moderna
La decostruzione
del “mirage russe en France”
RIFORMISMO PIETRINO / PARTE II
di Chiara Lerede
Un secondo aspetto del riformismo
pietrino su cui si concentrarono i tre
scrittori europei fu l’apertura della
Russia alle idee e alla cultura
occidentale. Se fino alla presa del
potere da parte di Pietro, il Paese era
chiuso in se stesso, sia politicamente
che culturalmente, lo zar si impegnò
profondamente per farlo uscire dal
proprio isolamento e per introdurvi le
Arti, le Scienze, le idee e i modi di
vita europei.
Perry visse in prima persona il
riformismo di Pietro il Grande e ne
elogiò alcune iniziative, come per
esempio l’introduzione della stampa,
l’imposizione della conoscenza del
latino per gli ecclesiastici, la
fondazione di scuole, accademie e
università, ma soprattutto l’apertura
nei confronti dello studio delle lingue
e, di conseguenza, dei libri e delle
idee straniere. In particolare,
l’ingegnere inglese sottolineò
l’importanza di questo cambiamento che
abbatté il pregiudizio, fomentato dalla
Chiesa, secondo cui il contatto con gli
stranieri avrebbe corrotto la purezza
dei costumi ortodossi e danneggiato lo
Stato (The State of Russia, pp.
208-209).
Anche Chappe d’Auteroche ammirò alcune
delle riforme di Pietro, che non solo si
adoperò a fondare nuove istituzioni
consacrate alle scienze e alle arti, ma
introdusse nella sua corte i costumi e
lo stile di vita tipici degli Europei,
creando di fatto una nuova società
mondana a cui avevano accesso anche le
donne, fino ad allora obbligate a stare
in casa nel terem, una sorta di
gineceo
(Voyage en Sibérie, p. 209).
Eppure, nonostante il riconoscimento
degli sforzi dello zar nel riformare e
modernizzare il proprio Paese, il
giudizio finale dei tre Europei nei
confronti del regno di Pietro è
piuttosto critico. In tutti e tre i
testi, in particolare in quelli di
Chappe e di Locatelli Lanzi, successivi
alla morte di Pietro, ci si interroga
sugli effetti prodotti dal riformismo
pietrino sul Popolo e sullo Stato russo.
L’aspetto che venne maggiormente
rimarcato fu il divario tra la mentalità
dello zar, ambiziosa, occidentale e
visionaria, e quella del suo Popolo,
molto più conservatrice e incapace di
comprendere le ragioni dello
stravolgimento del proprio stile di vita
voluto dal sovrano.
A questo proposito, occorre ricordare
una riflessione di Locatelli Lanzi che,
constatando l’arretratezza e la barbarie
della Russia, mise in discussione
l’utilità dell’intero progetto
riformistico di Pietro, che gli parve
essere caduto nel vuoto:
«Mi ricordai di tutto ciò che aveva
fatto Pietro il Grande, dei suoi sforzi
e dei pantani in cui era stato costretto
ad affondare per tirare fuori i suoi
sudditi dalla barbarie e dall’ignoranza
in cui erano affogati. Ripercorsi nel
pensiero i suoi viaggi, le sue ricerche,
le sue opere, le sue istituzioni e mi
dissi “Quale effetto hanno dunque
prodotto gli sforzi di questo grande
sovrano per riformare il suo popolo? É
possibile che i suoi sudditi siano
ancora così barbari, così come lo erano
molto prima del suo regno? Dove sono i
frutti del suo lavoro?”»
(Lettres Moscovites, pp. 50-51).
Più avanti nel testo, l’avventuriero
bergamasco trasse la conclusione secondo
cui, proprio a causa della mentalità
chiusa e della cattiva indole, i Russi
fossero adatti solamente a essere
schiavi, prendendo così atto
dell’effettivo fallimento delle riforme
di Pietro:
«Questa Nazione è buona solo per
vivere in schiavitù e nelle tenebre
[dell’ignoranza]. Non vi stupite che
i loro sovrani, malgrado la grande
autorità che esercitano su di loro, non
siano mai riusciti a far fiorire il
commercio in questo Paese né a
introdurvi la Religione e le Arti?», e
ancora: «[…] Ma riguardo al resto,
non mi stupii di constatare che tutti
gli sforzi compiuti da Pietro I per
civilizzare questa Nazione fossero stati
fino a quel momento inutili. In effetti,
non ci si stupisce di vedere che questi
popoli abbiano ancora dei costumi così
selvaggi, malgrado tutto ciò che è stato
fatto da un secolo a questa parte per
liberarli della loro barbarie» (Lettres
Moscovites, p. 142, p. 348).
