FREEDOM ON FIRE: UKRAINE’S FIGHT FOR
FREEDOM
SUL FIlm di Evgeny Afineevsky
di Leila Tavi
Freedom On Fire: Ukraine’s Fight For
Freedom
è il nuovo documentario di Evgeny
Afineevsky, il regista originario di
Kazan e dalla cittadinanza
israeliana che vive e lavora a Los
Angeles.
Il documentario è una sorta di
footage che il regista ha messo
insieme in fretta dal primo giorno
dell’invasione russa in Ucraina ed è
stato presentato in prima mondiale
alla 79. Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di Venezia
nella sezione Fuori Concorso.
Freedom On Fire: Ukraine’s Fight For
Freedom
segue il documentario del 2015,
prodotto da Netflix, sulla rivolta
di piazza Maidan del 2013-2014, dal
titolo Winter on Fire: Ukraine's
Fight for Freedom, nominato agli
Academy Award e agli Emmys.
Lo storytelling del footage della
guerra in Ucraina è di una
coraggiosa giornalista, Nataliia
Nagorna, del canale ucraino 1+1, che
nonostante il pericolo e la
disperazione, ogni giorno racconta
ai telespettatori quanto accade nel
suo Paese, perché fino a che i
giornalisti faranno il loro lavoro,
ritiene la reporter, ci sarà sempre
speranza, in una guerra
incomprensibile alla gente comune,
“not from our world”.
Montato nel tempo record di sei
mesi, il documentario arriva nella
testa di chi lo guarda come il boato
di un missile che sullo schermo
distrugge una casa, lascia a terra
dei corpi, abbatte il morale di chi,
oltre lo schermo, è rimasto solo con
un cumulo di macerie.
Una, cento, mille vite da
ricostruire sulle macerie. Vite che
cercano di ritrovare una normalità
nel tunnel di una stazione della
metropolitana, nella cantina di un
palazzo, in un teatro che serve da
rifugio.
Il ritmo confusionario del
documentario è quello della vita
quotidiana degli Ucraini da oltre
duecento giorni, per i quali la
guerra ancora non ha un senso, per i
quali ci sono parenti dall’altra
parte del confine, in Russia, che
non fanno più parte della famiglia,
che credono alla propaganda di
Stato, ripudiando i legami di sangue
e aggrappandosi a un’idea di Stato
che non esiste più, all’Unione
Sovietica, che nella sua
schiacciante morsa dava ai suoi
cittadini l’illusione della
stabilità di una potenza mondiale.
Helen Mirren è la voce narrante
dell’excursus storico che apre il
documentario, che non segue un filo
cronologico, procede seguendo il
flusso delle emozioni dei testimoni
che vivono e sopravvivono in una
guerra che possiamo definire
fratricida, tra “fratelli diversi”,
come ha descritto Russi e Ucraini,
il noto storico Andreas Kappeler.
Tra i protagonisti di queste storie
di coraggio e di speranza ricordiamo
la giovane Anna Zaitseva, che si è
rifugiata per oltre due mesi
nell’acciaieria di Mariupol con il
figlio Svjatoslav e ha raccontato
davanti alla macchina da presa la
strenua resistenza di militari e
civili asserragliati nell’Azovstal.
Il piccolo Makal è uno dei tanti
bambini attraverso il cui sguardo
innocente e spaurito il regista
Afineevsky ha testimoniato la il
conflitto nel suo quotidiano. Makal
rappresenta il destino spezzato di
una nazione che stava intraprendendo
un cammino verso la
democratizzazione e che dovrà
ripartire da zero, da quelle macerie
che sono il desolante panorama che
si scopre uscendo alla luce del sole
dal buio dai tunnel, dagli
scantinati, dai bunker.
Le immagini scorrono sullo schermo
tra caos e concitazione, tutte d'un
fiato, da una città all’altra, con
didascalie in ucraino, inglese e
russo, per ricordare al mondo
interno, nessuno escluso, neanche il
nemico. Lo spettatore in sole due
ore si trova a dover subire le
immagini del conflitto, seduto sulla
poltrona di una sala
cinematografica, dove non può
scappare dall’idea della sofferenza
che provoca una guerra. Non si
tratta delle pillole che digeriamo a
poco a poco per mezzo dei notiziari
televisivi. Questa è la forza
dell’opera di Afineevsky.