N. 75 - Marzo 2014
(CVI)
FRIDA KAHLO
LA SOGNATRICE DESTA
di Ginevra Bentivoglio
« Né Derain, né tu, né io siamo capaci di dipingere
una testa come quelle di Frida Kahlo »
(da una lettera di Picasso a Diego Rivera)
Forse il modo migliore per capire la vicenda umana e artistica
di
Frida Kahlo
è
quello
di
visitare
la
casa
dove
Frida
nacque,
il 6
luglio
1907,
e
dove
si
spense,
il
13
luglio
1954:
la
Casa
Azul
a
Coyoacán,
un
quartiere
residenziale
alla
periferia
di
Città
del
Messico.
Sarà Diego Rivera, marito della pittrice, a donare, insieme
a
tutto
ciò
che
conteneva,
la
Casa
Blu
–
così
chiamata
per
le
pareti
dipinte
di
un
intenso
azzurro
– al
popolo
messicano,
per
mantenere
viva
la
memoria
della
moglie,
l’anno
seguente
alla
sua
morte.
Nel 1958 il governo messicano la trasformò in quello che
oggi
è il
“Museo
Frida
Kahlo”,
permettendo
così
al
pubblico
di
entrare
fisicamente
nella
vita
di
questa
straordinaria
donna
e
artista.
Lì, oltre ai suoi dipinti, sono conservati tutti gli oggetti
che
facevano
parte
della
sua
quotidianità:
i
suoi
coloratissimi
vestiti,
le
lettere,
i
libri,
i
materiali
da
lavoro
e la
sua
collezione
di
arte
popolare
messicana,
nonché
le
opere
regalatele
dai
suoi
amici
artisti,
fra
i
quali
Marcel
Duchamp
e
Yves
Tanguy,
oltre
a
quelle
dello
stesso
Rivera.
Al piano di sopra, nel suo studio, accanto al cavalletto e
ai
colori,
ci
sono
la
sua
sedia
a
rotelle
e le
stampelle,
testimoni,
insieme
a
uno
dei
suoi
busti
di
gesso,
della
sua
invalidità:
la
sua
casa
dunque
è il
contenitore
di
tutte
le
esperienze,
sia
drammatiche
che
eccezionali,
che
Frida
ha
vissuto
e
che
ha
incarnato
nella
sua
arte.
Visionaria e realistica come l’arte messicana, passionale e
selvaggia
come
il
Messico,
Frida Kahlo
è
riconosciuta
come
una
delle
più
grandi
pittrici
contemporanee.
Furono allestite numerose mostre con le sue opere, sia negli
Stati
Uniti
che
in
Europa,
già
subito
dopo
la
sua
morte,
che
attirarono
folle
di
visitatori;
negli
anni
Settanta,
il
femminismo
l’adottò
come
eroina
e,
negli
anni
Novanta,
venne
trasformata
in
un’icona
pop.
Fu Frida stessa a creare il suo mito già quand’era in vita
tant’è
che
chiunque
la
conoscesse
rimaneva
colpito
e
conquistato.
I tratti del suo viso mescolavano insieme quelli slavi del
padre
e
quelli
indios
della
madre,
aveva
una
forte
personalità
che
si
manifestava
nel
suo
sguardo
intenso
e
fiero,
nell’acconciatura
dei
capelli,
nei
gioielli
e
nell’abbigliamento
vistoso,
alla
Tehuana:
tutti
elementi
strettamente
legati
alle
sue
origini.
Non a caso, numerosi fotografi contemporanei vollero ritrarla,
fu
la
prima
donna
latino-americana
ritratta
su
un
francobollo
statunitense
e a
Tijuana
è
sorto
un
vero
e
proprio
culto:
Santa
Frida
protegge
i
bambini,
le
donne
e
l’arte
alternativa.
Il marito, il celebre muralista Diego Rivera, ebbe a dire:
« È
la
prima
volta
nella
storia
dell’arte
che
una
donna
esprime
con
totale
sincerità
[...]
i
fatti
e i
particolari
che
riguardano
esclusivamente
la
donna
[...]
mantenendosi
realista
e
profonda,
come
lo è
sempre
il
popolo
messicano
nella
sua
arte
[...]
