[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 150 / GIUGNO 2020 (CLXXXI)


moderna

La decostruzione del “mirage russe en France”

RIFORMISMO PIETRINO / PARTE II

di Chiara Lerede

 

Un secondo aspetto del riformismo pietrino su cui si concentrarono i tre scrittori europei fu l’apertura della Russia alle idee e alla cultura occidentale. Se fino alla presa del potere da parte di Pietro, il Paese era chiuso in se stesso, sia politicamente che culturalmente, lo zar si impegnò profondamente per farlo uscire dal proprio isolamento e per introdurvi le Arti, le Scienze, le idee e i modi di vita europei.

 

Perry visse in prima persona il riformismo di Pietro il Grande e ne elogiò alcune iniziative, come per esempio l’introduzione della stampa, l’imposizione della conoscenza del latino per gli ecclesiastici, la fondazione di scuole, accademie e università, ma soprattutto l’apertura nei confronti dello studio delle lingue e, di conseguenza, dei libri e delle idee straniere. In particolare, l’ingegnere inglese sottolineò l’importanza di questo cambiamento che abbatté il pregiudizio, fomentato dalla Chiesa, secondo cui il contatto con gli stranieri avrebbe corrotto la purezza dei costumi ortodossi e danneggiato lo Stato (The State of Russia, pp. 208-209).

 

Anche Chappe d’Auteroche ammirò alcune delle riforme di Pietro, che non solo si adoperò a fondare nuove istituzioni consacrate alle scienze e alle arti, ma introdusse nella sua corte i costumi e lo stile di vita tipici degli Europei, creando di fatto una nuova società mondana a cui avevano accesso anche le donne, fino ad allora obbligate a stare in casa nel terem, una sorta di gineceo (Voyage en Sibérie, p. 209).

 

Eppure, nonostante il riconoscimento degli sforzi dello zar nel riformare e modernizzare il proprio Paese, il giudizio finale dei tre Europei nei confronti del regno di Pietro è piuttosto critico. In tutti e tre i testi, in particolare in quelli di Chappe e di Locatelli Lanzi, successivi alla morte di Pietro, ci si interroga sugli effetti prodotti dal riformismo pietrino sul Popolo e sullo Stato russo. L’aspetto che venne maggiormente rimarcato fu il divario tra la mentalità dello zar, ambiziosa, occidentale e visionaria, e quella del suo Popolo, molto più conservatrice e incapace di comprendere le ragioni dello stravolgimento del proprio stile di vita voluto dal sovrano.

 

A questo proposito, occorre ricordare una riflessione di Locatelli Lanzi che, constatando l’arretratezza e la barbarie della Russia, mise in discussione l’utilità dell’intero progetto riformistico di Pietro, che gli parve essere caduto nel vuoto: «Mi ricordai di tutto ciò che aveva fatto Pietro il Grande, dei suoi sforzi e dei pantani in cui era stato costretto ad affondare per tirare fuori i suoi sudditi dalla barbarie e dall’ignoranza in cui erano affogati. Ripercorsi nel pensiero i suoi viaggi, le sue ricerche, le sue opere, le sue istituzioni e mi dissi “Quale effetto hanno dunque prodotto gli sforzi di questo grande sovrano per riformare il suo popolo? É possibile che i suoi sudditi siano ancora così barbari, così come lo erano molto prima del suo regno? Dove sono i frutti del suo lavoro?”» (Lettres Moscovites, pp. 50-51).

 

Più avanti nel testo, l’avventuriero bergamasco trasse la conclusione secondo cui, proprio a causa della mentalità chiusa e della cattiva indole, i Russi fossero adatti solamente a essere schiavi, prendendo così atto dell’effettivo fallimento delle riforme di Pietro: «Questa Nazione è buona solo per vivere in schiavitù e nelle tenebre [dell’ignoranza]. Non vi stupite che i loro sovrani, malgrado la grande autorità che esercitano su di loro, non siano mai riusciti a far fiorire il commercio in questo Paese né a introdurvi la Religione e le Arti?», e ancora: «[…] Ma riguardo al resto, non mi stupii di constatare che tutti gli sforzi compiuti da Pietro I per civilizzare questa Nazione fossero stati fino a quel momento inutili. In effetti, non ci si stupisce di vedere che questi popoli abbiano ancora dei costumi così selvaggi, malgrado tutto ciò che è stato fatto da un secolo a questa parte per liberarli della loro barbarie» (Lettres Moscovites, p. 142, p. 348).

 

Una seconda e pesante critica mossa a Pietro riguardò i suoi metodi violenti e autoritari nel perseguire i propri scopi, senza preoccuparsi del trauma emotivo che alcuni radicali cambiamenti nella società e nei costumi avrebbero comportato per i propri sudditi. L’autorità dello zar si manifestava infatti in tutti i campi, persino nell’obbligare i giovani a seguire un’educazione e una carriera scelta per loro dall’alto, senza che essi fossero minimamente consultati a riguardo. La volontà dello zar segnava il destino dei propri sudditi senza che nessuno potesse opporvisi.