Una seconda e pesante critica mossa a
Pietro riguardò i suoi metodi violenti e
autoritari nel perseguire i propri
scopi, senza preoccuparsi del trauma
emotivo che alcuni radicali cambiamenti
nella società e nei costumi avrebbero
comportato per i propri sudditi.
L’autorità dello zar si manifestava
infatti in tutti i campi, persino
nell’obbligare i giovani a seguire
un’educazione e una carriera scelta per
loro dall’alto, senza che essi fossero
minimamente consultati a riguardo. La
volontà dello zar segnava il destino dei
propri sudditi senza che nessuno potesse
opporvisi.
Un’ultima critica, ma non meno
importante, venne fatta a proposito del
paradosso pietrino che pretendeva di
assimilare la Russia alle nazioni
europee, con la volontà di modernizzarla
e occidentalizzarla, senza tuttavia
scalfire l’unica caratteristica che lo
allontanava irrimediabilmente dalla
realtà politica europea: l’assolutismo
del potere zarista, che non solo non
venne messo in discussione in alcun
modo, ma al contrario, venne
ulteriormente rafforzato da alcuni
provvedimenti pietrini.
Agli occhi dei tre Europei, per quanto
Pietro si sforzasse di “europeizzare” la
Russia, la sua stessa autorità dispotica
minava dalle fondamenta il proprio
riformismo. In particolare, sono da
ricordare alcune osservazioni di Chappe
che considerò le riforme di Pietro come
una mera facciata, che resero i sudditi
russi amaramente consci della propria
miserevole condizione:
«Ma egli non ha effettuato nessun
cambiamento nella struttura del Governo;
la Nazione si trova ancora oggi in
schiavitù»,
e ancora «Tuttavia, i costumi europei
hanno comportato uno scarso avanzamento
della Russia, perché non hanno influito
sul governo dispotico: sono stati
introdotti il lusso e la comunicazione
della Russia con l’estero; i suoi
[del cittadino russo] viaggi l’hanno
reso più sventurato di prima, perché da
allora ha avuto un termine di paragone
fra la sua condizione e quella dell’uomo
libero» (Voyage en Sibérie, p.
210, p. 187).
La lettura delle opere di Perry,
Locatelli Lanzi e Chappe d’Auteroche
dimostra come
la figura di Pietro I abbia
indubbiamente affascinato i tre Europei,
che gli riconobbero il merito di aver
scosso fin dalle fondamenta il proprio
Impero, facendolo uscire dal suo
secolare isolamento e trasformandolo in
un Paese di spicco sullo scacchiere
delle grandi potenze europee. Tuttavia,
l’immagine complessiva dello zar
tracciata dai tre autori si distacca e
sfuma con maggior senso critico il
ritratto entusiastico che ne fecero
molti contemporanei europei, primi fra
tutti Fontenelle e Voltaire.
Come dimostrato dalle critiche mosse nei
tre testi analizzati, l’ambizione di
Pietro di modernizzare e, soprattutto,
europeizzare la Russia venne realizzata
solo parzialmente, lasciando di fatto
immutate le grandi differenze che
separavano l’Impero degli zar dal resto
d’Europa: la condizione di schiavitù dei
Russi e l’incontrastabile autocrazia
zarista. Inoltre, come sottolineato a
più riprese dai tre autori, una delle
cause del parziale fallimento delle
riforme di Pietro furono proprio la sua
impazienza e irruenza nell’imporre un
cambiamento radicale che provocò traumi
profondi alla cultura, alla religione e
alla società russa, tanto che lo zar
venne accusato, dai suoi stessi sudditi,
di essere l’incarnazione
dell’Anticristo.
In conclusione, il passaggio della
Russia dal proprio Medioevo all’Età
moderna non fu graduale e di durata
secolare come nel caso europeo, ma si
effettuò forzosamente e secondo la
volontà assoluta e incontrastabile di un
singolo uomo. Mentre nel corso dei
secoli l’Europa occidentale sperimentò
una progressiva mutazione politica,
sociale e culturale, passando dal
Rinascimento alla fase della Riforma
luterana e della Controriforma, al
contrario, in soli tre decenni la Russia
fu costretta ad adattarsi a un
cambiamento impostole con violenza, che
la stravolse nella propria essenza e la
rivoluzionò irreversibilmente.
Il trauma e la crisi identitaria,
sociale e culturale provocati
dall’europeizzazione forzata di Pietro,
si ripercossero e si ripercuotono
tutt’ora sulla storia e sulla coscienza
russa, sempre oscillante fra Occidente e
Oriente in una contraddizione intrinseca
non ancora completamente risolta.
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