A 100 dalla morte DI FRANZ KAFKA
UNa narrativa deformaNTE
di Riccardo Renzi
Nel 2024 ricorrono i 100 anni dalla
morte di uno dei più grandi
rivoluzionari della narrativa
europea: Frenz Kafka. Kafka, assieme
a Svevo e forse Pirandello, è stato
uno dei grandi rivoluzionari della
narrativa europea. Andiamo però con
ordine e inquadriamo l’uomo e il
contesto storico.
Egli nacque a Praga nel 1883 da una
famiglia ebraica in cui pesava la
figura autoritaria del padre,
Hermann, un macellaio rituale molto
religioso. Al contrario, Franz non
si mostrava mai molto interessato
alle questioni religiose pur avendo
cominciato i suoi studi nella scuola
elementare ebraica-tedesca della
medesima città. Praga, negli anni
della giovinezza dello scrittore,
faceva parte dell’Impero
Austro-Ungarico e linguisticamente
era divisa tra il ceco e il tedesco,
una lingua che viene considerata più
prestigiosa della prima, e che Franz
studia con interesse e usa con
padronanza.
Nel 1901 entra all’Università
tedesca di Praga e, dopo un primo
anno di studi di Chimica, decise di
passare alla facoltà di
Giurisprudenza, più consona alle sue
inclinazioni e in grado di offrirgli
maggiori possibilità di carriera.
Nell’ambiente universitario riesce
ad abbandonare i modi schivi che
aveva avuto fino a quel momento:
organizza riunioni letterarie, si
distingue per il suo acume e la sua
intelligenza entrando così in
contatto con giovani studenti come
Oskar Baum e Franz Werfel, che
diventeranno poi noti scrittori. Di
particolare importanza è il rapporto
con Max Brod, con il quale stringe
una profonda amicizia che durò poi
tutta la vita.
Agli inizi del 1908 venne assunto
nell’Istituto delle Assicurazioni
contro gli Infortuni del Regno di
Boemia, diventandone ben presto un
elemento essenziale al punto che,
quando venne chiamato alle armi nel
1915, i dirigenti dell’Istituto
s’impegnarono per evitargli la
guerra di trincea. Nel 1917 fu Kafka
stesso a tentare di entrare
nell’esercito per partecipare alla
guerra, ma la sua richiesta venne
respinta a seguito della diagnosi di
una tubercolosi. Fu proprio tale
malattia, al tempo incurabile, che
nel 1924 gli causò la morte.
Ma dove risiede l’innovazione in
Kafka? Ma è possibile fare un uso
foucaultiano, strettamente
letterario di Kafka?
Per troppi anni l’opera di questo
autore è stata letta solo in chiave
filosofico-politica, ed è ora di
restituire l’opera kafkiana a Kafka.
Ora sarà solo la sua scrittura
intricata, complessa e che spesso
genera vertigine a farci da filo
conduttore. Centrale in Kafka è il
non-rapporto uomo animale,
consistente nella loro problematica
separazione (Adorno 2012). In questa
sede Kafka si pone agli antipodi
della filosofia rousseauiana.
Per lo scrittore praghese, uomo e
animale sono molto più vicini di
quello che possa sembrare. Quello
attuato da Kafka è un cambio della
prospettiva, per vedere
differentemente la realtà umana.
Tale mutazione di prospettiva è
possibile solo se l’uomo divine
altro da sé e appunto si trasforma
in ciò che in natura c’è di più
simile a esso: l’animale.
Se, come afferma Nietzsche, per
comprendere la realtà bisogna mutare
la propria prospettiva, non bisogna
porre troppa attenzione sulla
mutazione psico-corporia e corporale
dell’individuo, ma allo spazio e
alla fisica dello spazio stesso. Lo
spazio e la mutata visione che lo
riguarda fungono da filo conduttore
della narrazione stessa. Lo spazio
narrativo è specchio dello spazio
letterario nel quale si muove lo
scrittore proprio come un animale,
che ormai ha mutato le sue
prospettive narrative (Blanchot
1983).
Lo sperimento letterario kafkiano
forte si accese a partire dagli anni
successivi al 1914. La
sperimentazione letteraria, nello
scrittore praghese è intesa sempre
come processo di deformazione o
rarefazione del mondo, così come è
conosciuto e concepito. Tutto ciò si
riflette pienamente nell’espansione
o nella riduzione dello spazio
psicofisico dei personaggi. A tal
proposito si pensi al racconto
Una relazione per un'accademia,
ove i protagonisti sono degli
animali che subiscono una mutazione
in quasi-uomini. La particolarità di
tale racconto, come altri dei
medesimi anni, è che il processo
metamorfico non viene mai descritto,
ma rimane nell’ombra ed è taciuto.