».
Frida diceva di avere visto la luce il 7 luglio 1910, nel
fatidico
giorno
in
cui
Emiliano
Zapata
iniziò
la
sua
rivoluzione
per
liberare
il
Messico,
e
così
infatti
è
dipinto
in
una
scritta
su
una
parete
della
camera
da
letto:
“Aquí
nació
Frida
Kahlo
el
día
7 de
julio
de
1910”.
Figlia del decennio della rivoluzione, rivendicava quindi
il
fatto
che
lei
e il
Messico
moderno
fossero
“nati
insieme”.
Rivelò, fin da bambina uno spirito indipendente, riluttante
verso
ogni
convenzione
sociale,
carattere
che
farà
di
lei
una
pioniera
del
femminismo
e
che
la
vedrà
fortemente
impegnata
a
livello
politico,
facendo
propria
l’arte
messicana,
quella
indigena,
in
cui
le
masse
potevano
riconoscersi.
Il padre, Wilhelm Kahlo, di origini ungheresi, dalla Germania
si
era
trasferito
in
Messico,
poco
meno
che
ventenne;
lavorando
sodo
si
era
affermato
come
fotografo
di
successo,
ricevendo
dal
governo
il
titolo
di
“primo
fotografo
ufficiale
del
patrimonio
culturale
messicano”.
É da
lui
che
Frida
apprende
quella
precisione
nel
descrivere
minuziosamente
ogni
particolare:
mentre
lui
lavorava,
Frida
raccoglieva
insetti
e
piante
che
poi
a
casa
guardava
al
microscopio;
sempre
da
lui
imparò
a
usare
la
macchina
fotografica
e a
studiare
l’arte
e la
storia
messicana.
Sebbene mostrasse grande talento artistico, sognava di studiare
medicina
e
paradossalmente
furono
proprio
i
gravi
problemi
fisici
che
la
costrinsero
immobile,
a
spingerla
verso
la
pittura.
A diciotto anni l’autobus su cui si trovava per tornare a
casa
fu
travolto
da
un
tram:
l’impatto
fu
violentissimo
e
Frida
riportò
la
schiacciatura
di
un
piede
e
numerose
fratture,
di
cui
la
più
grave
alla
colonna
vertebrale
che
si
spezzò
in
ben
tre
punti.
Ne uscì viva per miracolo, sebbene le conseguenze fisiche
di
questo
trauma
l’accompagneranno
per
tutta
la
vita
costringendola
a
subire,
negli
anni,
trentadue
interventi
chirurgici
alla
spina
dorsale
e al
piede.
Nei numerosi e lunghi periodi di convalescenza nei quali
era
costretta
a
letto
in
un’immobilità
forzata,
Frida
usava
la
pittura
come
“distrazione”
e
come
modo
per
esprimere
la
sua
vitalità.
I
genitori
le
regalarono
un
letto
a
baldacchino
con
uno
specchio
in
modo
che
potesse
ritrarsi:
questo
fatto
spiega
perché
molte
delle
opere
di
Frida
sono
autoritratti.
“Dipingo me stessa”
-
era
solita
dire
-
“perché sono il soggetto che conosco meglio”.
Dopo l’incidente, appena fu in grado di uscire, andò a trovare
Diego
Rivera,
che
aveva
avuto
modo
di
apprezzare
qualche
anno
prima,
quando
frequentava
la
Scuola
nazionale
preparatoria
di
Città
del
Messico
– un
istituto
scolastico
all’avanguardia
per
la
formazione
culturale
–
dove
lo
stesso
Rivera
insieme
a
Orozco
e
Siqueiros
erano
stati
incaricati
dal
governo
di
dipingere
i
loro
murales.
Voleva mostrargli i suoi lavori e avere da lui, che ammirava
sia
artisticamente
che
per
il
suo
impegno
politico,
un
parere
da
esperto:
il
pittore
rimase
fortemente
colpito
sia
da
Frida
che
dai
suoi
quadri
e le
suggerì
caldamente
di
continuare
a
dipingere.