 

Un’ultima critica, ma non meno importante, venne fatta a proposito del paradosso pietrino che pretendeva di assimilare la Russia alle nazioni europee, con la volontà di modernizzarla e occidentalizzarla, senza tuttavia scalfire l’unica caratteristica che lo allontanava irrimediabilmente dalla realtà politica europea: l’assolutismo del potere zarista, che non solo non venne messo in discussione in alcun modo, ma al contrario, venne ulteriormente rafforzato da alcuni provvedimenti pietrini.

 

Agli occhi dei tre Europei, per quanto Pietro si sforzasse di “europeizzare” la Russia, la sua stessa autorità dispotica minava dalle fondamenta il proprio riformismo. In particolare, sono da ricordare alcune osservazioni di Chappe che considerò le riforme di Pietro come una mera facciata, che resero i sudditi russi amaramente consci della propria miserevole condizione: «Ma egli non ha effettuato nessun cambiamento nella struttura del Governo; la Nazione si trova ancora oggi in schiavitù», e ancora «Tuttavia, i costumi europei hanno comportato uno scarso avanzamento della Russia, perché non hanno influito sul governo dispotico: sono stati introdotti il lusso e la comunicazione della Russia con l’estero; i suoi [del cittadino russo] viaggi l’hanno reso più sventurato di prima, perché da allora ha avuto un termine di paragone fra la sua condizione e quella dell’uomo libero» (Voyage en Sibérie, p. 210, p. 187).

 

La lettura delle opere di Perry, Locatelli Lanzi e Chappe d’Auteroche dimostra come la figura di Pietro I abbia indubbiamente affascinato i tre Europei, che gli riconobbero il merito di aver scosso fin dalle fondamenta il proprio Impero, facendolo uscire dal suo secolare isolamento e trasformandolo in un Paese di spicco sullo scacchiere delle grandi potenze europee. Tuttavia, l’immagine complessiva dello zar tracciata dai tre autori si distacca e sfuma con maggior senso critico il ritratto entusiastico che ne fecero molti contemporanei europei, primi fra tutti Fontenelle e Voltaire.

 

Come dimostrato dalle critiche mosse nei tre testi analizzati, l’ambizione di Pietro di modernizzare e, soprattutto, europeizzare la Russia venne realizzata solo parzialmente, lasciando di fatto immutate le grandi differenze che separavano l’Impero degli zar dal resto d’Europa: la condizione di schiavitù dei Russi e l’incontrastabile autocrazia zarista. Inoltre, come sottolineato a più riprese dai tre autori, una delle cause del parziale fallimento delle riforme di Pietro furono proprio la sua impazienza e irruenza nell’imporre un cambiamento radicale che provocò traumi profondi alla cultura, alla religione e alla società russa, tanto che lo zar venne accusato, dai suoi stessi sudditi, di essere l’incarnazione dell’Anticristo.

 

In conclusione, il passaggio della Russia dal proprio Medioevo all’Età moderna non fu graduale e di durata secolare come nel caso europeo, ma si effettuò forzosamente e secondo la volontà assoluta e incontrastabile di un singolo uomo. Mentre nel corso dei secoli l’Europa occidentale sperimentò una progressiva mutazione politica, sociale e culturale, passando dal Rinascimento alla fase della Riforma luterana e della Controriforma, al contrario, in soli tre decenni la Russia fu costretta ad adattarsi a un cambiamento impostole con violenza, che la stravolse nella propria essenza e la rivoluzionò irreversibilmente.

 

Il trauma e la crisi identitaria, sociale e culturale provocati dall’europeizzazione forzata di Pietro, si ripercossero e si ripercuotono tutt’ora sulla storia e sulla coscienza russa, sempre oscillante fra Occidente e Oriente in una contraddizione intrinseca non ancora completamente risolta.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Codevilla, Giovanni, La Russia imperiale. Da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917), vol. II, collana “Storia della Russia e dei Paesi limitrofi. Chiesa e Impero”, Jaka Book, Milano 2016.

Cracraft, James, The revolution of Peter the Great, Cambridge, Harvard University Press, MA–Londres 2003.

Hughes, Lindsey, Russia in the Age of Peter the Great, Yale University Press, New Heaven 1998.

Lortholary, Albert, Le mirage russe en France au XVIII siècle, Editions contemporaines, Boivin 1951.

Massie, Robert K., Peter the Great: His life and Work, Ballantine books, New York 1980.

Troyat, Henry, Pierre le Grand, Flammarion, Paris 1993.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]