällt, so schaute
ich mit geheimer Lust auf meinen
Schmerz.
(Ero malato e soffrivo molto, ma
amavo la mia malattia e detti il
benvenuto persino alla sofferenza.
Odiavo ogni cosa terrena e mi
rallegravo che fosse punita e
ridotta a pezzi; mi sentivo così
solo e strano e come uno spirito
delicato spesso si rattrista della
sua stessa gioia, pur trovandosi nel
cuore della felicità, come ci
sorprende proprio al culmine
dell’esistenza il senso della sua
nullità, così guardai il mio dolore
con un segreto piacere).
La sesta e la settima quartina della
poesia riassumono perfettamente
queste righe della Lucinde:
Da trat ein Scheiden Mir in die
Brust; Das tiefe Leiden Der
Liebeslust...
Poi una separazione mi entrò nel
petto; il profondo dispiacere della
gioia dell’amore...
Im Seelengrunde Wohnt mire in Bild,
Die Todeswunde Ward nie gestillt...
Nelle profondità della mia anima
dimora un’immagine, la ferita
mortale non guarì mai...
La separazione che si apre nel petto
è il desiderio contrastante di vita
e morte, la speranza che il lutto
sia sempre lontano da ciò che si ama
e che le passioni e gli amori della
giovinezza siano per sempre; la
paura di scadere nel ‘mortale
sentimento’ che stabilisce che gli
esseri umani abbiano certi timori,
ne soffrano e tengano a debita
distanza alcune grevi fantasie, fa
però sì che la morte e il dolore
siano quasi un auspicio, perché
comunque emozioni e sentimenti
potenti, alieni dalla noia e
dall’ordine delle cose, anzi pronti
proprio a distruggere quest‘ordine
in chiunque lo usi come scudo per
prevenire le sofferenze. La presenza
della malattia implica la lotta alla
sopravvivenza, la disperata ricerca
della guarigione. Essa si carica di
una tale energia da diventare quasi
vita e mondo a sé stante.
Nella settima quartina appare
l’immagine trasfigurata dell’amata,
ancora sospesa tra malattia e morte,
meravigliosa nel suo splendore
divino datole, oltre che dall’essere
donna, proprio dal suo stato di
grazia. Gli ultimi due versi
presentano una palese
contraddizione: una ferita mortale
dovrebbe, ovviamente, condurre alla
morte, invece rimane non guarita,
aperta e sanguinante, sì, ma proprio
per questo viva. La ferita mortale è
il sogno/desiderio di Julius sulla
malattia e morte di Lucinde che
ritroviamo ancora una volta
nell’ottava e nona quartina di Fülle
der Liebe:
Viel tausend Tränen Flossen hinab,
Ein ewig Sehnen Zu ihr ins Grab...
Migliaia di lacrime caddero giù, un
eterno desiderio per lei nella
tomba...
In Liebewogen Wallet der Geist Bis
fortgezogen Die Brust zerreist...
Lo spirito si gonfiain onde d’amore,
finchè, quando questo ci ha
lasciato il cuore si spezza...
Al termine di questa strana fantasia
egli si risveglia spaventato e
angosciato dai suoi pensieri e dalle
sue visioni. Sarà per sempre
ossessionato dalle immagini vedute e
dal senso di soavità e pienezza di
spirito provati nel vedere la figura
della sua donna defunta; ma al
risveglio si ripresenta forte anche
la certezza dell’amore terreno per
lei, della loro inscindibile unità e
del loro far parte del tutto, pur
rimanendo per la vita solo un
frammento di esso. La presa di
coscienza più importante riguarda la
naturalezza con cui tutto ciò che è
sbocciato e fiorito, naturalmente
propenda verso il declino. Una
rassegnazione alla morte che la fa
apparire più bella e dolce. Morire è
dunque portare a termine un lungo
viaggio e tornare, finalmente,
all’agognata patria:
Und dann weiß ich’s nun, daß der Tod
sich auch schön und süß fühlen läßt.
Ich begreife, wie das freie
Gebildete sich in der Blüte aller
Kräfte nach seiner Auflösung und
Freiheit mit stiller Liebe sehnen
und den Gedanken der Rückkehr
freudig anschauen kann wie eine
Morgensonne der Hoffnung.
(E ora so che la morte si fa sentire
anche bella e dolce. Ciò che si è
liberamente formato nella fioritura
di tutto il suo vigore - ora lo
comprendo - può desiderare
ardentemente con silenzioso amore,
di dissolversi e di liberarsi, e può
guardare con gioia il ritorno come
il sole mattutino della speranza).