I due finirono con lo sposarsi il 21 agosto 1929: Rivera
aveva
vent’anni
più
di
Frida,
era
ricco
e
famoso
e
considerato
da
tutti
un
genio,
aveva
una
forte
personalità
e un
gran
debole
per
le
donne
che
considerava
superiori
agli
uomini.
Il
loro
fu
un
amore
travolgente,
anche
se
segnato
da
numerosi
tradimenti
e
litigi,
e
ricco
di
un
grande
rispetto
e di
una
grande
stima
reciproca.
Il pittore incoraggiava Frida nel suo percorso creativo
inserendola
nella
scena
politica
e
culturale
messicana.
L’arte
di
Frida
cominciava
dunque
ha
ottenere
un
crescente
consenso
e il
rapporto
ossessivo
con
il
suo
corpo
martoriato
era
uno
degli
aspetti
caratteristici
della
sua
arte.
Frida fin dall’inizio si ispira all’arte popolare e alle
tradizioni
precolombiane,
prediligendo
quadri
di
piccole
dimensioni,
che
ricordano
gli
ex-voto
o i
retablos
messicani.
A
partire
dal
1938
la
sua
pittura
diviene
invece
più
intensa
ed
evocativa,
i
soggetti
raffigurati
non
descrivono
più
solamente
gli
“eventi”
della
sua
vita,
ma
anche
le
sue
“sensazioni
interiori”.
L’artista, nel frattempo, inizia a non esser più solo “la
moglie
di
Rivera”
e
molti
pittori
e
galleristi
si
mostrano
interessati
ai
suoi
quadri.
Espone a New York nel 1938 e a Parigi nel 1939, invitata
dal
critico
surrealista
francese
André
Breton,
rimasto
folgorato
dal
lavoro
della
pittrice.
Il
rapporto
con
il
Surrealismo
sarà
però
complesso
poiché
se
da
un
lato
le
opere
della
pittrice
avevano
impressionato
Breton
per
loro
visionarietà,
il
simbolismo
di
Frida
era
semplice
e
soprattutto
figlio
di
una
cultura
intrisa
di
tradizioni
magiche,
al
contrario
di
quella
europea
che,
inquinata
dallo
spettro
delle
dittature,
aveva
bisogno
di
tuffarsi
nel
“subconscio”
per
trovare
una
“via
d’uscita”.
Nell’opera La colonna spezzata (dipinta nel 1944,
anno
in
cui
Frida
fu
costretta
a
portare
un
busto
d’acciaio)
la
pittrice
si
ritrae
con
il
torace
squarciato
e
con
al
posto
della
colonna
vertebrale
una
colonna
classica
in
rovina.
Semplicemente,
l’artista
descrisse
così
la
sua
condizione
fisica,
senza
ambigue
intenzioni
retoriche.
Anche il quadro Ciò che l’acqua mi ha dato, considerata
da
molti
la
sua
opera
più
surrealista,
è
un’opera
in
realtà
intrisa
di
realismo:
Frida
ha
dipinto
le
proprie
gambe,
immerse
nella
vasca
da
bagno,
“dal
suo
punto
di
vista”:
quello
dell’osservatore.
Il
suo
piede
ferito
è
descritto
con
precisione
e
tutti
i
dettagli
che
galleggiano
nell’acqua
sono
particolari
strettamente
collegati
a
eventi
della
sua
vita
e
alle
sensazioni
che
provava.
Frida non amava essere definita surrealista, considerando
questa
corrente
“una
manifestazione
decadente
di
arte
borghese”.
“Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà”, diceva
in
proposito.
E l’ultima “realtà” dipinta fu una natura morta raffigurante
dei
cocomeri:
una
tipologia
di
soggetto
che
la
pittrice
chiamò
provocatoriamente
naturaleza
viva.
Otto giorni prima di morire, scriverà in rosso sulla fetta
centrale:
“VIVA
LA
VIDA”.