Dunque, la metamorfosi, in
questo primo approccio narrativo
rimane enigmaticamente oscura. La
vertigine qui è data dal fatto che
non esistono più confini tra uomo e
animale. Tutto però muta nel finale,
poiché come sottolineato da Agamben,
tutte le storie di Kafka contengono
un possibile rovesciamento che vada
a riabilitare il tutto (Agamben
2005). Ciò impedisce
inequivocabilmente una
interpretazione univoca, andando a
indicare una via di fuga.
Parlando di metamorfosi e
dell’ottica della metamorfosi,
non possiamo non ricordare
quella di Carlo, protagonista di
Petrolio di Pasolini. Carlo una
sera subisce una transizione da uomo
a donna, ma qui l’autore sposta
tutta l’attenzione non sulla nuova
prospettiva con cui il protagonista
osserva il mondo, ma su quella con
sé stesso mutato di sesso. Tutta
l’attenzione è spostata sul corpo e
non sullo spazio come in Kafka: «Cosi
Carlo osservava, ai suoi piedi, il
proprio corpo supino: ecco il suo
viso pallido, quasi bianco o
giallastro di adenoideo, la fronte
di persona intelligente e ostinata
sotto i capelli lisci e incolori,
che, nella sgradevole circostanza,
si erano un po’ scomposti, in modo
ridicolo, ecco gli occhi tondi e
cerchiati, che, non protetti dagli
occhiali (che nella caduta si erano
sfilati dal naso, e giacevano li
accanto, con le loro sottili
stanghette di metallo) parevano
denudati e troppo espressivi; la
pelle tirata del viso lungo e liscio».
Per quanto concerne invece il
binomio uomo-animale, molto deve a
Kafka Gabriel García
Marquez di
Cent'anni di
solitudine, ma c’è una
differenza di fondo tra i personaggi
kafkiani e quelli di Marquez, e
questa risiede nel fatto che gli
uomini-animali di Cent'anni di
solitudine, quelli con la coda
di maiale o con comportamenti
animaleschi, per intenderci, stanno
fuori dalla dimensione
spazio-temporale del reale, quindi
la realtà da essi generata
costituisce una normalità
cosmico-narrativa, mentre quelli
dello scrittore praghese sono
dissonati con la realtà stessa,
poiché mettono il lettore in una
condizione di osservare il reale da
altre prospettive.
Tornando proprio a Kafka e alla
dichiarazione di Agamben, bisogna in
primo luogo affermare che questo
rovesciamento della metamorfosi
non è concepito, né tanto meno
attualizzabile in tutti i racconti,
ma al contrario si ha un’esperienza
lenta o fulminea di riduzione dello
spazio, che può anche coincidere col
varcare una soglia, cioè col voler
ritornare umani rinunciando alla
propria animalità, ma anche rimanere
in quella condizione di
indicibilità. Il carattere
metamorfico, caratterizzato da una
costante instabilità dell’individuo,
che naturalmente si rispecchia nello
spazio, assume i tratti di una
oscillazione deformante, capace di
dischiudere attraverso la scrittura
una zona di indistinzione
psicofisica tra uomo e animale,
condizione che in Marquez è invece
data dal contesto.
Kafka è sicuramente entrato in
contatto con le teorie freudiane che
in quell’epoca si stavano
diffondendo. L’uomo non è solo ciò
che si vede, ma al suo interno ha
qualcosa di molto più vicino alla
natura e all’animale, che però nella
vita di tutti i giorni, fatta
eccezione per il sogno, cerca di
tener celato. Kafka riporta tali
teorie della psicoanalisi nella
narrativa, dal concetto del sogno e
della vertigine a esso legata, al
desiderio animalesco celato.
La narrativa kafkiana vuole
sperimentare una nuova condizione,
oltre quella umana, portandola
costantemente al limite. Lo stesso
Kafka annota nei Diari: «la
letteratura è un assalto all’uomo
limite terreno, e precisamente
assalto dal basso; dalla parte degli
uomini».
Utilizzando un’affermazione
foucaultiana, è proprio questo l’uso
intensivo della lingua realizzato
per sovvertire la lingua stessa e
aggiungerei io, per quanto concerne
Kafka, insieme a essa sono
rovesciate anche le concezioni
spazio-temporali. La grandezza dello
scrittore praghese risiede nell’aver
rivoluzionato attraverso la
lingua/narrazione il rapporto
uomo-animale e con esso la
concezione stessa della realtà,
poiché essa muta in base alla
prospettiva dell’osservatore.
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