Il binomio amore/morte è spesso
accompagnato da un altro
accostamento dicotomico, ossia
culla/bara; un modo di immaginare il
nostro corpo disteso e addormentato
alla nascita e nella stessa
posizione, ma senza possibilità di
risveglio, alla morte. Culla e bara
sono comunque gusci che ci
proteggono e racchiudono prima e
dopo la nostra vita da uomini
eretti; sono la nostra prima casa
(dopo il grembo materno) e anche
l’ultima. La casa, eterno luogo di
fuga e allo stesso tempo meta
sospirata di ogni viandante,
chiudendoci tra quattro mura amplia
il desiderio di libertà e di
evasione. Da questo desiderio ha
inizio il viaggio, ha inizio la vita
e il concatenarsi di esperienze. Se
Lucinde fosse realmente morta Julius
non avrebbe più avuto alcuna ragione
per proseguire questo cammino; si
sarebbe fidato dello scintillio dei
suoi occhi neri che, come stelle di
lassù, gli indicavano gli ultimi
passi verso di lei, verso l’ultima
patria e l’unica vera libertà.
Ein Stern erschien Mir vom Paradies;
Und dahin flieh’n Wir vereint gewiss...
Una stella mi apparve dal Paradiso;
e lì, uniti certamente noi fuggiremo
via...
Ma forse il senso di questi versi è
reso più chiaro da alcuni frammenti
del romanzo, che ridipingono lo
stato d’animo quasi ipnotico di
Julius, che così scrive all’amata
nella Zweiter Brief:
Da erschienst Du mir bedeutend und
winktest tödlich. Schon ergriff mich
ein herzliches Verlangen nach Dir
und nach der Freiheit; ich sehnte
mich nach dem geliebten alten
Vaterlande und wollte eben den Staub
der Reise von mir schütteln, als ich
wieder ins Leben gerufen ward durch
das Verheißen und die Gewißheit
deiner Genesung.
(Mi apparisti allora maestosa e con
un cenno di morte. Già mi afferrava
un bisogno estremo di te e della
libertà; anelavo all’amata antica
patria e stavo per scuotermi di
dosso la polvere del viaggio quando
fui chiamato di nuovo in vita dalla
promessa e dalla sicurezza che eri
guarita).
Dopo queste ultime quartine in cui
la tomba e la morte primeggiano
tristemente ma infondo anche con
serena rassegnazione, Schlegel torna
indietro, proponendo un’altra
tematica presente nella Lucinde:
quella dell’essere madre. Du wirst
Mutter sein! (Sarai madre).
L’affermazione di Julius nel
capitolo Zwei Briefe contiene una
gioia particolare che brilla di
un’aura sacra, una felicità che la
passione e lo struggente desiderio
di amante non gli avevano mai dato.
La sacralità che possiede una donna
gravida si infonde nelle persone che
essa ama e nell’uomo con cui essa ha
concepito il figlio. Il figlio
stesso è dono celeste poiché sta a
rappresentare come i due genitori
non siano state sterili figure unite
solo parzialmente da un amore
altrettanto vano, ma elementi
naturali completi e decisivi per il
rigenerarsi dell’umanità. Il neonato
è l’eterna manifestazione
dell’indissolubilità di quell’amore,
un miracolo creato per essere
ricevuto da tutti e di cui due
mortali possono dirsi fautori
innalzandosi al di sopra delle altre
creature:
Was vorher war zwischen uns, ist nur
Liebe gewesen und Leidenschaft. Nun
hat uns die Natur inniger verbunden,
ganz und unauflöslich. [...] Wir
sind nicht etwa taube Blüten unter
den Wesen, die Götter wollen uns
nicht ausschließen aus der großen
Verkettung aller wirkenden Dinge,
und geben uns deutli- che Zeichen.
So laß uns denn unsre Stelle in
dieser schönen Welt verdienen, laß
uns auch die unsterblichen Früchte
tragen, die der Geist und die
Willkür bildet, und laß uns
eintreten in den Reigen der
Menschheit.
(Ciò che esisteva prima tra noi è
stato solo amore e passione. Ora la
natura ci ha legato più intimamente
in modo completo e indissolubile
[...] Noi non siamo sterili fiori
tra le creature umane, gli dei non
vogliono escluderci dal grande
concatenarsi di ogni attivo elemento
e ce ne danno chiari disegni.
Lasciaci quindi meritare il nostro
posto in questo bel mondo, lasciaci
anche portare i frutti immortali
generati dallo spirito e
dall’arbitrio e lasciaci entrare nel
girotondo dell’umanità).
Il figlio è l’anello mancante della
catena per mezzo del quale si
ripropone ancora una volta la Sacra
Famiglia, venerata dalla religione
Cristiana Cattolica. Se la donna è
già santa immagine della Vergine,
l’essere madre le consentirà di
diventare addirittura Madonna e il
frutto che stringerà sul suo seno
non sarà solo figlio suo, ma
raffigurazione vivente del figlio di
Dio:
Weißt du noch, wie ich dir schrieb,
keine Erinnerung könne dich mir
entweihen, du seist ewig rein wie
die heilige Jungfrau von
unbeflecktem Empfängnis, und nichts
fehle dir zur Madonna wie das Kind?
(Ti scrissi, rammenti ancora, che
nessun ricordo può profanarti ai
miei occhi, che sei eternamente pura
come la Santa Vergine
dell’Immacolata concezione e che per
essere la Madonna ti manca solo il
figlio?).
L’undicesima quartina di Fülle der
Liebe racconta la casta gioia
dell’uomo che apprende di essere
diventato padre, la serenità del suo
animo che prende il posto dell’amore
energico e della sfrenatezza, quasi
irresponsabile, della gioventù.
Eppure è un passaggio cruciale della
vita reso ancora più arduo e
importante dalla sua
irreversibilità. Un altro esempio
della centralità delle cose che,
seppur create da una duplice mano,
risplendono di unicità e
immortalità. Dall’abbraccio
voluttuoso di due amanti nasce e si
avvera il perpetuo miracolo della
natura che restituisce all’umanità
delle creature l’originaria
divinità:
Hier noch befeuchtet Der Blick sich
lind, Wenn mich umleuchtet, Dies
Himmelskind.
(Qui la mia guancia è ancora bagnata
di lacrime gentili quando intorno a
me splende questo bambino
celestiale).
La dodicesima quartina è un ritorno
improvviso alle impressioni più
forti vissute da amante, da uomo e
non ancora da padre. Quasi un
nostalgico tuffo nelle emozioni
terrene la cui pienezza di frenesia
e godimento contrastano nettamente
con la tranquillità di un amore
vissuto sotto il vincolo del
matrimonio e l’impegno della
paternità.
Ein Zauber waltet Jetzt über mich
Und der gestaltet Dies all’nach
sich...
Un profumo magico mi rende ora
schiavo, modellando tutto a suo
modo...
Dallo sbocciare di questa nuova vita
si diffonde il profumo di un’altra
primavera, e così Julius avverte i
suoi sensi scivolare in un dolce
oblio e lì mescolarsi a ricordi di
gioia e amore ma anche di dolore. Da
quest’alchimia di sensazioni
fiorisce ancora una volta la
passione mai finita per la sua
donna, fluente silenziosa come il
fuoco nelle viscere di un vulcano
all’apparenza spento. Torna, come
l’effetto di una droga, il desiderio
lascivo d’abbandono e la bramosia
del possedersi, non molto diversa
dall’estasi religiosa, palesata con
veemenza dalle parole di Julius nel
primo capitolo del romanzo:
Aber gern und tief verlor ich mich
in alle die Vermischungen und
Verschlingungen von Freude und
Schmerz, aus denen die Würze des
Lebens und die Blüte der Empfindung
hervorgeht, die geistige Wollust wie
die sinnliche Seligkeit. Ein feines
Feuer ström- te durch meine Adern;
was ich träumte, war nicht etwa bloß
ein Kuß, die Umschließung deiner
Arme, es war nicht bloß der Wunsch,
den quälenden Stachel der Sehnsucht
zu brechen und die süße Glut in
Hingebung zu kühlen; [...] wir
umarmten uns mit eben so viel
Ausgelassenheit als Religion.
(Volentieri e profondamente
dimenticai me stesso in tutte quelle
mescolanze e quegli intrecci della
gioia e del dolore da cui s’effonde
l’aroma della vita e il fiorire
della sensazione, la voluttà dello
spirito come la beatitudine dei
sensi. Mi fluiva per le vene un
fuoco sottile; ciò che sogna- vo non
era soltanto un bacio o lo stridermi
delle tue braccia, non era soltanto
il desiderio di frangere il pungolo
tormentoso della nostalgia e di dare
all’ardore dolce il desiderio
dell’abbandono [...] eravamo l’uno
nelle braccia dell’altra con
frenesia pari all’estasi religiosa).
Il testo di Fülle der Liebe non
segue affatto l’ordine cronologico
degli avvenimenti, ma questo
rispecchia perfettamente i moti
dell’animo che avanzano e trascinano
dietro sé, come l’onda e la risacca,
attimi presenti, proiezioni di un
incerto futuro e ritratti di un
tempo passato. Non c’è da
meravigliar- si, dunque, se questi
ultimi versi paiono ricondurci alla
quarta e quinta strofa riesumando un
discorso, in realtà mai morto, che
si muove sul filo
dell’inseparabilità di due anime
simili e amanti.
Als ob uns vermähle Geistegewalt, Wo
Seel’in Seele Hinüber wallt...
Come se un potere spirituale ci
unisse dove l’anima affluisce
nell’anima...
Così la penultima quartina ribadisce
ancora una volta come tutta l’estasi
che siamo capaci di vivere sia in
realtà celata da tempo dentro
l’anima del nostro amante per cui
l’uno rappresenta per l’altro il
tutto; come l’amare e l’essere amati
sia una fame insaziabile che rende
eterno il sentimento cancellando
distanze e mezzi di comunicazione,
collegando i sensi dell’uomo a
quelli della sua donna così che
possano vedersi e sentirsi,
percepirsi e accarezzarsi laddove le
loro menti si incontrano e le anime
si fondono in un connubio infinito:
Du willst wissen, was mich umgibt,
wo, wann und wie ich alles tue, lebe
und bin? - Sieh doch um dich, auf
dem Stuhl neben dir, in deinen
Armen, an deinem Herzen, da lebe und
bin ich.
(Vuoi sapere cosa mi circonda? Dove,
come e quando lavoro, dove vivo e
sono? Guardati intorno, sulla sedia
accanto a te, fra le tue braccia,
sul tuo cuore: là vivo, là sono io).
A rendere complessa
l’interpretazione di questa poesia è
la mescolanza di più tipi d’amore
che un individuo ha la possibilità
di provare durante la sua vita.
Ognuno è profondamente diverso
dall’altro e l’uno non è condizione
necessaria dell’altro. Purtuttavia
essi tendono a cedersi il posto,
così come fa l’adolescenza con la
maturità; ma se durante la
giovinezza si anela alla crescita e
al raggiungimento dell’età adulta,
in questo secondo periodo della vita
si riguarda nostalgicamente indietro
mentre il tempo, tristemente,
incede. Probabilmente gli amori tra
cui l’animo di Schlegel, con
difficoltà, si divide sono, da un
lato quello per la natura, collegato
al suo più florido e vivido periodo
panteistico, in cui l’energia
rigogliosa del creato era fonte di
nutrimento per il suo spirito,
assetato di passioni e
stravolgimenti, e dall’altro quello
per il nuovo Dio, sacro e vincolato
da sodalizi e promesse, ma immortale
e imperscrutabile nella sua
divinità.
Il dolore per questo stato di
passaggio da un sentimento all’altro
è necessario dazio per accedere a
una maturità spirituale più consona
forse al periodo e agli avvenimenti
storico-politici che al suo animo.
Volendo tornare al Romanzo anche
l’ultima quartina di Fülle der Liebe
è una sorta di variazione sul tema
dicotomico amore/morte e
sull’ossimoro dei vv 3 e 4 della
sesta strofa Das tiefe Leiden/Der
Liebeslust. Questo ci riconduce alla
Zweiter Briefe, al sogno a
occhi aperti della morte di lei e al
desiderio di vedere la sua figura
nella tomba, così da poterla ancor
più divinizzare e, con lei, anelare
a raggiungerla nell’immortalità. La
ferità che questa luttuosa speranza
ha creato in lui non è mai guarita,
ma gronda ancora sangue e crea uno
strappo insanabile nella sua anima.
Né l’energia vitale della passione,
né l’amore sereno e celestiale per
la moglie/madre riescono a
cancellare la visione di lei
trapassata e la sua gioia
nell’immaginare il suo amore ormai
lontano dalla banalità e dalla
grossolanità delle cose terrene, ma
meritatamente fluttuante nella
sacralità dei cieli.
Ob auch zerspalten Mir ist das Herz,
Selig doch alten Will ich den
Schmerz...
Sebbene la mia anima sia spezzata in
due, considero il mio dispiacere una
benedizione...
Riferimenti bibliografici:
F. Schlegel, Lucinde, Insel,
Frankfurt am Main 1985.
R. Mazzei, Il ciclo Abendröte. Le
poesie di Friedrich Schlegel nella
liederistica di Franz Schubert.
GB EditoriA, Roma 2008.
The Hyperion Schubert Edition,
Londra 1996.